Aver cura del legame sociale Tre modalità per prendersi cura della società e di noi stessi di Stefano Tomelleri Professore di Sociologia Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Università degli Studi di Bergamo Sommario La vita in comune richiede una particolare cura che interroga i fondamenti del legame sociale. Esiste un legame tra la biografia delle persone e le più ampie cornici storiche di cui sono parte, tra i turbamenti della vita emotiva interiore e le trasformazioni degli assetti istituzionali di una società. Questo legame richiede una cura specifica, che trascende la volontà del singolo soggetto, perché riguarda le molteplici attività che le persone fanno le une insieme alle altre. Nel saggio si riflette su tre modalità di prendersi cura del legame sociale: il gioco, la collaborazione e le istituzioni. Parole chiave Gioco, collaborazione, istituzioni, società, legame sociale Summary In our social life we need to explore the basis of social bonds with particular care. People biography is linked with the greater historical frameworks they are part of ; as there is a link between the disruptions of internal emotional life and the changes in the institutional set-up of a society. This link needs a specific care, which goes beyond the single individual’s will, because it deals with the various activities people do together with other people. In the essay three modalities to take care of the social bonds are proposed: playing, cooperating and the institutions. Keywords Playing, cooperation, institutions, society, social bond. La cura richiede una particolare attenzione soprattutto da parte delle scienze sociali. Non è consuetudine della sociologia occuparsi di questo tema, tradizionalmente appannaggio della filosofia (si pensi alla Sorge di Heidegger), della psicoanalisi, della pedagogia, o magari ossessione di geni sregolati e ribelli, come Michel Foucault, Ivan Illich o, più di recente, Peter Sloterdijk. Tuttavia esiste una specificità sociologica della cura che vorrei mettere in luce. Essa riguarda la natura del legame sociale e le modalità di prendersi cura della società e quindi di noi stessi. Detto in termini più tecnici, e quindi forse meno chiari, riguarda la relazione di circolarità tra la produzione della soggettività e la produzione delle strutture, cioè tra interazioni sociali agite qui e ora e paesaggi mentali culturalmente condivisi; tra turbamenti interiori e mutamenti di assetti istituzionali. In fondo la dinamica non è poi tanto diversa da quella vichiana o Riflessioni Sistemiche - N° 7 dicembre 2012 83 addirittura rinascimentale, che accostava in affinità e reciproca mutualità il macrocosmo e il microcosmo. Questa circolarità sarà oggetto di riflessione rispetto a tre differenti modalità di prendersi cura della vita in comune: il gioco, la collaborazione e le istituzioni. 1.1 Il gioco Esiste un rapporto specifico tra il gioco e la cura, che poggia su due pilastri fondamentali: la gratuità, vale a dire la radicale inutilità, o se si preferisce l’insensatezza che sta all’origine sia del gioco e che della cura; e la fiducia, ovvero il sentimento che produce la solidarietà. Molti autori e studiosi di comportamento umano e animale, sostengono che il gioco si possa spiegare tramite il bisogno di acquisire o trasmettere operazioni necessarie per la sopravvivenza, altri sostengono che la cura risponda ad esigenze evolutive (Doni, Tomelleri, 2011). Senza dubbio questa funzione “pedagogica” ed “evolutiva” è più che evidente, basta tener presente l’animosità con cui si partecipa ai giochi, o l’ostinazione con cui i partecipanti cercano di vincere una partita, o cercano di decidere quale strategia adottare nelle fasi di gioco. Oppure, basta tener presente quanto il prendersi cura gli uni degli altri costituisca una fonte inesauribile di benessere sociale. Tuttavia non si gioca soltanto perché è vantaggioso, o per un tornaconto di qualunque genere, adattivo, terapeutico, formativo, economico, ecc., (Boockok, Coleman, 1966), ma per il piacere di giocare. La stessa cosa vale per la cura. Certo, prendersi cura degli altri può risultare vantaggioso, ma la cura genera innanzitutto un sentimento di piacevolezza condivisa (Sennett, 2012). Questo è il punto più importante. La nostra specie ha in comune con altri mammiferi superiori una naturale predisposizione al gioco e alla cura. Questa “naturale predisposizione” precede ogni altro tipo di interazione. Di per sé, anzi, non sarebbe nemmeno “naturale”. È anzi quanto di più umano