Il cerchio di centro C e raggio r è l'insieme dei punti che distano r da C: { P : d(P,C) = r } = { (x,y) : (x – xC)2 + (y – yC)2 = r 2 } Tutti i cerchi sono comunque ottenibili dal cerchio di centro (0,0) e raggio 1, cioè di equazione x2+y2=1, componendo trasformazioni di scala monometriche e traslazioni. Le ellissi sono le figure ottenibili dallo stesso cerchio componendo movimenti piani e trasformazioni di scala anche non monometriche. A lato (disegno a sinistra) è illustrato come dal cerchio x2+y2=1 (α) è ottenibile il cerchio β con una trasformazione di scala monometrica (di fattore 4) e, poi, il cerchio γ con una traslazione (di vettore (4,3)). A destra è illustrata la generazione delle ellissi β (con una trasformazione di scala fattori 5 e 3) e, poi, γ (con una traslazione di vettore (4,4) seguita da una rotazione attorno a (4,4) di –30°). Le figure di equazione y = ax2 (con a numero reale diverso da 0) e quelle ottenute da esse con movimenti piani vengono chiamate parabole. Il disegno sotto a sinistra illustra una possibile generazione della parabola γ: la parabola y=2x2 (α) viene traslata con Δx = –3, Δy = 1 (ottenendo β) e infine ruotata di 240° attorno alla nuova posizione del vertice, cioè del trasformato del punto (0,0) della parabola iniziale. Le figure di equazione y = a/x e tutte quelle ottenute da esse con movimenti piani vengono chiamate iperboli equilatere. Sono tali α (y=1/x) e β (ottenuta da α con una rotazione di 45°) nel disegno sopra a destra (altri esempi: , ). I due "rami" che compongono una iperbole equilatera tendono a spiaccicarsi su due rette perpendicolari. Si chiamano iperboli anche le figure ottenute applicando trasformazioni di scala non monometriche (la figura γ nel disegno, ottenuta da β con una trasformazione di scala che lascia immutate le x e moltiplica le y per 3/4); queste figure tendono a spiaccicarsi su due rette non perpendicolari (le rette su cui tende a spiaccicarsi un'iperbole, o un altro tipo di curva, vengono chiamate asintoti). Al posto di iperbole equilatera si usa spesso l'espressione iperbole rettangola, che meglio richiama il fatto che si tratta di una iperbole ad asintoti perpendicolari (nel caso dei poligoni l'aggettivo "equilatero" indica l'equaglianza dei lati, qui la eguaglianza di due particolari segmenti che intervengono in un metodo per tracciare le iperboli che verrà discusso in una successiva voce). Sia i cerchi, che le parabole e le iperboli equilatere sono figure tutte tra loro simili. La figura a lato illustra la trasformazione di scala monometrica di fattore 2 di un cerchio e di una parabola. Le nuove figure sono meno "appuntite" ma hanno la stessa forma. La parabola y = ax2 si ottiene da y = x2 con la scala 1/a : al crescere di a la parabola si rimpicciolisce (del resto più a è grande più y sale rapidamente al crescere di x, ossia più "stretta" è la parabola). Ellissi, parabole e iperboli sono tutte figure simmetriche, cioè dotate di assi di simmetria: rette rispetto alle quali possono essere "ribaltate" senza cambiare aspetto, ossia rispetto alle quali sono simmetriche di sé stesse[ trasformazioni geometriche]. Ogni retta è simmetrica (oltre che rispetto a sé stessa) rispetto a una qualunque retta ad essa perpendicolare. Ogni segmento è simmetrico (oltre che rispetto alla retta a cui appartiene) rispetto alla retta perpendicolare che passa per il suo punto medio (che viene in genere chiamata semplicemente asse del segmento). Ogni angolo è simmetrico rispetto alla bisettrice, ossia alla retta che lo divide in due angoli di uguale ampiezza. L'ellisse ha 2 assi di simmetria; se è un cerchio ne ha infiniti. L'iperbole ne ha 2, la parabola 1. Il rettangolo e il rombo ne hanno 2; se sono quadrati ne hanno 4. I poligoni regolari, ossia con lati e angoli uguali, ne hanno tanti quanti i lati: essi sono ottenibili a partire da una retta che sia bisettrice di un qualunque angolo mediante successive n-1 rotazioni ampie 360°/(2n), se n è il numero dei lati. I quadrangoli regolari sono i quadrati, i triangoli regolari sono i triangoli equilateri (i quadrangoli equilateri non sono invece necessariamente regolari: possono essere rombi non quadrati). Segmenti, rettangoli, rombi, ellissi e iperboli sono tutte figure dotate di un centro di simmetria: un punto rispetto al quale possono essere ruotate di 180° senza cambiare aspetto, ossia rispetto alle quali sono simmetriche di sé stesse [ trasformazioni geometriche]. Lo sono anche tutti i poligoni regolari con un numero pari di lati. Una retta che "tocca" il cerchio senza attraversarlo viene detta tangente al cerchio. La parola "tangente" deriva dal latino, in cui significava "che tocca". La "funzione tangente" [ direzioni e funzioni circolari] deve il suo nome al fatto che, ad es., tan(30°) può essere determinata prolungando il versore di direzione 30° applicato in (0,0) fino a intersecare la "retta tangente" in (1,0) al cerchio di centro (0,0) e raggio 1: nella figura a lato, in cui è rappresentata la direzione 30°, c e ssono rispettivamente il coseno e il seno di 30°; il fatto che il valore dell'ordinata tsia effettivamente la tangente di 30° deriva dal fatto che il rapporto tra t e 1 (cioè t) è uguale al rapporto tra s e c, cioè a sin(30°)/cos(30°) = tan(30°); o più semplicemente deriva dal fatto che t è la pendenza della retta passante per (0,0) e inclinata di 30°: è la variazione verticale che corrisponde a una variazione orizzontale di 1. La retta tangente è perpendicolare al raggio che passa per il punto di contatto con il cerchio. Il concetto di retta tangente può essere esteso ad altre figure. Su ciò ci si soffermerà in successive sezioni. Qual è il vertice dell'angolo che è l'intersezione del semipiano y ≥ 3 con il semipiano y ≤ x+1? Quale è la ampiezza di tale angolo? y≥3 y≤x+1 Le rette che delimitano i due semipiani si incontrano nel punto di ascissa x della retta y = 3 che è soluzione di 3 = x+1, ovvero nel punto (2,3).L'intersezione dei due semipiani è l'angolo che ha tale punto come vertice e che va dalla semiretta y = 3 AND x ≥ 2 alla semiretta y = x+1 AND x ≥ 2, che ha ampiezza 45° (= π/4). Per altri commenti: figure 2 neGli Oggetti Matematici. Nella illustrazione a lato la retta è tangente al cerchio. Scrivi le equazioni della retta e del cerchio. Sia Q il punto (2,1) comune a retta e cerchio. Gli altri punti (x,y) del cerchio distano dal centro O = (0,0) quanto dista Q. Quindi il cerchio ha equazione: x2 + y2 = 22 + 12, ossia: x2 + y2 = 5. La retta è perpendicolare al raggio passante per (2,1). Questo ha pendenza 1/2, quindi la retta ha come pendenza l'opposto del reciproco di questo valore, ossia –2. Una retta con pendenza –2 ha equazione del tipo y = –2x + k dove k è l'ordinata del punto in cui essa intercetta l'asse y. La nostra retta intereseca l'asse y andando a sinistra, rispetto al punto (2,1) di 2; nel contempo sale di 4 (in quanto ha pendenza –2); quindi interseca l'asse y in (0,5). L'equazione delle retta è quindi: y = –2x + 5. Volendo, si poteva ragionare "algebricamente", ad es. così: la nostra retta deve passare per (2,1), ossia all'input x=2 deve corrispondere l'output y=1, ossia –2·2 + k deve essere uguale a 1: 2·2 + k = 1 k = 1 + 2·2 k=5 Quindi la retta è y = –2x + 5. Trigonometria: chi non ha seguito il libro nel biennio bisogna metterla!!! Richiamo dal punto di vista analitico delle coniche! Le parabole hanno la caratteristica