Storia Economica
Corso anno accademico
2001-2002 (seconda parte)
Lezione 9
L’ascesa del fascismo
in Italia (1919-1929)
Indice
 I problemi economici e sociali del
dopoguerra
 La prima fase della politica economica
fascista (1922-1925)
 La seconda fase: da Quota 90 alla grande
crisi (1926-1929)
Storia Economica - Lezione 9
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L’ascesa del fascismo
in Italia (1919-1929)
I problemi economici
e sociali del dopoguerra
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I problemi economici
e sociali del dopoguerra
• Il dopoguerra in Italia presentava problemi molto
gravi, come nel resto del continente, ma acuiti
dal fatto che l’economia del paese era ancora
fragile e lo sforzo bellico aveva, per certi versi,
potenziato la struttura industriale, ma per altri
aveva portato al parossismo alcune storture,
come l’eccessivo intervento statale, che
frenavano lo sviluppo. A ciò si aggiungevano il
grave malessere sociale, che accomunava città e
campagne, e la debolezza della classe politica
liberale, che ormai aveva esaurito la capacità di
governare un paese profondamente trasformato.
Dall’economia di guerra a quella di pace
• Con il ritorno alla pace, l’economia risentiva
negativamente dell’eccessivo intervento statale.
Dal canto suo, la pubblica amministrazione non
sembrava in grado di smantellare una struttura
burocratica che, sottoponendo le imprese a un
controllo capillare, finiva per rallentare il
processo di riconversione. I governi duravano
pochi mesi e non erano in grado di programmare
le riforme necessarie per affrontare la nuova
situazione economica e sociale.
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I problemi economici
e sociali del dopoguerra
Il “biennio rosso”
• Tra il 1919 e il ’20 si verificarono forti tensioni sia
nelle fabbriche che nei campi. I costi della riconversione industriale, accompagnati dalle suggestioni
provenienti dalla rivoluzione bolscevica, diffusero un
clima di aperta contestazione e di violenza. Molte
fabbriche vennero occupate. Le autorità non riuscivano (o non volevano) contenere queste manifestazioni estreme e ciò provocò la reazione delle forze
borghesi, attraverso le squadre fasciste, che, con la
violenza, repressero questa ondata “rivoluzionaria”.
La marcia su Roma
• Giolitti cercò di “assorbire” il movimento fascista
all’interno del sistema liberale, ma il vecchio sistema
politico e istituzionale era ormai al collasso. In un
crescente clima di tensione, Mussolini forzò la mano
e si propose come unico soggetto politico in grado di
pacificare il paese. La Marcia su Roma, che non fu
una vera rivoluzione, permise al fondatore del movimento fascista di salire al governo, grazie soprattutto all’appoggio della monarchia e dell’esercito.
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L’ascesa del fascismo
in Italia (1919-1929)
La prima fase della politica
economica fascista (1922-1925)
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La prima fase della politica
economica fascista (1922-1925)
• La prima fase del regime coincise con un
periodo di espansione dell’economia mondiale.
In un contesto positivo i progressi dell’Italia
furono particolarmente vistosi: già nel 1922 la
produzione industriale aveva raggiunto i livelli
del 1913 e l’espansione proseguì almeno fino al
1925. In questo primo periodo il governo
fascista attuò una politica di stampo liberista
che ridusse la pressione fiscale e favorì le
esportazioni. Ispiratore di questa politica fu
Alberto De Stefani, ministro delle finanze dal
1922 al 1926, il quale seppe sfruttare la
favorevole congiuntura internazionale e non
esitò a percorrere la strada della svalutazione
monetaria (e quindi dell’inflazione) pur di
sostenere le esportazioni.
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La prima fase della politica
economica fascista (1922-1925)
Riforma tributaria e privatizzazioni
• I primi provvedimenti di De Stefani
riguardarono il settore tributario. Vennero
eliminate tutte le forme di prelievo
straordinario risalenti al periodo bellico e venne
introdotto un nuovo sistema fiscale basato su
un’imposta progressiva diretta, che riduceva il
carico fiscale, ma ne allargava di molto la base.
