MARK UP LAB
La crisi cambia aspirazioni
e priorità di consumo
Nuovi valori
spingono
i pubblicitari
ad aggiornare
il vocabolario.
Cercando di
comunicare con
i codici valoriali
che il consumatore
attuale recepisce
di Fiorenza De Vincenzi
D
a circa un decennio stiamo assistendo al progressivo impoverimento delle famiglie, con consumi
stagnanti o in pericolosa caduta in molte categorie merceologiche. Il ridotto potere d’acquisto
costringe a intervenire sulle proprie abitudini di consumo dando vita a nuovi modelli. Il consumo nell’era della crisi -ma meglio
sarebbe definirla della “post-cre-
scita”- assume una nuova fisionomia e si trasforma sempre più
in uno strumento di espressione
dell’individuo che si storicizza,
che riflette cioè il mutare dei valori e del sentire di quest’ultimo.
La definizione
“Se in passato, l’identità sociale dell’individuo veniva definita dal lavoro -spiega Maria Angela Polesana, docente di Stra-
La crisi ha provocato/favorito una presa
di distanza del consumatore da alcune
categorie merceologiche, vissute come non
indispensabili per il suo benessere, a favore
di altre in cui la dimensione relazionale ed
esperienziale hanno un ruolo più spiccato.
Basti pensare alle code per l’acquisto
dell’iPhone 5, un facilitatore di relazioni in
ogni momento della giornata.
Lo spot di Toyota Auris Hybrid
rende palese l’impegno, da parte
dell’azienda, a rispettare l’ambiente
e il tentativo di sensibilizzare il
consumatore in tal senso. Ma il green
entra, anche solo come scenario,
in tante campagne di auto in cui
diventa il setting che allude a una
sorta di rapporto armonico tra
tecnologia e natura.
ottobre_2013
tegie e politica delle aziende di
marca al corso di laurea in Marketing, consumi e comunicazione dell’Università Iulm di Milano- che per secoli è stato il principale ambito in cui si sviluppavano le relazioni sociali, negli ultimi decenni è il consumo a costruirla. Nel senso che il soggetto, attraverso la scelta di merci
sempre più smaterializzate, che
assommano cioè al semplice valore d’uso una forte componente simbolica, non solo esprime la
propria identità, ma grazie a esse entra in relazione con gli altri
e con il mondo. La dimensione
simbolica delle merci, il loro significato costituisce di fatto un
linguaggio, il linguaggio, appunto, del consumo. Così, se vogliamo comprendere il consumo,
“agire sociale dotato di senso”,
non possiamo prescindere dalla
comprensione e dall’analisi dei
nuovi valori che si stanno imponendo in questi anni e che si traducono in altrettante nuove scelte di consumo”.
Ma la pubblicità cambia?
“Va da sé che la pubblicità -risponde Polesana- offre sempre
e comunque rappresentazioni,
nel senso che i testi si riferiscono
alla realtà sociale senza rispecchiarla completamente. E che
non può abdicare al suo obiettivo, che è quello di stimolare il goodwill dei soggetti nei confronti dei prodotti che propone. Tut51
MARK UP LAB
Maria Angela Polesana,
docente di Strategie e politica
delle aziende di marca al corso
di laurea in Marketing, consumi
e comunicazione dell’Università
Iulm di Milano, ha riservato a
Mark Up un’anticipazione del
suo saggio –in uscita entro fine
2013 per i tipi di Franco Angelisul rapporto tra pubblicità e
decrescita.
La dimensione relazionale e
l’emozione che si riconduce ad
essa è un altro tema emergente
che ricorre in molti spot. Si
pensi all’annuncio di McDonald’s
(comparso a gennaio 2013) che
affronta il tema della disoccupazione
giovanile riprendendo l’articolo 1
della Costituzione: “L’Italia è una
Repubblica democratica fondata
sul lavoro. 3.000 mila nuovo posti li
mettiamo noi”.
Il realismo, attenuato/
edulcorato nei toni è un
ingrediente sempre più presente
nella pubblicità. Anche nel
mondo della moda, troviamo
persone comuni (di cui viene
brevemente tracciata la biografia)
a indossare abiti firmati o ancora
protagoniste di campagne. È
il caso di Piazza Italia, brand
di moda a prezzi bassi, che
mettendo in scena modelli
non professionisti si fa “sponsor
della gente comune”.
tavia si tratta di una di una forma di comunicazione che non
può prescindere dalla realtà sociale che rappresenta e a cui si
rivolge. Infatti può mutare nelle
modalità in cui assolve a questo
compito selezionando temi diversi. Un processo che è già iniziato, come dimostra l’analisi di
vari spot di aziende/prodotti appartenenti a diversi settori merceologici (on air da metà 2012 a
inizio 2013, ndr) che evidenziano un graduale processo di assorbimento, e quindi di rielaborazione, dei mutamenti che hanno investito la sfera economica,
politica, la vita civile e il costume sociale”.
Aderenza alla realtà
Lo spot per la nuova Up 5 porte di Volkswagen, che ritrae una
serie di persone che, accompagnate da una musica divertente,
si ingegnano a chiudere le loro strabordanti valigie sature di
abbigliamento e di accessori. Si stabilisce dunque, per associazione
di immagini, una sorta di parallelismo tra le valigie incapaci di
contenere tutto e Up, la nuova e “spaziosa” compatta, a quattro
posti e a bassi consumi, acquistabile a partire da 9.900 euro.
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“La pubblicità sta cambiando
-conclude Polesana-, è in larga
parte cambiata perché è cambiato il suo interlocutore, il cittadino
e la società tutta: nessun testo infatti esiste senza il suo lettore. Ed
è segno di rispetto nei confronti
di quest’ultimo non insistere in
una mitologia, quella rinvenibile
nell’equazione consumo=felicità,
ma fare il proprio lavoro con intelligenza, al passo con i tempi: i
tempi della società post-crescita”.
Così la pubblicità si fa più attenta agli aspetti tangibili, funzionali dei prodotti, che debbono però
rispondere anche a esigenze di tipo etico e ambientale: ne va della reputazione delle aziende. E il
prezzo conveniente non è più soottobre_2013
lo un modo per catturare il consumatore, ma è soprattutto una
forma di rispetto per la diminuita
disponibilità economica. L’obiettivo è comunicare una sorta di solidarietà della marca nei confronti del portafoglio del consumatore
e un suo essere in sintonia con un
sentire sempre più generalizzato
all’insegna del rispetto per l’ambiente, della valorizzazione delle emozioni, delle relazioni nelle
varie declinazioni, in altre parole
dei nuovi valori che sono assunti
o percepiti dal consumatore contemporaneo.
Adattamento,
non rivoluzione
“Tutto questo certo non significa
-precisa Polesana- che la pubblicità abbia rinunciato alle sue tante e ricche possibilità espressive
in nome di un’adesione esclusiva
al realismo, e gli spot che passano tra i vari programmi televisivi
ce lo confermano: basti pensare
al sequel del Mulino Bianco Barilla. Non lo vorrebbero nemmeno i consumatori, che da tempo
la considerano una sorta di genere televisivo, al punto da farla oggetto di fabulazione nella
loro quotidianità se sa intrattenerli con una liberatoria comicità o con una intelligente ironia”.
Quello che la pubblicità invece
non può fare è parlare di una realtà, di valori che non esistono
più o che, peggio, sono oggetto
di biasimo.
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