XI CONVEGNO SIM “FOOD MARKETING: MERCATI, FILIERE E

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XI CONVEGNO SIM
“FOOD MARKETING: MERCATI, FILIERE E STRATEGIE DI MARCA”
Modena, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Lo store brand come driver strategico del processo di differenziazione
e posizionamento competitivo delle insegne: indirizzi evolutivi e
competenze di marketing dei retailer
Marcello Sansone
Abstract
Il presente lavoro, parte di un più ampio progetto di ricerca sul ruolo dello store brand
nello sviluppo competitivo delle insegne della GDO, propone un’analisi della realtà
attuale delle imprese commerciali complesse che implementano strategie di store
brand, quale leva strategica di marketing e sintesi di una filosofia d’impresa fondata
su una vera e propria architettura di marca, al fine di perseguire livelli crescenti di
differenziazione competitiva di natura orizzontale.
Keyword: Store brand, Retail marketing, MDD, differenziazione.
Introduzione
La crescente tendenza di alcune insegne della GDO a trasferire il patrimonio di
fiducia e di fedeltà accumulato negli anni sulla marca commerciale, elevandola a
driver strategico di differenziazione competitiva orizzontale, origina dall’evoluzione
delle relazioni tra store, brand, e customer e dall’aumento della quota di penetrazione
della marca del distributore.
L’implicazione di tali assunti orienta il presente contributo all’analisi delle
competenze di marketing del retailer assumendo la declinazione dello store brand
come cardine della strategia di differenziazione, con la finalità di accrescere il livello
di partnership con fornitori selezionati, di indirizzare le scelte dei consumatori e di
rafforzare la capacità di generare valore aggiunto nel sistema di scambio.
Nella prima parte della lavoro si evidenzia, attraverso una sintetica review della
letteratura di riferimento, l’evoluzione che il concetto di marca commerciale ha subito
negli ultimi decenni; successivamente, alla luce della letteratura analizzata, si
espongono i dati maggiormente esplicativi dello stato attuale della marca
commerciale nel nostro Paese e le implicazioni che questi hanno sulle imprese che
adottano strategie di store branding, evidenziando l’impatto di tali scelte sugli
equilibri verticali di filiera e nella competizione tra insegne. I limiti del paper sono

Professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese
Docente di Marketing
Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale – Dipartimento di Economia e
Giurisprudenza 03043 Cassino - Via Sant’angelo, loc. Folcara 0776-2994643
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connessi ad una prevalente struttura ricognitiva e descrittiva della situazione attuale
che rappresenta tuttavia l’origine di un progetto di ricerca che effettuerà un
benchmark tra insegne ed analizzerà con questionari ed interviste il grado di
percezione di valore espresso dagli acquirenti/consumatori.
Evoluzione del concetto di marca commerciale nel tempo: una sintetica review
della letteratura
A partire dal 1967, con il contributo di Myers, la letteratura internazionale di
riferimento ha evidenziato una crescente attenzione per il tema della marca
commerciale, andando via via a giustificare da un lato l’aumento della quota di
mercato da essa sviluppata e l’impatto che la moderna distribuzione ha sulle relazioni
a monte e a valle della filiera, dall’altro le motivazioni che spingono i consumatori ad
acquistare prodotti a marca del distributore. Myers, in particolare, si concentra sulla
relazione tra disponibilità di reddito e livello di acquisto della private label, dando vita
a un filone di studi che negli anni ‘70 ed ‘80 ha indagato sulle variabili socioeconomiche – reddito, età, istruzione, numerosità del nucleo familiare – come
determinanti per l’acquisto.
Al fine di individuare le caratteristiche dei mercati in cui introdurre prodotti a marca
del distributore e le determinanti delle diverse quote di mercato raggiunte in differenti
categorie da diversi dettaglianti, si può far riferimento alla ricerca di Raju,
Sethuraman e Dhar (1995) che evidenzia come l’idea tradizionale per la quale lo store
brand abbia maggior successo in mercati di tipo price sensitive debba essere rivista,
poiché in tal senso si può parlare di due tipologie di price competition, una
intercorrente tra le sole marche industriali e l’altra invece riguardante le marche
commerciali in alternativa a quelle dei produttori.
A riguardo Rubio e Yague (2009) propongono un modello di sintesi delle
determinanti della quota di mercato dello store brand, delineando tra le macro-classi
di variabili la struttura del mercato, le caratteristiche della domanda, gli obiettivi
economico-finanziari e la strategia competitiva. Altri fattori incidono sulla scelta della
marca del distributore e sono classificabili su tre dimensioni: dimensione qualificante
– qualità intrinseca, convenienza, sicurezza –, dimensione di consolidamento –
qualità percepita, varietà, etica –, dimensioni differenzianti esclusive –immagine,
innovazione, emozione– (Cristini, 2014).
