1. Fascismo

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Il fascismo e la sua politica culturale
A partire dal 1925 il fascismo da “movimento” si avvia a diventare “regime”. L’ambizione di
Mussolini diventa sempre più quella di dominare in modo globale la società italiana, di
“fascistizzare” l’Italia; e a tale scopo la sua azione si muove su due piani: sul piano delle strutture
politiche, delle istituzioni dello Stato, e sul piano della società civile, del costume.
Rientra nel primo obiettivo anzitutto la soppressione dei partiti e dei sindacati e l’abolizione
della libertà di stampa; gli oppositori vengono eliminati o incarcerati: il Tribunale Speciale istituito
a questo scopo nel 1927 condanna (sino al 1940) al carcere o al confino 4596 antifascisti.
Sull’altro piano – la fascistizzazione della società – l’azione di Mussolini è più sottile e più ampia,
in quanto egli tenta di penetrare in tutte le manifestazioni della vita degli italiani (attività
scolastica, stampa, lavoro, tempo libero e, addirittura, abitudini e usi linguistici) e di orientarle in
un preciso senso. Ed ecco allora la riforma della scuola, di Gentile prima (1923) e di Bottai dopo
(1936); l’inquadramento di bambini e giovani in organizzazioni paramilitari; la creazione
dell’Istituto Fascista di Cultura e dell’Accademia d’Italia (1926), che accoglie artisti e scienziati
graditi al regime; ecco il giuramento di fedeltà al regime imposto ai docenti universitari; ecco la
stampa resa omologa attraverso grottesche imposizioni, le “veline”, cioè comunicazioni emanate
dal governo fascista, con cui si imponeva ai giornalisti quali argomenti trattare (e come) e quali
tacere; ecco lo sfruttamento dei nuovi mass media, la radio e il cinema, che bombardano il
cittadino con la propaganda, coi discorsi del “duce”, con l’esaltazione delle “opere del regime”.
Si può quindi certamente affermare che da questo punto di vista il fascismo ha realizzato la
prima società di massa dei nostri tempi ed è riuscito a crearsi – prima della società consumistica
dei nostri giorni – i canali e gli strumenti per condiziona-re gli atteggiamenti e i comportamenti e
indirizzarli verso il consenso. E il consenso, negli anni che grosso modo vanno dal 1929 al 1936,
senza alcun dubbio ci fu.
Sorge a questo punto spontanea una domanda: ma come agirono, come si
comportarono nel Ventennio i letterati, gli artisti, gli uomini di cultura? Vanno
innanzitutto ricordati due dati di fatto:
a) a differenza di quanto avviene in Germania durante il nazismo, in Italia nel
complesso gli intellettuali di prestigio non scelgono la via dell’esilio. Sono piuttosto i militanti politici (e non solo ad alti livelli, ma anche semplici operai) a optare
per questa soluzione, per tentare di ricostituire all’estero i partiti soppressi in Italia.
b) Quando il regime, per fascistizzare anche l’alta cultura, chiede ai docenti
universitari il giuramento di fedeltà, solo 12 rifiutano, e 1220 circa giurano. Si potrebbe da ciò concludere che l’adesione al fascismo fu totale, e invece la realtà fu
molto più ambigua e articolata.
Tra gli intellettuali non mancarono naturalmente oppositori al regime che pagarono a caro prezzo (l'esilio, il carcere o addirittura la morte) la loro posizione,
ma si può dire, con sufficiente approssimazione, che la stragrande maggioranza
degli intellettuali italiani abbia seguito la linea di comportamento indicata dal filosofo
Benedetto Croce (1866-1952), quella cioè del superiore distacco dalle “contaminazioni”
politiche, dell’arroccamento nella “torre d’avorio” della cultura specialistica.
Fascismo e cultura di massa: l'organizzazione del consenso durante il Ventennio
Ogni Stato totalitarro si propone due primari obiettivi: limitare per quanto possibile il dissenso
(e quindi restringere la libertà d’opinione) e organizzare il consenso delle masse (oltre che
degli intellettuali)
L’azione del regime fascista si svolse appunto secondo queste due direttrici, strettamente
interdipendenti e gli obiettivi furono, almeno in parte, realizzati grazie al sempre più stretto
controllo delI’informazione, delle arti, della cultura mediante un’opera di accentramento e
burocratizzazione delle strutture e delle attività intellettuali che prevedeva l’immediata
repressione delle manifestazioni ideologicamente non allineate. L’intervento socio-culturale del
fascismo può essere diviso in due fasi: fino agli inizi degli anni Trenta prevale soprattutto
un’azione di controllo e di repressione del dissenso; negli anni Trenta si fanno invece più
consistenti (a fianco dell’attività repressiva) gli interventi propagandi-stici da parte del regime,
intesi a promuovere una cultura di massa ispirata ai valori del fascismo, che realizzasse un
forte consenso attorno al regime e alla figura del suo capo.
