L`AGRICOLTURA ITALIANA TRA GLI ANNI `20 E LA SECONDA

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ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE VINCENZO DANDOLO SEDE LONATO DEL GARDA
CANDIDATO CARMINATI LUCA 5M
ANNO SCOLASTICO 2014/2015
L’AGRICOLTURA
ITALIANA TRA GLI ANNI
’20 E LA SECONDA
GUERRA MONDIALE
L’ITALIA DOPO LA GRANDE GUERRA
L’11 novembre 1918 la resa della Germania, preceduta qualche giorno prima
dell’Austria (3 novembre) e dalla Turchia (30 ottobre), poneva fine alla prima guerra
mondiale, con la vittoria delle potenze della triplice Intesa ( Gran Bretagna, Francia,
Italia e Stati Uniti) sugli imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria e Impero
Ottomano).
L’Italia , che ottenne la vittoria a caro prezzo con oltre 650.000 morti e 500.000
mutilati, non vide rispettati i patti di Londra e annesse solo il Friuli Venezia Giulia, il
Trentino Alto Adige fino al Brennero e l’Istria (mentre avrebbe dovuto annettere
oltre ai territori citati la Dalmazia, la base di Valona, il bacino carbonifero di Adalia
inoltre si era parlato anche di un’eventuale spartizione delle colonie tedesche).
Dopo la guerra la situazione in Italia è difficile: i reduci faticavano a reinserirsi nella
società e cominciarono a parlare di “vittoria mutilata” riferendosi al fatto che gli
accordi presi a Londra per far entrare l’Italia nella prima guerra mondiale non erano
stati pienamente rispettati inoltre le potenze vincitrici non esitarono a spartire le ex
colonie tedesche in Africa e i territori dell’impero ottomano senza considerare le
pretese italiane; la crisi innescata dalla guerra (l’Italia si trovava in una condizione
simile a certe nazioni sconfitte) causò un pesante malcontento nella classe rurale
che auspicava, dopo la vittoria, una riforma agraria per una più equa distribuzione
delle terre; crebbe lo scontento anche nella classe operaia che rivendicava giornate
lavorative di otto ore.
Ciò diede vita a numerosi scioperi nelle fabbriche nel Biennio rosso (1919-1920);
sembrava avvicinarsi in Italia una rivoluzione bolscevica come quella del 1917 in
Russia.
Contro il “pericolo rosso” latifondisti, industriali e borghesi si affidarono ai fascisti di
Benito Mussolini, che aveva fondato nel 1919 il movimento politico Fasci italiani di
combattimento divenuto nel 1921 partito nazionale fascista, che assaltavano le sedi
e i giornali dei partiti avversari e chiunque si opponesse alla loro volontà.
IL FASCISMO AL POTERE
Il 28 ottobre 1922 migliaia di camicie nere marciarono su Roma rivendicando la
guida politica del paese, a seguito di questo plateale atto di forza re Vittorio
Emanuele III incaricò Mussolini di formare il nuovo governo.
Nel 1925 a seguito dell’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, il quale
riteneva non valide le elezioni svoltesi quello stesso anno, le leggi fascistissime
diedero inizio alla dittatura vera e propria.
POLITICA AGRARIA DEL FASCISMO
Mussolini diede all’agricoltura notevole importanza, infatti i contadini erano facili
masse da convertire alla causa fascista inoltre il loro lavoro era indispensabile per il
raggiungimento dell’autarchia a cui il governo mirava.
Principio fondamentale della politica agraria fascista fu l'applicazione, anche in
questo settore, del principio di collaborazione tra classi (principio che rifiuta la lotta
di classe e secondo il quale le diverse classi sociali debbano conciliare i loro diversi
interessi per attuare forme di collaborazione per perseguirli) e il progetto di
dittatura proletaria contadina basata sui concetti di indipendenza e sovranità
nazionale nei confronti dei mercati stranieri. I principali e più importanti
provvedimenti furono:
-la sbracciantizzazione
-la bonifica integrale
-l’espropriazione dei grandi latifondi
-la battaglia del grano
-la carta del lavoro e la meccanizzazione delle produzioni
LA SBRACCIANTIZZAZIONE
La sbracciantizzazione fu una delle tante politiche attuate in agricoltura dal fascismo.
Venne attuata all’interno della battaglia del grano e mirava alla diminuzione del
numero di braccianti giornalieri in favore di mezzadri, affittuari e coloni allo scopo di
sviluppare le piccole e medie proprietà.
