ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in Scienze della Comunicazione MEDIA ALTERNATIVI E PRODUZIONE CULTURALE: IL CASO DELLE FANZINE MUSICALI Tesi di laurea in Sociologia della Comunicazione Relatore Correlatore Presentata da prof.ssa Roberta Sassatelli prof. Marco Santoro Salvatore Senia Sessione I - Anno accademico 2004/2005 INDICE 1. Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative……………………….…..p. 7 1.1 Cosa sono le fanzine? 1.2 Metodologia 1.3 Culture “alternative” e cultura “dominante” 2. Breve storia delle fanzine……………………………………………….…p. 26 2.1 Le origini della fanzine: pulp magazines e underground press 2.2 Le fanzine musicali 2.3 Dalla fanzine alla webzine 3. Fanzine come medium alternativo………………………………………...p. 42 3.1 Media alternativi 3.2 Fanzine come alternative media 3.3 Alternative? 4. Chi realizza una fanzine, e perché………………………………………....p. 55 4.1 4.2 4.3 4.4 Il fanzinaro Rapporti con la stampa “ufficiale” Informazione: scouting e gatekeeping Network 5. Comunità di fan e webzine…………………………………………….…..p. 98 5.1 Fandom 5.2 Fan come bracconieri 5.3 Fanzine e webzine 6. Caratteristiche tecniche………………………..………………………......p. 131 6.1 Formato, grafica e tecniche di stampa 6.2 Copyright e sabotaggio 6.3 Distribuzione: profitti di distinzione 6.4 Promozione e “interlegittimazione” 7. Logiche di distinzione…………………………………………………......p. 156 7.1 7.2 7.3 7.4 Codice e logiche di distinzione Sottocultura dominata Introiti e pubblicità Svendersi: “underground” vs. “mainstream” 8. Conclusioni…………………………………………………………...…...p. 184 Appendici.………………………..…………………………………………..p. 191 Riferimenti bibliografici.……………………………………………….........p. 237 8 1. Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative Qualsiasi appassionato di musica popular, frequentando negozi di dischi, centri sociali, fiere del disco, concerti, o magari leggendone semplicemente gli annunci su qualche periodico specializzato, si sarà prima o poi imbattuto in delle bizzarre pubblicazioni, realizzate con pochi mezzi e tanta passione, chiamate “fanzine”. Un particolare tipo di stampa che prova a mettere in discussione i tradizionali assetti dell’editoria di settore, oggetto d’analisi della tesi che avete tra le mani. Le fanzine rappresentano al meglio quelle forme di interattività implementate dai mezzi di comunicazione contemporanei nella nostra società multisfaccettata, sollevando importanti riconsiderazioni riguardo all’idea di “cultura popolare” o “cultura di massa” che tanti discorsi accademici tendono a sottovalutare. Inoltre, pur rappresentando tante diversità culturali sono anche contraddistinte da alcune omogeneità stilistiche e motivazionali che proverò ad evidenziare lungo questo elaborato. Sebbene la fanzine sia un mezzo di comunicazione come altri, essa mette in contatto reciproco gli individui, e consente lo scambio di messaggi, attraverso pratiche particolari che mi propongo di illustrare a partire dalle righe che seguono, buona lettura. 1.1 Cosa sono le fanzine? Una definizione di massima vuole le fanzine come riviste effimere, economiche e a bassa tiratura, realizzate da appassionati di un settore della cultura di massa (popular music, fantascienza, fumetti, soprattutto) per altri appassionati. Un tipo di pubblicazione che si inserisce nel sottobosco del mercato editoriale, il cui denominatore comune è un forte interesse per uno specifico argomento unito all’irrefrenabile esigenza di comunicare con altri “fanatici”. Il termine, infatti, deriva dalla contrazione delle parole inglesi “fan” e “magazine”. Furono proprio gli appassionati di fantascienza nordamericani che nella prima metà del secolo scorso diedero vita a questo particolare mezzo di comunicazione1. Le fanzine possono essere realizzate da una singola persona, che scrive, stampa e distribuisce tutto individualmente, oppure possono essere il frutto di piccole redazioni casalinghe, formate da pochi individui, spesso amici venuti in reciproco contatto per l’interesse che li accomuna e che diviene oggetto della fanzine stessa. Si tratta di riviste autoprodotte che si offrono come alternativa ai mezzi di comunicazione tradizionali. L’autoproduzione risponde a radicate esigenze di autonomia espressiva; essa consentirebbe, nell’ottica di coloro che 1 8 Si veda a tal proposito il capitolo seguente. 1.Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative realizzano le fanzine, i cosiddetti “fanzinari”, di offrire forme non convenzionali d’informazione e intrattenimento, senza la preoccupazione di condizionamenti editoriali e perbenismi formali. Da questo punto di vista le fanzine rappresentano la reazione di un individuo, o più individui organizzati, ad un sistema dell’informazione reputato insoddisfacente. Questo tipo di pubblicazione ha trattato i più svariati argomenti e ha assunto le più variegate forme; di norma, vengono considerate fanzine tutte quelle pubblicazioni, più o meno ufficiali, create senza scopo di lucro e che si occupano di argomenti specifici in modo quasi morboso: periodici dedicati esclusivamente ad un cantante o ad un gruppo musicale, riviste di fumetti a basso costo realizzati da disegnatori non professionisti, pubblicazioni che al loro interno si occupano dei più disparati argomenti trattati in modo caotico e ingenuo. È piuttosto difficile tracciare un elenco di caratteristiche comuni e costanti tra tutti gli esempi di questa realtà editoriale, esisterà sempre un’eccezione alla regola. Inoltre, anche tra coloro che realizzano fanzine ci possono essere opinioni divergenti su cosa possa essere incluso in questa categoria e cosa non possa esserlo. È più opportuno pensare le fanzine come pubblicazioni che si collocano in una “zona grigia” tra la stampa di settore specializzata e delle pubblicazioni domestiche dalla diffusione quasi inesistente. Alcune fanzine sono più vicine ai magazine tradizionali, sia per quanto riguarda i contenuti sia per quanto riguarda la forma con cui vengono 9 presentati. Altre si discostano fortemente da questi, per ragioni pratiche, come la carenza di risorse tecniche ed economiche adeguate, e per ragioni ideologiche. Alcune fanzine nascono e muoiono nel giro di pochi numeri, viceversa altre, nate con caratteristiche proprie della stampa amatoriale, col tempo diventano delle vere e proprie testate di approfondimento; alcune fanzine sono cronicamente aperiodiche, per cui tra un numero ed un altro possono passare degli anni, altre ancora escono con esatta regolarità; alcune fanzine sono realizzate con quattro fogli fotocopiati e spillati, altre, invece, vengono stampate in tipografia ed hanno un numero consistente di pagine; alcune fanzine sono gratuite e si possono trovare in alcuni luoghi di interesse particolare dove vengono portate manualmente da coloro che le realizzano (concerti, centri sociali, negozi di dischi o fumetti), altre, al contrario, sono a pagamento e vengono distribuite per abbonamento. In pratica ne esistono, e ne sono esistite, miriadi di tipi: dal formato in ottavo al poster, scritte a mano o ciclostilate, fotocopiate o, più recentemente, realizzate su supporti informatici (floppy disc, cd-rom). Provare a fare un po’ d’ordine in questo “carnevale editoriale” è quindi un’impresa piuttosto onerosa. L’esperto di fanzine statunitensi Mike Gunderloy2 [1988] attua una distinzione tra vari modelli di fanzine sicuramente utile: egli evidenzia la presenza di due principali formati di stampa amatoriale, a prescindere dal loro contenuto specifico. Le genzines, prodotte generalmente 2 Mike Gunderloy è autore di “How to publish a fanzine” [1988] e “Why publish?” [1989] , due interessanti testi riguardanti il mondo delle fanzine statunitensi; inoltre, è stato il fondatore dell’importate fanzine americana Factsheet Five, una pubblicazione che si preoccupava di promuovere, recensire e catalogare le centinaia di fanzine che circolavano tra Stati Uniti e Regno Unito a partire dal 1982 e fino al 1988. 10 1.Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative dalla collaborazione di più soggetti, e le perzines, realizzate dal lavoro individuale di una singola persona. Le prime tendenzialmente hanno un aspetto più “professionale”: in molti casi sono strutturate come dei veri e propri magazine, contenenti sommario, editoriali, articoli, recensioni, e così via, e si occupano di molteplici argomenti che interessano i loro curatori in modo più generalista. I contenuti possono avere caratteri generali (fantascienza, fumetti, musica) o specifici (un determinato genere/stile o autore). Anche quando l’oggetto d’interesse è, per esempio, un singolo musicista, il soggetto viene sviluppato in modo coerente, riflettendo le logiche di tutti i collaboratori e non disdegnando un approccio critico molto approfondito. Precisamente, rientrano in questa categoria tutte le fanzine prodotte dai fanclub, i cui membri sono generalmente considerati privi del senso critico e delle competenze necessarie a giudicare in modo valido l’oggetto della loro passione. Le perzines, al contrario, sono stilisticamente meno convenzionali e spesso consistono nelle elucubrazioni di un singolo individuo su svariati o specifici argomenti, o su stralci della propria vita romanzati. In Italia esempi di perzines ce ne sono pochi e perlopiù vengono realizzate da ragazze3. Come già accennato, a livello di argomenti si può trovare di tutto, anche se potremmo distinguere tra fanzine che si occupano di attivismo politico (radicale, verde, di sinistra, etc. praticamente assenti nella nostra penisola), quelle che si concentrano su contenuti più prettamente culturali (musica, teatro, 3 Un esempio di fanzine con queste caratteristiche è Capelli Di Colore Indefinito, creata a Livorno da Martina Ceccarelli. 11 cinema, poesia, narrativa, fumetti, arte, etc.), fanzine che si occupano di sport4, e altre dedicate all’erotismo5. In questa ricerca pongo l’attenzione sulle fanzine che si rivolgono agli appassionati di musica, ed in particolare su quelle che sono state realizzate nel territorio italiano dalla fine degli anni novanta ad oggi. A mio modo di vedere, le fanzine musicali circolate in questo lasso di tempo potrebbero essere distinte in fanzine multitematiche e fanzine monotematiche. Nella prima categoria rientrano tutte quelle pubblicazioni che non si occupano esclusivamente di musica, ma affrontano al proprio interno anche altri argomenti (cinema, narrativa, ad esempio) anche se l’interesse predominante dei loro curatori resta la musica. Nella seconda categoria rientrano, invece, solo le fanzine che trattano prevalentemente contenuti relativi alla musica. Le fanzine monotematiche possono a loro volta essere distinte in: specializzate, cioè che si occupano di un determinato stile, di una determinata scena o di un singolo artista, e differenziate, cioè che affrontano la musica in svariate accezioni. La tassonomia che ho proposto è utile ad evidenziare l’enorme varietà di caratteristiche che si trovano all’interno di un genere apparentemente omogeneo come quello delle fanzine musicali. In questa ricerca ho cercato di diversificare il più possibile le fonti e i casi di studio, in particolare, tre dei casi da me analizzati con più attenzione rientrano ciascuno in una delle tre categorie che ho formulato. 4 In Italia sono rappresentate principalmente dalle fanzine calcistiche realizzate da alcune tifoserie. 5 Per quanto riguarda la mia esperienza personale non ho avuto modo di constatarne la diffusione e le caratteristiche. 12 1.Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative La fanzine Succo Acido, nata nel dicembre 2000 per opera del palermitano Marco Di Dia, è una fanzine multitematica differenziata. Anche se tra le sue pagine è dato ampio spazio alle recensioni di dischi o concerti ed alle interviste ai musicisti, essa si occupa considerevolmente anche di teatro e di arti visive. Viceversa Blow Up, nata a Camucia (AR) nel settembre 1995, ed oggi diventata una rivista di punta dell’editoria specializzata, si è sempre occupata principalmente di musica non concentrandosi su singoli generi o artisti, ma, al contrario, cercando di abbattere i confini che convenzionalmente etichettano determinati stili musicali. In questo senso rappresenta un emblematico esempio di fanzine monotematica differenziata. Infine, la fanzine Velvet Goldmine, nata nel gennaio del 1998 dalla collaborazione di due fan italiani di David Bowie, il ferrarese Stefano Nardini ed il padovano Stefano Pizzo, è una fanzine monotematica specializzata considerato il fatto che ha rivolto la propria attenzione esclusivamente sulla discografia e su ogni aspetto della carriera artistica del cantante britannico. 1.2 Metodologia Sinora ho cercato di spiegare cosa siano concretamente le fanzine, come provare a riconoscerle e a classificarle. Ma le fanzine sono anche qualcos’altro. Esse rappresentano modi unici di rapportarsi ai prodotti culturali di massa e modi particolari di negoziare la propria identità individuale e di gruppo. Questa ricerca si inserisce in quel filone di studi che si occupa delle cosiddette “sottoculture”, ed in particolare di quelle che si preoccupano di analizzare le comunità di fan, cioè quelle comunità organizzate di audience che vivono un rapporto interattivo con i prodotti culturali popolari. I fanzinari attuano delle 13 scelte pratiche che li distinguono da altri gruppi sociali, essi forgiano dei propri valori e dei propri contenuti che all’interno delle loro formazioni sociali rappresentano importanti indicatori di status e posizione. Uno degli obiettivi che mi sono prefissato è quello di capire e riconoscere queste pratiche, e di spiegare come funzionino e perché vengano attuate. Inoltre, in quanto reazioni ai tradizionali mezzi di informazione, le fanzine si presentano come esempi di comunicazione alternativa, per cui sarà necessario valutare un modello efficace di media alternativo e constatare se effettivamente le fanzine rientrerebbero all’interno di questa categoria. Il campo di indagine di questa ricerca è stato circoscritto alle fanzine musicali poiché si è ritenuto opportuno concentrare l’attenzione su un modello definito di fanzine, per evitare di fare facili generalizzazioni e per potere studiare con più competenza i casi specifici. La scelta è ricaduta sulle fanzine che si occupano di musica per due ragioni. In primo luogo perché è il tipo di pubblicazione amatoriale che conosco meglio: essendo da anni un appassionato di musica rock, mi sono trovato di frequente in contatto con individui che realizzano fanzine di questo tipo e ne ho, di conseguenza, lette parecchie. In secondo luogo, e cosa assai più importante, per un certo periodo sono stato collaboratore di una di queste. Ho avuto modo di osservare dall’interno i meccanismi che guidano le pratiche adottate dai fanzinari nel realizzare le loro testate. Li ho conosciuti personalmente, al di là del mero rapporto “professionale”, potendo capire quali 14 1.Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative fossero le loro motivazioni e i loro obiettivi; inoltre, ho constatato di persona quali fossero le difficoltà che essi incontrano nella loro attività e come vengono regolati i rapporti con altre organizzazioni (case discografiche, distributori, altre fanzine e così via). Le mie indagini sono state svolte attraverso due tipi di ricerche concomitanti. Essendo la bibliografia riguardante questo particolare tipo di iniziative editoriali piuttosto scarna, le maggior parte delle informazioni relative ai metodi ed alle pratiche del fare fanzine sono state raccolte attraverso il metodo etnografico. L’etnografia sociale non è una metodologia rigidamente definita, ma uno stile di ricerca e di analisi le cui origini sono rintracciabili negli studi sulle metropoli americane inaugurati dalla scuola di Chicago. Essa è la descrizione di un particolare mondo sociale in base ad una prospettiva non ovvia: comporta un atteggiamento partecipatorio alla realtà studiata che permette di descrivere le realtà sociali oggetto di studio in base a presupposti che ne illustrino aspetti poco evidenti. L’etnografo cerca di non accettare le definizioni di senso comune dei fenomeni sociali, al contrario tenta di problematizzare la distribuzione della legittimità tra i mondi sociali, portando alla luce le strutture morali e politiche da cui discende tale distribuzione. Alcune caratteristiche accomunano le principali forme di etnografia sociale, ma è impossibile formalizzarne la metodica. Essa è caratterizzata dal privilegio dell’osservazione diretta e della descrizione delle pratiche sociali sull’analisi semantico-strutturale. Questo significa problematizzare a partire dalle pratiche, cioè da ciò che gli attori fanno e dicono di fare nella loro esperienza quotidiana, i significati e le strutture dell’azione sociale. 