di "riflettere" i "raggi" che entrano in esse parallelamente all'asse di simmetria in modo che confluiscano in uno stesso punto, detto fuoco (indicato con F nella figura) e, viceversa, di riflettere i raggi generati da una sorgente luminosa collocata nel fuoco facendoli proseguire parallelamente all'asse di simmetria. Se una parabola ha equazione y = 3x2+x+1, qual è il suo fuoco? [Traccia. Tieni conto che un raggio verticale che incide la parabola in un punto di pendenza 1 viene riflesso orizzontalmente] Da quanto indicato nella "traccia" deduciamo che il fuoco ha la stessa ordinata dei punti in cui la pendenza è 1 o -1. Nel caso della nostra parabola poiché Dx(3x2+x+1) = 6x+1 = 1 per x = 0, possiamo dedurre che il fuoco ha ordinata (3x2+x+1)x=0 = 1. La ascissa del fuoco è: la stessa del vertice, ossia del punto in cui la derivata è nulla: 6x+1 = 0 per x = -1/6. Il fuoco è (-1/6,1). Alla voce prospettiva 1 abbiamo visto come rappresentare una scena come quella a fianco (una casetta vicina a una linea ferroviaria): i lati di base della casa e del tetto, lo spigolo superiore del tetto e i binari hanno punti di fuga sull'orizzonte. Lo spigolo superiore del tetto sta sull'orizzonte; ciò significa che l'occhio sta alla stessa altezza del tetto. A, E e D sono punti di fuga di rette che stanno sul piano di una delle facce del tetto; sono allineati, ma non sull'orizzonte in quanto non si tratta di un piano parallelo al piano orizzontale. Abbiamo anche visto alcuni aspetti della storia dell'arte legati a questo tema (alcuni di essi sono approfonditi in uno specifico ipertesto). A sinistra è richiamata, dalla voce prospettiva 1, una finestra in cui puoi osservare la casetta considerata nella figura precedente da diversi punti di vista. Nella stessa voce abbiamo, poi, preannunciato che ci saremmo occupati di alcuni problemi più specifici, come quello illustrato dalla figura a lato, che qui riprendiamo: «Guardo una figura tracciata sul terreno da una distanza di circa 20 m e da un'altezza iniziale di 2 m. Vicino alla figura è collocato un sistema di "assi" di riferimento, con assi finiti (lunghi 10 m ciascuno). La figura sembra un arco di ellisse. Ma man mano che mi alzo (l'altezza passa da 2 m a 60 m) la figura mi appare come una parabola. È possibile che una parabola venga vista come un'ellisse?» Affrontiamo, dunque, questo problema. Ancora sulle proiezioni Sopra abbiamo visto come una parabola, vista dal basso, possa apparire un'ellisse. La figura a lato illustra come mezza iperbole, collocata nel piano xy ed avente gli assi x ed y come asintoti (anche in questo caso raffigurati parzialmente), man mano che il mio sguardo si dirige più orizzontalmente tende ad assumere forma ellittica, fino a che (figura D), quando lo sguardo è diretto parallelamente alla sua bisettrice, si presenta al mio sguardo proprio come una semiellisse (e gli assi x ed y mi appaiono come rette tra loro parallele). A destra è illustrata la direzione dello sgaurdo nella situazione D. Come è possibile ciò? Proviamo a dare una risposta. Se clicchi qui accedi ad una visione animata di quel che accade tagliando un cono circolare retto (avente come asse di simmetria l'asse z) con un piano con inclinazione rispetto al piano z = 0 maggiore, minore od uguale a quella delle generatrici del cono (dicesi generatrice una retta che passa per il vertice del cono e sta sulla sua superficie, la cui rotazione attorno all'asse del cono genera il cono stesso). Puoi studiare meglio il fenomeno azionando la animazione "coniche". Sotto, a sinistra, una sintesi della animazione: se taglio il cono con un piano, non passante per il suo vertice, inclinato come una generatrice ottengo una parabola; se il piano è inclinato di più o di meno ottengo un'iperbole o un'ellisse. Se guardo queste intersezioni dal vertice del cono, dirigendo lo sguardo come l'asse di rotazione, le vedo tutte circolari o, meglio, come un cerchio (l'ellisse) o un cerchio bucato (la parabola) o un semicerchio (l'iperbole); vedi figure sotto a destra. Questa semplice spiegazione risolve le apparenti contraddizioni generate dalle immagini precedenti. Il fatto che ellissi, iperboli e parabole ( figure 2) possono essere ottenute dalla intersezione di un cono con un piano è all'origine del fatto che tali curve vengono chiamate, complessivamente, coniche. Quanto ora detto permette di concludere anche che ( proiezioni tra superfici) le coniche sono ottenibili l'una dall'altra mediante una proiezione centrale, e che quindi sono indistinguibili dal punto di vista delle proprietà proiettive. Le coniche possono essere tutte ottenute, nel piano xy, come grafico di una equazione polinomiale di 2° grado, ossia di un'equazione in x ed y del tipo ax2 + bxy + cy2 + dx + ey + f = 0 (affinché sia di 2° grado occorre che a, b e c non siano tutti nulli). Un'equazione di questo genere ha alcuni casi "degeneri": casi in cui non ha "punti" (x,y) che la risolvono (ad es. x2+y2+1=0), o ha per soluzione solo un punto (ad es. x2+y2=0, soddisfatta solo se x=0 e y=0) o una retta (ad es. (x−y)2=0, soddisfatta solo se y=x) o una coppia di rette (ad es. x2−y2=0, soddisfatta solo se y=x oy=−x). Negli altri casi rappresenta un'ellisse, un'iperbole o una parabola. Si può dimostrare che la classificazione in queste tre categorie dipende solo dai valori di a, b e c. Vediamo la casistica: • se • se • se b2−4ac = 0 (ad es. (x−2y)2+3y−4=0) è una parabola, b2−4ac > 0 (ad es. (x−y)(x+2y)+3y−4=0) è una iperbole, b2−4ac < 0 (ad es. 0.5x2+y2+3y−4=0) è una ellisse. Ecco, in ordine, i grafici dei tre esempi fatti sopra, tra parentesi: Il volume Le prime grandezze fisiche che, nella storia dell'umanità, sono state misurate sono le lunghezze, le capacità ed i tempi, in quanto era facile confrontarle con delle unità campione. Per le lunghezze si usò il confronto prima con delle parti di corpo umano (braccio, piede, pollice, pugno, …) o con il frutto di alcune azioni (in particolare il passo e suoi multipli); in genere queste unità di misura non erano precise, e spesso variavano da un paese all'altro; attraverso un lungo percorso si è arrivati prima, intorno al 1800, alla definizione del "metro" come la lunghezza di una particolare asta di metallo, e, in tempi successivi, alla sostituzione di essa con la distanza percorsa nel vuoto dalla luce in una fissata frazione di secondo. Per le misure di capacità si fece uso di particolari contenitori (anfore, tazze, boccali, casse, …), e queste venivano in genere usate al posto delle misure di peso, che si svilupparono solo dopo, con l'invenzione delle prime bilance a piatti. L'uso di contenitori graduati consentiva di misurare facilmente le capacità, in modo simile alle lunghezze. Per i pesi si arrivò a sistemi di misura simili con l'invenzione delle bilance a molla. Il tempo è una grandezza fisica del tutto particolare, che per lungo tempo non è stata facile da misurare, se non relativamente a unità particolari: i giorni, gli anni, le "lune", …; si svilupparono abbastanza presto alcuni strumenti per misurare intervalli di tempo brevi (bastati sul consumo di candele, sullo svuotamento di contenitori, …), ma non era chiaro, come nel caso delle precedenti grandezze fisiche, il legame tra i vari campioni di misura usati e la grandezza stessa. Questo, le difficoltà tecniche nella costruzione di misuratori del tempo (fondamentale fu al riguardo la scoperta, attribuibile