I risultati furono più che soddisfacenti: permise di aumentare il controllo sociale
delle terre inoltre vi fu una notevole riduzione della quota di lavoratori agricoli senza
terra che passò dal 44% al 28% determinando un maggior coinvolgimento dei
coltivatori all’interno dei processi lavorativi e di conseguenza l’aumento della
produzione.
LA BONIFICA INTEGRALE
Altra importante opera in agricoltura attuata dal fascismo fu la bonifica integrale.
Vennero fondati i consorzi di bonifica (enti che curano l'esercizio e la manutenzione
delle opere pubbliche di bonifica e controllano l'attività dei privati, sul territorio di
competenza) gestiti e finanziati dallo Stato attivi sia nella bonifica di aree paludose
e malariche che per la gestione del patrimonio silvo-pastorale.
Nel 1924 cominciarono i primi lavori di bonifica nell'Agro Pontino, con l'istituzione
del Consorzio di Bonifica di Piscinara che avviò la canalizzazione delle acque del
bacino del fiume Astura.
Nel 1926 fu varato un regio decreto che istituì due consorzi: il preesistente
Consorzio di Piscinara, che venne esteso su tutti i terreni a destra della linea NinfaSisto, su un'area di 48.762 ettari e a sinistra della linea; ed il Consorzio di
Bonificazione dell'Agro Pontino (26.567 ettari), un'area relativamente inferiore, ma
costituita da territori sotto il livello del mare e quindi dove la bonifica fu
maggiormente complessa.
Negli stessi anni vengono creati consorzi di bonifica e dato il via ai lavori anche in
Emilia Romagna, Veneto e Friuli.
Alla fine degli anni venti il controllo dei consorzi da parte dei latifondisti venne
superato grazie alla legge Mussolini del 1928 (n. 3134 legge sulla bonifica integrale)
con la quale tutti i terreni improduttivi o abbandonati furono espropriati di circa due
terzi, permettendo il passaggio di gran parte delle aree bonificate sotto il controllo
diretto dello Stato, che lo delegò all'Opera Nazionale Combattenti (ONC) insieme
alla gestione di tutti i progetti e lavori di bonifica.
Lo Stato, per il progetto mussoliniano di ruralizzazione del Paese, prendeva
l'impegno di finanziare massicciamente non solo gli interventi idraulici ma anche
opere di trasformazione agraria. A causa della crisi del 1929, a partire dal 1932 i
finanziamenti però diminuirono.
La bonifica dell'Agro Pontino fu un'opera immensa: dal 1926 al 1937 vennero
impiegati oltre cinquantamila operai, reclutati in tutto il Paese.
Oltre al prosciugamento delle paludi, la costruzione dei canali, ci fu l'azione di
disboscamento delle foreste e la costruzione dei nuovi centri, che sorgevano man
mano nei nuovi territori.
Tra il 1938 ed il 1942 ha luogo la seconda fase della bonifica integrale: luoghi
interessati in questo periodo furono la Sicilia, la Puglia e la Campania, regioni nelle
quali le opere di bonifica andranno avanti anche durante l'arco della guerra.
Oltre a creare nuove aree fabbricabili la bonifica integrale ebbe anche il vantaggio di
ridurre le zone paludose nelle quali proliferavano le zanzare vettori della malaria.
Nel complesso le opere di bonifica integrale realizzate dal fascismo riguarderanno in
totale circa sei milioni di ettari di terreno.
ESPROPRIAZIONE DEI GRANDI LATIFONDI E COLONIZZAZIONE
Parallelamente alle bonifiche, il fascismo portò avanti le operazioni di
espropriazione dei terreni di latifondisti e grandi proprietari, possessori di migliaia di
ettari di terra perlopiù lasciata incolta ed improduttiva, coltivata a grano o lasciata a
pascolo dando luogo a sole rendite parassitarie.
Le operazioni di esproprio portarono buoni risultati nel centro Italia ed in Puglia,
minor successo nei confronti della Sicilia, in cui le operazioni di esproprio
dell'enorme estensione dei latifondi (500mila ettari), avvennero troppo in
prossimità della guerra per essere portate positivamente a compimento.
Una volta terminati i lavori di bonifica e “ristrutturazione” del territorio, cominciò la
“colonizzazione” delle terre vergini e incolte, con la creazione di nuovi borghi rurali
e di oltre 4.000 nuovi poderi.
I più importanti borghi costruiti furono: Littoria (oggi Latina 500.000 abitanti),
Sabaudia, Pomezia, Aprilia e Pontinia nell’Agro Pontino; Guidonia nell’Agro Romano.