15 Analizzare “dall’interno” determinate realtà significa entrare in un certo mondo sociale e provare a guardare ciò che avviene all’interno di esso mantenendo il più possibile un distacco scientifico. Il carattere esperienziale del lavoro etnografico, infatti, non si contrappone alla ricerca sociale tradizionale che si basa sull’analisi secondaria di dati, ma sottolinea che la prossimità apre nuove prospettive di verità. Benché basata su metodi empirici di osservazione e descrizione, presuppone uno “sguardo” né ingenuo né vincolato acriticamente all’evidenza dei dati. I metodi di osservazione e descrizione sono plurali in quanto dipendenti sia dalla soggettività del ricercatore sia dalle diverse condizioni di accesso ai mondi oggetto d’esame. La descrizione “dal vivo” rappresenta il fulcro della ricerca etnografica, ma possono essere legittimi altri metodi di analisi, come quella documentaria, le interviste, l’analisi di materiale audiovisivo o sonoro. In ogni caso la garanzia di imparzialità e oggettività che un etnografo può fornire del suo lavoro è la trasparenza delle procedure di analisi e delle motivazioni che lo hanno spinto ad adottarle. [cfr. Dal Lago e De Biasi 2002] Per questa ricerca sono stati intervistati cinque fanzinari, in particolare Stefano Isidoro Bianchi delle fanzine Blow Up, e Marco Di Dia della fanzine Succo Acido, attraverso dei colloqui faccia a faccia; Roberto Baldi della fanzine Baut e Michele Bisceglie della fanzine Oriental Beat, attraverso colloqui telefonici; Stefano Nardini di Velvet Goldmine per via e-mail. Queste le interviste vere e proprie, ma ci tengo a precisare che ho avuto modo di confrontarmi anche con altri fanzinari sia personalmente, che per via telefonica o telematica6. Oltre alle interviste, ho raccolto dati anche attraverso 6 In particolare ho interagito in più occasioni con Giulia Vallicelli della fanzine Punto-G, Fabio Settembrino di Tutti Morimmo A Stento, Albero Nucci di Arlequins, Daniele Pelliconi 16 1.Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative l’osservazione diretta delle fanzine in mio possesso e di quelle in circolazione durante il periodo della mia analisi. L’elenco delle pubblicazioni che hanno costituito il nucleo principale di questo studio, con relativi dettagli, è allegato in appendice. Mi rendo conto che l’indagine etnografica mal si sposa con l’interazione telematica, ma, purtroppo, in alcuni casi questo è stato il solo mezzo disponibile per mettermi in contatto con alcuni fanzinari; in particolare, Stefano di Velvet Goldmine mi ha concesso solo questa opportunità nonostante gli avessi chiesto un qualche tipo di interazione più complessa considerata la rilevanza della sua fanzine nell’ottica di questa ricerca. Altri fanzinari si sono persino rifiutati di interagire con il sottoscritto per evitare di essere oggetto di analisi sociologiche, e ciò ha inevitabilmente ostacolato le mie opportunità di documentazione. Credo comunque di avere accumulato nozioni e competenze sufficienti a supportare e argomentare adeguatamente la mie disquisizioni, anche considerato il secondo tipo di analisi da me effettuato, ovvero quello autoetnografico. Ho collaborato alla fanzine Succo Acido per circa un anno a partire dall’autunno 2001. Avevo trovato il numero zero della fanzine gratuita nella primavera del 2001 presso il Link di Bologna, un noto locale “alternativo” dove ascoltare musica rock e sperimentale. Mi piacque e decisi di spedire al direttore Marco Di Dia un mio articolo con l’intervista fatta ad una band che vive nel bolognese. L’esito della mia iniziativa fu positivo e Marco mi volle incontrare a casa sua a Palermo per conoscermi meglio, farmi vedere come lavorava e presentarmi altri membri della redazione. Da quel momento ho cominciato a scrivere recensioni per la fanzine, la distribuivo nel circuito di Bologna tra i di Music In Rags, Giulio Di Donna di Freak Out, Alessio Budetta e Gianni Avella di Succo Acido, Andrea Pintus di Baut e Giovanni Meli di Jammai. 17 locali potenzialmente frequentati da gente a cui la fanzine potesse interessare (negozi di dischi, locali, gallerie d’arte), e ho iniziato ad ottenere, seppure con qualche difficoltà, gli accrediti per vedere concerti e per intervistare musicisti. Spesso non agivo da solo, ma collaboravo a distanza o gomito a gomito con altri della redazione, in particolare Roberto Baldi anche lui studente qui a Bologna, che prima di collaborare a Succo Acido aveva fondato e diretto la fanzine Baut. Con queste persone sono rimasto in contatto anche dopo aver smesso definitivamente di apportare il mio contributo alla fanzine. Vorrei sottolineare che ho imparato con precisione quali fossero i problemi quotidiani con cui Marco, e il resto della redazione, si scontrava e continua a scontrarsi nel realizzare la sua pubblicazione. Problemi di natura economica e pratica, ma anche problemi di natura ideologica, corrispondenti ad una certa “etica” che guida il loro operato. Nelle periodiche riunioni del “Succo Acido creative team” i problemi tecnici erano quasi sempre subordinati a principi ideologici, anche una semplice decisione in merito alla pubblicazione o meno di una certa immagine era condizionata al “senso” che la nostra azione avrebbe avuto per i lettori e per gli altri fanzinari. Non si trattava unicamente di problemi di spazio, o di qualità di stampa, ma di cosa volessimo dire con la fanzine e a chi. In altre parole, anche la semplice azione di realizzare una fanzine va intesa come azione collettiva, poiché i fanzinari agiscono con un occhio rivolto alle reazioni dei lettori, degli altri fanzinari, e di altri editori, tenendo conto di come le loro azioni verranno valutate. Sarebbe sbagliato incorrere nel facile errore di considerare le fanzine come riviste approssimative, realizzate con poca cura e disattenzione. In verità, ogni loro aspetto rispecchia una precisa motivazione. Utilizzando le mie 18 1.Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative indagini e basandomi sulla mia esperienza, ho cercato di comprendere queste motivazioni, riconoscerle, e spiegarle. 1.3 Culture “alternative” e cultura “dominante” Il concetto stesso di “culture alternative” racchiude in se una ambiguità sconcertante: il termine “alternativo” si usa per indicare qualcosa anticonformista, controcorrente, che si differenzia fortemente o si oppone a qualcos’altro identificato come dominante. Ma come si fa a determinare esattamente cosa sia la cultura dominante? Un problema molto simile è quello che si è posto l’antropologo svedese Ulf Hannerz [1992] nel tentativo di ridimensionare la nozione di subcultura intesa come quel tipo di espressione culturale che si contrappone alla cultura “principale”. Il ricercatore sottolinea come il concetto di “subcultura”, ampiamente utilizzato tra gli studiosi di antropologia e sociologia, implichi una serie di conseguenze teoriche perlopiù ignorate dagli studi accademici che si sono occupati dei fenomeni sociali ad esso correlati. L’idea di subcultura suggerisce inevitabilmente la consapevolezza che questo tipo di espressione culturale sia un segmento di una cultura più ampia e in certo qual modo subordinata ad essa, o, ancora, che si tratta di qualcosa di ribelle nei confronti di una cultura intesa come dominante. Gli studiosi che si sono occupati di sottoculture hanno trascurato di identificare precisamente la cultura dominante e le relazioni che le sottoculture instaurano con essa. La cosiddetta “Scuola di Birmingham” si è concentrata sul carattere oppositivo delle culture giovanili anglosassoni nei confronti della cultura della classe media inglese, ma non si è soffermata sul carattere interattivo che queste 19 culture assumevano al loro interno e in relazione ad altre culture. Hannerz, infatti, evidenzia come le culture nascano gradualmente dalle interazioni reciproche di alcuni individui dalle esperienze comuni e dalle problematiche simili, e che in questa interazione siano in qualche misura isolati da altri individui. Una subcultura è da intendersi come un fenomeno collettivo che appartiene a particolari relazioni sociali o ad un insieme di relazioni, e riguarda ciò che nel flusso di significato all’interno di queste relazioni è peculiarmente in contrasto con il flusso di significato che è altrove nella stessa società. Gli aspetti subculturali sono “impigliati” in una cultura meno caratteristica del segmento sottoculturale, per cui gli individui sono coinvolti in una sottocultura attraverso un ruolo, o una combinazione di ruoli, dei propri repertori. L’isolamento delle sottoculture nei confronti della cultura più ampia in cui sono inserite è solo una questione di livello, poiché i soggetti che fanno parte di queste sottoculture sono parzialmente integrati nella sottocultura e parzialmente nella cultura dominante a seconda del coinvolgimento attuato dai vari ruoli nelle une e nelle altre situazioni. È quindi difficile tracciare dei confini subculturali precisi, poiché i significati che riguarderebbero la definizione del confine subculturale dovrebbero essere distribuiti in modo da essere presenti da un lato e assenti dall’altro con forme esplicite non ambigue. Inoltre ci può essere una differenza nella frequenza d’uso di questi significati più che un contrasto tra presenza e assenza, o una differenza nell’importanza che viene attribuita ai vari significati e alle loro forme esplicite. I confini subculturali sono quindi più disorganici che netti, tranne nei casi in cui le forme culturali sono intese come simboli di distinzione sociale [Bourdieu 1983], segnali di 20 1.Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative identità, nel cui caso la specificità di una categoria o l’appartenenza ad un gruppo non devono essere confuse. Ulf Hannerz definisce queste culture come “microculture”, cioè come parti più piccole di un insieme sociale più ampio dove vengono mantenuti significati e forme significanti particolari. Queste microculture si relazionano reciprocamente in vario modo, si incrociano in uno stesso individuo e si possono organizzare come “scatole cinesi”; alcune sono perlopiù rivolte verso il proprio interno, dove gli individui si preoccupano di trattare significati che circolano internamente al gruppo, altre si rivolgono verso l’esterno, dando luogo ad una riflessione critica su di un qualche Altro. Le controculture sono un esempio di questo tipo, esse sono caratterizzate da un forte orientamento all’esterno ponendosi come alternativa radicalmente opposta ad altri insiemi significanti, quelli della “cultura dominante”. [cfr. Hannerz 1992, p. 90-107] Le culture alternative possono essere intese, quindi, come un particolare tipo di microcultura che si contrappone criticamente ai flussi di significati più estesi all’interno di una società, identificati ed interpretati come dominanti. In quest’ottica il temine “alternativo/e” è utile perché ci consente di liberarci degli ingombranti prefissi “sub-” e “sotto-”, quando si fa riferimento a queste culture distinte, o distinguibili, da altre manifestazioni culturali. Tuttavia, anche questa espressione, come vedremo anche nel capitolo terzo, pone dei dubbi non facilmente risolvibili. Se da un lato, infatti, alcune formazioni sociali che vengono denominate in questo modo si pongono proprio come “alternativa” nei confronti di altre, e le logiche di distinzione che adottano coloro che ne fanno parte tendono a riconfermare questa separazione, è vero altresì che non necessariamente ciò avviene intenzionalmente, e persino quando queste distinzioni sono volontariamente ricercate non sempre ottengono 21 il loro scopo. In altri termini, l’idea di “culture alternative” ci è utile ad indicare l’insieme di identità sociali complesse e articolate che vivono un rapporto conflittuale con la cultura percepita ed etichettata come dominante, dalla quale a loro volta vengono etichettate in questi termini. Si tratta, in genere di gruppi di persone, sovente giovani, altamente riconoscibili, caratterizzati da particolari stili di vita e di consumo, che accetta questa etichetta e contribuisce a riprodurla. La mia ricerca si propone di analizzare il fenomeno delle fanzine, ed in particolare quello delle fanzine musicali, come un esempio di cultura alternativa: cercherò di evidenziare come le interazioni tra determinati soggetti, in qualche misura socialmente isolati, abbia generato dei particolari flussi di significato utili a plasmare delle forme culturali intese come simboli di distinzione sociale e come segnali di identità, opposti a quelli della cultura dominante, al punto tale da essere in grado di poterne delineare i confini sottoculturali. Per capire cosa sia interpretato come cultura dominante e in che modo la sottocultura di coloro che realizzano le fanzine tenda a contrapporvisi, ho fatto riferimento ai contributi teorici di Sarah Thornton [1998] e John Fiske [1992]. Entrambi questi sociologi hanno applicato la teoria dell’economia della cultura e delle logiche di distinzione sviluppata da Pierre Bourdieu [1983] a determinati gruppi sociali, evidenziando l’uso di peculiari pratiche distintive apertamente o implicitamente contrapposte ai modelli delle società in cui questi gruppi sono inseriti. Fiske sviluppa la metafora di Bourdieu secondo il quale la cultura potrebbe essere paragonata ad una economia in cui gli individui investono e accumulano capitale. Secondo questa immagine il sistema culturale 22 1.Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative funzionerebbe come un sistema economico nel distribuire le proprie risorse in modo diseguale, distinguendo tra soggetti privilegiati, cioè provvisti di maggiore capitale culturale, e svantaggiati. Questo sistema, inoltre, privilegia e promuove certe forme di capitale culturale, concretizzate nei gusti e nelle competenze di determinate classi sociali, attraverso i sistemi educativi e istituzioni culturali (come musei, accademie, etc.) che costituiscono la cosiddetta “cultura alta”. La nozione di “cultura popolare”, viceversa, è quel tipo di cultura che non riceve legittimità e supporto dalle istituzioni e dalla società. In questo senso, investire nell’educazione, nell’acquisire certe competenze e certi gusti culturali, permette di ottenere un profitto sociale in termini di prospettive di lavoro e di prestigio. Secondo J. Fiske, però, una delle debolezze del modello teorico di Bourdieu risiederebbe nel trascurare il valore della cultura popolare in termini di capitale potenziale. Il sociologo francese divide la cultura dominante in un certo numero di categorie in competizione, ognuna con le proprie caratteristiche distintive di gruppo, ma sempre all’interno delle borghesia. Tutto ciò, però, sottovaluta la creatività della cultura popolare a la sua capacità di determinare delle distinzioni tra le differenti formazioni sociali subordinate, esattamente come fa la cultura della classe dominante. Fiske parla di capitale culturale popolare come quella forma di capitale culturale prodotto al di fuori e spesso in opposizione al capitale culturale legittimo. In particolare egli evidenzia come i fan siano produttori attivi di questo tipo di capitale, e di come essi, all’interno delle loro formazioni sociali, riproducano istituzioni formali equivalenti a quelle della cultura ufficiale. I 23 fandom7 offrono a coloro che ne fanno parte modi per compensare la mancanza di capitale culturale legittimo e la possibilità di procurarsi prestigio sociale e autostima. È sulla stessa linea teorica la nozione di capitale sottoculturale introdotta da Sarah Thornton. Ella spiega come le formazioni sociali che vengono identificate nelle cosiddette sottoculture8 creino delle proprie forme di capitale culturale per distinguersi da altre formazioni sociali, in particolare quelle identificate con il “mainstream”, e per creare delle gerarchie di status al proprio interno. Il capitale sottoculturale è rappresentato sia dall’insieme di competenze, conoscenze, valori e convinzioni proprie di una determinata sottocultura, sia dalle forme concrete che questa sottocultura sfrutta come forme di capitale sottoculturale oggettivato (il taglio dei capelli, il modo di vestirsi, lo slang, le fanzine, ad esempio). In quest’ottica la dicotomia mainstream/sottocultura si relaziona alle pratiche attraverso cui le subculture valutano e affermano il proprio capitale sottoculturale. Coloro che realizzano fanzine, attraverso l’interazione reciproca, creano delle forme proprie di capitale sottoculturale, rappresentate dalle fanzine stesse e dalle pratiche messe in atto per realizzarle e distribuirle. Queste pratiche rispondono a delle logiche di distinzione il cui referente negativo principale è rappresentato dalla stampa specializzata di settore. Esse mirano a ottenere segni distintivi sia nei confronti di quella che viene avvertita come cultura dominante, sia all’interno delle loro formazioni sociali, i cosiddetti “fandom”. 