a Galileo, della periodicità del pendolo), la possibilità di pensare ad intervalli di tempo piccoli a piacere, … sono aspetti che hanno fatto del tempo la grandezza fisica che meglio si avvicina all'idea dei numeri reali. Difficoltà matematiche particolari è stato necessario affrontare per sviluppare le misure delle aree e dei volumi. La misura dei secondi, per migliaia di anni, è stata affrontata solo come misura di capacità, la misura dei primi è stata oggetto di molti fraintendimenti (ad esempio la misura di estensioni di terreno a forma di parallelogramma moltiplicando i lati invece che un lato e l'altezza ad esso perpendicolare). Sulle aree ci siamo già soffermati, vedendone l'intreccio con la moltiplicazione tra numeri reali ( area) e alcune generalizzazioni allo spazio tridimensionale ( rappresentazioni cartografiche). Occupiamoci, ora, deivolumi. In modo analogo a quanto visto per l'area dei rettangoli, il volume di un parallelepipedo è ottenuto moltiplicandone le tre dimensioni: nel caso raffigurato a fianco, supponendo che le misure siano espresse in centimetri, possiamo dire che il volume è approssimato per difetto da 3·2·2 cm3 = 12 cm3. In analogia a quanto visto per le aree, non possiamo, tuttavia, dire che 13 cm3è una misura per eccesso; senza altre misurazioni potremmo solo concludere che il volume è inferiore a 4·3·3 cm3 = 36 cm3, ossia che l'indeterminazione è 24 cm3. Se misuriamo le dimensioni con più precisione possiamo concludere che il volume è approssimato per difetto da 3.6·2.1·2.2 cm3 = 16.632 cm3 =16 632 mm3; una sua approssimazione per eccesso è3.7·2.2·2.3 cm3 = 18.722 cm3 = 18 722 mm3, ossia l'indeterminazione è 2.090 cm3. Il prodotto di due dimensioni può essere interpretato come l'area A di una delle facce e la terza dimensione, pensando il parallelepipedo appoggiato su tale faccia, può essere interpretata come l'altezza h del parallelepipedo stesso, e il volume di esso può essere rappresentato come A·h. Nel caso dei cilindri e di tutti i solidi ottenuti muovendo una figura piana perpendicolarmente al piano in cui essa sta, il volume V, generalizzando quanto visto per i parallelepipedi, lo si ottiene moltiplicando l'area A delle figura piana per la distanza h che essa ha percorso: V = A·h. In analogia a quanto visto per la area dei parallelogrammi, abbiamo il cosiddetto principio diCavalieri (dovuto a Bonaventura Francesco Cavalieri 1598-1647) secondo il quale il volume di un solido non cambia se lo sezioniamo con un fascio di piani tra loro paralleli e, a partire dal primo piano che lo taglia, ne spostiamo via via le sezioni con un movimento continuo. Lo accettiamo senza darne una dimostrazione: non abbiamo, ora, gli strumenti per farlo. Nel caso della figura solida raffigurata a sinistra abbiamo che il suo volume è pari a quello del parallelepipedo che ha la stessa base e la stessa altezza. Nel caso raffigurato a destra abbiamo piramidi di uguale base ed uguale altezza, che per lo stesso principio hanno il medesimo volume, così come i coni con le stesse caratteristiche. Sappiamo che ( area) tra area di un rettangolo ed area di un triangolo che ha base ed altezza in comune N=1000 con esso c'è rapporto costante, pari a 2. Si può dimostrare che, passando al caso tridimensionale, R=2.7777 anche il rapporto tra volume di un prisma e volume N=2000 R=2.8653 di una piramide con base ed altezza in comune con esso è costante, e vale 3. Se vuoi, prova a N=3000 R=2.8116 dimostrarlo. A destra trovi gli esiti di un programma N=4000 R=2.8673 che genera a caso N punti nel prisma a base triangolare raffigurato a sinistra e calcola il rapporto N=5000 R=2.8818 R tra N e quanti cadono nella piramide N=6000 R=2.9239 raffigurata: qui puoi esaminare il programma. Dunque, per quanto considerato sopra, il volume di una piramide o di un cono di area di base A ed altezza h è pari a A·h / 3. Per il principio di Cavalieri, una semisfera ha lo stesso volume di un cilindro alto come il raggio e avente come base il cerchio massimo della semisfera dal quale sia stato tolto un cono con stessa base e stessa altezza (vedi figura a sinistra): se prendo il raggio unitario, osservo che alla quota h la sezione della sfera è un cerchio di raggio √(1−h2) e quella di "cilindro−cono" è un cerchio di raggio 1 da cui ne è stato tolto uno di raggio h, ed entrambe le figure hanno area pari a π(1−h2). Qui puoi vedere un'animazione che illustra il fenomeno. Dunque il volume di una sfera di raggio 1 è il doppio di π−π/3 = 4/3·π, e quello di una sfera di raggio r è 4/3·π·r3 ( diagrammi). Posso trovare il volume della sfera anche con un ragionamento diverso. Approssimo una sfera con l'unione di tante piramidi, come illustrato nella figura a fianco; al crescere del numero di queste piramidi, e al decrescere della loro area di base, il volume di questa unione tende al volume della sfera. Il volume di ciascuna di queste piramidi è pari ad un terzo della superficie di base moltiplicata per l'altezza; questa tende a coincidere con il raggio r della sfera, mentre la somma delle superfici di base tende a coincidere con la superficie totale della sfera, che so calcolare. Quindi il volume della sfera è Superficie·r/3 = 4·π·r2·r/3 =4/3·π·r3. Ricordiamo, infine, un po' di terminologia. Il cilindro che racchiude una sfera, ossia che, pensato appoggiato su uno dei due cerchi che lo delimitano, ha altezza pari al diametro, viene chiamato cilindro equilatero. Generalizzando quanto già detto per i poligoni ( area) viene chiamata apotema di un cono circolare retto, ossia frutto della rotazione di un triangolo rettangolo attorno ad uno dei cateti, la lunghezza dell'ipotenusa di questo triangolo, e di una piramide retta, ossia che circoscrive un cono circolare retto (la base è un poligono che circoscrive una circonferenza e la proiezione del vertice sulla base coincide col centro di essa), l'apotema di questo. Viene, infine, chiamato diedro ciascuna delle due parti in cui lo spazio viene diviso da due semipiani (facce) delimitati dalla stessa retta (spigolo). Come ampiezza del diedro viene presa quella dell'angolo che si ottiene sezionando il diedro stesso con un piano perpendicolare allo spigolo. Nella figura a lato il diedro è colorato in verde e la sua ampiezza è indicata α. Ricordiamo che viene chiamato bisettore di un diedro il piano che passa per il suo spigolo e che lo taglia in due diedri di eguale ampiezza. Il volume di altri solidi può essere ottenuto, se hanno solo facce piane, scomponendoli in piramidi, altrimenti con tecniche simili a quelle usate per la sfera, che saranno discusse più avanti ( altri usi degli integrali), quando si sarà stato introdotto un nuovo argomento: gli integrali. Nel piano cartesiano è dato un triangolo di vertici (1,0), (0,3), (3,0). Qual è il volume del solido che si ottiene facendo ruotare il triangolo intorno all’asse y? (A) 8π (B) 12π (C) 16π (D) 24π π323/3 − π123/3 = π(323 − 3)/3 = π(32 − 1) = 8π Trova il volume dello spazio libero all'interno di un cilindro di altezza 2R e raggio R al cui interno è collocata una sfera di raggio R. Il cilindro ha volume πR2·2R = 2πR3. La sfera ha volume 4/3·πR3. Lo spazio libero è la differenza tra questi due valori, ossia 2/3·πR3. Il valor medio Se conosco come varia la velocità v di un'automobile in un intervallo di tempo [a,b], che cosa intendo pervelocità media: la velocità costante a cui sarebbe andata per percorrere la