Venne abolita la nominatività dei titoli (che
ostacolava l’investimento finanziario) e si
favorirono gli investimenti esteri in Italia.
Contemporaneamente si procedette a una serie
di privatizzazioni (telefoni in particolare). Tutto
ciò contribuì ad incrementare le entrate dello
Stato.
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La prima fase della politica
economica fascista (1922-1925)
La riduzione della spesa pubblica
• Le uscite furono contenute grazie a un forte
taglio delle spese militari e a una compressione
della spesa pubblica in generale. La cancellazione delle libertà sindacali e la riduzione dei
salari facilitarono il raggiungimento del
pareggio del bilancio già nel 1924.
La crescita economica
nel periodo 1922-1926
• I risultati di questa serie di provvedimenti
furono positivi: aumentarono in maniera
consistente sia la produzione agricola che
quella industriale. I settori che più si giovarono
della crescita furono quelli più legati al mercato
estero (tessile, agroalimentare, ecc.), ma anche
l’industria pesante e il settore elettrico
conobbero un periodo estremamente positivo.
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L’ascesa del fascismo
in Italia (1919-1929)
La seconda fase: da Quota 90
alla grande crisi (1922-1926)
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La seconda fase: da Quota 90
alla grande crisi (1922-1926)
• A partire dal 1926 vi fu una svolta nella politica
economica del regime. De Stefani venne
sostituito dal finanziere veneziano Giuseppe
Volpi, che abbandonò quasi subito la politica
liberoscambista e favorevole alla svalutazione
della lira. Volpi, infatti, reintrodusse subito un
forte dazio sull’importazione del grano, ma,
soprattutto, attuò una forte stabilizzazione
monetaria (quota 90) che portò, nel giro di
pochi mesi, la lira dal livello di cambio di 153
nei confronti della sterlina a 92,45. Questa
rivalutazione provocò una crisi di liquidità che
mise in difficoltà la imprese, anche se i costi
della deflazione furono scaricati quasi esclusivamente sui salari. L’organizzazione corporativa, che si andava consolidando, permise,
infatti, di attuare una forte riduzione dei salari
nominali, addirittura superiore al calo dei prezzi.
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La seconda fase: da Quota 90
alla grande crisi (1922-1926)
Il consolidamento del debito
• Il debito pubblico italiano era già molto alto
alla fine della guerra ed era aumentato
ulteriormente negli anni successivi. Per
evitare un tracollo della finanza pubblica il
neoministro Volpi attuò una conversione
forzosa dei titoli di debito pubblico a breve
termine (BOT) in titoli a lungo termine
attraverso il Prestito del Littorio. Questa
manovra estrema, che fu senz’altro benefica
per i conti pubblici italiani, era possibile solo
a un governo autoritario come quello di
Mussolini.
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La seconda fase: da Quota 90
alla grande crisi (1922-1926)
La “battaglia del grano”
e il ritorno al protezionismo
• Nel 1925 il governo lanciò la cosiddetta “battaglia
del grano” allo scopo di portare il paese all’autosufficienza alimentare. Per sostenere e incrementare la
produzione cerealicola venne reintrodotto un forte
dazio sull’importazione di grano e si diedero contributi e premi ai contadini che incrementavano tale
coltivazione. Nel giro di pochi anni l’Italia raggiunse
davvero l’autosufficienza, ma a costi molto alti.
Quota 90
• La svalutazione monetaria, che aveva garantito un
sostegno delle esportazioni, metteva in difficoltà le
industrie pesanti che necessitavano di materie prime
a basso costo. Inoltre la moneta debole scoraggiava
gli investimenti dall’estero. Per questa serie di motivi
nel 1926 si attuò una forte rivalutazione della lira. Le
conseguenze economiche furono gravi e si verificò
una crisi deflativa che mise in difficoltà le imprese e
rallentò le esportazioni.
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