vi sia, per lo meno a partire dalle riflessioni aristoteliche sulla felicità, che è possibile soltanto nei rapporti di amicizia. Quel che sappiamo con i sensi e l’esperienza, è che giocare, curare e farsi curare sono esperienze in grado di procurare piacere. Ci espongono, e questa è la peculiarità sociologica, alla relazione sociale, anche quando non vogliamo, anche quando non ci sentiamo pronti e recalcitriamo. Ci espongono a gestire il piacere e il dolore del nostro essere destinati al legame sociale. Ciò implica una solidarietà precontrattuale, una predisposizione alla fiducia tra le persone coinvolte (Collins, 2006). E veniamo al secondo pilastro alla base del rapporto tra il gioco e la cura, la solidarietà. 1.2 La fiducia necessaria per giocare e prendersi cura Che cosa fa sì che, a partire da uno sguardo, vero o immaginario, nasca una relazione di fiducia che si trasforma poi in gioco o in azione di cura? Qual è il fondamento sociale della fiducia? Che cosa fa sorgere di volta in volta la disponibilità a fidarsi o il desiderio di chiedere la fiducia altrui? Non possiamo affermare che tali sentimenti si presentino immancabilmente: in determinate condizioni, anzi, sono sistematicamente repressi, addirittura la loro rimozione è enfatizzata dal senso comune (con proverbi come “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, ecc.). Sono necessarie speciali condizioni affinché si produca la fiducia (Garfinkel 2004). Non bisogna infatti confondere il primato analitico Riflessioni Sistemiche - N° 7 dicembre 2012 84 dei valori con la situazione empirica, dove di volta in volta la solidarietà in base ai valori condivisi può essere fluttuante e temporanea. Non è detto che vi sia sempre fiducia, nella cura, così come non è detto che il gioco risulti sempre piacevole e “funzioni” come meccanismo di sfogo e di rinforzo dei legami (Goffman, 2009). In questi livelli elementari dell’esperienza sociale non esistono panacee o bacchette magiche: ci si può rifiutare di giocare o giocare in maniera ostruzionistica, ostacolando i vari livelli di partecipazione, così come possiamo decidere di non farci curare o di non aver cura degli altri, o magari vivere con profondo disagio il rapporto di cura che si organizza intorno a noi. Quel che conta è considerare che il gioco e la cura nascono da una distinzione originaria, quella che trasforma il legame effimero e istantaneo della simpatia o dell’empatia che proviamo gli uni per gli altri in un messaggio, che in verità è una domanda: “Ci fidiamo?”. Se così stanno le cose, i meccanismi dell’esclusione sociale non sono l’esito di una negoziazione fallita, ma sono parte integrante della distinzione originaria che fa emergere il legame sociale (Girard, 1999). Tutto ciò significa che non ci sono strutture normative esterne al gioco e alla cura, in grado di garantirne il “funzionamento”: la dimensione precontrattuale della decisione di stare nel legame sociale non è un accessorio, ma una qualità interna, la dinamica stessa della collaborazione. 2.1 La collaborazione L’azione di cura richiede la collaborazione, sia come disponibilità a farsi curare sia come partecipazione attiva al prendersi cura. L'esperienza di molti anni di ricerca ha portato alla luce una molteplicità di forme di collaborazione attive all'interno delle organizzazioni e grazie alle quali si realizzano le attività concrete. Nonostante le difficoltà, le persone sono ostinatamente collaborative, anche e anzi soprattutto quando non se ne rendono conto. La quotidianità del lavoro è intessuta di pratiche ordinarie e reiterate, che vedono persone, afferenti a comunità professionali e strutture organizzative differenti, coordinarsi secondo modalità prevalentemente informali, anche alterando le regole organizzative, per raggiungere obiettivi comuni. La collaborazione è spesso il frutto di tentativi ed errori, aggiustamenti e approssimazioni, sopralluoghi e interrogazioni. Essa richiede una mentalità collaborativa, dove testa e mano sono collegate (Sennett 2012, pag. 9), ovvero una proprietà del legame sociale, ancora una volta comune a molti mammiferi superiori: “ è un comportamento riconoscibile immediatamente negli scimpanzé che si spulciano a vicenda, nei bambini che costruiscono un castello di sabbia, o nei cittadini che impilano sacchi di sabbia contro un’alluvione imminente ” (Sennett, 2012, pag. 15). In questa accezione, collaborare significa unirsi per riuscire a fare qualcosa che non si riuscirebbe a fare da soli. La collaborazione diventa un modo per prendersi cura gli uni degli altri. Si vive giorno per giorno quel legame emotivo che porta a una qualche meta futura, dove l’azione si struttura per diventare sostenibile nel lungo periodo, un’azione coordinata e prolungata nel tempo che da fiducia nel futuro. 