strada nello stesso tempo. Quindi il suo valore lo trovo dividendo la strada percorsa per il tempo impiegato. La strada percorsa, ossia la differenza s(b)−s(a) tra la posizione finale e la posizione inziale (per il teorema fondamentale del calcolo[ integrazione] essendo v(t) = s'(t)) è data da ∫ [a,b] v(t) dt. ∫ Quindi: velocità media = [a,b] v(t) dt / (b-a). Passando da v a una generica funzione f continua positiva su [a,b], definiamo come valore medio di f in [a,b] l'altezza m del rettangolo di base [a,b] avente area uguale a quella compresa tra il grafico di f e l'intervallo [a,b]. Più in generale, se f è una qualunque funzione integrabile su [a,b], definiamo come valore medio di f in [a,b] il valore della funzione costante che ha su [a,b] lo stesso integrale, ossia: ∫ [a,b] f m = ——— b–a Si ha, facilmente, che vale un teorema del valor medio per gli integrali: se f è continua su [a,b], esiste c in [a,b] in cui f assume il valore medio, ossia tale che: f(c) = ∫[a,b] f / (b-a). Nel caso della figura soprastante, vi sono tre di tali c: le ascisse dei punti in cui il grafico di f taglia la retta di ordinata m. Il teorema del valor medio per le derivate ( propr. delle funzioni cont. e di quelle derivabili), applicato a una funzione integrale di f, mi avrebbe dato gli stessi punti. Nel caso della velocità, un istante c in cui essa assume il valor medio (rispetto alla integrazione) è anche un istante in cui s ha come derivata (s(b)−s(a)) / (b−a). Esercizio 1 (e soluzione) Esercizio 2 (e soluzione) Il volume Generalizziamo alcuni metodi già visti ( il volume) per individuare il volume di una figura tridimensionale. Il particolare ci occuperemo delle figure che possono essere generate mediante la rotazione attorno ad un asse di una fugura piana. Illustriamo le "tecniche" impiegabili partendo da un caso in cui sappiamo determinare il volume anche con altri metodi. • Determino il volume del solido raffigurato a lato, dotato di un asse di simmetria, con la superficie "interna" cilinidrica di raggio uguale all'altezza, una faccia a forma di corona circolare e il resto della superficie a profilo rettilineo, inclinato di 45° rispetto all'asse di simmetria (i semipiani aventi come bordo l'asse di simmetria intercettano sul solido dei triangoli rettangoli isosceli). L (la lunghezza dei cateti del triangolo T) è sia lo spessore della corona circolare che l'altezza e il raggio del cilindro. Suppongo che L = 1, ossia uso come unità di volume L3. Posso pensare il solido come un cono circolare retto di altezza e raggio 2 da cui ho tolto un cono di altezza e raggio 1 e un cilindro circolare retto di altezza e raggio 1. Ottengo: 4π2/3π/3-π = 4π/3 (ossia 4π/3L3). • Ora ricavo il volume usando direttamente qualche tecnica di integrazione. Dovrei ottenere lo stesso risultato. Penso il solido come frutto della rotazione di una figura attorno all'asse di simmetria. Nel mio caso posso pensare il profilo della figura − sia come grafico di una funzione F assumendo l'asse di rotazione come asse y − che come quello di una funzione G assumendo l'asse di di rotazione come asse x. Col secondo metodo (figura a sinistra)penso il solido come somma di tanti anelli (rondelle) di spessore Δx, raggio esterno G(x) e interno 1: la variazione ΔV del volume al passare da x a x+Δx è approssimabile con π(G(x)2-1) (area della corona circolare base dell'anello) per Δx: dV = π(G(x)2−1) dx. G(x) = 2−x. Dato che x varia in I = [0,1], il volume èV = ∫Iπ(3+x2)dx = π(3x+x3/3)x=1 = π(3+1/3) = 4π/3. Col primo metodo (figura a destra) penso il solido come somma di cilindretti cavi (gusci cilindrici) di spessore Δx, raggio interno x e altezza F(x): la variazione ΔV del volume al passare da x a x+Δx è approssimabile con F(x)Δx (area del rettangolino dalla cui rotazione ottengo il cilindretto cavo) per 2πx (circonferenza del cilindretto): dV = 2πxF(x)dx. F(x) = 2−x(in questo caso particolare F(x)=G(x)). Dato che x varia in I = [1,2], il volume è V = ∫I 2π(2x-x2)dx =2π((x2−x3/3)x=2 − (x2−x3/3)x=1) = 2π(3−7/3) = 4π/3. Vediamo altri due esempi. Determiniamo il volume di una sfera in modo alternativo rispetto a quanto già visto ( il volume). Possiamo limitarci al caso in cui il raggio sia 1: moltiplicando per R3 il volume così ottenuto otterremo quello di una sfera di raggio R. Penso la sfera come unione di dischi di spessore infinitesimo dx e raggio f(x) = √(1−x2), di volume π f(x)2dx = π(1−x)2dx. Sommando il volume dei dischi ottengo: ∫ ∫ π f(x)2 dx = [−1, 1] π(1−x)2dx = π ( [x−x3/3] x=1 − [x−x3/3] x=−1 ) = 4π/3. In pratica, questo metodo dei dischi non è che un caso particolare del metodo delle rondelle. [−1, 1] Vediamo, ora, come ottenere il volume del solido a fianco (una specie di bicchiere), ottenuto ruotando attorno all'asse y la regione compresa tra y = 2x e y = x2 per x in [0, 2]. Potrei procedere come sopra, pensando il solido affettato orizzontalmente, come composto da tante rondelle. Procediamo, invece, pensandolo come composto da tanti gusci cilindrici di raggio x, altezza 2x−x2 e spessore dx. "Sommando" il volume dei cilindri ottengo: ∫ [0, 2] 2πx (2x−x2) dx = 2π ∫ [0, 2] 2x2−x3 dx = 32π/3−8π = 8π/3. Esercizio (e soluzione) Lunghezza di un arco di curva Abbiamo già visto ( lunghezza) come valutare la lunghezza del grafico di una funzione f continua definita su un intervallo chiuso e limitato [a, b]; abbiamo anche visto come, in particolari situazioni, questa lunghezza può essere infinita. Consideriamo, ora, il caso particolare in cui f sia anche derivabile in [a, b], nel senso che ne esistano la derivata in (a, b) e le derivate sinistra e detra in a e in b [ propr. delle funz. continue e derivabili]. Suddividiamo [a, b] in n sottointervalli [x0, x1], [x1, x2], …, [xn−1, xn] dove a = x0 < x1 < … < xn−1 < xn = b. La poligonale che ne risulta approssima la nostra curva. Determiniamone la lughezza. Il k-esimo segmento è l'ipotenusa di un triangolo di base Δxk ed altezza f(xk)−f(xk−1), e quindi è lungo: Lk = √( Δxk2 + ( f(xk) − f(xk−1) )2 ) = √( 1 + ( ( f(xk) − f(xk−1) ) / Δxk) ) Δxk Quindi (per il teorema del valor medio delle derivate: derivabili) esiste almeno un xk* in (xk−1, xk) tale che: 2 propr. funz, continue e funz. Lk = √( 1 + f '(xk*)2 ) Δxk Allora, aumentando n, ∑k = 1..n √( 1 + f '(xk*)2 ) Δxk, per quanto abbiamo già visto ( integrazione), converge a: ∫ [a, b] √( 1 + f '(x)2 ) dx che assumiamo come lunghezza L del nostro arco di curva. Esempio. Calcoliamo la lunghezza del grafico di x → x3/2, ovvero di x → √x3, per x tra 0 ed 1. D(√x3)(x) = 3√x/2. Quindi: ∫ [0, 1] √(1+(3√x/2)2) dx = ∫ [0, 1] √(1+9x/4) dx = 8/27·([(1+9x/4)3/2]x=1 − [(1+9x/4)3/2]x=0) = 8/27·((13/4)3/2−1) = 1.4397… Controllo con Poligon: Con R: G(x) = SQR(1+(3*SQR(x)/2)^2) [0,1] G INT = 1.439709873 8/27*((13/4)^1.5-1) = 1.4397098733716 OK G <- function(x) sqrt(1+(3*sqrt(x)/2)^2) integrate(G,0,1) 1.43971 with absolute error < 1.6e-14 8/27*((13/4)^1.5-1) 1.43971 Caricando la libreria "codetools" col comando "showTree" posso ottenere un arrotondamento a 15 cifre (occorre tener conto degli eventuali errori di arrotondamento) library(codetools) showTree(8/27*((13/4)^1.5-1)) 1.43970987337155 # se vuoi avere più cifre anche del valore calcolato da integrare: showTree(integrate(G,0,1)$value) 1.43970987337155 Esercizio (e soluzione) altri collegamenti [nuova pagina] piu esercizi relativi I numeri complessi Dai vettori ai numeri complessi Alla voce