LA BATTAGLIA DEL GRANO
La battaglia del grano fu una dei provvedimenti più importanti presi in agricoltura
dal regime fascista.
Nel 1925 l’Italia risultava importatrice di 25 milioni di quintali di frumento, su un
consumo totale di 75 milioni di quintali.
Per evitare gli onerosi costi di importazione venne studiata ed inaugurata nello
stesso anno la battaglia del grano.
Mussolini tracciò le linee generali d'intervento, seguendo la gli studi dell'On. Prof.
Arrigo Serpieri.
Secondo Serpieri non era strettamente necessario aumentare la superficie coltivata
a grano per aumentare la produzione e, soprattutto, bisognava evitare di togliere
terreno ad altre colture, che potevano essere più redditizie e, in ogni caso,
necessarie al complesso dell'economia nazionale, veniva quindi presa in
considerazione la stessa superficie coltivata a grano l’anno precedente.
L'intervento doveva quindi rivolgersi principalmente all'aumento del rendimento
medio di grano per ettaro, in quanto un aumento medio anche modesto avrebbe
dato risultati globali notevoli.
Cominciò così la battaglia del grano i cui propositi erano appunto di non aumentare
la superficie coltivata a grano e di aumentare le rese per ettaro.
Per raggiungere gli scopi sopracitati fu aumentato il numero di cattedre ambulanti,
che furono per quasi un secolo la più importante istituzione di istruzione agraria, alle
quali fu affidata l’espansione della cultura agraria delle masse contadine per portare
le istanze più avanzate degli ambienti intellettuali ai piccoli e medi agricoltori.
L'aumento totale della produzione venne realizzato sviluppando due fattori
principali: la superficie coltivata e la produttività per ettaro.
Lo sviluppo della superficie coltivata venne portato avanti soprattutto grazie alla
bonifica integrale realizzata su tutto il territorio nazionale; l'aumento delle rese
unitarie fu dovuto invece a una scelta più accurata delle sementi nella quale svolse
un ruolo importante Nazzareno Strampelli (che pose le basi concettuali del
miglioramento genetico eseguendo nel corso della sua vita più di 800 incroci di
specie vegetali): nasceva così il concetto di sementi elette.
Ad aumentare le rese per ettaro contribuirono anche l’utilizzo di fertilizzanti naturali
o chimici e la meccanizzazione.
Le autorità fasciste, nell'intento di aumentare la produzione di frumento, arrivarono
anche ad osteggiare apertamente coltivazioni di vegetali ritenuti vili e minori. Tra
questi i broccoli, le cime di rapa, il farro, le lenticchie e le rape. Tentarono quindi in
maniera sistematica di convincere i coltivatori a sostituirle con il grano.
A partire dal 1927 però il mercato mondiale fu caratterizzato da un crollo repentino
dei prezzi ed il governo fu costretto, per continuare a seguire la propria linea
economica basata sull'autarchia, a difendere il reddito degli agricoltori imponendo
dazi protettivi all'importazione del grano.
Alcune delle leggi più importanti nell’ambito della battaglia del grano furono:
-il decreto 1229 del 26 luglio1925 il quale ripristinò i dazi doganali della tariffa
generale sul frumento
-il decreto 1258 del 26 luglio 1925, approvò l’esenzione dal dazio doganale e dalla
tassa di vendita per il petrolio destinato ai motori agricoli e ciò diede un notevole
impulso alla meccanizzazione
-il decreto 1314 del 29 luglio 1925, indirizzato alla produzione ed alla diffusione delle
sementi elette
Altro provvedimento importante fu l’erogazione di ulteriori finanziamenti concessi
alle regie stazioni agrarie ed ai vari istituti agrari inoltre in ogni provincia venne
istituita una commissione per la propaganda granaria.
Vennero assunti alcuni provvedimenti per il credito agrario, con lo scopo di
incoraggiare dissodamenti soprattutto per le aree a coltura estensiva del Sud e per
quelle appena bonificate. Infine un altro decreto introdusse i concorsi a premi tra gli
agricoltori per la produzione frumentaria.
LA CARTA DEL LAVORO
La Carta del Lavoro è uno dei documenti fondamentali del fascismo e codifica la
dottrina del corporativismo, varato nel 1927: esprime i suoi principi sociali, la
dottrina del corporativismo, l'etica del sindacalismo fascista e la politica economica
fascista.