2.2 L’homo civicus L’unione tra le persone è frutto di un calcolo razionale o, come nel caso del gioco, è gratuita? La questione è tuttora ampiamente dibattuta e contrappone due visioni Riflessioni Sistemiche - N° 7 dicembre 2012 85 antropologiche e radicalmente opposte: da un lato i sostenitori della natura altruistica e socievole delle persone, per i quali la collaborazione non è altro che la realizzazione di una vocazione naturale (Cassano 2004, Cesareo, Vaccarini, 2006 ); dall’altro, chi riconosce l’egoismo e la competitività come proprietà fondamentali dell’agire umane, per cui la collaborazione non può che essere frutto di una decisione strategica finalizzata al raggiungimento di un qualche fine al di là della portata del singolo (Ripamonti, 2011). Il dibattito ha una storia più che secolare, dal filosofo seicentesco Thomas Hobbes all'economista Gary Becker, allievo di Milton Freedman, passando per Darwin e Freud. Tuttavia la questione è ben lungi dall’essere dipanata una volta per tutte. Ad entrambe le fazioni non mancano le argomentazioni per contrastare le tesi della parte avversa, alimentando due visioni dell'essere umano che possiamo condensare in due immagini: da un lato l’homo oeconomicus e dell'altro l’homo civicus. I seguaci della teoria dell’homo oeconomicus inaugurata da Adam Smith sul finire del XVIII secolo e rivisitata recentemente dagli economisti della scuola neoclassica, ritengono che gli individui agiscano sempre e necessariamente all'interno di un mercato (quindi regolato da norme di tipo commerciale) e che individui ed istituzioni tendano sempre ad attuare comportamenti di tipo ottimizzante, al fine di massimizzare l'utile personale (Cesareo, Vaccarini, 2006). Secondo questa prospettiva, quindi, la collaborazione compare nel momento in cui uno o più attori sociali individuano in tale comportamento una qualche sorta di vantaggio strategico rispetto agli attori concorrenti presenti sul mercato. Numerose sono state le critiche a questo tipo di approccio. La principale riguarda il tipo di razionalità implicata nelle teorie di matrice economica. Tali teorie assumono infatti che gli attori siano in grado di valutare razionalmente tutte i fattori implicati nelle decisioni economiche. Ciò sembra tuttavia contrastare con la crescente complessità dei processi decisionali e con quella che Herbert Simon (1955) ha definito razionalità limitata. Secondo l'economista e psicologo americano, infatti, gli esseri umani non sono costituzionalmente in grado di massimizzare gli utili nelle decisioni poiché sono impossibilitati a raccogliere ed elaborare tutte le informazioni che sarebbero necessarie a tale fine. Sul fronte dell’homo civicus, invece, alcuni autori, tra i quali il sociologo Titmuss e lo stesso Sennett, ritengono che l’essere umano agisca sulla base di una necessità empatica che lo spinge verso la convergenza dell'agire con l'agire altrui. In questa prospettiva diviene rilevante anche il modello culturale di riferimento e, in particolare, il ruolo giocato dalle istituzioni nel sollecitare comportamenti più o meno collaborativi ed altruistici. Titmuss (1970) comparando il comportamento dei donatori di sangue in due contesti socioculturali distinti (gli USA, in cui la donazione avviene secondo modalità privatistiche e commerciali e il Regno Unito, in cui avviene su basi volontaristiche e altruistiche), ritiene che le istituzioni abbiamo una influenza rilevante nell'influenzare il profilo tendenzialmente egoistico o altruistico di una persona in una determinata società. In tale prospettiva si viene a superare la tradizionale separazione tra natura e cultura in nome di una convergenza tra la base antropologica e la specifica cultura locale. Va in ogni caso messo in evidenza che l’aspetto “civico” della natura umana, la capacità quindi di intessere legami significativi come cifra distintiva della nostra specie, sia in intima corrispondenza con la capacità di giocare: non vi è nessun homo civicus, insomma, dove non vi sia nessun homo ludens (Huizinga, 1946). Il che, ma non è questa la sede, vale anche nelle fasi di decadenza: la patologia sociale che chiamiamo crisi, oggi, si riflette per esempio nella diffusione capillare di ludopatie più o meno acute, giochi