7 Fandom, dall’inglese fan+kingdom; termine generale per indicare tutti coloro che si interessano in maniera costruttiva ad un genere particolare, ad un proprio ambito (fantascienza, fumetti, giallo, etc.). 8 La sociologa statunitense si è occupata in particolare delle sottoculture dei ravers anglosassoni. [Thornton 1998] 24 1.Introduzione: fan, fanzine, e culture alternative Attraverso l’analisi etnografica ed auto-etnografica ho ricavato i dati necessari a interpretare queste pratiche, e quali significati e forme significanti determinano i confini di queste particolari culture alternative. 25 2. Breve storia delle fanzine In questo capitolo saranno riassunte le origini e l’evoluzione che la fanzine ha vissuto da quando nacque in Nord America, negli anni trenta del novecento, per iniziativa di alcuni fanatici di fantascienza, sino alle sue più recenti manifestazioni, le cosiddette webzines o e-zines1. Ho tentato, inoltre, di evidenziare quali siano stati i cambiamenti storici, sociali e tecnici che hanno influito sulla nascita della stampa marginale di questo tipo e sulle sue trasformazioni. 2.1 Le origini della fanzine: pulp magazines e underground press La fanzine non ha un’origine definita, è il risultato di molteplici processi storici cui hanno partecipato vari individui, in modi e tempi diversi, 1 Alcune delle informazioni atte a fare la ricostruzione storica di questo medium sono state tratte, ove ciò non dovesse essere indicato, da numerosi articoli in lingua inglese pubblicati esclusivamente on-line; si rimanda alla bibliografia per una dettagliata visione dei suddetti. 2.Breve storia delle fanzine inconsapevoli del risultato cui sarebbero pervenuti. I fattori che hanno definito le basi per la nascita delle fanzine possono essere identificati in due tipi di cambiamenti. Innanzi tutto, la crescente opportunità di accesso a determinate tecnologie in grado di realizzare prodotti stampati di qualità dignitosa. In secondo luogo, la possibilità sempre maggiore, e sempre più immediata, di mettere in comunicazione individui con interessi simili ma distanti geograficamente. La natura del supporto fai-da-te, i primi argomenti trattati e il linguaggio specialistico, comprensibile solo agli iniziati di un determinato argomento, furono le caratteristiche peculiari dei primi fans magazines (riviste scritte da e per appassionati di fantascienza) nati sul finire degli anni venti, negli Stati Uniti. L’elemento ideologico di forte contrapposizione ai mezzi di comunicazione di massa e l’utilizzo di grafiche innovative, di un linguaggio privo di censure e non convenzionale, furono ereditati dai primi esempi di stampa controculturale, la cosiddetta “underground press” degli anni sessanta: una forma di stampa indipendente e battagliera, in aperta opposizione all’establishment politico e all’ideologia dominante del periodo, che col tempo ha ricevuto diffusione planetaria mescolando ideologie e interessi della cultura hippie (antimilitarismo, musica rock, grafica e fumetto, drug culture) [Baroni 1997]. Da un punto di vista meramente storico la prima pubblicazione intesa come fanzine fu The Comet, realizzata nel maggio del 1930 dallo Science Correspondence Club, la prima organizzazione di appassionati di fantascienza in USA. Questo club fu costituito dai lettori di una rivista pulp del periodo (nello specifico Amazing Stories; si trattava di un tipo di riviste antologiche a basso prezzo con racconti illustrati), conosciutisi attraverso la pagina della 27 corrispondenza pubblicata nello stesso periodico. Costoro cominciarono a scriversi reciprocamente e a mandarsi delle storie scritte e realizzate autonomamente, quindi, una volta organizzatisi, fecero un ulteriore passo in avanti realizzando una propria pubblicazione autoprodotta2. Il termine fanzine fu usato per la prima volta nel 1942 da Luis Russel Chauvenet, in riferimento ad uno stampato che egli stesso realizzava e che aveva queste caratteristiche [Fitch 2002]. I Pulp magazines erano produzioni rivolte principalmente ad adolescenti bianchi della classe media statunitense; la loro comparsa è da ricondurre all’esigenza di diffondere generi narrativi di intrattenimento generalmente ignorati, o snobbati, dalla critica ufficiale [ibidem]. Cosa più importane: svolgevano anche la funzione di collante per le comunità di fan geograficamente e socialmente distanti. Queste caratteristiche, vale a dire la legittimazione di attività culturali marginali e la formazione di comunità d’interesse, si troveranno in tutte le seguenti incarnazioni che la stampa amatoriale assumerà, e ne costituiranno una delle sue caratteristiche principali [Atton 2002]. In Italia i primi esempi di testate con queste caratteristiche furono: Baldo Digest e Futura. Della prima3 uscirono otto numeri a partire dal ’49; la 2 Duncombe [1997], Atton [2002], Jenkins [1992], e Fiske [1992] sono solo alcuni degli autori più attendibili che concordano con la ricostruzione storica che ho riportato. 3 Era un fascicolo realizzato da Sandro Sandrelli, composto di 50 pagine, contenenti racconti di fantascienza e satire sui personaggi che affollavano il lido di Venezia; veniva “stampato” in due sole copie, circolando in un ristretto circuito di amici [Mariani 1995]. 28 2.Breve storia delle fanzine seconda, nata nel 1957, è indicata come una delle più vecchie fanzine dedicate alla fantascienza rintracciate nella penisola [Umiliacchi 2001]. Nella seconda metà degli anni sessanta aumentano le fanzine riguardanti il mondo del fumetto, tra le prime in assoluto: Comics Club 104, realizzata nel 1965 dai milanesi Alfredo Castelli e Paolo Sala sotto forma di bollettino del loro omonimo club di appassionati di fumetto. In quel periodo queste pubblicazioni trovano timido sostegno da parte delle allora neonate riviste di settore dedicate al fumetto (Linus, Eureka), che seguono attentamente questa nuova realtà, e in alcuni casi gli concedono degli spazi per proporsi e comunicare all’esterno del circuito delle fanzine [Umiliacchi 2000]. Il filone delle fanzine fumettistiche è da sempre stato uno dei più fiorenti in Italia, almeno fino ai primi anni novanta, periodo di crisi per tutta l’editoria riguardante questa espressione artistica. Molte fanzine di questo tipo, come Il Fumetto (1971) o Fumo Di China (1978), si sono col tempo trasformate in rilevanti pubblicazioni ufficiali di settore. Le radici della cultura underground4 risalgono al secondo dopoguerra, ed in particolare la sua matrice culturale e politica va rintracciata nella beat generation, quella generazione di giovani che emulava con il proprio stile di vita quello trasandato e antiborghese degli scrittori beat: Jack Kerouac, William S. Burroughs, Allen Ginseberg, per citare i più noti. [Maffi 1972] 4 Il termine “underground” si diffuse nella prima metà degli anni sessanta negli Stati Uniti. Originariamente si riferiva ad un certo tipo di cinema e di riviste dalle connotazioni vagamente cospiratorie. Il termine venne esteso in seguito ad un panorama più vasto riferendosi ad una parte della sottocultura giovanile. [Maffi 1972] 29 La beat generation è all’origine di quel fare cultura contro e non per l’ordine costituito della cultura dominante: i beatnicks, che tra gli anni cinquanta e i primi sessanta stravolgono le proprie vite fra droghe, alcool, musica jazz, readings di poesia, e relazioni sessuali libere, costituirono a poco un poco un fenomeno sociale che divenne fenomeno di massa negli anni Sessanta con gli Hippies. Sesso Droga e Rock’n Roll non sono soltanto una scelta individuale ma un vero e proprio programma di vita, un’esperienza di liberazione. Il giornalismo underground era solo un aspetto della rivoluzione culturale in atto, certa grafica agiva in perfetta sintonia con le culture acidrock, beatnik, hippie, che condividevano ideali e stili di vita. [Hollstein 1971; Maffi 1972] L’underground era per il giovane americano disilluso e deluso dalla politica, una possibile soluzione. Le culture orientali ispirarono la povertà opposta alla ricchezza capitalistica, la purezza dell’“uomo naturale”, cioè non civilizzato, opposta alla chiusura e alla frustrazione dell’uomo civilizzato. La cultura underground erode l’aura dell’artista come genio a sé stante della tradizione occidentale, e rivaluta il ruolo dell’uomo comune la cui creatività non è compromessa dalla ricerca di profitto. Inoltre, si univano a questo istanze di rivoluzione culturale, di rinnovamento sociale, e di anarchismo, associate ad una sfiducia totale per la politica tradizionale e per le istituzioni in genere. In campo culturale l’underground ebbe l’importante funzione di scuotere una situazione cristallizzata. In quanto fenomeno antiborghese, anche se di matrice piccolo borghese, con il suo categorico rifiuto dell’accademismo e dell’istituzionalizzazione, spronava l’individuo comune a produrre e creare proprie espressioni artistiche. Abbatté ogni settorialismo, dando origine a forme 30 2.Breve storia delle fanzine d’arte in cui era essenziale la partecipazione del pubblico, sottraendo le audience alla passività di spettatori. [Maffi 1972] È anche in questo senso che l’underground press va intesa come progenitrice delle fanzine: vengono abolite le specializzazioni e chiunque può improvvisarsi critico o giornalista. I giornali e le riviste underground (tra cui Oz e IT nel Regno Unito, Village Voice e Rat negli USA) dell’esperienza furono il post-beat, primo prodotto contribuendo a consolidare il senso di gruppo della cultura underground, essendone contemporaneamente espressione ed uno dei materiali coesivi. Gli argomenti trattati erano dei più disparati (la liberazione dei tabù sessuali, il cinema, la droga, la politica, la situazione scolastica, etc.), ma la direzione comune di tutte queste riviste stava nella contrapposizione alla presunta manipolazione dell’informazione attuata dai mass media del sistema, non solo riguardo ai contenuti, ma anche in relazione allo stile e alle soluzioni grafiche. Nel 1966 furono addirittura create due agenzie di stampa underground nordamericane, l’Underground Press Syndacate e il Liberation News Service. Questa stampa non si limitava a divulgare notizie ignorate o distorte dagli altri media, ma cercava di rompere gli schemi del giornalismo tradizionale attraverso un linguaggio e una grafica poliedrici e innovativi oltre che provocatori; sfruttando le tecniche della produzione di massa e ispirandosi alle libertà introdotte dai periodici dadaisti e alle riviste delle avanguardie storiche. [ibidem] 31 Tutte queste innovazioni, di contenuti e di forma, erano quindi il risultato dei cambiamenti sociali che caratterizzarono l’epoca storica a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Seppure con un po’ di ritardo, la stampa controculturale è approdata anche in Italia, dove nacquero numerose riviste di questo tipo (Fallo!, Re Nudo, Get Ready, Puzz, tra le altre.) e una piccola casa editrice romana ancora oggi attiva: Stampa Alternativa5. Ovviamente comunicazione anche underground la storia è della strettamente connessa all’evoluzione dei sistemi di stampa. Negli anni ’60 non esistevano tecnologie di stampa economiche e casalinghe come quella delle fotocopiatrici; veniva usato, perlopiù, il ciclostile, con evidenti limiti pratici ed estetici, ma le riviste underground più rappresentative erano stampate normalmente in tipografia. Per differenziarle dalle riviste ordinarie si ricorreva a svariati espedienti creativi, sovrapponendo testi e immagini, realizzando impaginazioni libere e sorprendenti, tali da comprometterne, in alcuni casi, la chiara lettura. [Baroni 1997] 5 Stampa Alternativa nasce come rivista e come casa editrice nel 1969 per opera del romano Marcello Baraghini, il quale trae ispirazione dalla Underground Press inglese e americana, per rispondere alle domande di materiali, informazioni e servizi su tematiche antiautoritarie di grandi strati della popolazione giovanile italiani. Nel 1976 centinaia di denunce e procedimenti e due condanne definitive costringono Stampa Alternativa a chiudere. Nel 1980 riprendono le attività come casa editrice, senza perdere l' identità controculturale e antiautoritaria. 32 2.Breve storia delle fanzine 2.2 Le fanzine musicali La prima fanzine a occuparsi di musica fu Crawdaddy, realizzata nel ’66 da Paul Williams, il quale, avendo collaborato durante la sua adolescenza a delle fanzine di fantascienza, decise di crearne una di sua iniziativa sulla musica rock. Quando nacque Crawdaddy non esistevano ancora riviste specializzate6, ed inoltre la musica rock, considerata un genere per giovani scapestrati, non veniva presa abbastanza seriamente dalle testate che si occupavano di musica o spettacolo. Per questa ragione Williams decise di realizzare da solo una pubblicazione atta a compensare la mancanza di informazioni che circondava questo stile musicale. Ad ogni modo,di lì a poco Crawdaddy smise di essere pubblicata, soppiantata da ben più professionali riviste di settore. Sarà solo con l’aumento spropositato di proposte musicali conseguenti all’esplosione del movimento punk7 che le fanzine torneranno a svolgere un’indispensabile lavoro di informazione, e selezione dell’informazione, che la stampa ufficiale non sarà, inizialmente, in grado di gestire. Com’è noto, infatti, a partire da metà anni settanta, in seguito all’avvento delle etichette indipendenti, il mercato della musica popolare crebbe esponenzialmente, arricchendosi di molteplici nuovi generi. Il consumatore di musica rock aveva, 6 Rolling Stone e Creem, le due più famose riviste di musica rock statunitensi, nacquero rispettivamente nel 1967 e nel 1968. 7 Il punk […] si accompagnò al processo di emancipazione dell' industria discografica dal mondo delle "majors". Nacquero migliaia di etichette discografiche indipendenti, che producevano e promuovevano artisti alternativi, e presto l' intera scena musicale sarà divisa in due tronconi: il rock commerciale (quello di Elvis Presley e dei Beatles) e il rock alternativo (quello di Zappa e Grateful Dead). Il Punk in sé era un tipo di rock veloce, rumoroso. Cfr. Piero Scaruffi Storia della musica rock - Arcana 1990. 