Numerosi Autori, inoltre, hanno analizzato i benefici che l’adozione di strategie di
store branding può apportare ai retailer; in particolare alcuni studi hanno sottolineato
il contributo alla profittabilità dei dettaglianti e l’effetto sulla distribuzione relativa al
potere tra i retailer e i produttori (Ailawadi, Harlam, 2004; Meza, Sudhir, 2005), altri
hanno invece considerato il contributo della marca commerciale alla differenziazione
delle insegne (Sudhir, Talukdar, 2004) e alla store loyalty (Corstjens Lal, 2000;
Ailawadi, Pauwels e Steenkamp, 2008).
Le dinamiche evolutive delle determinanti per lungo tempo oggetto di ricerca
incidono inevitabilmente sul concetto stesso di store brand, generando la necessità di
individuare le diverse strategie implementate dai distributori commerciali come
risultato del continuo cambiamento delle condizioni socio-economiche, delle
motivazioni d’acquisto e
della consumer proposition usata nelle dinamiche
competitive e, dunque, i diversi livelli di declinazione della marca commerciale: dai
prodotti che puntano alla price competition – private label generica e copycat brand –
a quelli che competono in termini di qualità – marca premium – e infine prodotti
rappresentativi del valore e del posizionamento strategico dell’insegna – store brand –
(Kumar e Steenkamp, 2007).
La scelta strategica di store branding adottata è pertanto influenzata da una
combinazione di differenti fattori, ossia dal posizionamento del prodotto – risultante
del rapporto qualità prezzo definito dal distributore –, dall’integrazione delle leve di
retail marketing e dall’aumento dell’affidabilità e delle garanzie di qualità dei
prodotti a marca del distributore (Lugli, 2003; Cristini, 2006).
A conferma dell’evoluzione delle strategie di store branding, nel gennaio 2014 ADM1
ha evidenziato la scelta terminologica di sostituire il termine Private Label con Marca
del Distributore2 (MDD), con la finalità di sottolineare il valore di vero e
proprio“brand” del prodotto commerciale, e la capacità di questo di competere – sia
dal punto di vista delle caratteristiche tangibili sia nell’immagine – con i prodotti a
marca industriale, in modo tale da rafforzare il posizionamento competitivo dell’intera
insegna e di ridisegnare gli equilibri strategici della filiera distributiva.
Dinamica evolutiva della marca commerciale in Italia: analisi di dati
Al fine di analizzare le competenze di marketing dei retailer e ipotizzare possibili
scenari futuri delle strategie di store branding, si ritiene opportuno descrivere
sinteticamente lo stato attuale della marca commerciale in Italia, attraverso l’analisi
dei principali dati numerici a riguardo.
La generale stasi dei consumi registrata durante gli ultimi anni sta dando una spinta
alla penetrazione dei prodotti di marca commerciale che portano il nome della catena
distributiva: è ormai consuetudine trovare nel carrello della spesa dei consumatori
italiani prodotti a marchio commerciale; il trend che da anni si registra in altri Paesi,
quali UK, Spagna o Germania, sta prendendo piede anche in Italia (Symphony IRI);
dal Rapporto Marca by AdemLab risulta infatti che mediamente il 93% degli italiani
dichiara di acquistare almeno un prodotto a marca commerciale.
Considerando i canali Iper e Super, la marca commerciale ha registrato una crescita
dello 0,8% nella quota a valore e rappresenta ora il 18,4% delle vendite; la quota in
unità invece è cresciuta dello 0,5% passando ad un 22,4% (Symphony IRI, 2013).
Le vendite delle principali insegne sul mercato italiano – Conad, Coop, Esselunga,
Carrefour – sono presidiate per il 60% da prodotti a marca del distributore, ciò
1
Associazione Distribuzione Moderna.
Il termine così inteso non coincide necessariamente con la marca insegna, bensì include al
suo interno tutte le varie declinazioni di marca del distributore –linee regionali, premium,
biologiche.
2
significa che in termini di unità, un prodotto su quattro venduto dai retailer è a
marchio privato.
L’evidente rilevanza di questi dati porta ad indagare sulle motivazioni per cui le
vendite della private label crescono nonostante la flessione generale dei consumi,
riuscendo nel 2012 addirittura ad invertire il trend totale delle vendite food, che è
rimasto positivo proprio grazie allo sviluppo della marca commerciale, sviluppo che
ha più che compensato la flessione dei prodotti di marca industriale 3 (Symphony IRI).
Una delle principali motivazioni è sicuramente riconducibile al fenomeno del trading
down, che attualmente caratterizza tutte le categorie di prodotti, e alla continua ricerca
di convenienza da parte dei consumatori: fattori che senza dubbio favoriscono le
marche commerciali.