d’azzardo e scommesse illecite che si amplificano come metastasi un po’ ovunque. Riflessioni Sistemiche - N° 7 dicembre 2012 86 3.1 Le istituzioni Le istituzioni influenzano dunque le persone nel loro campo d’azione. Ma come lo fanno? La sociologia ha dimostrato, da punti di vista teorici e metodologici differenti, che le istituzioni sono modelli che legano insieme le persone nelle loro qualità di occupanti varie posizioni, primariamente in termini di rapporti di potere, ma anche in base alla vicinanza o distanza spaziale tra chi è coinvolto (Barbalet 1998; Cattarinussi 2006). Nella vita quotidiana ogni istituzione appare come un insieme di persone che svolge una certa attività in un dato luogo, ma ciò che trasforma i comportamenti di un uomo o una donna, spesso in modo inconsapevole, sono quelle più ampie cornici simboliche e valoriali, che, in considerevole misura, sono più sentite che pensate. Le istituzioni influenzano le persone perché coinvolgono le emozioni che esse provano in una specifica situazione. Il rapporto tra emozioni e istituzioni trasforma, in modelli comportamentali certi e socialmente condivisi, la varietà indeterminata dell’agire sociale, ma soprattutto la varietà della risonanza emotiva in fieri, fatta di aspetti fisici di una data situazione e dal modo in cui gli scenari fisici, le parole e i gesti, evocano antichi simboli del potere e dei possibili legami di appartenenza tra le persone che interagiscono (Turnaturi 2012). Le istituzioni sono un artefatto dell’attività cognitiva ed emotiva degli uomini, e al tempo stesso una struttura più ampia, che trascende la storia preesistente alla sua realizzazione. Le istituzioni regolano la vita affettiva di uomini e donne in quanto coinvolgono la dimensione processuale delle relazioni umane, secondo una logica di mutua specificazione. 3.2 La mutua specificazione tra emozioni e istituzioni La nozione di mutua specificazione rinvia agli studi dei processi di autonomia biologica di Francisco Varela (1979). La mutua specificazione è una relazione tra dualità opposte (essere/divenire, autonomia/controllo, natura/cultura) che si basa su una logica di complementarità autoreferenziale e processuale secondo una precisa gerarchia di livelli logici: un livello delle singole polarità e un secondo livello del processo di interazione tra le polarità. Varela distingue la relazione di mutua specificazione da una relazione dialettica di tipo classico. Il paradigma della dialettica classica si basa su un modello di relazione di sintesi tra polarità opposte, secondo il principio di non contraddizione tra i termini della relazione: ad esempio, la condizione di aut aut tra A e non A. Diversamente, la nozione di mutua specificazione indica un rapporto di complementarità circolare tra le componenti di un sistema. Secondo Varela, il rapporto di mutua specificazione è adeguatamente rappresentato da un’implicazione (imbrication) reciproca di livelli logici distinti, dove un termine della relazione emerge (emerges) dall’altro. Ad esempio, la relazione preda/cacciatore in un sistema naturale non opera con l’esclusione di uno dei due termini, ma genera un’unità a un livello superiore, un dominio ecosistemico autonomo, dove ci sono complementarietà, stabilizzazione e interazione reciproca. Si tratta di due livelli logici distinti che si implicano a vicenda. Senza modelli condivisi che regolano i rapporti sociali e di potere, non esisterebbe un modo per concordare o meno su ciò che le persone provano o vivono in una data situazione. Le persone definiscono realmente il loro campo d’azione usando semplicemente il linguaggio ordinario di senso comune, ma non è necessario che prestino molta attenzione alla precisa definizione di che cosa sta accadendo, purché vada tutto liscio, poiché possono Riflessioni Sistemiche - N° 7 dicembre 2012 87 dare per scontato che anche gli altri condividono, soprattutto su un piano emotivo, gli stessi modelli di interpretazione della situazione (Manghi, 2000). Il linguaggio ordinario delle emozioni non si riferisce perciò a dati oggettivi e obiettivi, ma rappresenta degli indicatori di frames o re-frames, cioè di cornici interpretative emotivamente significative, destinate a regolare i rapporti con gli altri: indicano deferenza, accusa, accettazione, esclusione, e così via. Il fatto è che le persone mentre seducono, convincono, accolgono, oppure umiliano chi sta loro intorno, quando cioè stanno provando un’emozione, definiscono inevitabilmente anche un rapporto gerarchico e di potere (orizzontale, verticale o più complesso) con le persone con cui interagiscono (Dumouchel 2008). Il nesso tra emozioni ed istituzioni pone dunque la questione del potere e della sua legittimità, non solo cognitiva, ma soprattutto emotiva. 