33 di conseguenza, bisogno di nuove fonti di informazione che riducessero la complessità del mercato e dell’offerta musicale. Nel 1976 nasce una nuova generazione di riviste autoprodotte, realmente fatte in casa: le fanzine che accompagnano la musica punk. È in questo periodo che il termine “fanzine” entra nell’uso corrente, designando quella forma di giornalismo musicale spontaneo, iconoclasta e fai-da-te, che prendeva ispirazione proprio dall’etica do-it-yourself che aveva innescato questo stile giovanile. L‘etica punk mostrava che chiunque poteva fare “arte” o “informazione” da solo, senza alcun riguardo per la professionalità. Grazie soprattutto alla diffusione delle fotocopiatrici, un individuo qualsiasi, servendosi esclusivamente di colla, forbici e di una macchina da scrivere, poteva realizzare una rivista contenente recensioni e informazioni su tutti quei gruppi sotterranei che non trovavano abbastanza visibilità nei canali di informazione tradizionali. La prima e più famosa punkzine8 fu Sniffin’ Glue realizzata interamente dal disoccupato londinese Mark Perry, a partire dall’estate del 19769. Per la distribuzione Perry si appoggiava a varie etichette di musica indipendenti, in particolare la celebre Rough Trade; inoltre, a differenza della stampa musicale ufficiale, egli elogiava o stroncava senza scrupoli i gruppi punk del momento, che aveva modo di seguire da vicino. Da una parte, promuoveva la tipica 8 Prodotto relativo all’ambito punk (musica, tendenze, ideologie…); è rivolto specificatamente a fruitori che fanno parte di tale scena. 9 In realtà, poco prima, nasceva a New York l’effimera fanzine Punk, creata da John Holmstrom, “Legs” McNeil e Ged Dunne, tre studenti della School of Visual Arts, che faceva la cronaca, strutturata in forma di fumetto, della scena gravitante intorno al famoso locale CBGB’s. Essa però è considerata più una comic ‘zine (cioè una fanzine di fumetti) che una punkzine [Friedman 1999]. 34 2.Breve storia delle fanzine estetica fatta di grezzi collages, linguaggio proletario e immagini provocatorie, associata a tale movimento musicale; dall’altra incoraggiava la sua stessa condotta, incitando i lettori a realizzare la propria fanzine o a formare la propria band. [Baroni 1992]. Gli ingredienti alla base di una punkzine erano: recensioni di concerti o di dischi e cassette, anche di gruppi emergenti o di album autoprodotti, declamazioni varie (inni all’anarchia), lettere dei lettori, e una certa dose di pesanti dichiarazioni sinistrorse/libertarie/anarchiche messe accanto a collage formati da banali fotografie pubblicitarie e immaginario tabù. In poche parole, l’assalto visuale proprio della musica punk veniva riproposto dalla “stampa” punk [Perkins 1992]. Nel giro di un anno (1977), le fanzine punk si moltiplicarono a dismisura (Jolt, Hangin’ Around, Ripped & Torn, etc.) fino a produrre una situazione di saturazione e conseguente omologazione del fenomeno. Contemporaneamente, però, questa forma di editoria marginale ha continuato a proliferare affrontando realtà differenti (new wave, ska, etc. cioè tutti i vari nuovi sottogeneri del rock diffusisi a partire dalla fine degli anni settanta) o cominciando ad occuparsi di musica in modo più trasversale: vale a dire non fossilizzandosi su un genere o un singolo artista, ma attuando un approccio critico più globale, iniziando, in alcuni casi, ad occuparsi anche di narrativa o cinema10. Inoltre, nacquero anche delle fanzine che rispolveravano generi ormai passati di moda (mod, progressive). In questo senso si evidenzia ancora una volta una delle funzioni principali delle fanzine, ossia quella di fornire informazioni che la stampa 10 In America tuttavia le fanzine musicali sono generalmente rimaste legate alla musica punk o alla sue derivazioni [Stoneman 2001]. 35 ufficiale trascura (o perché un genere è troppo nuovo, o perché è ormai demodé). Negli anni ’80 c’è stato un diffuso riflusso, accompagnato a quello che ha caratterizzato il movimento musicale, diventato fuori moda e soppiantato da altri generi musicali (disco-pop, elettronica). La stampa amatoriale ha perso molte caratteristiche militanti rendendosi spesso indistinguibile dalla stampa “overground”. Uno degli esempi più rilevanti da questo punto di vista è Maximum Rock and Roll, una fanzine ancora esistente e parecchio stabile, che ormai viene distribuita dalla Tower Records, una catena di negozi di dischi indipendente che lavora negli Stati Uniti e in Inghilterra e che vende più di 500 fanzines diverse nei propri punti vendita, con la conseguente visibilità e diffusione [Duncombe 1997]. La situazione italiana prese spunto da quella anglosassone, anche se con un po’ di ritardo. Non a caso le prime fanzine italiane si occuparono principalmente di punk: Punkadelic veniva realizzata a Milano ed era costituita principalmente di materiale tradotto da riviste anglosassoni. A differenze dell’Inghilterra, da noi è (ed era) impossibile vendere una pubblicazione senza autorizzazione da parte dei tribunali regionali; ciò ha spesso ostacolato la diffusione del fenomeno fanzine anche se molte pubblicazioni risolvevano il problema dichiarandosi supplemento di qualche 36 2.Breve storia delle fanzine giornale o radio privata. Altre milanesi furono: Dudu, Xerox e Bootleg; a Torino c’era Sewer e a Bologna Coca Scola, che non si occupava solo di musica, e Red Ronnie’s Bazar [Alferj e Mazzone 1979]. A partire dagli anni ottanta nacquero le prime fanzine hardcore (un’evoluzione estrema del genere punk: Teste Vuote Ossa Rotte, Straight Edge, la bolognese Sottocultura), metal, (Thanathography), dark e progressive (Arlequins), cioè di tutti quei sottogeneri del rock che difficilmente trovavano adeguata pubblicità nei periodici specializzati, perché nuovi, di nicchia o passati di moda. [Paternoster 1996]. Secondo uno studio di Gianluca Umiliacchi e Michele Mordente [1998], risulterebbe che in Italia tra il 1977 e 1997 furono prodotte almeno 551 fanzine (è chiaramente impossibile fare un censimento esatto di questo tipo di pubblicazione), circa metà delle quali hanno cessato di esistere nel frattempo. Lo stesso Umiliacchi si preoccupa attualmente di gestire l’Archivio Nazionale Fanzine Italiane situato a Savio (Ra), il cui bollettino aggiorna sulla situazione fanzinare presente nella penisola. Risulterebbe così che nel territorio nazionale sono diffuse approssimativamente 190 fanzine, di cui il 45% è costituito da fanzine musicali. Bisogna tenere presente, tuttavia, che la maggior parte di queste pubblicazioni non va al di là della distribuzione locale; nella mia ricerca 37 ho potuto constatare che il numero di fanzine distribuite su tutto il territorio e estremamente esiguo (una ventina di titoli circa). Pur essendo stato, dal punto di vista cronologico, uno degli ultimi argomenti trattati diffusamente dalle fanzine, quello musicale è sicuramente il più longevo e stabile. Grazie alla loro distribuzione tra centri sociali, negozi di dischi, concerti e manifestazioni musicali, le fanzine che si occupano di musica rappresentano il settore dell’editoria marginale più fiorente e diffuso. Esse si sono indissolubilmente legate a determinati stili di vita giovanili (punk, mods, indierockers, ad esempio), costituendo spesso un elemento fondamentale di distinzione sottoculturale [Thornton 1998]. Inoltre, è anche il settore che ha visto negli ultimi anni una maggiore propensione alla professionalizzazione del prodotto; ciò ha permesso ad alcune fanzine come Maximum Rock and Roll o Succo Acido di essere stampate in migliaia di copie e di essere distribuite al di fuori dei rispettivi confini nazionali. 2.3 Dalla fanzine alla webzine La diffusione del word processor, dei sofisticati programmi di grafica e impaginazione e di internet, hanno prodotto una piccola rivoluzione nel mondo dell’editoria indipendente. Quelle fanzine che una volta si differenziavano a prima vista dalle riviste ufficiali sono oggi realizzate con tecniche che le rende per molti versi indistinguibili dalla stampa ufficiale, la quale peraltro ha ereditato parecchi elementi da questo tipo di pubblicazione, in termini di aspetto e grafica; per questo motivo, alcune di queste testate non vengono più considerate delle fanzine, ma semplici free magazines. Solo il modo di elaborare il contenuto e l’uso di una linguaggio privo di censure continuano a 38 2.Breve storia delle fanzine rifiutare un certo grado di “professionalità”. D’altro canto, internet ha consentito a una serie di micro-pubblicazioni di nicchia di abbattere completamente i costi di produzione e ottenere una visibilità che per le fanzine fino a qualche anno fa era semplicemente utopica. Così, mentre alcune fanzines tendono a istituzionalizzarsi (si veda ad esempio Blow Up) registrando il loro marchio, e distribuendosi in edicola, diventando dei magazine di settore a tutti gli effetti, le nuove tecnologie sempre più a basso costo ed i personal computer introdotti su un mercato a larga scala, permettono a chiunque di improvvisarsi direttori di minitestate, senza dover ricorrere alle spese di tipografia. Nel mezzo restano pubblicazioni che realizzano sia il formato cartaceo sia quello elettronico, oppure pubblicazioni legate nostalgicamente al modo tradizionale di intendere la fanzine. Come sempre, i primi a sperimentare i benefici della rete sono, per ovvi motivi, gli americani. Factsheet Five è la prima fanzine che nel 1991 decide di uscire in edicola solo sporadicamente e in un’edizione ridotta, trasformandosi in rivista elettronica consultabile via internet. I vantaggi sono enormi: gli articoli e le informazioni reperibili sono assai più numerosi e necessitano solo di periodici aggiornamenti, mentre la distribuzione è virtualmente illimitata [Stoneman 2001]. Quel che più è sorprendente è l’interattività che si viene a creare tra scrittori e lettori anche se lontanissimi tra loro. Come tutto il resto anche le webzines arrivano in Europa e in Italia con qualche anno di ritardo. I fanzinari italiani appaiono ancora fedeli alla carta stampata che rimane sempre il principale punto di riferimento, e per molto tempo non prendono seriamente in considerazione il fatto di andare in rete. In un articolo del 1996, pubblicato sul n°56 della rivista di musica Rumore, Alberto Campo illustrava il panorama attuale delle fanzines italiane: nelle prospettive future internet non 39 viene affatto nominata e si prevede un futuro ancora fatto di carta. È con il boom del numero di abbonamenti ad internet che la situazione cambia sensibilmente. Molte testate adottano un indirizzo di posta elettronica e un indirizzo internet sul quale gli abbonati (e non) possono entrare in contatto diretto con la redazione, possono avere anticipazioni sui prossimi numeri, possono consultare articoli e materiale di vario genere relativi alle passate edizioni. Inizialmente la rete è solo un complemento per la testata cartacea, ma dopo un po’ di tempo cominciano a svilupparsi delle webzine autonome, non legate ad alcuna iniziativa editoriale tradizionale. Le prime esperienze di fanzine elettroniche sono semplici file di testo distribuiti via e-mail. E'solo con l' arrivo della possibilità di gestire riviste personali sul più raffinato schermo del World Wide Web che le webzine hanno cominciato a moltiplicarsi a dismisura. Chiunque ne abbia tempo e voglia può creare, con poca spesa ed elementari nozioni di informatica, la propria e-zine. la Rete accomuna gli appassionati sparsi nel mondo, che in questo modo si arricchiscono l’uno del sapere dell’altro. Si può, quindi, affermare che le vecchie fanzines in bianco e nero, redatte con tecniche “casalinghe” trovano legittima eredità in quei siti anch’essi casalinghi dove si possono trovare l’intervista di un gruppo sconosciuto e i relativi link con cui potersi mettere in contatto, le date dei concerti, le classifiche personali, il guest book, le critiche e tutto ciò che la creatività consente11. Le “nicchie” che si vengono a creare non sono più vincolate da limiti spaziali e si può essere aggiornati anche abitando in zone lontane dai centri dove i movimenti nascono e inizialmente si diffondono. 11 Gli elementi caratteristici dettagliatamente nel cap. V 40 che contraddistinguono le webzine verranno esaminati più 2.Breve storia delle fanzine Tuttavia, oggi ci sono ormai troppe webzines e si assomigliano un po' tutte. In questa babele informatica divenuta impossibile una ragionata cernita personale, l' unica alternativa rimane quella di affidarsi comunque al giudizio altrui, alle segnalazioni dell' amata/odiata stampa cartacea, ai pochi nomi consolidati di cui si è letto o sentito parlare. Esistono in effetti alcuni siti per aiutare nella ricerca delle e-zine12, ma sempre più ardua appare la ricerca di quelle pagine appassionate e rivelatrici che erano le fanzine tradizionali. Se lo schema evolutivo delle e-zine dovesse replicare l' esplosione/implosione delle fanzine su carta, sarebbe facile pronosticare un prossimo collasso, ma avendo azzerato i costi di stampa e distribuzione, è più probabile che le piccole webzine, create da una o poche persone, resisteranno fintanto che i loro autori non avranno esaurito slancio e motivazione. 12 Si tratta di portali che elencano gli indirizzi di varie e-zine, catalogate per contenuti o argomenti di interesse; alcuni esempi possono essere: http://www.supersphere.com/Zinetropa, o http://www.zinebook.com/ per il mondo anglosassone; per le webzines italiane esiste invece http://www.ipse.com/webzit/webzit.html, con le stesse caratteristiche. 41 3. Fanzine come medium alternativo Non possiamo limitarci a considerare “alternativi” gli esempi di stampa controculturale dell’underground press di fine anni sessanta (né la sua propaggine di fine anni settanta, le punkzine), poiché essa ha a sua volta origine nelle riviste delle avanguardie storiche dadaiste e futuriste [Baroni 1992]. D’altronde la pratica di una stampa marginale e clandestina, fortemente critica nei confronti del potere dominante, si è sviluppata molto probabilmente fin dai tempi di Gutenberg: potrebbero essere considerati alternativi anche i Vangeli apocrifi o i libelli delle sette religiose medioevali, per non parlare dei vari pamphlets o dei giornali di agitazione politica che si sono succeduti con il procedere della nostra civiltà [Atton 2002]. Chris Atton propone di ricavare un senso unico per il termine “alternativo” che faccia riferimento alla volontà di dar voce a coloro che i tradizionali sistemi di produzione culturale ignorano o marginalizzano; suggerisce che potremmo considerare questo tipo di produzione come “una 3.Fanzine come medium alternativo foucaultiana rivolta delle conoscenze soggiogate”1: i media alternativi rappresentano la possibilità per alcuni soggetti sociali di comunicare e presentare se stessi laddove attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali ciò non gli è consentito. Se il termine “radical” incoraggia una definizione che ha a che fare principalmente con l’idea di cambiamento sociale, spesso rivoluzionario, ed include delle spiccate implicazioni politiche2, il termine “alternative” ha un’applicazione più generale. I costumi e le pratiche all’interno degli alternative media sembrano consigliare l’uso del secondo termine. La sua forza del sta nel fatto che include magazines su stili di vita, fanzine, e stampa amatoriale di vario tipo, la cui componente politica è meno evidente ma che rappresentano comunque un modo diverso di fare informazione o controinformazione. 3.1 Media Alternativi Il modello di medium alternativo proposto da Atton è rapportato principalmente ai metodi attraverso cui questo tipo di media è organizzato, all’interno di determinati contesti socio-culturali; non sono i contenuti a fare di un medium un alternative media, ma è il modo di produrre informazioni e contenuti, costruito sui valori di un gruppo socialmente ai margini, e basato 1 Chris Atton Alternative Media ; Sage 2002, pag.9 2 Nel libro Radical Media, rebellious communication and social movements [Sage 2001] John Downing considera come forme di comunicazione radicale tutte quelle che abbiano degli espliciti contenuti politici, in particolare quelle legate ai movimenti sociali (social movements). Atton fa riferimento a questa nozione di radical media nel preferire il termine “alternative” per parlare di mezzi di comunicazione come le fanzine. 