Fantasmagories du capital – Paris 6

Congrès Marx International V - Section Philosophie- le Capital – Paris-Sorbonne et Nanterre – 3/6
octobre 2007
Fantasmagories du capital – Paris 6.10.2007
Massimiliano Tomba
L’incipit del Capitale è noto: «La richesse des sociétés dans lesquelles règne le mode de production
capitaliste s’annonce comme une “immense accumulation de marchandises”». Quest’ultima
espressione, ripresa da Zur Kritik der politischen Ökonomie (1859), suona in tedesco “ungeheure
Warensammlung”.
Tre considerazioni.
1) Ricchezza. Nel modo di produzione capitalistico non solo la ricchezza si presenta (erscheint)
come ungeheure Warensammlung; anche la povertà diventa qualcosa di nuovo. L’indigenza
di una classe è prodotta assieme alla ricchezza di un modo di produzione che snatura il
prodotto del lavoro. La miseria è prodotta assieme alla ricchezza.
2) Merci. Nelle prime righe del Capitale le merci vengono prese in considerazione come
generici prodotto del lavoro. Esse sono un oggetto esterno «che mediante le sue qualità
soddisfa bisogni umani di un qualsiasi tipo». Il corpo delle merci è, prima di tutto, un valore
d’uso. Posizione ribadita da Marx nelle Glosse a Wagner (1880), dove afferma che il suo
punto di partenza non è né il valore né un concetto, ma il Konkretum der Ware.
Qualche riga dopo il corpo della merce, ed è la specificità del modo di produzione
capitalistico, viene rappresentato come Träger, «soutien matériel de le valeur d’échange».
Il valore d’uso diventa qualcosa di indifferente in un modo di produzione che ha come fine
non la produzione per la soddisfazione dei bisogni, ma la valorizzazione del valore. Questa
indifferenza rispetto al valore d’uso è anche la condizione di possibilità per una dilatazione
assolutamente inedita della sfera dei bisogni umani. Il modo di produzione capitalistico è al
tempo stesso produzione di valori d’uso sempre nuovi (sganciati dai bisogni) e quindi di
nuovi bisogni. Da ciò segue la produzione di una natura umana interamente denaturalizzata.
Marx cercava di cogliere nei Grundrisse il lato positivo di questo processo. Con una certa
enfasi e un po’ di prometeismo, Marx pensava, alla fine degli anni ’50, che tutto ciò portasse
a una nuova forma di individuo – l’individuo sociale, «ein neues Subjekt».
Nel Capitale questa enfasi si attenua, le luci diventano più cupe, e il termine «individuo
sociale» scompare. Perché questo cambiamento di scenario?
3) Ungeheur. L’incipit de Il capitale ci dice che il modo capitalistico erscheint come
ungeheure Warensammlung.
Ungeheur in tedesco ha un significato ambivalente. Significa “immane”, “immenso”, ma
anche “mostro”, “mostruoso”. La «accumulation de marchandises» è ungeheur: immensa e
mostruosa al tempo stesso.
Lo scenario gotico de Il capitale giustificherebbe una tale lettura. Si tratta di uno scenario
popolato di spettri, vampiri, lupi mannari e mostri meccanici funzionanti come macchine da
tortura. Queste immagini vanno prese sul serio.
Alla terza pagina Marx spinge l’astrazione dal carattere d’uso di una merce fino a lasciare solo un
coagulo di lavoro umano indistinto – ciò che resta è una gespenstige Gegenständlichkeit, oggettività
spettrale, «réalité fantomatique» comune a tutte le merci.
Questa realtà è spettrale perché rappresenta la morte del valore d’uso in un modo di produzione che
fa di esso il semplici supporto (Träger) del valore e che produce non in vista della soddisfazione dei
bisogni, ma per valorizzare valore. In questo mondo rovesciato, il valore d’uso, la merce nella sua
concretezza, è prodotta in vista del valore. L’astratto è la ragion d’essere del concreto. Siamo al
cuore del feticismo, ma siamo anche di fronte ad un rapporto che ha forma fantasmagorica
(phantasmagorische Form).
In questo mondo fantasmagorico, non solo il valore d’uso viene obliato e mortificato, ma ci si
dimentica anche che gli oggetti, le merci, vengono prodotte dal lavoro vivo. Così come, nei
Congrès Marx International V - Section Philosophie- le Capital – Paris-Sorbonne et Nanterre – 3/6
octobre 2007
«laboratori segreti della produzione», il lavoro morto vampirizza il lavoro vivo attraverso mostri
meccanici, in superficie si aggirano spettri.
Marx ha così predisposto un immaginario nel quale la tensione tra valore e valore d’uso, lavoro
morto/lavoro vivo, è massima. Non componibile. Non solo il processo di valorizzazione si
configura come macchina mortifera in quanto fa astrazione dei valori d’uso – da questa prospettiva
è essenzialmente distruzione, non solo della natura, ma anche della natura umana.
Non c’è più l’enfasi dei Grundrisse. La distruzione della natura umana è direttamente osservata da
Marx nell’inferno della produzione: la forza-lavoro comprata dal capitalista si porta dietro un corpo,
e quel corpo non ha altro da aspettarsi che «à être tanné».
Montando decine di pagine dei Reports degli ispettori di fabbrica, Marx ci mostra come avviene la
conciatura dei corpi operai. Marx sta tenendo in tensione la dimensione luttuosa dell’astrazione del
valore d’uso della merce con la dimensione mortifera del capitale sul valore d’uso della forzalavoro: il lavoro vivo e il corpo che vi è attaccato.
Marx mostra l’inferno della fabbrica, i suoi mostri e le macchine di tortura, non per far inorridire gli
operai. Loro già lo sanno come si lavora e si viene lavorati in fabbrica. L’inferno non è nemmeno
mostrato per scandalizzare la borghesia. Sarebbe moralismo! Marx mostra che questo modo di
produzione è intrinsecamente nocivo e mortifero. I lavoratori hanno apparentemente venduta solo
la loro forza-lavoro, ma il loro corpo, la loro vita, viene lavorata durante il processo di
valorizzazione. Quella violazione del corpo è irrisarcibile – non c’è salario o welfare state che possa
risarcire quel consumo.
È una condanna del processo lavorativo in quanto sussunto nel processo di valorizzazione.
Ne segue una critica del valore d’uso intrinsecamente capitalistico del valore d’uso della merce. In
primis del valore d’uso delle macchine – finalizzate a vampirizzare il lavoro vivo, ad aumentare,
assieme alla forza produttiva del lavoro, anche la sua intensità.
Ma è anche una critica della tecnologia e del valore d’suo di merci che non solo non soddisfano
alcun bisogno umano, ma che sono anzi direttamente nocive.
Il gesto marxiano consiste nel rovesciare la fantasmagoria leggendo l’intera sua storia dal punto di
vista del valore d’uso.
Così l’economia politica, che è oggetto di critica ne Il capitale, si rivela essere un’economia politica
della morte. Ad essa viene contrapposta la «political economy of the working class» (Indirizzo
all’Internazionale dei lavoratori, 1864). Non solo critica dell’economia politica. Ma altra economia
politica. Quella condotta da punto di vista operaio. Che è il punto di vista del valore d’uso. È la
controstoria dei controtempi operai. Il modo in cui la classe operaia è intervenuta ed interviene su
questa tendenza mortifera.