Enrico Grassi
Sul feticismo in Marx
[Marx, celiando, sostiene che gli economisti, analizzando la merce, hanno trovato una
sostanza chimica, il valore, che i chimici non erano riusciti ad individuare. È necessario un
particolare rapporto sociale, perché i prodotti assumano un valore, altrimenti, anche nel caso
di tanti liberi lavoratori che producano con mezzi comuni, non si avrebbero che valori d'uso]
Nel III libro del Capitale tutto appare rovesciato, esteriorizzato: ciò che
prima sembrava interno ora si mostra in superficie. Il III libro, studiando il
modo di essere fenomenico di ciò che si nasconde alle sue spalle, può essere
definito come il libro dei rapporti feticistici. Infatti “il capitale si presenta come
la fonte arcana” (1).
Il capitale all’inizio appare come il solo produttore di profitto;
successivamente, nella forma di capitale commerciale, perde la caratteristica
dell’essere produttivo e mantiene quella del semplice movimento delle merci,
a cui viene attribuita la funzione di creare il guadagno. Infine:
“il capitale appare come la fonte misteriosa, e che da se stessa crea l’interesse, il suo
proprio accrescimento. Ora la cosa (denaro, merce, valore), come semplice cosa, è già
capitale ed il capitale appare come semplice cosa; il risultato del processo complessivo di
riproduzione appare come una qualità che la cosa ha di per se stessa...Nel capitale
produttivo d'interesse questo feticcio automatico, valore che genera valore, denaro che
produce denaro, senza che in questa forma sussista più nessuna traccia della sua origine, è
quindi nettamente messo in rilievo. Il rapporto sociale è perfezionato come rapporto di una
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cosa, del denaro, con se stessa” ( .)
Nel capitale di interesse scompare ogni produzione e ogni movimento
e sembra che D produca D', che si autovalorizzi. Possiamo quindi considerare
il Capitale nel suo complesso come un tentativo di demistificare il radicato
feticismo nei confronti della merce, del denaro, del capitale, della rendita e di
ogni altro concetto derivato dall’economia classica.
È utile considerare brevemente lo sviluppo del processo feticistico nelle
sue articolazioni generali attraverso tutta l’opera di Marx prima di passare
all’analisi più sistematica dei singoli punti.
Riprendiamo la trattazione dall’inizio.
“Poiché la forma di merce - dice Marx - è la forma più generale e meno sviluppata
della produzione borghese...il suo carattere di feticcio sembra ancora relativamente facile da
penetrare. Ma in forme più concrete scompare perfino questa parvenza di semplicità. Di dove
vengono le illusioni del sistema monetario. Questo sistema non ha visto nell’oro e nell’argento
che, come denaro, essi rappresentano un rapporto sociale di produzione, ma li ha considerati
nella forma di cose naturali con strane qualità sociali. E l’economia moderna, che sorride con
molta distinzione guardando dall’alto in basso il sistema monetario - non diventa tangibile il
suo feticismo, appena tratta del capitale? Da quanto tempo è scomparsa l’illusione fisiocratica
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che la rendita fondiaria cresca dalla terra e non dalla società?” ( ).
1 - K. Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma 1970, libro III, cap. 24°, p. 69.
2 - Ivi, p. 69.
3 - Ivi, libro l, cap. 1°, p. 96.
1
In questo passo è già fissato il concetto che guiderà tutta l’analisi
successiva, rivolta ad abbattere la visione naturalistica delle categorie
economiche capitalistiche, per riportarla alla matrice storica dei rapporti di
produzione. Per cogliere i fondamenti del discorso di Marx bisogna partire
dalla merce. Egli dice: «Finché è valore d'uso, non c'è nulla di misterioso in
essa...È chiaro come la luce del sole che l’uomo con la sua attività cambia in
maniera utile a se stesso le forme dei materiali naturali” (4). E subito dopo: “Il
carattere mistico della merce non sorge dal suo valore d'uso” (5).
Il carattere di feticcio della merce deriva dal suo valore di scambio, nel
senso che è espressione di un rapporto sociale nel processo produttivo, e non
proprietà delle cose stesse. Come nella religione i prodotti della mente
sembrano dotati di una propria vita, “così nel mondo delle merci fanno i
prodotti della mano umana” (6).