43 sulle loro interpretazioni dei fatti, che sfida la prevalente gerarchia d’accesso ai canali mediatici. Lo scopo è, quindi, consentire l’accesso al sistema informativo da parte di tali gruppi alle condizioni e nei termini dei gruppi stessi. Essi provvedono alla circolazione di informazioni che i canali tradizionali non coprono o mistificano, e sono maggiormente interessati alla circolazione delle idee che al profitto. Questi media, adottando metodi di produzione e distribuzione differenti dagli standard dei mezzi di comunicazione di massa, si collocano all’interno del sistema di produzione dell’informazione come alternativa. L’idea cui giunge Atton si rifà a due nozioni simili di media alternativi. La prima è quella proposta da Tim O’Sullivan, secondo cui lo scopo principale di questi mezzi di comunicazione sarebbe il cambiamento sociale, nel senso che essi agirebbero per ottenere un critico riassestamento dei valori tradizionali attraverso la presentazione e divulgazione di tematiche socialmente rilevanti (drug culture, liberazione sessuale, etc.); inoltre questi media sarebbero caratterizzati da un democratico e collettivo processo di produzione, e da una commistione di innovazioni e sperimentazioni sia nella forma sia nell' argomento da essi trattato. Questa concezione non tiene conto esclusivamente del contenuto, ma anche delle procedure di presentazione e organizzazione di questi mezzi di comunicazione [cfr. Atton 2002]. Secondo Michael Traber i cambiamenti promossi dai media alternativi mirano ad una società più egalitaria, economicamente e culturalmente, in cui l’individuo non è ridotto ad oggetto, ma è in grado di realizzarsi come essere umano. Egli evidenzia che le convenzioni dei mass media pongono ai margini il ruolo dell’uomo comune all’interno del sistema informativo, tenuto in considerazione solo come possibile commentatore per determinati fatti (vedi la 44 3.Fanzine come medium alternativo cosiddetta vox populi), e mai come autore o protagonista dell’informazione; al contrario, i media alternativi adottano delle convenzioni differenti. Traber li divide in due categorie: advocacy media, cioè media che adottano diversi valori/notizia relativi al tipo di informazione proposta, più vicini a quelli dell’individuo medio, e che introducono come principali soggetti dei loro contenuti differenti attori sociali, cioè presi tra la gente comune; e grassroots media, ossia media prodotti dagli stessi soggetti di cui parlano, e per cui parlano. Ciò non precluderebbe l’uso eventuale di una certa professionalità (professional skills), ma consentirebbe comunque all’individuo ordinario di produrre il proprio contenuto, a prescindere dalla sue effettive competenze. L’autore afferma che quando la produzione mediatica è in mano alla gente qualunque, il tipo di informazione e il modo in cui questa è presentata sono più rilevanti, più funzionali e più appropriati per le comunità in cui queste informazioni sono prodotte e distribuite. In altre parole i grassroots media della nozione di Traber hanno il loro nucleo costitutivo nei principi di “possibilità di accesso” e “modello partecipatorio” relativi ai sistemi di produzione dell’informazione. Nel primo caso si intende il fatto che chiunque ha la possibilità di produrre informazione ed avere accesso ai mezzi ed ai canali necessari per farlo, a prescindere dalle sue competenze specifiche. Nel secondo caso si intende che questi media non sono rigidamente gerarchizzati e che nei processi produttivi vengono coinvolte attivamente le audience. Questi media sono inoltre caratterizzati da una spiccata indipendenza dal mercato; da una sentita indipendenza editoriale, politica e/o da altre organizzazioni; e da una forte spinta/stimolo proveniente dalle specifiche comunità di interesse in cui i mezzi di comunicazione in questione circolano [cfr. Atton 2002]. 45 È importante evidenziare che non è esclusivamente il contenuto di un testo a mettere in luce la sua natura radicale, ma la sua posizione nei confronti del sistema di produzione; come modello partecipatorio di produzione culturale, gli alternative media non ottengono cambiamenti sociali solo invocandoli, ma li innescano attraverso i loro stessi metodi di produzione che sono posizionati chiaramente rispetto a quelli dominanti. Per Duncombe [1997] persino il semplice atto individuale di diventare un fanzinaro è una trasformazione sociale, a prescindere dal successo ottenuto dalla fanzine stessa. Anche nel suo lavoro sulle fanzine statunitensi, infatti, il ricercatore americano sottolinea che non è il contenuto a posizionare in termini di alternativo/non alternativo una fanzine, poiché esso spesso non ha alcuna natura radicale, politicamente o socialmente. La radicalità va allora cercata nei metodi produttivi che contraddistinguono questo tipo di mezzo di comunicazione. Sono tre le caratteristiche che distinguerebbero la produzione di fanzine dai tradizionali mass media, e che esemplificano la loro posizione radicale/alternativa all’interno del sistema di produzione dell’informazione: A) I fanzinari sono non-professionisti; nella stragrande maggioranza dei casi chi realizza fanzine non è un giornalista, né ha mai lavorato con i mezzi di informazione ortodossi; B) Il prodotto è realizzato in povertà e senza scopi di lucro; il fanzinaro non ha intenzione di trarre profitto dalla propria pubblicazione, quello che spinge a realizzare una fanzine è una passione; quindi, le fanzine sono perlopiù realizzate con mezzi di fortuna e in estrema economia; 46 3.Fanzine come medium alternativo C) La distinzione tra produttore e consumatore è sfumata. Non a caso la comunicazione tra realizzatori di fanzine e lettori è orizzontale e precede, spesso, il sorgere di un network/comunità. In molti casi, anzi, lo scopo per cui una fanzine viene creata è proprio quello di mettere in contatto individui dagli interessi simili. La radicalità si trova, quindi, nei production values e nei cultural values che guidano e organizzano le pratiche di produzione di questi media [Duncombe 1997]. Le caratteristiche che Stephen Duncombe attribuisce alle fanzine ci farebbero considerare questo peculiare mezzo di comunicazione uno dei grassroots media teorizzati da Michael Traber. Come processo di comunicazione situato all’interno di formazioni sottoculturali, gli alternative media privilegiano il coinvolgimento della propria audience. Piuttosto che limitarsi a fornire delle semplici piattaforme per dei punti di vista alternativi, essi coinvolgono il proprio pubblico nella creazione e distribuzione del prodotto stesso; una cosa completamente assente nei media tradizionali. Il modello di comunicazione relativo agli alternative media proposto da Atton fa i conti con i cambiamenti che tutto ciò comporta: 1) Le relazioni sociali tra emittente e ricevente si trasformano, passando da verticali a orizzontali. 2) Il mezzo stesso, contemporaneamente, subisce dei cambiamenti (graficamente, nei metodi di distribuzione, nel linguaggio adoperato) per adattarsi al contesto in cui verrà fruito. 47 3) I ruoli non sono più distinti e le responsabilità produttive sono molto meno rigide, le nozioni di competenza, professionalità ed esperienza vengono riconvertite secondo i casi. 4) I canali di distribuzione sfruttano luoghi e tecniche appartenenti a gruppi e comunità normalmente non sfruttate dai tradizionali mezzi di comunicazione. 5) La nozione di proprietà intellettuale subisce un adattamento alle condizioni in cui i radical media operano. Ognuno di questi aspetti rappresenta una dimensione in base alla quale può essere più o meno stimato il grado di “radicalità” di un mezzo di comunicazione. 3.2 Fanzine come alternative media Nel caso delle fanzine lo scrittore è anche editore di se stesso, sovente è anche grafico e distributore. Nelle fanzine realizzate collettivamente questi compiti vengono ricoperti in tempi diversi da individui diversi: c’è sia una convergenza sia una sovrapposizione dei ruoli produttivi. S. Duncombe [1997] parla di ansia da controllo, riferendosi al fatto che le pratiche produttive di una fanzine vengono supervisionate passo per passo dai suo autori, in modo da poterne garantire l’autenticità e 48 3.Fanzine come medium alternativo salvaguardarne l’indipendenza, intese come l’assenza di condizionamenti editoriali, politici o istituzionali, nella produzione dello stampato. Questa questione del controllo si riverbera anche su altri aspetti della realizzazione delle fanzine, soprattutto la distribuzione: mentre la maggior parte degli editori cerca di ottenere più visibilità e lettori possibili, i fanzinari preferiscono, in genere, adottare un profilo più basso3 purché possano continuare a mantenere il controllo totale sulla loro pubblicazione (contenuti, forma, persino sulla propria utenza). Anche il contesto in cui un messaggio viene ricevuto ricopre un’importanza basilare; leggere fanzine significa cercarle in un delimitato ambiente4, entrare in contatto con determinate persone, con cui potere condividere passioni ed interessi laddove nella stampa commerciale basta recarsi in edicola. Questa differenza è fondamentale poiché in questo modo chi cerca e legge fanzine inevitabilmente comincia a sentirsi parte, più o meno attivamente, di un mondo nascosto e carbonaro; viceversa il lettore sarebbe solo parte del pubblico di consumo di massa indistinto. Il lettore è anche coinvolto nei processi produttivi della fanzine: da una parte viene espressamente incitato alla collaborazione5, completando il rapporto di orizzontalità caratteristico dei media alternativi; dall’altra parte, e più 3 A tal proposito si veda il capitolo VI relativo alle caratteristiche tecniche delle fanzine, in particolare i sistemi di distribuzione. 4 I circuiti in cui circolano le fanzine sono circuiti di interesse specifici in cui è difficile inserirsi se non si condivide l’interesse di quel determinato circuito. 5 In fanzine come Hopes Of Harmony o Tutti Morimmo A Stento si invitano esplicitamente i lettori a inviare proprio materiale da pubblicare e a collaborare alla stesura della fanzine; nell’editoriale del primo numero di Velvet Goldmine si legge: “[…] tutti possono scriverci, mandarci idee, contribuire, fare recensioni. Tutto (nell’ambito dello spazio) sarà pubblicato”. 49 frequentemente, i lettori si trasformano essi stessi in distributori della fanzine6. Nella copertina della fanzine Tutti Morimmo A Stento, una fanzine fotocopiata, è presente la dicitura “fotocopia e diffondi!”. Nell’editoriale del numero uno di Nobody’s Land si scrive “ogni collaborazione è ben accetta, anzi è assolutamente necessaria alla sopravvivenza di questa ‘terra di nessuno’.” La grafica ed il linguaggio adottati da questi media rispecchiano le sottoculture in cui circolano, per esempio la grafica cut and paste tipica del movimento punk e gli slang giovanili, che costituivano le caratteristiche essenziali delle punkzine. Il potenziale rivoluzionario non è quindi presente nei contenuti (lo è di rado se si considerano le fanzine musicali, i cui argomenti sono perlopiù i medesimi di quelli della stampa di settore), ma nel modo di trasformare i tradizionali ruoli dei processi produttivi. Rifiutando l’idea di una popolazione atomizzata e suddivisa strumentalmente in target di consumo, le fanzine realizzano networks e forgiano comunità attorno diversi interessi e diverse identità7. Definendo se stessi in opposizione ad una idea di società basata sul consumo passivo8, i fanzinari privilegiano l’etica Do It Yourself: “produci la tua cultura e smetti di consumare quella che è stata prodotta per te” [Duncombe 1997, pag.2]. 6 Appena cominciai a collaborare a Succo Acido, dopo aver mandato qualche articolo a Marco di Dia, mi vennero spedite un centinaio di copie da distribuire a Bologna, nei locali e nei posti che reputavo potessero essere frequentati da gente che condivideva i miei stessi gusti musicali. 7 Vedi capitolo seguente. 8 I fanzinari costruiscono la propria identità sottoculturale in opposizione a quella cultura che viene percepita come dominante, servendosi di quelle che Bourdieu definiva delle logiche di distinzione [1983]; a tal proposito vedi il capitolo seguente, in particolare il concetto di identità negativa suggerito da S. Duncombe [1997] e il capito VII, sulle logiche di distinzione. 50 3.Fanzine come medium alternativo Scrivendo recensioni, intervistando gruppi, o commentando le varie scene musicali, coloro che realizzano una fanzine prendono un prodotto impacchettato e venduto come un qualsiasi prodotto di consumo di massa e se ne appropriano. Piuttosto che dipendere da altre riviste che parlano di musica, i fanzinari creano la propria, riaffermando il diritto di poter parlare di ciò che amano e producendo essi stessi, quindi, la loro cultura e i loro beni di consumo. Infatti, Henry Jenkins [1992], proseguendo una linea teorica tracciata da Michel De Certeau [2001], parla proprio di “bracconaggio” in riferimento alla pratica dei fan di impadronirsi e rielaborare secondo le proprie esigenze i testi della cultura popolare9. Le fanzine propongono un modo di agire nel mondo che opera con regole diverse e che si basa su valori differenti rispetto a quelli del sistema capitalista. Il loro è un modo innovativo di rispondere a determinate esigenze sui consumi culturali: laddove normalmente i prodotti culturali vengono fruiti passivamente, i fanzinari interagiscono con i beni che vogliono consumare ben oltre i limiti tradizionali del rapporto di consumo. Oltre a ciò le fanzine permettono di fornire un banco di presentazione ai suoi autori e alla loro (sotto)cultura: le punkzine permisero di conoscere una musica largamente ignorata, consentirono di sfatare alcuni miti sui punk; facevano controinformazione, e rappresentano quindi un modello di resistenza ai media tradizionali e alle loro presunte distorsioni della realtà10. 9 Questo aspetto verrà trattato nel capitolo V. 10 Nel libro Dai Club AI Rave [Feltrinelli 1998], Sarah Thornton spiega come nel mondo dei clubbers anglosassoni, le forme di comunicazione sottoculturale, in particolare le fanzine, vengano sfruttate per contrastare il cosiddetto panico morale generato dai mass media nei confronti della cultura dei rave. 51 Tutto questo suggerisce un atteggiamento nuovo nei confronti dei rapporti di produzione poiché il potenziale rivoluzionario di un lavoro non risiede nella sua posizione critica nei confronti delle oppressive condizioni di produzione capitaliste, ma nelle sue relazioni in confronto e all’interno di esse. Nel caso delle fanzine è proprio la loro posizione all’interno del sistema di produzione che costituisce la componente essenziale delle loro politiche. In una società dove i prodotti culturali sono sempre più standardizzati, i fanzinari realizzano giornali amatoriali11. Creano stampati scadenti e virtualmente riproducibili all’infinito, opponendosi all’estetica (e all’etica) feticistica e commerciale dei prodotti di massa. Erodendo i confini tra produttore e consumatore sfidano la dicotomia tra creatore attivo e spettatore passivo che caratterizza il nostro sistema di produzione culturale. 