vettori abbiamo introdotto l'uso delle coppie di numeri per descrivere traslazioni, dopo che le avevamo già impiegate per descrivere punti dello spazio bidimensionale (piano cartesiano). Abbia introdotto anche una operazione di addizione tra tali coppie, per rappresentare la composizione di due traslazioni. Abbiamo poi introdotto la differenza tra coppie di numeri: le figure seguenti ricordano come la differenza (4,1) – (1,3) = (4-1, 1-3) = (3, -2) che rappresenta il vettore AB può essere interpretata sia come differenza tra i punti B e A, sia come differenza tra i vettori OB e OA (il vettore AB è quanto devo aggiungere al vettore OA per ottenere il vettore OB). La traslazione di una figura con passi Δx = 3, Δy = -2 può essere descritta come la applicazione della funzione (x,y) (x,y) + (3,-2) = (x+3, y-2) a tutti i suoi punti. Alla voce trasformazioni geometriche abbiamo visto come descrivere analogamente alcune particolari rotazioni attorno all'origine: – il pesce della figura (A) seguente diventa il pesce di (B) mediante una rotazione di 90° (π/2) describile come(x,y) (-y, x) – il pesce (A) diventa il pesce (C) mediante una rotazione di 180° (π) describile come (x,y) (-x,-y) – il pesce (A) diventa il pesce (D) mediante una rotazione di 270° (3π/2), o -90°, describile come (x,y) (y,-x) (-10, 7) (-7, -10) (10, -7) oltre che simmetrie rispetto all'asse x e all'asse y e trasformazioni di scala, come quella raffigurata a lato: – si è ottenuto il pesce (E) mediante una trasformazione di scala monometrica (odomotetia di centro O) di fattore 2 describile come (x,y) 2(x, y) = (2x,2y)(moltiplicazione di (x,y) per il numero reale 2: direzioni e funz. circolari) Per semplificare la descrizione sia dei punti che delle trasformazioni geometriche (evitando l'uso delle parentesi e delle virgole) e, come vedremo, per trovare un modo semplice per descrivere anche le rotazioni di ampiezza diversa rispetto ai multipli di 90°, si introduce il seguente "trucco", che descriviamo riferendoci alla figura sotto a destra: – posso pensare il punto P = (3,2), cioè il vettore OP, come somma del vettore (3,0) (il vettore di modulo 3 diretto come l'asse x) e del vettore (0,2) (di modulo 2 diretto come l'asse y): (3,2) = (3,0) + (0,2). – abbreviando, scrivo 3 al posto di (3,0) e, indicando i con il versore verticale, cioè il vettore (0,1), scrivo 2i al posto di (0,2); posso dunque scrivere: (3,2) = 3 + 2 i. In pratica descrivo la coppia come se fosse un termine numerico dato dalla somma di un numero reale (3) e il prodotto (2i) di un numero per il simbolo di costante i, che posso pensare come l'unità di misura degli spostamenti sull'asse verticale. i , in quanto simbolo di costante "inventato", che non corrisponde a un usuale numero, viene chiamato unità immaginaria, e le espressioni del tipo x + i y, somma di un numero reale e di un numero reale "moltiplicato per i", vengono dette numeri complessi. L'espressione "numeri reali" è stata introdotta dopo l'invenzione dell'uso di i, per precisare che si tratta di numeri usuali in cui non compare l'unità immaginaria. Quando si usano rappresentazioni grafiche come quelle illustrate sopra e a sinistra, gli assi delle ascisse e delle ordinate vengono chiamati anche asse realee asse immaginario. E, dato il numero complesso, x + i y, a cui corrisponde il punto (x,y), x viene detta sua parte reale e y sua parte immaginaria. In simboli: x = Re(x + i y), y = Im(x + i y). Sopra sono rappresentati vari numeri complessi. Tra questi vi è anche un numero con parte reale nulla (-2i, rappresentato da un vettore verticale) e uno con parte immaginaria nulla (-1, rappresentato da un vettore orizzontale), ossia un numero complesso che è anche un numero reale. Con le convenzioni usuali, -2-2i sta per -2+(-2)i, ossia ha -2 come parte immaginaria. Le operazioni tra numeri complessi L'insieme dei numeri complessi viene indicato con o con C. Ad esso si possono estendere l'addizione e la moltiplicazione di R in modo che si mantengano le proprietà illustrate alla voce termini equivalenti. L'addizione non è altro che quella tra vettori: (4 + 6 i) + (2 + 3 i) diventa la somma dei vettori rappresentati da 4, da 6i, da 2 e da 3i, che posso riordinare come voglio, per cui posso ottenere: (4 + 6 i) + (2 + 3 i) = 4+2 + (6i+3i) = 6 + 9i. Nel trasformare 6i+3i in 9i ho usato un'altra proprietà dei vettori: dato il vettore (a,b) ho che 6(a,b)+3(a,b) = (6a,6b)+(3a,3b) = (6a+3a,6b+3b) = (9a,9b) = 9(a,b); nel nostro caso il vettore (a,b) è i = (0,1). Effettuando la moltiplicazione tra due generici numeri complessi in modo che valga la proprietà distributiva abbiamo, ad es.: (7 + 10 i) · (4 + 3 i) = 7·4 + 10·4 i + 7·3 i + 10·3 i·i = 28 + 61 i + 30 i·i. Per completare il calcolo trasformando il risultato in una espressione del tipo x+iy dobbiamo stabilire quanto fa i·i. L'addizione tra complessi è interpretabile come una composizione di traslazioni, una moltiplicazione di un complesso per un numero reale è interpretabile come una omotetia; proviamo a interpretare geometricamente la moltiplicazione per i: • 1 per i sappiamo che fa i; quindi il "vettore 1" è stato ruotato di 90° • -1 per i sappiamo che fa -i; quindi il "vettore -1" è stato ruotato di 90° Definiamo in modo analogo "i per i": i, ossia (0,1), ruotato di 90° diventa il vettore(-1,0), che abbiamo rappresentato col numero complesso -1. Posto i·i = -1 la moltiplicazione precedente diventa: (7 + 10 i) · (4 + 3 i) = 28 + 61 i + 30(-1) = -2 + 61 i Indichiamo con z un generico numero complesso e con x e y le sue parti reale e immaginaria(z = x+i y). La figura sotto a sinistra illustra la interpertazione geometrica delle trasformazioniz z+( 4 +3 i) e z z· ( 4 +3 i) . •z + •z · z (4 +3 i) , in quanto (x+iy)+(4+3i) = x+4 +( y+3)i, trasforma ogni punto (x,y) in (x+4,y+3): è la traslazione di vettore (4,3) che trasforma il quadrato F nel quadrato F1; z (4 +3 i) trasforma i punti del segmento OA nei punti del segmento OP; infatti O = 0+0i rimane invariato, A = 1+0i diventa 4+3i, ossia P; il punto medio di OA, ossia 0.5+0i, diventa 4/2+3/2i, cioè (4/2,3/2) che è il punto medio di OP, e così via. Facendo i calcoli in generale si ottiene: z · (4 +3 i) = (4 x -3 y) + (4 y+3 x) i ; quindi B = (1,1) diventa Q = (1,7), C = (0,1) diventa R = (-3,4); è facile verificare che il poligono OPQR è un quadrato: è il quadrato F2che si ottiene da F mediante la stessa rotazione attorno ad O e la stessaomotetia (trasformazione di scala monometrica) che trasformano il versore OA dell'asse reale (il numero 1) nel vettore OP (il numero 4+3i). In sintesi, addizioni e moltiplicazioni tra numeri complessi si eseguono operando sulle espressioni che li rappresentano come si fa tra i numeri reali, a patto di operare la sostituzione di i 2 con -1. E si ha che l'addizione di a+ib a x+iy trasla il vettore (x,y) con passi Δx=a e Δy=b e la moltiplicazione di x+iy per a+ibtrasforma (x,y) con la stessa "roto-omotetia" che trasforma il vettore (1,0) in (a,b): alla direzione di (x,y) viene addizionata la direzione di (a,b), il modulo di (x,y) viene moltiplicato per il modulo di (a,b). Viene chiamato modulo di a+ib, e indicato |a+ib|, il modulo del vettore (a,b), ossia √(a2+b2). Ad es. |4+3i| = √(16+9) = 5: è la lunghezza del segmento OP della figura precedente (ed è il fattore di scala dell'ingrandimento eseguito da z z·(4+3i)). La direzione del vettore (a,b) viene invece