La crescente sensibilità dei consumatori alla leva del prezzo è una variabile
importante ma non sufficiente a giustificare i trend descritti, per cui bisogna far
riferimento alla totalità delle motivazioni che spingono i consumatori italiani ad
acquistare prodotti a marca del distributore. Nel 2013 il gap di prezzo tra i prodotti a
marca industriale e marca del distributore si è addirittura ridotto: a fronte di un
aumento della pressione promozionale dell’industria di marca, si rileva una riduzione
della percentuale dei volumi di private label in sconto dal 16,5% al 16,2%.
In Europa la marca commerciale è mediamente più economica del 29.9% rispetto agli
analoghi prodotti di marca con il divario di prezzo maggiore in Francia e Germania e
quello minore nei Paesi Bassi, Gran Bretagna ed Italia (Symphony IRI).
D’altra parte crescono gli investimenti dei retailer per migliorare la qualità dei
prodotti e la percezione di questi da parte dei consumatori – ad esempio aumentando
le certificazioni e i controlli di qualità – al fine di ampliare la quota di mercato e
penetrare ulteriori segmenti, focalizzandosi sulle linee premium o comunque su
prodotti ad alto contenuto di servizio. In particolare le imprese commerciali
indirizzano le proprie strategie di store branding su sei segmenti: biologico/ecologico,
regionale, alimenti funzionali, prodotti per l’infanzia, piatti pronti e prodotti premium
(Marca Report Luglio 2014). Tale tendenza mira a ridurre ulteriormente il gap di
prezzo e a spostare la competizione industria-distribuzione sempre più sulla leva
della qualità. Secondo i dati di Symphony IRI l’investimento delle insegne europee
sui prodotti premium ha generato un aumento del fatturato dei retailer dello 0,4% e ha
contribuito all’aumento della qualità percepita dai consumer.
Le iniziative delle insegne in termini di ampliamento di linee4 e referenze5 hanno un
evidente riscontro positivo nei comportamenti dei consumatori, riscontro supportato
dai numeri: il Rapporto Marca di Adem Lab evidenzia che dal 2012 al 2013 le marche
premium hanno fatto registrare un aumento del 14,7% a valore e del 13,2% a volume,
3
Le opposte tendenze si sono confermate anche per il 2013, ma la contrazione generalizzata
delle vendite ha portato ad un saldo finale negativo, infatti la marca commerciale cresce in
volume del 4% e in valore dell’ 1,2%, a fronte di una riduzione delle marche industriale
rispettivamente dell’1,6% e 2,5%.
4 Durante l’ultimo anno i distributori hanno investito molto anche sull’offerta Non- Food,
introducendo nuove referenze nel cura casa, giardinaggio e persino nella categoria dell’intimo.
5 Il numero medio referenze di marca privata per punto vendita è passato da 936 nel 2007 a
1261 nel 2012 (elaborazione su dati Symphony IRI).
mentre i prodotti biologici a marchio del distributore sono cresciuti del +8,9% a
volume e del 5,9% a valore, a fronte di una crescita media della private label del 4%
in volume e del 1,2% in volume; dato che ancora una volta conferma la crescente
fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti a marca del distributore6.
Pertanto da un’analisi sinergica dei dati è possibile evidenziare la crescente tendenza
delle imprese commerciali ad avere un approccio strategico allo store brand,
approccio che necessita di competenze specifiche di marketing da parte dei retailer
sempre maggiori.
Conclusioni ed implicazioni manageriali
La strategia di store branding si caratterizza per l’impiego da parte dei retailer della
marca commerciale in una gamma sempre più ampia di prodotti, al fine di accrescere
la propria attrattività sul mercato e perseguire livelli crescenti di differenziazione
competitiva di natura orizzontale, attraverso processi e leve che influenzano le
relazioni orizzontali e verticali di filiera.
L’analisi condotta evidenzia le nuove sfide organizzative e manageriali e la necessità
di pianificazione di marketing che investe tutto il management distributivo, con
l’obiettivo di predisporre, organizzare e gestire un’efficace strategia di marca
commerciale. Si configura così un strumento – che evolve dal piano tattico a quello
strategico – il cui contributo si manifesta in modo tangibile con il miglioramento delle
potenzialità competitive, con lo sviluppo complessivo dell’impresa commerciale, e
con benefici monetari in termini di marginalità riferita sia alle singole categorie sia al
punto vendita. Ciò consente, allo stato attuale del ciclo di vita di sviluppo della marca
commerciale, di verificare nel management della moderna impresa distributiva le
competenze specifiche di marketing in grado di accrescere complessivamente il
valore economico e relazionale delle insegne.
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6
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