3.3 Alternative? Nel caso delle fanzine il messaggio politico non è esplicito, ma è rappresentato dalla forma esteriore che la fanzine assume; le fanzine sono un emblematico caso in cui il medium è il messaggio [Mc Luhan], non si limitano fornire informazioni da interpretare ma anche un modello partecipatorio di produzione della cultura da emulare. Si riceve un messaggio, e uno di questi sprona a produrne di propri. Questo è ciò che nella visione di S. Duncombe ha delle implicazioni radicali. Tuttavia lo stesso studioso americano pone dei dubbi sulla reale efficacia di questo modello di produzione mediatica. Infatti, in 11 Duncombe li definisce degli “amateurs” [1997, pag.14] 52 3.Fanzine come medium alternativo termini meramente politici, il risultato ottenuto da questo tipo di media alternativo è ben poco. I radical media andrebbero intesi come espressioni di quella che Antonio Gramsci definiva “cultura contro-egemonica”, vale a dire una cultura nata dal dissenso nei confronti della cultura dominante (borghese), atta a fornire una visione del mondo alternativa, utile ad ottenere quei cambiamenti sociali che le culture egemonizzate necessitano per la propria affermazione. [cfr. Atton 2002; Duncombe 1997] Non a caso le nozioni di media radicale postulate da O’Sullivan e da Traber e riformulate da Chris Atton, in particolare i grassroots media cui le fanzine apparterrebbero, pongono come uno degli elementi costitutivi il tentativo di ottenere un riassestamento sociale in favore delle classi subordinate, almeno nell’accesso ai mezzi di produzione culturale. Di fatto, però, nel caso delle fanzine musicali, lo status quo che caratterizza il mondo dell’editoria musicale viene riconfermato se non addirittura cementato. Gli universi dei fanzinari consentono a coloro che ne fanno parte di intraprendere una critica alla società di massa e di costruire dei modelli autonomi di comunicazione e di comunità, ma tutto ciò rimane saldamente circoscritto all’interno del loro mondo; così la cultura fanzinara, in un certo senso, “sublima” la contestazione che si potrebbe tradurre in cambiamenti sociali effettivi. Per quanto le fanzine appaiano in aperta 53 contrapposizione al modo tradizionale di fare informazione, sono, invece, perfettamente inserite all’interno del nostro sistema di produzione culturale, come vedremo oltre, e svolgono definiti ruoli nella catena di produzione mediatica che sono del tutto incastrati in quelli della cosiddetta industria culturale. [Hirsch 1972; cfr. Griswold 1997] Questa interpretazione dei fatti è confermata da alcuni elementi che contraddistinguono le pratiche del fare fanzine, come ad esempio la constatazione che le fanzine di successo si trasformino il più delle volte in riviste specializzate di settore12, mentre quelle meno seguite siano destinate a scomparire. Il fatto non trascurabile per cui una parte dei giornalisti che si occupano di musica ha compiuto gavetta nelle fanzine13, chi più chi meno, conferma una certa sintonia con il fare informazione in senso ortodosso, piuttosto che fare contro-informazione. Inoltre, come sarà spiegato in dettaglio nel corso di questa ricerca, anche le fanzine che continuano a rimanere ai margini della produzione culturale sono inglobate all’interno del sistema dell’industria culturale14. Sebbene il tentativo di ottenere dei cambiamenti nel modo di produrre informazione e nel modo di rapportarsi con specifici beni culturali sia innegabile, si deve prendere atto che questo tentativo è destinato al fallimento prima ancora di nascere, poiché ha origine all’interno degli stessi sistemi cui si contrappone in alterativa, ed in più è funzionale ad essi, come si vedrà nel capitolo 12 seguente. Caso significativo: Blow Up. 13 Persino il noto giornalista/personaggio televisivo Red Ronnie ha cominciato realizzando una propria fanzine! 14 Vedi Cap. IV. 54 4. Chi realizza una fanzine, e perché Storicamente la fanzine nasce per rispondere a due necessità: mettere in contatto reciproco gli appassionati di un determinato settore dei consumi culturali (fantascienza, musica o altro) e divulgare informazioni e contenuti, relativi a questo settore, generalmente trascurati dai mezzi di comunicazione di massa. In questo capitolo verrà analizzata la seconda di queste motivazioni, mentre l’aspetto comunitario che contraddistingue alcuni network di fanzine sarà l’oggetto di analisi del capitolo seguente. Prima di iniziare in questa disanima, però, è bene cercare di stilare un profilo di chi siano coloro che realizzano le fanzine, i cosiddetti “fanzinari”. 4.1 Il fanzinaro Secondo Stephen Duncombe [1997] le fanzine sarebbero “un paradiso per gli sfigati (misfits)”1, una soluzione per quegli individui che vorrebbero 1 Duncombe 1997 pag. 17; li definisce anche losers, perdenti. Nel gergo giovanile il termine “sfigato” sta per: perdente, persona di scarso successo. comunicare ma che hanno difficoltà a farlo direttamente; un modo per interagire con altri, per rompere il ghiaccio e istaurare dei rapporti che la timidezza impedisce di innescare. Duncombe definisce questi soggetti come dei perdenti consapevoli (self-conscious losers): in una società che celebra i “vincitori”, il successo, e la bellezza, i fanzinari si trovano ad essere alienati poiché ad essi mancano la prestanza fisica e quelle capacità di estroversione che li farebbero sentire integrati tra i loro coetanei. Essi rifiutano i valori di salute, potere, e prestigio attribuiti ai “vincitori” dalla nostra società e ne creano di propri, legittimando la loro condizione di perdenti. Mostrano di eccellere in qualcosa di diverso rispetto ai tradizionali criteri di “successo”, e rifiutano il perbenismo e la “normalità” promossi dai media popolari. Ehi! Ehi voi! Oh-oh! Niente eh? VOOOI! Fate e farete sempre finta di non sentire vero? Sto dicendo a voi che mi state etichettando come un idiota; voi che guardate chi mi sta intorno e gli attaccate le stesse etichette che riuscite a leggere nei miei capelli […] voi che avete bisogno che l’ennesima etichetta, quella degli abiti, vi dica chi siete. Voi che vi arrogate il diritto di giudicare tutto e tutti, compreso me; voi che predicate il rispetto per gli altri e poi non potete fare a meno di sputarmi in faccia il fumo delle vostre maledette cicche americane; voi che in questo momento non potete leggere ciò che ho scritto perché la fanzine ve l’ha provata ad appioppare uno che con quei venti centesimi chissà cosa si farà. […] Chi siete voi? Cosa avete più o meno di me? Se ci tenete potete fermarmi per strada ed insultarmi, lo apprezzerei molto di più delle vostre risatine e dei vostri occhi che mi si attaccano alla base del collo fino quando raggiungo la mia “cricca”[…]. [vi chiedo] scusa per avervi disturbato (o almeno 56 4.Chi realizza una fanzine, e perché averci provato), tornerò adesso alla mia ricca solitudine assieme ai pochi altri dementi solitari che supportano la mia filosofia2. In effetti, il brano citato conferma il quadro piuttosto pessimistico tracciato da S. Duncombe. L’autore dell’editoriale citato sembra reagire con rabbia nei confronti del disprezzo per la propria “diversità” dimostrato dalla società in cui si trova a vivere e interagire (la fanzine è di Potenza)3. Nella visione del sociologo statunitense i fanzinari cercano di elaborare un proprio modo di essere in opposizione al resto della società, da cui si sentono esclusi e a cui non vogliono adeguarsi. ciò genererebbe il paradosso dell’identità negativa: questi soggetti costruiscono la propria identità come forme di resistenza a quelle della cultura dominante. Questo sarebbe all’origine del sentito uso di pratiche distintive [Bourdieu 1983] nella realizzazione delle fanzine stesse, che gli permettano di negare i valori della società tradizionali e di costituirne di nuovi, più adatti alle loro condizioni4. Duncombe [1997] attribuisce alle fanzine la capacità di consentire ad un individuo, anche se per poco tempo, di fuggire dall’identità in cui è nato e che lo fa sentire infelice; gli permetterebbe di essere qualcun altro, mettendo assieme i suoi interessi e i pezzi della propria vita, in una formula che 2 Tratto dall’editoriale del numero 6 di Tutti Morimmo A Stento. 3 Ho provato a mettermi in contatto con questo fanzinaro, per potere discutere approfonditamente di questi aspetti, ma quando egli ha capito che non “ero del giro” (mi aveva chiesto di organizzargli un concerto per la sua band qui a Bologna e se conoscevo altri gruppi di queste parti con cui è in contatto), non mi ha concesso alcuna intervista Probabilmente biasimava il mio tentativo di capire la sua realtà, nella convinzione che, essendone apparentemente estraneo, non avrei potuto condividerla e comprenderla. 4 Su questo punto si veda il capitolo VI sulle logiche di distinzione. 57 rappresenti chi egli sia veramente. Lo studioso americano parla di manifactured self, di identità fai-da-te, riferendosi al fatto che chi realizza uno stampato amatoriale mette molta parte della propria soggettività in questo processo, filtrando gli aspetti del proprio io che non accetta ed enfatizzando il lato di se stesso che preferisce mostrare agli altri. È una valvola di sfogo ed è un modo di rappresentarsi al mondo per come si vuole essere visti. Il fatto che la fanzine sia letta da individui simili, per attitudini o carattere, fa percepire di essere accettati da almeno una parte della società. Widdicombe e Wooffitt [1995; pag. 26] pongono la questiona sotto una luce differente. Essi evidenziano il fatto che le sottoculture non sono necessariamente dei gruppi cui un soggetto aderisce e all’interno del quale interagisce con altri elementi. In molti casi queste formazioni sociali rappresentano solo un gruppo di riferimento al quale un individuo desidera o crede di appartenere allo scopo di delineare quella che gli autori definiscono una identità individuale, cioè creata e vissuta dall’individuo isolatamente. In questo senso alcuni fanzinari si sentirebbero appartenenti alla categoria sebbene non abbiano particolari scambi con altri creatori di fanzine. Eppure, studiando il caso delle fanzine musicali prodotte nel territorio italiano, si evince che il più delle volte esse servono implicitamente a creare dei contatti interpersonali tra esseri umani drammaticamente isolati, più che per la creazione di vere e proprie identità fai-da-te, o individuali. Il creatore della fanzine Blow Up, Stefano Bianchi, racconta: “[…] io ero totalmente e irrimediabilmente solo. Anche questo è il desiderio, il bisogno, di scrivere. Io vivevo tra una festa dell’unità e una casa del popolo… l’hai visto il primo di Benigni? […] la fanzine mi ha 58 4.Chi realizza una fanzine, e perché fatto entrare in contatto con una marea di altre persone, molto spesso isolate come me, perché è questo il punto: il fanzinaro, voglio dire… il ragazzo che sta dentro Milano o dentro Roma e che c’ha il suo gruppo di amici è difficile che faccia una fanzine. La fanzine il più delle volte, e io questo l’ho scoperto, è fatta da ragazzi soli. Soli come me, capito? Soli, o che hanno piccoli gruppi che comunque sono soli all’interno di una comunità più grande.” Lo scopo di instaurare dei rapporti con altre persone è implicito, nel senso che nessun fanzinaro ha mai ammesso apertamente una cosa del genere. Il brano dell’intervista fatta al direttore di Blow Up fa riferimento alla sua giovinezza ma Bianchi non ha mai detto chiaramente che la fanzine è stata fatta per conoscere altra gente. Allo stesso modo, consultati, spronati tutti gli dichiaravano da ideali di altri di fanzinari essere stati comunicazione alternativa o dalla passione per un certo contenuto; eppure ognuno di questi ha confermato che il risultato più bello che avessero raggiunto con il proprio stampato era l’aver conosciuto gente interessante e affine a loro. Tra tutte le fanzine di musica esaminate, la più esplicita da questo punto di vista è Hopes Of Harmony, realizzata da un giovane milanese, che nell’editoriale del primo numero scrive: “[…] sento il bisogno di scrivere dei pensieri su carta che altrimenti molto spesso terrei ingabbiati vuoi per timidezza vuoi per scarsa propensione a comunicare con il 59 prossimo. In effetti non sono un buon ‘animale sociale’. Una cosa che ho sempre ‘invidiato’ a chi ha un gruppo musicale o una ‘zine è il fatto di poter scrivere e comunicare i propri pensieri agli altri. Quindi voglio fare anche io questo tentativo […]” Le identità fai-da-te sono più una caratteristica delle cosiddette perzines5; Duncombe fa proprio riferimento a quel tipo di editoria marginale quando espone questo concetto. La fanzine di musica, invece, stimola e innesca delle interazioni tra soggetti isolati in un processo che non prevede una vera e propria costruzione dell’identità nei termini sopra indicati. I tipi di socialità che il medium fanzine consente di mettere in pratica saranno discussi più avanti, prima bisognerà fare il punto sulle caratteristiche demografiche rinvenute tra i fanzinari contattati/conosciuti e su quali siano i valori cardine che guidano le loro scelte editoriali. Se a prima vista il mondo dei fanzinari è piuttosto multiforme ed eterogeneo, in realtà coloro che ne fanno parte appartengono a specifici gruppi sociali, a seconda del tipo di fandom in cui sono inseriti. Quelli legati ai movimenti punk (Tutti Morimmo A Stento; Oriental Beat; Music In Rags) sono di norma più giovani rispetto a coloro che si occupano di musica in modo più generico (come Freak Out, Jammai), frequentano i centri sociali, hanno un gruppo di amici punk come loro, e non di rado sono essi stessi dei musicisti. In 5 Le perzines sono le fanzine personali, una sorta di diario pubblico del fanzinaro, in cui gli è concesso di scrivere qualsiasi cosa gli passi per la mente e di rappresentare se stesso nei modi che reputa più congeniali. Per una tassonomia delle fanzine vedi l’introduzione. 60 4.Chi realizza una fanzine, e perché questi casi la fanzine si inserisce all’interno di formazioni sociali già formate e tendenzialmente omogenee. Colui che produce una fanzine di musica dal taglio meno settoriale e più critico, generalmente comincia a realizzare il proprio stampato intorno ai trent’anni; è di classe media e con un livello di istruzione superiore (vedi Jammai; Succo Acido; Blow Up; Freak Out). Spesso sono studenti leggermente in ritardo con gli studi. Tutti si interessano a varie forme d’espressione artistica (musica, cinema, teatro); la passione oggetto della propria fanzine è il loro interesse principale. Per quanto riguarda la diffusione geografica, vengono create indifferentemente al nord e al sud; Succo Acido viene fatta a Palermo, Blow Up è creata a Camucia, in provincia di Arezzo; a Imola c’è Music In Rags e a Potenza Tutti Morimmo A Stento; a Milano Oriental Beat a Napoli Freak Out; a Torino Non Ce N’è e a Pescara Itself. C’è sicuramente una propensione per le grandi città, che offrono probabilmente maggiore occasioni di incontrare collaboratori, e un più alto numero di spazi per la loro realizzazione e diffusione, come centri sociali, università o locali per la musica dal vivo6. 6 Nel ’98 la casa editrice Stampa Alternativa ha pubblicato un lavoro di G. Umiliacchi e M. Mordente intitolato Poveri ma liberi – catalogo delle fanzine italiane 1977-1997. I due autori spiegano nell’introduzione che è pressoché impossibile arrivare ad un risultato completo vista l’elevata difficoltà di reperire informazioni riguardanti questo sottobosco editoriale. La loro ricerca ha comunque portato al censimento di 551 fanzine sorte in Italia tra il 1977 e il 1998. Lo stesso Umiliacchi, oltre a fornire una bibliografia personale riguardante l’editoria fanzinara, e oltre ad essere il promotore del sito www.fanzineitaliane.it, e il promotore di incontri, convegni e mostre espositive sull’argomento, è soprattutto l’artefice dell’Archivio Nazionale Fanzine Italiane, iniziativa volta a rintracciare, catalogare e conservare tutta la produzione fanzinara nostrana; un archivio che attualmente comprende circa 3.000 pezzi di oltre 500 testate realizzate dai primi anni ’70 fino ad oggi. Le informazioni statistiche riguardanti le fanzine musicali prodotte nella nostra penisola negli ultimi anni fanno riferimento ai dati forniti dalla pubblicazione sopra citata e dall’ANFI, 61 Chi scrive su una fanzine di musica e prende l’iniziativa di realizzarla, di norma è maschio. In alcuni casi le donne collaborano alla stesura della testata. Si possono riscontrare delle differenze di stile nell’affrontare gli argomenti trattati in relazione al genere: gli uomini hanno sempre un atteggiamento più competente, le donne sembrano prendersi meno sul serio; Per esempio Monia De Laurentis, la curatrice di Itself ha dichiarato: “[…] una gran parte di donne coinvolte in attività generalmente maschili, una volta superati certi blocchi mentali e culturali, si vergogna molto di meno di mostrare come realmente è. […] finita la dimostrazione che si può fare come o meglio di un uomo, la donna è generalmente molto più libera da certi clichés, la donna può fare una fanzine divertente e un po'cretina senza vergognarsene, semplicemente perché lo vuole fare. L' uomo non accetterebbe mai di apparire un po'cretino, anche se sarebbe senz' altro più spontaneo e divertente. Le fanzine di donne sono molto più ingenue, delicate, simpatiche, intime, giocose, umane in altre parole. Gli uomini, in genere, sono più attenti a far vedere come sono bravi a giudicare un disco o a far vedere quanti dischi hanno, a dire che il gruppo X ha fatto un singolo triplo numerato su vinile giallo etc., mentre la donna ti può sollazzare con la foto del suo gatto, con considerazioni naive sulle tette di PJ Harvey o sui giocattoli preferiti da Otomo Yoshihide”7. Queste differenze di stile possono essere chiarite paragonando due recensioni, entrambe apparse sul numero sei di Itself: che si trova a Savio – Ravenna, oltre che alla consultazione diretta delle fanzine musicali prese in esame per questa ricerca e all’indagine etnografica stessa. 