3.3 Il fondamento delle istituzioni: il carisma Tra gli studiosi delle scienze sociali è stato Max Weber, con la sua teoria politica, a individuare e argomentare le basi emotive del potere e della sua legittimità. Tre sono i motivi per i quali a un potere, secondo Weber, viene attribuito il carattere di legittimità: la tradizione, l’affetto e la razionalità finalistica (Wertrationalität). Il problema è se sia possibile trovare un’indicazione di un concetto più generale, unificante, in modo che i tre elementi della motivazione connessi alla legittimità possano essere collegati tra loro. Un principio di questo genere sarebbe presente nel concetto di carisma. Weber ha riconosciuto non solo le diverse forme del potere e le differenti motivazioni che legittimano una forma di potere, ma anche un unico principio unificatore. Ogni forma di potere politico, religioso ed economico troverebbe la propria profonda legittimazione nel carisma, ovvero nel legame emotivo tra dominatori e dominati. Weber ha evidenziato come il riconoscimento, da parte dei dominati, dell’autorità dei dominatori sia costitutivo anche del potere politico. Non solo nel caso particolare del carisma, infatti, il potere politico si avvale del riconoscimento spontaneo da parte dei “ seguaci ”. In generale, per Weber, come ha dimostrato Talcott Parsons in La struttura dell’azione sociale del 1937, il principio unificatore di tutte le più diverse ragioni che legittimano un’autorità è da ricercare nella forma del carisma, che si sintetizza nel principio di un riconoscimento emotivamente fondato. Nessuna forma del potere (politico o sociale) trascende i rapporti di reciprocità degli uomini senza che quelli che sono tenuti ad obbedire riconoscano la legittimità ai dominatori di trascenderli. Le persone attribuiscono alle istituzioni e alle altre persone che rivestono determinate posizioni sociali un dato potere perché sentono di potersi affidare a loro. Tale affidamento è il riconoscimento della legittimità del potere alla base di ogni istituzione. 3.4 La difesa delle istituzioni e la cura di noi stessi Le persone affidano parte della loro vita alle istituzioni, che costituiscono quel punto fermo nella vita di uomini e donne all’interno del flusso comunicativo ininterrotto che chiamiamo società, attorno al quale si consolidano i legami sociali. Dall’altra parte, le nostre emozioni, attraverso il continuo e incessante confronto con gli altri esseri umani, possono condurre tanto alla conferma quanto alla scomunica o alla trasformazione delle istituzioni. Riflessioni Sistemiche - N° 7 dicembre 2012 88 Il rapporto tra istituzioni e interazioni affettive rinvia alla logica circolare di un processo dove le emozioni (il carisma, la fiducia, ecc.) sono la linfa generativa delle istituzioni, che a loro volta svolgono il compito di dare un orientamento futuro stabile alle emozioni altrimenti fluide e indeterminate. La dimensione strutturante delle istituzioni non rinvia qui ad un’idea di struttura come guida dell’agire degli uomini da un punto di vista esterno rispetto alle loro interazioni, bensì rimanda a un’idea di struttura come parte del processo che contribuisce alla strutturazione delle interazioni (Doni, Tomelleri, 2011). In altre parole, le istituzioni si generano e si alimentano di ciò che tendono a contenere, nel doppio significato di arginare e includere, ovvero di frenare e portare dentro di sé; esse si generano e si alimentano di quell’incertezza delle interazioni umane che è tutt’uno con la condizione di reciprocità della nostra vita affettiva. Le persone sentono di provare qualcosa in una trama di rapporti reciproci mediati da modelli istituzionali socialmente riconosciuti e condivisi (Tomelleri, 2004; Fuller, 2006). Esiste dunque un rapporto di mutua specificazione tra i fondamenti del potere, le istituzioni e le emozioni, che dipende dai modi che le persone hanno di prendersi cura delle istituzioni di cui sono parte attiva. L’immagine socialmente diffusa di istituzioni, instabili, incerte, lontane dalla vita quotidiana dei cittadini ha implicazioni anche nella vita affettiva delle persone: sul loro modo di immaginare il futuro, il lavoro, il matrimonio, la genitorialità, e così via (Tomelleri, 2009) . Nella società italiana, le istituzioni stanno