Il rapporto sociale tra produttori, che si cela dietro le quinte, appare sul
mercato come rapporto sociale tra cose. Si presenta cioè sulle prime come
rovesciato.
Anche quando si scopre che il valore di un oggetto è espressione del
lavoro umano occorso alla sua produzione, non si è ancora capito che il
carattere sociale delle merci, e quindi la loro scambiabilità, non appartiene
alle cose. Si ritiene con ciò che qualsiasi prodotto di lavoro possieda un valore
di scambio, indipendentemente dalla sua forma di produzione più o meno
sociale. In questo modo sono stati valutati i prodotti del lavoro di... Robinson
Crusoe, o dei servi della gleba, o dell’industria patriarcale-familiare.
“Ora l’economia politica ha certo analizzato, sia pure incompletamente, il valore e la
grandezza di valore, ed ha scoperto il contenuto nascosto in queste forme. Ma non ha mai
posto neppure il problema dei perché quel contenuto assuma quella forma, e dunque del
perché il lavoro rappresenti se stesso nel valore, e la misura del lavoro mediante la sua
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durata temporale rappresenti se stessa nella grandezza di valore del prodotto del lavoro” ( ).
Marx vuol dire che il lavoro produce valore di scambio solo quando si
affermano determinati rapporti sociali. Le merci infatti si possono rapportare
attraverso un processo di quantificazione, solo perché i produttori si trovano in
una relazione sociale determinata. L’economista “volgare” invece sostiene
che una perla o un diamante hanno un valore. In tal modo la quantità di valore
sarebbe una qualità delle cose.
Marx, celiando, sostiene che gli economisti, analizzando la merce,
hanno trovato una sostanza chimica, il valore, che i chimici non erano riusciti
ad individuare.
È necessario un particolare rapporto sociale, perché i prodotti
assumano un valore, altrimenti, anche nel caso di tanti liberi lavoratori che
producano con mezzi comuni, non si avrebbero che valori d'uso.
Perché si possa parlare di valore è necessario che la produzione sia
sociale, cioè che i momenti dell’intera produzione si condizionino
4 - Ivi, p. 84.
5 - Ivi, p. 85.
6 - Ivi, p. 86.
7 - Ivi, pp. 93-94.
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reciprocamente, che il mercato sia unificato, che ci sia un saggio generale del
profitto, che il lavoro sia astratto.
Non bisogna però pensare che il capitale emerga ad un tratto. Esiste
un periodo di transizione in cui certe categorie cominciano a formarsi e,
quindi, non si presentano nella purezza che assumeranno solo in seguito. Lo
scambio nella fase della produzione patriarcale è molto diverso dallo scambio
nella fase della produzione per il plusvalore. Nel primo caso abbiamo già lo
scambio, ma non ancora il valore.
Come nel passato è esistito il lavoro, il pluslavoro, lo scambio, il
denaro, ecc., così è pure esistito il valore, ma in modo completamente diverso
rispetto alla forma che assume nel capitalismo. Nel passato è esistito il lavoro,
ma non il lavoro salariato, almeno come si presenta in un mercato del lavoro
capitalistico; è esistito lo scambio, ma non il mercato nazionale o mondiale; è
esistito il pluslavoro (per es. la corvée) ma non il pluslavoro produttivo di
plusvalore. In un certo modo è esistito anche il valore (nel senso che si
poteva distinguere tra un oggetto con più o meno lavoro incorporato), ma
quello che assolutamente mancava era l’unità di misura tra le merci prodotte.
Solo quando si può parlare di lavoro socialmente necessario, cioè di un lavoro
sociale medio, solo quando si può parlare di merci acquistate nel mercato (lo
stesso vale per la merce-lavoro e per la merce-denaro), e inoltre di
composizione organica del capitale, di concorrenza e di saggio medio del
profitto, solo allora si può parlare di valore in senso moderno (8).
Da tutto ciò risulta che il valore di una merce è tanto poco un fatto
naturale, che ha impiegato secoli, passando attraverso molteplici tappe, per
giungere a consolidarsi in una determinata struttura produttiva.