7 Brano tratto da una intervista fatta da Fabio Battistetti per la fanzine La Mini a Monia De Laurentis, la realizzatrice della fanzine Itself. L’intera intervista è stata in seguito riproposta interamente sul numero 6 della stessa fanzine Itself. 62 4.Chi realizza una fanzine, e perché MALVA - Demotape live 96. Un sorriso per la copertina troooopppppo carina con allegata anche una bustina di malva (avranno pensato prima alla copertina o al nome del gruppo?), ma purtroppo il lavoro non è altrettanto simpatico (!); è impensabile che questi ragazzi non si rendano conto di quanto siano risentite queste cose. Insomma, molto melodico ma energetico, di un incazzato all’acqua di rosa e sequenza di accordi protopunk che ormai li fanno pure allo Zecchino d’Oro. (Monia) [Itself n°6, pag. 77] CUT – Trouble/desire. Cut sono un gruppo di Bologna: tre chitarre, basso, batteria, e voce solista femminile. Massimo Mosca di Three Second Kiss, che li ha prodotti, (sembra in modo casalingo, complimenti!) li ha definiti piuttosto rock and roll. Effettivamente nei primi due pezzi, come anche nei due “Psycho” il paragone che subito mi viene in mente è con i Supersuckers; in “Thorns” c’è forse un’influenza della scuola Dischord, mentre “Huge pet” e “Highlights & glory” potevano essere b-side di un singolo dei Bis. […] l’ultimo pezzo ha delle dissonanze piuttosto “soniche”. Il tutto comunque suona molto più omogeneo di quel che può sembrare sulla carta; anche la scrittura dei pezzi sembra discreta. (Fabio Bonucci) [Itself n°6, pag. 74] La donna vive più serenamente il rapporto con la scrittura, cercando di trarne maggiori soddisfazioni possibili, in termini di divertimento e intrattenimento; l’uomo tende a dimostrare di essere estremamente competente su determinati argomenti, e capace di svolgere una attività critica non dissimile da quella proposta dalla stampa ufficiale. Cercare di avere riconosciute delle 63 competenze, anche se inconsapevolmente, è una maniera per ribadire le proprie capacità; è un modo per dimostrare di non essere dei perdenti. In questo modo si ammettono indirettamente i criteri di valutazione oggettivi, adottati dalla società da cui ci si vuole distinguere. Se il fanzinaro vuole apparire altrettanto competente del giornalista professionista, nonostante adotti delle pratiche che per altri versi segnino la distanza dal giornalismo professionale stesso, vuol dire che egli accetta e adotta gli stessi criteri di legittimità adottati dalla stampa ufficiale in relazione al contenuto di uno stampato; cambia l’oggetto di questo contenuto, nel nostro caso si tratta di bands che autoproducono i propri dischi e che non hanno ancora riconosciti meriti artistici, cambia il modo di presentarlo, attraverso una fanzine e non una rivista di settore, ma non il modo di giudicarlo. I fanzinari sono degli autodidatti8 che scandagliano la musica underground, occupandosi di artisti che la stampa di settore considera marginali, o che non considera affatto artisti; cercano di evidenziarne il valore e misurarne la caratura artistica, ma con gli stessi criteri della stampa che essi stessi contestano. Tutto ciò, però, deve avvenire in modo tale che il fanzinaro, attraverso le pratiche distintive che saranno chiarite nell’ultimo capitolo, possa 8 In La Distinzione [Bologna ; Il mulino, 1983], Pierre Bourdieu parla di autodidatti riferendosi a quegli individui che avendo un rapporto con la cultura legittima malripagato e disilluso, fanno degli investimenti in termini di capitale culturale che li collocano in campi diversi rispetto a quelli della cultura legittima: arti in via di legittimazione, disdegnate o trascurate dalla cultura ufficiale, che offrono un rifugio e una possibilità di rivincita a coloro che, appropriandosene, fanno l’investimento migliore del loro capitale culturale negli stessi termini con cui investirebbero nella cultura legittima, pur dandosi le arie di contestare la gerarchia costituita delle legittimità. Di fatto, però, non si può sfuggire da questa gerarchia, poiché il senso e il valore di un bene culturale variano in relazione alla gerarchia stessa in cui sono inevitabilmente inseriti. Riguardo ai fan come autodidatti si veda anche Fiske [1992]. 64 4.Chi realizza una fanzine, e perché sentire come esclusivi i metodi e i contenuti che egli affronta nelle proprie pubblicazioni. 4.2 Rapporti con la stampa “ufficiale” Il rapporto con il mondo della carta stampata legittima è piuttosto controverso. I fanzinari mostrano una certa insofferenza nei confronti dei giornalisti professionisti, che ai loro occhi sono colpevoli di un irrimediabile conflitto di interessi: essere pagati per parlare di musica. Per una fan, il binomio arte/commercio è profondamente sbagliato, in quanto l’oggetto di una passione, che viene di norma percepito come arte o comunque come qualcosa di enorme valore non riducibile alla logica dei prezzi9, non deve assolutamente diventare una fonte di guadagno o di reddito perché finirebbe con l’essere svilito dal denaro. La stampa musicale convenzionale è guardata come l’estensione mediatica dell’industria culturale della musica; ciò ha delle forti connotazioni negative, perché è considerata semplicemente come uno strumento di marketing. Di frequente vengono fatte lampanti accuse rivolte ai giornalisti professionisti di essere venduti alle etichette discografiche che comprano pagine intere di pubblicità all’interno di questi magazine. Ad esempio, una 9 Secondo la teoria critica di Marx tutte le merci, compresi i beni culturali, hanno un valore di scambio (rappresentato dal prezzo) che cristallizza la situazione di dominio tipica delle società capitalistiche in favore dei produttori e a sfavore dei consumatori, nascondendo il valore effettivo della merce stessa. Il processo di mercificazione tende a omogeneizzare tutti i beni a prescindere dal valore che il consumatore individualmente attribuisce a determinati prodotti. Criticando la logica mercificante adottata dalle riviste di musica, riguardo a particolari beni di consumo culturale, come i dischi o i concerti, i fanzinari ribadiscono la loro autonomia e individualità di consumatori, cercando di non ridurre l’oggetto dei loro interessi alla dimensione di merce. [cfr. Sassatelli 2004] 65 delle denunce più diffuse rivolte ai giornalisti di settore è quella di copiare i “soffietti” delle stesse case discografiche per le recensioni. In questi casi scrivere di musica e guadagnare dal farlo è visto come una scomoda mancanza di coerenza. Il fanzinaro sottolinea il più possibile, attraverso le pratiche che adotta nel realizzare la propria fanzine, che ciò che lo spinge a pubblicare uno stampato è la passione, l’amore per un determinato contenuto o semplicemente per la comunicazione, mai alcun interesse di natura economica o di prestigio. Per questa ragione, uno dei principi cardine che guida l’operato dei fanzinari è l’idea di “indipendenza” intesa come l’assenza di condizionamenti, editoriali o economici, da parte di case discografiche, sponsor o istituzioni. Un altro elemento fortemente criticato della stampa commerciale è la mancanza di trasparenza nella creazione del prodotto. La creazione di una rivista comporta una serie di passaggi nascosti al lettore (forme di introito e sovvenzionamento, rapporti con le case discografiche e con i musicisti) che invece nelle fanzine sono resi più semplici e trasparenti. Da qui quella che Duncombe chiama ansia da controllo di cui si è discusso nel capitolo terzo. La “professionalità” di certe riviste, come l’uso di carta lucida o del colore, è intesa come la prova che si viene retribuiti per scrivere di musica, e non perché si abbia un particolare interesse per l’argomento: ne consegue la possibilità che gli articoli possano essere manipolati per rispondere a determinate esigenze economico/commerciali dell’eventuale magazine. “Le riviste patinate sono completamente controllate dai soldi e dalle vendite, il contenuto è secondario” sostiene Roberto di Baut. In questo senso il fanzinaro indica nelle abilità professionali qualcosa di superfluo e scomodo di cui egli non ha bisogno. Piuttosto che somigliare ai 66 4.Chi realizza una fanzine, e perché patinati magazine da edicola cercherà allora di distinguersene, adottando, per esempio, grafiche e materiali poveri e completamente differenti da quelli adoperati dalla stampa di settore, per ribadire il totale disinteresse alla voglia di guadagnare per mezzo della propria passione. L’etichetta di “professionale” [Becker 1997] adoperata dai fanzinari per distinguersi dalla stampa ufficiale, cioè dalla stampa a sua volta etichettata come “ufficiale”, mostra come l’uso di un termine problematico come appunto quello di “professionale” sia utilizzato da alcuni agenti sociali, in questo caso i fanzinari, per costruire delle identità e per attribuirsi un certo status. Il concetto sociologico di “professione” è un folk-concept. Si tratta, cioè, di un concetto di uso comune attraverso cui le persone organizzano la propria percezione del mondo e si classificano a vicenda. Ma questo concetto è anche composto da alcuni elementi sufficientemente coerenti da potere ricavare una definizione, per quanto elastica, di professionalità. M. Santoro [1999] ha fissato sei criteri utili a riconoscere e definire, in relazione ai casi specifici, una certa nozione di “professione”: a) la professionalità è caratterizzata da una certa istruzione specializzata e di livello avanzato; b) sono presenti dei meccanismi istituzionalizzati di chiusura sociale; c) è vigente un codice di condotta o un’etica; d) vi è una rivendicazione rituale di onore o decoro; e) ci sono forme di monopolizzazione o controllo di aree di mercato; f) c’è una certa autonomia nella gestione degli affari. Questi criteri, però, non sono rigidi e onnipresenti. In alcuni casi possono presentarsi tutti contemporaneamente, è il caso delle professioni unanimemente riconosciute, e considerate di estremo prestigio, ad esempio quella medica o forense. In altri casi solo alcuni aspetti tra quelli evidenziati sono pienamente riconoscibili. 67 Nell’editoria specializzata, in particolare quella che si occupa di musica, non è difficile riconoscere un certo grado di professionismo dal quale i fanzinari tendono a volersi distinguere non essendone in possesso o non essendo in grado di entrarne in possesso. I giornalisti musicali hanno un tipo di istruzione caratteristico, non ci si può improvvisare critici di musica, bisogna avere determinate nozioni e competenze stilistiche tramite le quali si ottengono gli standard qualitativi propri del settore. I meccanismi di chiusura sociale in questo specifico campo sono labili, ma comunque esistono, in quanto sono estremamente poche le testate che offrono possibilità di lavorare e quindi di “esercitare la professione”. Il codice deontologico è assodato: si deve rispettare il copyright, è necessario adempiere a determinate regole formali e burocratiche, non si deve copiare il lavoro altrui. Infine, coloro che scrivono di musica su magazine di settore sono comunque pagati per farlo. I fanzinari, riconoscendo questi aspetti, e comprendendo di non poterli condividere, li negano, creando una loro forma distinta di professionalità. Di fatto, la loro non-professionalità soggiace a regole stilistiche e formali che funzionano alla stessa maniera di quelle adoperate dai professionisti, ma in modo antitetico. In quest’ottica, il termine, o la categoria, “professionale” permette a determinati gruppi sociali di segnare uno scarto da altri gruppi, consentendo ai fanzinari di distinguersi dalla “stampa ufficiale” e di riconoscersi tra di loro. Chiaramente, però, questo gioco di etichettamento, che è reciproco poiché anche la stampa ufficiale etichetta a sua volta i fanzinari, è piuttosto ambiguo, dato che i criteri attraverso cui queste etichette vengono formulate e adoperate sono fuggevoli e vengono adattati di occasione in occasione. 68 4.Chi realizza una fanzine, e perché È utile precisare che benché tutti i fanzinari contestino gli aspetti del mondo della carta stampata ufficiale sopra esposti, solo alcuni di essi sono in categorico contrasto con il giornalismo professionale. Una parte di loro si pone in sintonia con la stampa di settore, proponendosi come alternativa migliore, e sperando di potere accedere ai mezzi di comunicazione contestati per poterli mutare dall’interno: diventare professionisti conservando quei principi di integrità e autenticità propri del giornalismo fanzinaro. Per questo motivo, soprattutto nelle fanzine musicali, una certa professionalità è comunque presente benché sia vista con sospetto da alcuni “puristi” delle fanzine10. Infatti, il crescente numero di fanzine che adotta degli stili grafici e un linguaggio che si avvicinano a quelli della stampa musicale ufficiale ha generato dei rifiuti da parte di coloro che considerano la “non professionalità” un valore cardine del mondo fanzinaro. Anche l’idea dello “pseudofanzinaro” ha quest’origine. Non basta autodefinirsi “fanzinari”, questo è uno status cui si assurge attraverso la militanza concreta e appassionata nel mondo delle fanzine. Lo pseudofanzinaro è colui che viene spinto alla pubblicazione di proprio materiale non dalla passione per gli argomenti in oggetto, ma per l’ansia di specializzazione e l’esigenza di successo immediato. Il suo fine ultimo è quello di ottenere visibilità e successo nel mondo della stampa ufficiale. Questa dicotomia fanzinaro/pseudofanzinaro è però fuorviante perché i principi di inclusione ed esclusione all’interno di una delle due categorie sono troppo aleatori in quanto si basano su pregiudizi e ipotesi sulle motivazioni di chi realizza una fanzine che difficilmente possono essere comprovati. Bisogna pensare la distinzione tra fanzine e rivista ufficiale come zona grigia in cui 10 Si veda anche il paragrafo relativo all’accusa di svendersi nel capitolo VI. 69 l’inclusione o meno in una delle due categorie può variare da caso a caso in base alle varie dimensioni di analisi adottate. Di norma l’appellativo di “pseudofanzinaro” viene imposto esclusivamente sulla base di giudizi estetici e stilistici da parte di alcuni fanzinari fortemente legati ad una idea di fare fanzine contrapposta al mondo della carta stampata tradizionale. Il rifiuto, dichiarato o meno, da parte di certi soggetti di conformarsi stilisticamente alle riviste specializzate, risponde allo stesso rifiuto categorico verso ogni forma di omologazione discusso da Adorno nel suo celeberrimo saggio sulla popular music [2004]. È imperativo nascondere ogni forma di standardizzazione, attraverso alcuni elementi formali, che egli chiama abbellimenti, che permettano di mantenere l’illusione di una spiccata individualità, ma che, tuttavia, rispondono a norme estetiche e pratiche non meno rigide di quelle a cui si adeguano i magazine di settore11. Come si vedrà oltre, in particolare nel capitolo VII, infatti, le pratiche che guidano le scelte estetiche e stilistiche dei fanzinari rispondono comunque a delle regole non scritte atte a ribadire una distanza dal mondo delle edicole e dalle logiche di mercato. Tuttavia, questa è a tutti gli effetti una pseudo-indvidualizzazione, poiché gli abbellimenti che distinguono una fanzine da una rivista di settore (la grafica, il linguaggio, i metodi di distribuzione, etc.) sono previsti e formalizzati al punto da generare in alcuni fanzinari un forte senso di rifiuto nei confronti di coloro che, nel dare vita ad una fanzine, non si attengono a queste 11 Anche G. Simmel [1996], nel suo illuminante saggio sulla moda, esprime un concetto simile. Secondo il teorico tedesco, coloro che intenzionalmente vanno contro le mode non provano il sentimento di individualizzazione che a ciò dovrebbe essere connesso per aver attestato la propria individualità, ma solo perché avrebbero negato l’esempio sociale. Quindi essere consapevolmente fuori moda significa riprodurre le standardizzazioni sociali, anche se in modo opposto, e ciò ribadirebbe il potere della struttura sociale che fa comunque dipendere gli individui da sé in positivo o in negativo. 