attraversando una crisi di legittimità (Magatti 2012). Le cause sono molteplici di matrice storica ed economica. Ad esse si sono aggiunte, più recentemente, le condotte di certa classe dirigente avida di potere e denaro, di governanti corrotti e di cittadini evasori. È un sentimento diffuso nell’opinione pubblica italiana che siano stati ormai minati i fondamenti della legittimità delle istituzioni, altamente differenziate in sistemi sociali autonomi e autoreferenziali (economici, scientifici, religiosi, politici, famigliari). Le istituzioni hanno assunto specificità parziali all’interno di una società segmentata e settoriale, dove in particolare le singole istituzioni politiche, stato, associazioni sindacali, partiti politici, organizzazioni di categoria hanno concreti problemi di rappresentanza della società italiana. A questo pericolo si può guardare in modi diversi, con indifferenza oppure con interesse. L’analisi del rapporto tra emozioni e istituzioni qui abbozzata, concentra l’attenzione sulla gravità e sulla tragicità di un simile fallimento. Le persone stanno infatti vivendo, in modo largamente inconsapevole, una questione antropologica e sociologica di importanza cruciale: la necessità di prendersi cura delle istituzioni di cui sono parte. L’assenza di modelli socialmente condivisi, di valori, simboli del potere, idee e credenze, espone le persone ad un’incertezza radicale, perché rende difficile la condivisione di un criterio comune per mettersi d’accordo. L’incertezza si trasforma ben presto in paura, perché ogni persona, in assenza di modelli condivisi, si sente legittimata a rivendicare il proprio diritto individuale o vantaggio relativo, in quel gioco di rilanci del desiderio umano, spesso propenso alla competizione, alla rivalità, al desiderio di potere e di sopraffazione. In conclusione: aver cura della società per essere generativi La pluralità di intelligenze, conoscenze, saperi, relazioni, progetti, creatività che sono presenti in ogni contesto sociale in quanto tempo e spazio della soggettività necessitano per essere generative di coordinarsi nel lungo periodo. Il processo di generazione di Riflessioni Sistemiche - N° 7 dicembre 2012 89 valore è oggi alimentato soprattutto dal basso, attraverso l’iniziativa di singoli o di gruppi (Magatti, 2012). Tuttavia questa capacità di intrapresa, di innovazione, di promozione di idee, sotto forma di sperimentazioni, rischia spesso di restare frammentata, di non generare fiducia nel futuro, di rimanere dispersa, troppo lontana dalle istituzioni per attivare un cambiamento. Di qui la necessità di prendersi cura delle istituzioni di cui siamo parte, cercando nella mentalità collaborativa e nello spirito ludico, quelle azioni sociali in grado di connettere e ricomporre gli attori interessati alla generazione di valore (economico, istituzionale, relazionale, sociale). Bibliografia Barbalet J. M., 1998. Emotion, Social Theory and Social Structure. A Macrosociological Approach, Cambridge University Press, Cambridge. Boockok S.S., Coleman J.S., 1966. Games with Simulated Environments in Learning. Sociology of Education, 39, n. 3, pp. 215-236. Cassano F., 2004. Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni, Dedalo, Bari. Cattarinussi B., 2006. Sentimenti, passioni, emozioni. Le radici del comportamento sociale: le radici del comportamento sociale, Angeli, Milano. Cesareo V., Vaccarini I., 2006. La libertà responsabile. Soggettività e mutamento sociale, Vita e Pensiero, Milano. Collins R., 2006. Teorie sociologiche, Il mulino, Bologna. Doni M., Tomelleri S., 2011. Giochi sociologici. Conflitto, cultura, immaginazione, Raffaello Cortina, Milano. Dumouchel P., 2008. Emozioni. Saggio sul corpo e il sociale, Medusa, Milano. Fuller, S., 2006. The New Sociological Imagination, Sage, London. Garfinkel H., 2004. La fiducia, Armando, Roma. Girard R., 1999. Il risentimento, Raffaello Cortina, Milano. Goffman E., 2009. L’Interazione strategica, Il Mulino, Bologna. Huizinga, J., 1946. Homo ludens, Einaudi, Torino. Magatti M., 2012. La grande contrazione. I fallimenti della libertà e le vie del suo riscatto, Feltrinelli, Milano. Manghi S., 2000. Emozioni, in A. Melucci, a cura di, Parole Chiave, Carocci, Roma. Parsons T., 1987. La struttura dell’azione sociale, Il Mulino, Bologna. Ripamonti E., 2011. Collaborare. Metodi partecipativi per il sociale, Carocci, Roma. Sennett R., 2012. Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, Milano. 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