Alla fine degli anni Venti molto era stato fatto per eliminare o controllare i dissidenti, assai poco
per orientare concretamente le opinioni della massa, pochissimo per orientare e influenzare in
positivo il lavoro mtellettuale. Molti intellettuali continuavano infatti magari in semiclandestinità
a svolgere il proprio lavoro, rinunciando a impieghi pubblici o di prestigio per garantirsi un
margine maggiore di autonomia.
Man mano che il fascismo si affermava, si faceva strada quindi sempre più la necessità di una
sistematica e coerente politica culturale, anche nei confronti delle masse, che venne
inizialmente affidata (a partire dal 1925) all’Istituto Nazionale Fascista di Cultura. È il momento
di un celebre proclama mussoliniano: bisogna «andare al popolo», far entrare i valori e lo
spirito fascista nella coscienza delle masse finora solo parzialmente raggiunte dall’azione del
Partito, favorire insomma nelle masse l’identificazione col regime e, a lunga scadenza,
modellare le nuove generazioni secondo lo spirito fascista. Presto si arriva alla fondazione di
uno specifico Ufficio Propaganda (1931) nell’ambito dell’Ufficio Stampa del Capo del governo.
Fra l’altro, specie in concomitanza con le campagne africane, si crea una rete centralizzata di
scrittori, pubblicisti, conferenzieri stipendiati dal Partito. Compiti specifici che questa
organizzazione si pone, oltre alla giustificazione e alla glorificazione di singole imprese interne
ed estere, è la diffusione di scritti sulla romanità, sull’italianità, motivi ideologici ora
particolarmente in auge, e naturalmente sui successi, veri e presunti, realizzati dal regime. Le
campagne di stampa si susseguono e tutte le fonti di informazione operano ormai in perfetto
accordo, dalla stampa quotidiana a quella periodica, dalla radio al cinema, che trasmette
cinegiornali redatti dall’Istituto Luce. Fra i temi portanti andranno ricordati la mitizzazione della
figura del Duce e l’idea di una nuova Italia magicamente trasformata dall’avvento della
rivoluzione fascista, un’Italia in cui tutto funzionasse perfettamente. Lo strumento più
importante e capillare rimase il controllo e l’orientamento della stampa, che si manifestò, oltre
che mediante la nomina nei posti direttivi di persone gradite al re-gime, anche tramite le
“veline" che stabilivano quotidianamente che cosa dovesse e che cosa non dovesse essere
pubblicato (foto, argomenti, frasi ecc.). Per non fare qui che un solo esempio, che si inquadra
nel progetto di divulgare un’immagine positiva dell’Italia fassista, ricorderemo la vera e propria
campagna contro la cronaca nera: bisognava dare l’impressione di un’Italia sana e immune da
fatti delittuosi, allo scopo di indurre la convinzione che il fascismo avesse realmente compiuto
una rivoluztone sociale moralizzando i costumi, ordinando la vita privata e pubblica, eliminando
le cause stesse che portavano ai delitti. Si arriva così alla esplicita, tassativa proibizione di
pubblicare notizie riguardanti ogni genere di delitti. Da ciò nasce l’impressione diffusa nelle
generazioni formatesi in quegli anni che realmente la vita so-ciale fosse immune da quei fatti
che prima e dopo avevano e avrebbero riempito le pagine della cronaca nera: ma si trattava
soltanto di una illusione prodotta dalla censura dell’Uf-ficio Propaganda.
Non mancò il controllo della radio e del cinema (Istituto Luce), nuovi mezzi di comunicazione di
massa, di cui il fascismo verso la metà degli anni Trenta comprende la decisiva importanza
proprio al fine della propaganda e della formazione di una cultura fascista di massa.
Ulteriore e definitivo irrigidimento dell’azione propagandistico-censoria del regime si ha alla vigilia
della guerra e durante la guerra; in generale ci fu anche un innalzamento e un’esasperazione
degli obiettivi propagandistici (il mito del Duce, l’ottimismo sociale, il mito dell’uomo nuovo,
l’esaltazione della romanità, molte campagne particolari portate talora sino all’inverosimile e al
grottesco).
Anche prima del tempo di guerra la propaganda fascista aveva diffuso l’abitudine a un linguaggio
retorico e magniloquente, assai efficace sul piano della comunicazione, un linguaggio modellato
sull’esempio dei discorsi di Mussolini.
Naturalmente la creazione di un consenso di massa, oltre che attraverso l’uso accorto dei mass
media, passava anche attraverso potenti strumenti di controllo come l’editoria scolastica (nelle
scuole elementari venne adottato un libro unico) o le molteplici iniziative di coinvolgimento delle
masse sul piano sportivo, ricreativo, sociale. Nei fatti l’azione del regime consegui indubbi risultati
nell’indottrinamento delle masse.
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