chiamata anomalia o argomento di a+ib . Ad es. l'argomento di 4+3i è la direzione del vettore (4,3), ossia la direzione compresa tra 0° e 90° che ha come pendenza 3/4 = 0.75; per trovarne il valore posso usare ad es. una calcolatrice: 0.75 fornisce 0.64350… = 36.869…°: è la direzione del segmento OP della figura precedente (ed è l'ampiezza della rotazione eseguita da z z·(4+3i)). Osserviamo che, se z è reale, |z| inteso come valore assoluto o 2 2 2 come modulo coincidono in quanto√(x +0 ) = √(x ) = |x|. Del resto il modulo di OP indica la distanza di P da O, e, se P sta sull'asse x, questa non è altro che il valore assoluto dell'ascissa di P. Per calcolare le divisioni tra numeri complessi basta che stabiliamo, dato z = x+iy, quanto vale il reciproco 1/z. Infatti la divisione per z la possiamo interpretare come una moltiplicazione per 1/z. Dobbiamo, dunque, trovare a+ib tale che (a+ib)(x+iy)=1, ossia tale che: ax-by + i(ay+bx) = 1, ossia: ax-by=1 & ay+bx=0 È un sistema di equazioni con incognite a e b che posso risolvere ad es. così: a = - b x / y & ( - b x 2/y - b y ) = 1 a = - b x / y & b ( x 2+y2)/ y = - 1 b = - y / ( x 2+y2) & a = x / ( x 2+y2) Quindi: 1/z = 1/(x+iy) = (x-iy)/(x 2+y2). Un modo più veloce (basato su ) per ottenere lo stesso risultato è il seguente: 1 ——— x+iy = x-iy —————— = x-iy ——— 2 (x+iy)(x-iy) 2 2 x -i y = x-iy ——— x2 + y2 Quanto trovato è in accordo con l'interpretazione vettoriale del prodotto, secondo la quale z e 1/z hanno 1 come prodotto se: • il prodotto dei loro moduli è pari al modulo di 1, che è 1, e se • la somma dei loro argomenti è pari all'argomento di 1, che è 0. Infatti: – il modulo di (x-iy)/(x 2+y2) è il modulo di x-iy diviso x2+y2; – i moduli di x-iy e di x+iy sono uguali per simmetria rispetto all'asse y; – x2+y2 non è altro che il quadrato di questi moduli – e quindi il modulo di x+iy per quello di (x-iy)/(x2+y2) fa 1. Inoltre: – (x-iy)/(x 2+y2) ha la direzione di x-iy ; – le direzioni di x-iy e di x+iy sono opposte per simmetria rispetto all'asse y; – e quindi la direzione di x+iy più quella di (x-iy)/(x2+y2) fa 0. Esempio: calcolo di (-2 + 61 i) / (4 + 3 i). Potremmo usare la "formula" vista sopra, ma procediamo direttamente: -2 + 61 i ———— 4+3i (-2 + 61 i)(4 - 3 i) = —————— (4 + 3 i)(4 - 3 i) 175 + 250 i = ———— = 7 + 10 i 4 2 + 32 Le coordinate polari Un vettore può essere individuato indicandone le componenti oppure indicandone direzione e modulo. Analogamente un numero complesso può essere individuato indicandone le parti reali e immaginaria oppure indicandone argomento e modulo. E tutto ciò è analogo alla possibilità di individuare un punto del piano mediante le sue coordinate cartesiane oppure mediante le sue coordinate polari. Queste sono comode, oltre che per rappresentare fenomeni, per descrivere figure. Ad es., usando ρ (lettera greca "ro") e θ (lettera greca "teta") per rappresentare rispettivamente la distanza da O e la direzione, il disco forato (corona circolare) illustrato a fianco, che in coordinate cartesiane è rappresentabile con4 ≤ x2+y2 ≤ 16, e che usando la variabile complessa z (=x +i y ) può essere descritta con 2 ≤ |z| ≤ 4, usando le coordinate polari diventa 2 ≤ ρ ≤ 4: è la figura compresa tra i cerchi ρ=2 e ρ=4. Sono facilmente descrivibili le spirali [se n'è visto un esempio alla voce tangenti e curve]. Quella raffigurata a destra è ρ = θ (per θ=0 ho ρ=0: sono nell'origine; al crescere di θ, ossia ruotando, ρ, ossia la distanza da O, cresce; per θ=2π ho compiuto un giro e sono a distanza 2π da O; per θ=4π ho compiuto un secondo giro e sono a distanza doppia da O; …). La disequazione 135° ≤ θ ≤ 225° invece rappresenta un angolo. In forma cartesiana lo avremmo descritto con il sistema: x ≤ 0 & h· x ≤ y ≤ k· x con h = tan(225°) e k = tan(135°). ρ varia sui numeri reali non negativi, mentre θ varia su tutti i numeri reali. Naturalmente due numeri θ1 e θ2 che differiscono di 2π (360°) sono da intendersi diversi come numeri ma uguali come direzioni. In alcuni casi si restringe θ a variare in [0,2π), cioè [0,360°), o in (-π,π], cioè (-180°,180°]. In questi casi le eventuali operazioni tra direzioni vengono interpretate in modo opportuno. Le coordinate polari ρ e θ vengono chiamate spesso, rispettivamente, raggio vettore e anomalia (come viene spesso chiamato anche l'argomento del corrispondente numero complesso). L'origine del sistema di riferimento viene chiamatapolo. Il termine anomalia deriva dall'aggettivo "anomalo" (strano, irregolare). Infatti tra i primi usi delle coordinate polari vi fu quello della descrizione del moto dei pianeti intorno al sole e la scoperta che la direzione del vettore Sole-Pianeta (ossia della anomalia) non variasse proporzionalmente al tempo (i pianeti descrivono un'orbita ellittica e "ruotano" più velocemente quando sono vicini al sole) era stata considerata una cosa "strana" rispetto all'idea allora predominante che i pianeti ruotassero attorno al sole in modo uniforme (ossia con il vettore Sole-Pianeta che varia direzione proporzionalmente al tempo). Se indichiamo con x, y, ρ, θ e con xn, yn, ρn, θn rispettivamente le parti reale e immaginaria, il modulo e l'argomento del numeri complessi z e zn, possiamo scrivere: se z = z1· z2, ρ = ρ1· ρ2 e θ = θ1+ θ2; se z = 1 / z1, ρ = 1 / ρ1 e θ = –θ1; se z = z1/ z2, ρ = ρ1/ ρ2 e θ = θ1– θ2. Naturalmente, ρ = |z|. Se la direzione di z viene espressa con un numero θ tale che 0≤θ<2π, tale numero viene indicato con Arg(z) e chiamato argomento pricipale di z. A volte si ricorre a una convenzione diversa: si assume come Arg(z) tra i possibili argomenti di z (ossia tra i numeri con cui se ne può esprimere la direzione) quello che cade in (-π,π]. A 0 non è assegnato un argomento principale (il vettore nullo non è caratterizzabile con una particolare direzione: se si pone ρ=0, per qualunque θ risulta individuato il punto (0,0): se parto da O con una qualunque direzione ed eseguo uno spostamento nullo, rimango in O). A lato è illustrato come le funzioni circolarimettono in relazione parti reale e immaginaria (coordinate cartesiane) con modulo ed argomento (coordinate polari). Mentre da ρ e θ a x e y si passa con la diretta applicazione di due formule, e lo stesso accade per il passaggio da x e y a ρ, per determinare θ occorre tener conto che la direzione con pendenza y/x fornita daarctan (così, o atan o atn, è indicata la funzione inversa della funzione tangente, tan, che nelle calcolatrici in genere corrisponde x=ρ c os(θ) y=ρ s in(θ) ρ=√(x2+y2) tan(θ)=y/x a ) potrebbe differire di 180° dal valore corretto: il valore fornito è sempre compreso tra -π/2 e π/2, per cui se x<0 occorre aggiungere π: • nel caso di 2+5i (figura A), ρ = √(4+25) = √29 = 5.3851…, θ = atan(5/2) = atan(2.5) = 1.1902… = 68.198…° • nel caso di -3+2i (figura B), ρ = √(9+4) = √13 = 5.3851…, θ0 = atan(-2/3) = 0.588002… = -33.690…°, che non è l'argomento di -3+2i, in quanto dovrebbe essere una direzione del 2° quadrante: dobbiamo aggiungere π:θ = -0.588002…+π = (33.690…+180)° = 146.310° Se x = 0, non si può calcolare arctan(y/x). Ovviamente si ha: θ = π/2 quando y > 0, θ = 3π/2 (o -π/2) quando y < 0. Nota 1. Le scritture arctan(x), atan(x) e atn(x) sono abbreviazioni di arcotangente di x (la direzione o angolo compreso tra -π/2 e π/2 che ha come tangente x). La parte "arco" della parola deriva dal fatto che, come è spiegato alla voce direzioni e funz. circolari, direzioni