Anche il denaro, oltre le merci, è stato visto dagli economisti
feticisticamente, vale a dire senza la consapevolezza che dietro vi si cela un
determinato rapporto di produzione.
La stessa sorte è toccata al capitale. Nel capitale commerciale la
visione feticistica è meno evidente per il fatto che nel commercio si mantiene
almeno la forma generale del movimento capitalistico, in quanto lo scambio
avviene nella circolazione. Il guadagno commerciale quindi, secondo Marx:
“si presenta pur sempre come prodotto di un rapporto sociale e non come prodotto di
9
una semplice cosa” ( ).
Il fenomeno si evidenzia nel capitale produttivo di interesse.
“È nel capitale produttivo d'interesse - dice Marx - che il rapporto capitalistico
perviene alla sua forma più esteriore e assume l’aspetto di un feticcio. Noi abbiamo qui D - D',
denaro che produce più denaro, valore che valorizza se stesso, senza il processo che serve
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da intermediario fra i due estremi” ( ).
Il risultato del processo totale di riproduzione, cioè il capitale, e,
particolarmente, il capitale monetario “si presenta come una qualità che la
cosa possiede in se stessa”. Il capitale sembra avere la qualità di produrre
quantità. Il rapporto tra profitto e interesse appare capovolto. Mentre
8 - Su questo argomento, per il I libro, si veda il paragrafo intitolato Il carattere di feticcio della merce e il
suo segreto, ivi, p. 84 e segg.
9 - Ivi, libro III, cap. 24°, p. 68.
10 - Ivi, p. 68.
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l’interesse è una parte del profitto, ora invece il profitto si presenta come suo
accessorio, che si aggiunge nel processo riproduttivo. E su questi concetti
Marx conclude:
“Qui la figura di feticcio del capitale e la rappresentazione del capitale come feticcio
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sono portate a termine” ( ).
L'economia ufficiale, non comprendendo il ruolo del lavoro sociale nella
produzione del plusvalore, è destinata ad avere una concezione rovesciata di
tutto il processo di produzione capitalistico. Dove tale processo si compie,
cioè nel denaro che produce denaro, tale mistificazione raggiunge l’aspetto
più paradossale:
“Nella sua forma immediata - dice Marx - in quanto capitale produttivo d'interesse, e
precisamente nella sua forma di capitale monetario produttivo d'interesse...il capitale riceve la
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sua forma di feticcio pura, D - D', come soggetto, cosa vendibile” ( ).
E conclude con una immagine molto viva:
“Come per gli alberi il crescere, così al capitale monetario il produrre denaro appare
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in questa forma una proprietà naturale” ( ).
Come nella merce il valore veniva posto nella cosa stessa a scapito dei
rapporti sociali che la merce presupponeva, così nel capitale il plusvalore
viene posto nella cosa, cioè nel capitale stesso, a scapito del processo
sociale di valorizzazione. Come il valore della merce si separava dalla merce
stessa per depositarsi nel denaro, così il plusvalore si separa dal processo
che gli sta alle spalle, per depositarsi direttamente nel capitale come tale, cioè
come denaro.
Ecco in sintesi i principi del feticismo: la merce ha un valore, il denaro è
il valore. Il valore d'uso di una merce ha una quantità di valore, il denaro è
questa quantità di valore. Il capitale possiede una determinata quantità di
valore: questa quantità ha la qualità di moltiplicare se stessa.
Il pensiero feticistico nasce quando mancano le condizioni per capire
che il valore di una merce non dipende dal suo valore d'uso, ma dai rapporti
sociali in cui è inscritta. Esso si sviluppa nella sua forma più mistica nel
momento in cui si pensa che può essere il capitale a produrre capitale, e non
il rapporto sociale di produzione, di cui il capitale rappresenta soltanto un
elemento.
Il fatto originario, la causa, il rapporto si è perduto e l’effetto (la merce,
il valore, il denaro, il capitale) ne ha preso le parti, si è cosalizzato. Dalla
qualità si è giunti alla quantità. La quantità da misura è diventata cosa.