Le tematiche della Carta del Lavoro fanno riferimento alle problematiche tipiche
dell'ordinamento fascista come l'elevazione del lavoro in tutte le sue manifestazioni,
la collaborazione tra le forze produttrici della Nazione, la parità del ruolo tra
lavoratore e datore di lavoro, l'intervento dello Stato nei rapporti di lavoro e nelle
attività economiche, il miglioramento delle condizioni fisiche, economiche, culturali
e spirituali dei lavoratori attraverso una legislazione sociale moderna.
La Carta del Lavoro pone quindi le basi per le riforme sociali realizzate dal fascismo:
gli istituti previdenziali a tutela dei lavoratori, i mezzi di sostentamento per la
vecchiaia, le indennità di disoccupazione, le garanzie in caso di malattie, le ferie
pagate, il massimo di otto ore lavorative, ecc.
La conquista delle ferie pagate e delle indennità in caso di morte o di licenziamento
sono state definite come pratici benefici che i lavoratori non erano mai riusciti a
raggiungere attraverso i cartelloni demagogici della democrazia e che invece allora
essi realizzavano, nella perfetta soddisfazione dei datori di lavoro.
Persino Alcuni ex avversari del fascismo si dichiararono "conquistati" dalla politica
sociale varata dal governo Mussolini.
La carta del lavoro acquisì valore giuridico nel 1941, quando fu inserita tra i principi
generali dell'ordinamento giuridico, con valore non precettivo ma interpretativo
delle leggi vigenti.
Purtroppo con la caduta del regime fascista nel 1943 la Carta perse ogni valore
giuridico.
LA MECCANIZZAZIONE AGRICOLA
Accanto ai provvedimenti legislativi e all'impulso dato al miglioramento della
produttività per ettaro, l'azione del Fascismo in campo agricolo si articolò anche
nella meccanizzazione delle produzioni. Sono infatti degli anni '20 e degli anni '30 le
trattrici agricole "testa calda" prodotte dalla storica azienda Landini, che si assicurò il
primato nazionale nel settore.
È del 1934 il Superlandini, che si rivela un grande successo commerciale; con 48
cavalli è il più potente trattore dell'epoca di produzione nazionale, e tale resterà fino
al primo dopoguerra. Gli unici a produrre modelli di potenza pari o leggermente
superiore erano di fabbricazione americana, ma i loro prodotti erano più pesanti e
afflitti da scarsa affidabilità e, in particolare, avevano la tendenza a spegnersi.
Solo un anno più tardi, nel 1935 viene messo in produzione il Vélite: più piccolo,
versatile e meno impegnativo del Superlandini, incontra anch'esso un successo di
vendite.
CONCLUSIONI
Nel 1931, solo sei anni dopo il lancio della campagna, grazie alla battaglia del grano,
l’Italia riuscì ad eliminare un deficit sulla bilancia commerciale di 5 miliardi di lire ed
a soddisfare quasi a pieno il suo fabbisogno di frumento, arrivando ad una
produzione di 81 milioni di quintali (anche se nel frattempo si era reso necessario un
piccolo quantitativo di frumento in più, per via dell'aumento della popolazione) e nel
1933 le importazioni calarono ulteriormente passando dai 17 milioni di quintali del
1923 a poco più di 4 milioni di quintali.
Negli stessi anni per l'Italia si registra anche il primato per la produzione di frumento
per ettaro: la produzione statunitense, fino ad allora considerata la prima,
raggiungeva infatti 8,9 quintali di frumento per ettaro, mentre quella italiana era
quasi doppia, contando 16,1 quintali per ettaro.
BIBLIOGRAFIA
- Arrigo Serpieri, La bonifica nella storia e nella dottrina, Bologna, 1948
- Antonio Pennacchi, Fascio e martello. Viaggio nelle città del Duce, Laterza, 2008.
- P. A. Faita, La politica agraria del fascismo: i rapporti fra le classi rurali, le scelte
produttive, IRRSAE Piemonte Progetto storia, Chivasso ,1995
- Edmondo Rossoni, Direttive fasciste all'agricoltura, Roma, 1939.
- L' organizzazione sindacale fascista dei lavoratori dell'agricoltura, 1934-1937,
Confederazione fascista dei lavoratori dell'agricoltura, Roma, 1937.
- Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, 1972.
- Giorgio Pisanò Storia del Fascismo (1914-1943), II volume, Eco edizioni
- Tonino Filomena Sindacalismo Fascista, dalle origini alla Carta del Lavoro, edizioni
Magna Grecia
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