e angoli sono "quantificati" interpretandoli come lunghezze di archi di cerchio. In modo simile sono chiamate le funzioni inverse di seno e coseno ("arcoseno", "arcocoseno"). Nota 2. Tra i programmi (per ambiente Windows) inclusi negli Oggetti Matematici puoi trovare una calcolatrice per numeri complessi. Puoi accedervi direttamente cliccando qui. Per qualche esempio d'uso clicca qui. Numeri complessi, figure e loro trasformazioni L'uso dei numeri complessi consente di descrivere in modo compatto diversi tipi di figure. Ad es. il cerchio di centro C = (3,1) e raggio 2 può essere descritto dalla equazione |z-3-i|=2con la "variabile complessa" z = x + i y , che traduce la condizione che il punto P = (x,y) abbia distanza 2 da C, ovvero che il vettore CP abbia modulo 2. L'equazione |z+1-2i|=|z 1 .5-3 i |rappresenta invece l'asse del segmento di estremi (-1, 2) e (1.5, 3). Abbiamo visto che le trasformazioni geometriche tra figure piane possono essere descritte invece che come funzioni (x,y) (x',y') da coppie di numeri reali a coppie di numeri reali anche come funzioni z z' da numeri complessi a numeri complessi. A sinistra è illustrata la traformazione del rettangolo A mediante una funzione F ottenuta componendo z z·(1 +2 i) (la rotoomotetia che trasforma il versore dell'asse x nel vettore (1,2), e quindi i lati orizzontali di A, lunghi 2, in segmenti diretti e lunghi come il vettore (2,4)) ez z + 1.5 +3 i (la traslazione di passi 1.5 e 3). Più in generale tutte le similitudini possono essere descritte come funzioni di variabile complessa del tipo z z·z1+z2 Dato z = x + i y , si pone = x - i y . È il numero che si ottiene cambiando segno alla parte immaginaria di z; viene chiamato il coniugato di z. Geometricamente, z è la simmetria rispetto all'asse x (la trasformazione in forma polare è: ρ' = ρ, θ' = -θ). Invece z - z = - x - i y è la simmetria rispetto a (0,0) (in forma polare è: ρ' = ρ, θ' = θ+180°).. Le rotazioni attorno ad O sono un caso particolare delle trasformazioni richiamate nel punto precedente: sono describibili come funzioni z z · z 1dove z1 è un numero complesso di modulo 1, ossia un numero complesso che rappresenta un versore. Se voglio ruotare con ampiezza α moltiplico per il numero che rappresenta il versore di direzione α, ossia per cos(α) + i sin(α). Usando le coordinate cartesiane questa trasformazione diventa: (x, y) ( x· c os(α) - y · sin(α), x ·sin(α) +y ·c os(α) ) , infatti: z · (cos(α) + i sin(α)) = (x + i y )(cos(α) + i s in(α)) = x cos(α) - y sin(α) + i (x sin(α) + y cos(α)) Non è una formula da imparare a memoria: la si ricava facilmente nel modo appena illustrato. Nota. La relazione tra moltiplicazioni per un numeri complessi e rotazioni attorno ad O ci consente di ricavare facilmente alcune formule spesso utili quando si opera con funzioni circolari. Siano u e v due numeri complessi di modulo 1 e siano α e β i loro argomenti, ossia siano u = cos(α) + i sin(α) e v = cos(β) + i sin(β). Allora: u·v = (cos(α) + i sin(α))·(cos(β) + i sin(β)) = cos(α)·cos(β) + i·(sin(α)·cos(β)+sin(β)·cos(α)) + i2·sin(α)·sin(β) =cos(α)·cos(β)-sin(α)·sin(β) + i·(sin(α)·cos(β)+sin(β)·cos(α)). D'altra parte u·v ha come argomento la somma degli argomenti di u e v, ossia: u·v = cos(α+β) + i·sin(α+β). Se ne deduce che: cos(α+β) = cos(α)·cos(β) – sin(α)·sin(β), sin(α+β) = sin(α)·cos(β) + sin(β)·cos(α). [cliccando qui ottieni una figura che suggerisce una dimostrazione alternativa di tali relazioni] Come caso particolare, per β = α, si ottiene: cos(2α) = cos(α)2 – sin(α)2 = [essendo sin(α)2=1–cos(α)2] 2cos(α)2 – 1, sin(2α) = 2 sin(α)·cos(α). Si possono ricavare facilmente, essendo tan(x) = sin(x)/cos(x): tan(α+β) = (tan(α)+tab(β)) / (1–tan(α)·tan(β)) e tan(2α) = 2 tan(α) / (1– tan(α)2) A lato, e sotto, è esemplificata l'azione di z z 2: viene raddoppiato "θ" e viene elevato al quadrato "ρ", per cui ogni semicerchio centrato in O sopra all'asse x viene trasformato nel cerchio centrato in O con raggio elevato al quadrato, e lo stesso accade per il semicerchio simmetrico che sta sotto all'asse x. Ad es. il punto (0,2), ossia 0 + 2 i, viene trasformato nel punto (-4,0), ossia -4+0i: la direzione da 90° diventa 180° e il modulo da 2 diventa 4. Ma anche il punto (0,-2) del semicerchio inferiore, ossia 0-2i, viene trasformato nel punto (-4,0): la direzione da -90° diventa -180°, ovvero da 270° diventa 540° che, "come direzione", è uguale a 540°-360° = 180°, e il modulo da 2 diventa 4. Del resto, con i calcoli, abbiamo sia: (2i)2= 22 i2= 4·(-1) = -4, sia: (-2i)2= (-2)2 i2= 4·(-1) = -4. Geometricamente (vedi figura (A) sotto) possiamo interpretare anche il fatto noto che non solo 1 ma anche -1 elevato al quadrato fa 1 (-1 ha θ=180°, per cui moltiplicare per -1 equivale a ruotare di 180°, e quindi -1 per sé stesso diventa 1). In (B) è invece illustrato che sia i che -i al quadrato fanno -1 (i ha direzione 90°, il suo doppio è 180°, che è la direzione di -1; -i ha direzione -90° il cui doppio è -180°, che è un altro modo di esprimere la direzione di 180°). La figura (C) illustra in un modo alternativo che -i al quadrato fa -1 (la direzione di -i posso indicarla con 270° il cui doppio è 540° che, come si è già osservato, equivale a 180°). Più in generale ogni punto e il suo simmetrico rispetto ad O sono trasformati da z (-z)2 = (-1)2z2 = z2. z2 nello stesso punto. Del resto, Come nel caso in cui x sia un numero reale positivo con √x (radice quadrata di x) si indica uno dei due numeri (quello positivo) che al quadrato fanno x, così, più in generale, se z è un numero complesso, con √z si indica uno dei numeri complessi che al quadrato fanno z, e precisamente quello con direzione in(-90°, 90°]. In particolare con √(-1) si indica i, non -i. E, per esempio, come √(-3/4), si prende √3 /2 i [per le proprietà delle potenze, il suo quadrato è il quadrato di √3 /2 per il quadrato di i, ossia 3/4·(-1) = -3/4], non il suo opposto -√3 /2 i , che anch'esso al quadrato fa √(-3/4). In pratica si procede così: √(-3/4) = √ ( 3 /4·(-1) ) = √(3/4)·√(-1) = √3 /2 i . Posso , invece, dire che z2= -3/4 ha come soluzioni entrambi i numeri, ossia±√3 /2 i . . La figura sotto a sinistra illustra un'altra trasformazione, z 1/z, che, ricordando la interpretazione "polare" del prodotto, possiamo descrivere anche così: ρ' = 1/ρ, θ' = – θ (infatti z e 1/z per avere come prodotto 1, ossia un numero che ha 1 come modulo e 0 come argomento, devono avere moduli ρ e ρ' che abbiano come prodotto 1 e argomenti θ e θ' che abbiano come somma 0, o, che è lo stesso, 360°): i punti all'interno del "cerchio goniometrico" vengono trasformati in punti esterni, e viceversa, e tutti i punti vengono ribaltati rispetto all'asse y. Nella figura sopra a destra si vede come una particolare funzione a input e output complessi trasforma un reticolato: si vede che cambia la forma ma che le linee tra loro perpendicolari si mantengono perpendicolari. Quella di mantenere gli angoli con cui si incontrano le linee è una caratteristica delle trasformazioni descrivibili come z z' con z' termine ottenuto componendo le quattro operazioni (e altri particolari tipi di funzione). È di questo genere anche la funzione che trasforma la figura F nella figura D nell'esempio all'inizio della voce trasformazioni geometriche. Si può intuire come questo tipo di trasformazioni (chiamate "conformi", in quanto conservano la forma degli incroci) possano essere