Le merci, come valori d'uso, si rapportano tra loro attraverso una unità
di misura, in una merce-quantità; poi questa merce si separa e assume un
ruolo particolare, diventa denaro. Il denaro passa da un ruolo subalterno allo
scambio, ad un ruolo apparentemente egemonico. Successivamente la sua
incapacità a sussistere come pura quantità lo spinge verso il processo di
11 - Ivi, p. 70.
12 - Ivi, p. 70.
13 - Ivi, pp. 70-71.
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valorizzazione. All’inizio la sua funzione consiste nel mettere in movimento
una serie di valori d'uso, tra cui il lavoro, ma finisce per dimenticare questo
ruolo di promozione, e giunge a porsi come unico attore, come quantità che si
autoproduce, di fronte a cui tutto il resto appare subordinato.
A conclusione di tutto il processo si può osservare che la borghesia, fin
dal suo primo incerto apparire, ha avuto bisogno non tanto di misurare,
esigenza comune a tutte le società, quanto di trasformare la misura in
un'entità reale, e quindi di personificarla.
Fin dalle prime opere Marx aveva sostenuto che la società moderna è
nata da un processo di autodissociazione e di autocontraddizione nell’ambito
della stessa società e quindi nel rapporto uomo-natura e uomo-uomo (14).
Tale inversione si coglie già nello scambio di due oggetti d'uso. Così si
esprime Marx nei Frammenti sulla società estraniata e non estraniata:
“Al posto della sua immediata unità con se stessa non c'è più che una relazione con
un altro. In quanto equivalente la sua esistenza [della merce] non è più la sua particolare
esistenza. È diventata quindi il valore, ed immediatamente valore di scambio. La sua
esistenza come valore è una determinazione diversa dalla sua esistenza immediata, esterna
al suo essere specifico, è una determinazione alienata di se stessa; è solo la sua esistenza
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relativa” ( ).
Nel Capitale ritorna lo stesso concetto anche se in forma più fantastica:
“P. es. quando se ne fa un tavolo, la forma del legno viene trasformata. Ciò non di
meno, il tavolo rimane legno, cosa sensibile e ordinaria. Ma appena si presenta come merce,
il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta coi piedi per
terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testa in giù, e sgomitola dalla sua testa di
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legno dei grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare” ( ).
La merce quindi assume una determinazione alienata, un carattere
mistico solo attraverso lo scambio, quando riceve un valore dalla relazione
con le altre merci. Subito dopo Marx riprende lo stesso argomento:
“Quindi, per trovare un'analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del
mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita
propria, che stanno in rapporto fra di loro e in rapporto con gli uomini. Così, nel mondo delle
merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo il feticismo che s’appiccica ai
prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla
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produzione delle merci” ( ).
Il feticismo nasce con lo scambio delle merci e raggiunge il suo
massimo sviluppo con il credito, ossia con il denaro che produce denaro,
dove scompare ogni residuo di processo materiale. Il feticismo è una creatura
della società capitalistica, si sviluppa e muore con essa. Per questo non è un
caso, a nostro parere, che Marx abbia collocato insieme nella 5° sezione del
III libro due concetti. Il primo ribadisce che il capitale assume la sua forma più
sviluppata di feticcio quando diventa capitale produttivo di interesse; il
14 - Si vedano i Manoscritti del '44 e la Quarta tesi su Feuerbach
15 - K. Marx, cit. sec. H. Reichelt, op. cit., p. 3.
16 - Il Capitale, libro I, cap. 1°, pp. 84-85.
17 - Ivi, p. 86.
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secondo, in riferimento al sistema creditizio, sostiene che quest'ultimo,
creando le condizioni per il massimo sviluppo delle forze produttive e
accelerando contemporaneamente il fenomeno della sovrapproduzione e
quindi della crisi, rappresenta la base materiale e la forma di passaggio al
socialismo (18).
Nel capitale da interesse culmina il feticismo, ma si prepara anche la
sua dissoluzione, essendo ormai la contraddizione prossima al suo
rovesciamento.
18 - Ivi, libro III, cap. 27°, pp. 127-128.
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