utili per studiare come cambia il flusso di un fluido al cambiare della forma di un canale, per studiare questioni di aerodinamica e altri fenomeni di tipo fisico: una situazione in cui il comportamento di una granzezza vettoriale (una velocità, una forza, …) varia lungo certe linee può essere ricondotta ad una in cui le linee lungo cui agisce la grandezza siano più facili da rappresentare e, quindi, consentano di semplificare lo studio matematico del problema. A destra un esempio di come un cerchio può essere trasformato dando luogo a delle curve particolarmente belle. In questo caso si viene a formare un nodo in O. Vediamo come trovare quali sono i punti del cerchio che vengono trasformati in O, ossia quali sono i valori di z per cui: z2+ z + 1 = 0. Potendo operare in C come se si fosse in R, posso ricorrere a un completamento del quadrato: (z + 1/2)2- 1/4 + 1 = 0 → (z + 1/2)2 = -3/4 → [vedi sopra] z + 1/2 = i √(3/4) OR z + 1/2 = -i √(3/4) z = -1/2 + i √3/2 OR z = -1/2 - i √3/2. (-1/2, √3/2) e (-1/2, √3/2) sono dunque i due punti che vengono trasformati nell'origine degli assi. La cosa può essere anche interpretata geometricament e, come illustrato a sinistra nel caso di z rappresentato dal punto (-1/2, √3/2): la trasformazione in z2 produce mediante una rotazione un punto che poi, con la traslazione corrispondente a "+z" diventa (1,0) e, infine, con "+1" diventa l'origine. Polinomi rispetto a una variabile complessa Quando per descrivere il piano invece delle coordinate cartesiane si usano i numeri complessi si parla di piano di Argand, dal nome del matematico francese che, verso la fine del XIX sec., ha avuto l'idea di usare i numeri complessi per descrivere figure e trasformazioni geometriche, e, in particolare, di rappresentare le rotazioni di 90° come moltiplicazioni per i. Ma i numeri complessi sono stati "inventati" nel XVI sec. come "trucco" per risolvere alcune equazioni polinomiali di 3° grado. Il procedimento è stato descritto in quegli anni dall'italiano Gerolamo Cardano, anche se probabilmente non è stato lui ad avere l'idea iniziale. Si era trovato che un'equazione del tipo x3 + p x + q = 0 ha come soluzione rispetto ad x il numero 3√(R-q/2) - 3√(R+q/2) dove R = √((p/3)3+(q/2)2) Ad esempio per x3 + 6 x - 2 = 0 si trova R = √(23+12) = √9 = 3 da cui x = 3√4 - 3√2. È possibile verificare (anche con una calcolatrice) che si tratta effettivamente di una soluzione. Ma per x3 - 15 x - 4 = 0 si trova R = √(-53+22) = √(-121), che non sarebbe definito, mentre si sa che una soluzione ci deve essere (le funzioni polinomiali di 3° grado assumono valori sia positivi che negativi quindi ci si aspetta che assumano anche il valore 0). Si è allora provato a inventare i per indicare √(-1) e vedere se con qualche manipolazione algebrica si riesce a ricavare la soluzione. √(-121) diventa 11i e la soluzione diventerebbe x = 3√(2 + 11i) - 3√(2 - 11i) Si trova che (2+i)3 = (2+i)(2+i)(2+i) = (4+4i-1)(2+i) = (3+4i)(2+i) = (6+11i-4) = 2+11i e analogamente che (2-i)3 = 2-11i, per cui si ha: x = 3√(2 + 11i) - 3√(2 - 11i) = 2+i - 2-i = 4, che è effettivamente una soluzione della nostra equazione. Dunque, i numeri complessi sono stati introdotti come "numeri fittizi" per potere estendere l'uso delle formule risolutive di alcune equazioni polinomiali e trovare i numeri reali che le risolvono. Non c'era, invece, alcun interesse a trovare i numeri complessi che risolvono una equazione, interesse che è nato, invece, con gli usi dei numeri complessi descritti nei paragrafi precedenti, in cui si è avuto a che fare con equazioni polinomiali di variabile complessa, come la equazione z2+ z + 1 = 0 risolta sopra. Si possono considerare complessi non solo la variabile, ma anche i coefficienti, come nel caso dell'equazione z2- i = 0, ossia z2 = i (che ha come soluzioni cos(45°) + i s in(45°) e il suo opposto). Ai polinomi di variabile complessa si può applicare lo stesso algortimo della divisione e lo stesso teorema del resto visti per quelli di variabile reale. In più per essi vale il cosiddetto teorema fondamentale dell'algebra, secondo il quale ogni equazione polinomiale di variabile complessa di grado maggiore o uguale a 1 ha almeno una soluzione. Ad esempio, x2+ 1 = 0 se le si assegna come dominio R non ha soluzioni, se le si assegna come dominio C(caso in cui, in genere, verrebbe scritta come z2+ 1 = 0) ha invece i come soluzione, e anche -i. Dal teorema del resto e dal teorema fondamentale deriva la possibilità di scomporre, nell'ambito dei numeri complessi, qualunque polinomio P(z) di grado n, con n≥1, nel prodotto di n polinomi di grado 1. Infatti trovata una soluzione z1 posso dividere P(z) per z-z1 e, trovato Q1(z) come quoziente, scrivere P(z) come (z-z1)Q(z); poi, trovata una soluzione z2 di Q1(z), posso scriverlo come (z-z1) (z-z2)Q2(z); e così via fino a ottenere (z-z1) (z-z2)… (z-zn). Questo è il motivo per cui i programmi che svolgono calcoli simbolici, come Maple e Derive, in genere svolgono le loro manipolazioni operando nei numeri complessi: in tale ambito è sempre possibile fattorizzare i polinomi per i quali si conoscono formule risolutive delle corrispondenti equazioni e, quindi, è più facile semplificare un'espressione complessa contenente termini polinomiali. Ciò, tuttavia, crea anche dei problemi. Infatti può accadere che una semplificazione eseguita nell'ambito dei numeri complessi conduca a un termine che non è equivalente nell'ambito dei numeri reali. Ecco, sotto, un esempio di funzione F di cui viene tracciato il grafico anche in (∞,0) anche se ivi F non è definita: durante la tabulazione per tracciare il grafico il programma calcola la radice anche dei numeri negativi, trasforma "i/i" in 1 e trova un numero reale come valore della funzione (ad esempio per x=-1 trova -1-1+√(-4)/√(-1) = -2+2i/i = -2+2 = 0). Grafico di una particolare funzione realizzato medianteDerive o Maple (la evidenziazione mediante tratteggio della parte del grafico a sinistra dell'asse y è nostra) Grafico di: x x1+√(4x)/√x E se chiedo al programma di risolvere l'equazione F(x) = 0 dove F è la stessa funzione, ottengo come soluzione -1 anche se non lo sarebbe in quanto non appartiene al dominio della equazione, se pensata di variabile reale (apparterebbe al dominio se considerassi l'equazione nell'ambito dei numeri complessi). Per il programma, infatti, l'equazione equivale a x+1=0 in quanto considera √(4x)/√x, ossia 2√x/√x, equivalente a 2 per ogni x diverso da 0, anche per x<0. L'applicazione R, invece, se eseguo: f <- function(x) x-1+sqrt(4*x)/sqrt(x) plot(f,-2,2,ylim=c(-1,4)); abline(h=0,v=0) traccia il grafico correttamente, solo per gli input positivi. Se invece specifico che gli input sono numeri complessi ottengo il grafico anche per gli input negativi: g <- function(x) {z <- x+0i; f(z)} plot(g,-2,2,add=TRUE,col="red") È interessante osservare che le soluzioni di zn = 1, con z variabile complessa, corrispondono geometricamente ai vertici del poligono regolare centrato nell'origine e avente un vertice in (0,1). A lato è illustrato il caso z5 = 1: oltre a 1 è soluzionecos(360°/5) + i sin(360°/5) in quanto elevare alla 5 equivale a moltiplicare "θ" per 5 e quindi ottenere cos(360°) + i sin(360°) che è uguale ad 1; ma è soluzione anche cos(360°/5·2) + i sin(360°/5·2) in quanto 360°/5·2·5 = 360°·2 che, come direzione, equivale a 360°; e così via. luogo geometrico passaggio da R^2 a R^3