70 4.Chi realizza una fanzine, e perché prescrizioni12. Il concetto di “pseudofanzinaro” e l’accusa di “svendersi” al mercato sono due rappresentativi esempi di queste forme di rifiuto. Emblematiche sono le parole di Franco Mariani, creatore della fanzine di fantascienza Forse Domani, nel cercare di difendere il suo lavoro, e quello di altri fanzinari come lui, dall’accusa di essere chiuso e autoindulgente verso il proprio mondo, e nel prendere le distanze da quanti, scrivendo su fanzine semiprofessionali, non fanno altro che lo stesso giornalismo reputato scadente delle riviste mainstream: “[…] Credo che nessuno, nel fandom, potrà rinunciare a un poco di notorietà in ambito “ufficiale”, se ne avrà il merito, ma le differenze sono sostanziali tra chi cerca un mezzo espressivo per i propri pensieri, e chi invece non ama ciò che scrive ma soltanto le “conseguenze” che potrebbero derivare dalla sua ipocrita attività.” [Mariani 1995]. L’accusa d’ipocrisia rivolta a coloro che nati nel mondo delle fanzine si “svendono” al mercato dell’editoria di settore è, però, piuttosto delicata. In verità, la maggior parte di coloro che scrivono su una fanzine di musica non negano categoricamente la possibilità di diventare professionisti13, purché 12 G. Umiliacchi, ad esempio, ha sostenuto a lungo che Stefano I. Bianchi di Blow Up non è un fanzinaro, ma uno pseudofanzinaro, perché il suo scopo ultimo era quello di diventare un professionista. Tuttavia egli ha ritrattato le sue argomentazioni quando gli sono stati mostrati i primissimi numeri della fanzine, che rispondevano ineccepibilmente alle regole stilistiche cui una fanzine “autentica”, nell’ottica di Umiliacchi, dovrebbe conformarsi. 13 Nel campo dell’editoria di settore capita che un giornalista professionista abbia fatto gavetta presso le fanzine. Oggi Blow Up è un magazine di punta, per quanto riguarda la stampa musicale presente nel territorio nazionale, ma quando nacque, nessuna delle penne che portava i propri contributi critici alla fanzine aveva delle esperienze nel campo editoriale. Qualcuno aveva scritto su altre fanzine (Riccardo Bandiera su Rockit ad esempio); Mario Giammetti, 71 mantengano quei sentiti ideali di indipendenza e libertà che li guidavano nella realizzazione della fanzine. Ecco a tal proposito due brani tratti rispettivamente dall’intervista a Michele Bisceglie della fanzine Oriental Beat, e dall’intervista a Roberto Baldi della fanzine Baut: D: Trasformarsi in rivista ufficiale è come “svendersi” al mercato? R: No, se si conserva l’attitudine. D: Ma qual è questa attitudine? R: Nessun compromesso. Parlo come voglio e dico quello che voglio. D: Hai mai pensato di farla diventare una rivista “ufficiale”, da edicola? R: Sì, a certe condizioni. Pur di non censurare nessuno e potere continuare i nostri propositi. Mi sarebbe piaciuto lavorare come giornalista musicale, non lo vedo come svilimento della passione, anzi sarebbe gratificante. Sempre che continui a seguire certi principi morali. Se da un lato pochi fanzinari non vogliono avere nulla a che fare con l’editoria di settore tradizionale, si può ben affermare che, dall’altro lato, la maggior parte di coloro che realizza una fanzine di musica, spera, più o meno consapevolmente, di trasformarsi in un professionista, guidato da alcuni principi morali che gli permettano di mantenere una certa autonomia stilistica tale da non compromettere il valore dell’oggetto della propria passione. Tutti questi aspetti verranno ampiamente analizzati nell’ultimo capitolo, dove si chiarirà in che modo e in che misura questi criteri guidano quelle uno dei critici che scrive su una rivista di musica nazionale piuttosto blasonata chiamata Rock Star, cura da anni la fanzine di musica Dusk, dedicata alle opere dei Genesis e di P.Gabriel. 72 4.Chi realizza una fanzine, e perché pratiche di distinzione [Bourdieu 1983] che permettono ai fanzinari di sentirsi diversi, e migliori, della stampa mainstream. In quella sede si potrà risalire a tali principi attraverso l’analisi di queste pratiche, fino a determinare cosa è inteso come mainstream dai fanzinari e cosa significa e comporta l’idea di svendersi. 4.3 Informazione: scouting e gatekeeping “Essenzialmente il motivo per cui iniziai a scrivere, [nacque dalla] voglia di raccontare tante musiche che nelle riviste ufficiali non c’erano, non le trovavo!”. Stefano Isidoro Bianchi ha cominciato a scrivere degli articoli per la propria fanzine perché insoddisfatto delle riviste di musica ufficiali che circolano in Italia. Sulla stessa linea il pensiero di Roberto Baldi: “[…] la voglia di comunicare delle cose assenti nella stampa musicale nazionale: qualcosa fatto liberamente; che si occupasse di musica ignorata dai grandi giornali, oppure di cui secondo noi si parlava in modo scialbo”. Anche il curatore di Oriental Beat denuncia una certa insofferenza nei confronti del panorama giornalistico musicale ufficiale: D: Cosa ti ha spinto a realizzare una fanzine musicale? R: La lettura di altre fanzine e la noia di tutte le riviste musicali” […] D: Cosa distingue la tu fanzine dalle riviste di musica specializzate? R: Le riviste di musica sono noiose e recensiscono solo i gruppi con alle spalle qualcuno che cura la promozione del disco/concerto. Poi, il linguaggio e la grafica delle riviste italiane sono imbarazzanti. Oriental 73 Beat si va a cercare le band, non scrocca niente, è scritta in italiano corretto e non annoia mai La fanzine Oriental Beat si occupa principalmente di garage rock and roll, un genere di rock non particolarmente seguito dalla stampa musicale nazionale, che si rifà programmaticamente agli anni sessanta. Sebbene periodicamente vengano pubblicati pochi articoli e vengano fatte alcune recensioni riguardanti la musica garage, un appassionato avrebbe difficoltà a procurarsi informazioni consistenti riguardo ai gruppi, ai dischi e ai concerti che gravitano intorno a questo universo musicale, se non fosse per iniziative editoriali come le fanzine. Tramite le 48 pagine di Oriental Beat, Michele Bisceglie, in arte “Miguel Basetta”, fornisce decine di recensioni, interviste e articoli, ossia informazioni preziose per tutti gli interessati di questo sottobosco musicale. I primi numeri di Blow Up, quando era una fanzine, parlavano di musica che in Italia conoscevano in pochissimi: gruppi rock underground come i Polvo o i Man Or Astro-Man?; etichette indipendenti che nella nostra penisola non venivano distribuite (Drag City; Skin Graft, per esempio); oppure ripescavano dal passato interi generi musicali che erano stati del tutto ignorati dalla stampa di settore14. Oltre al contenuto, però, c’èra anche un modo più schietto e privo di fronzoli di parlare di musica. Coloro che scrivevano su Blow Up erano chiaramente non professionisti, scrivevano per passione, ma la loro passione era tutt’altro che un limite. Consentiva loro di affrontare con più consapevolezza e 14 Ad esempio furono celebri gli articoli sul Krautrock, rock progressivo tedesco dei primi settanta; un genere musicale enormemente influente ma inspiegabilmente trascurato dalla stampa nazionale fino a che Blow Up non lo ha rivalutato 74 4.Chi realizza una fanzine, e perché precisione degli argomenti che trattavano. “Era tutto un altro spessore di rivista; […] c’era un’idea redazionale molto forte: erano persone “selezionate” in grado di parlare di una band in modo critico a prescindere dalla sua “effettiva” importanza; conoscevano ciò di cui parlavano, non erano ragazzini”. Roberto Baldi durante l’intervista ha dichiarato che nel realizzare la fanzine Baut si ispirava al giornalismo musicale proposto da Blow Up, visto come critico e approfondito, rispetto alla superficialità che egli reputa riscontrare nel giornalismo musicale italiano. La fanzine offre l’opportunità di esprimersi su qualcosa che si conosce bene, o che si crede di conoscere bene. Il fanzinaro si considera, ed è considerato da altri fanzinari, come qualcuno di estremamente competente in relazione all’oggetto della propria fanzine. “Molte erano fatte meglio perché riuscivano a scavare, a cercare, a capire, a intuire nomi particolarmente interessanti, particolarmente buoni, molto prima delle riviste”. Con queste parole Stefano Bianchi ribadisce il fondamentale ruolo di scouting svolto dalle fanzine all’interno dell’industria musicale. Come fu per la musica punk, per il rock and roll, e per tante realtà artistiche sconosciute o sottovalutate, la stampa amatoriale offre una vetrina d’esposizione di cui, in alcuni casi, si servirà l’industria culturale per lanciare nuovi fenomeni. In questo senso le fanzine rappresentano, da un lato, un collegamento tra le subculture e i mondi artistici15, e, dall’altro, con l’industria della cultura di massa. 15 Howard Becker definisce con “mondo dell’arte” la rete di individui la cui collaborazione, organizzata grazie alla condivisione di metodi convenzionali, produce quel genere di opere artistiche che dà il nome al mondo dell’arte stesso. I membri dei mondi dell’arte fanno riferimento ad un insieme di nozioni condivise; possiamo pensare ad un mondo dell’arte come ad una rete consolidata di cooperazione tra soggetti. Queste convenzioni rendono l’attività artistica più semplice e meno costosa. Gli artisti sono solo un sottogruppo all’interno di quei 75 Diana Crane [1997] individua tre settori della produzione culturale all’interno della nostra società: il settore centrale, in cui diversi tipi di organizzazioni producono e diffondono cultura a livello nazionale, ai quali chiunque è più o meno esposto; il settore periferico, in cui organizzazioni meno pervasive diffondono cultura sempre su base nazionale ma a audience definite, di solito in base ad età o stili di vita; infine il settore della cultura urbana, in cui operano organizzazioni che attirano pubblici di nicchia e tendono ad avere diffusione locale16. Se proviamo ad adattare i tre settori della cultura concettualizzati da Crane all’industria della stampa musicale italiana, facendo coincidere con quello centrale la stampa musicale che si occupa di musica mainstream (come il mensile Tutto; o l’inserto Musica! di Repubblica) e con quello periferico la musica più underground (la rivista Rumore; il settimanale Mucchio Selvaggio), allora al settore urbano corrisponderanno tutte quelle iniziative editoriali che esplorano generi o artisti quasi del tutto sconosciuti e che non sono inseriti a pieno titolo all’interno dei rispettivi mondi dell’arte. Howard Becker [2004] spiega che ogni mondo dell’arte fissa i propri confini, rappresentati da ciò che è accettabile considerare come arte, riconoscendo come artisti a pieno titolo coloro che producono opere assimilabili alle convenzioni di quel particolare mondo, e consentendo loro di produrre la propria opera attraverso la fornitura di varie risorse che la loro forma organizzata riesce a procurare. Alcuni artisti hanno dei rapporti marginali con il mondo dell’arte cui fanno riferimento perché la loro opera non mondi, considerati portatori di un talento unico e indispensabile perché l’opera possa essere considerata arte. [Becker 2004]. 16 cfr. La produzione culturale, Diana Crane - Il mulino, Bologna 1997 76 4.Chi realizza una fanzine, e perché corrisponde, in parte o totalmente, agli schemi convenzionali adottati da quel mondo. A volte opere inizialmente rifiutate vengono successivamente assimilate nei mondi dell’arte per un processo di adattamento delle convenzioni e degli schemi di questo mondo alle innovazioni che gli artisti al principio rifiutati hanno precedentemente, e con molte difficoltà, introdotto. Il sociologo americano fa una distinzione tra quattro tipi di artisti, in base al loro rapporto con gli schemi propri dei mondi artistici a cui fanno riferimento, egli parla di professionisti integrati, ribelli, artisti folk e artisti naif. Ognuna di queste definizioni riguarda la relazione che questi soggetti intrattengono con un mondo dell’arte organizzato. In questa sede si tratteranno soltanto i primi due casi, poiché sono gli unici che abbiano rilevante attinenza con il settore delle fanzine musicali. I professionisti integrati sono coloro che producono opere d’arte esattamente secondo i dettami e i canoni di un determinato mondo artistico. La rete di organizzazioni distributive di un mondo dell’arte richiede la produzione di un gran numero di opere (musiche, balletti, libri) che sono proprio i professionisti integrati a fornire. Naturalmente l’estetica propria di un mondo artistico manifesterà come legittime quelle opere che facilmente potranno essere prodotte, distribuite e fruite attraverso la loro stessa organizzazione. Tuttavia, la qualità di opere prodotte è sempre altalenante, è necessario produrre molte opere mediocri per ottenerne poche di alto valore. Ciò è dovuto all’impossibilità di potere determinare se e quando un artista mediocre sia in grado di realizzare un’ opera pienamente valida, e al fatto che le organizzazioni preposte alla produzione e distribuzione di opere di valore non potrebbero 77 funzionare efficientemente lavorando esclusivamente per pochi artisti di estremo merito. Gli artisti ribelli sono quegli artisti che propongono innovazioni che il mondo dell’arte non può accettare all’interno della sua produzione ordinaria. Violando alcune delle convenzioni proprie di questi mondi, costoro rendono problematica la collaborazione da parte delle organizzazioni di questo mondo con l’artista. I ribelli riescono ad ottenere successo facendo a meno delle istituzioni del mondo dell’arte, sovente creano delle loro organizzazioni per sostituire quelle che rifiutano di collaborare con loro, trovano seguaci e collaboratori, spesso comprensibilmente tra i non professionisti, creando così le loro reti di cooperazione e un nuovo pubblico. [Becker 2004] Le fanzine si inseriscono in questo meccanismo permettendo ad alcuni artisti ribelli di superare i tradizionali filtri della produzione culturale, che li rifiuterebbero non riconoscendone il valore, rappresentando una vetrina di esposizione per le opere di autori non integrati, sia per il pubblico sia per i mondi dell’arte stessi. Tuttavia, dato che i ribelli si sono pur sempre formati nella tradizione e nella prassi del mondo dell’arte corrispondente, e poiché mantengono un legame, seppure tenue, con esso, capita che la loro opera venga assimilata all’interno di quel mondo dell’arte. In realtà i ribelli chiedono sostegno e apprezzamento allo stesso pubblico cui si rivolgono i professionisti integrati, benché le loro opere richiedano un’attenzione particolare. In questo processo le fanzine, riguardo il settore della musica underground, permettono l’assimilazione e il riconoscimento come forme d’arte legittima a quelle prodotte ai margini o al di fuori dei mondi dell’arte corrispondenti. Da una parte, le fanzine, forniscono a determinati artisti ribelli un banco di esposizione per la propria opera nella loro azione di scouting; è importante 78 4.Chi realizza una fanzine, e perché evidenziare che i fanzinari trattano questi musicisti riconoscendo loro lo status di artista a pieno titolo. Sfogliando le pagine di una fanzine come Succo Acido ci si rende conto che vengono intervistati e recensiti musicisti che non vengono quasi mai riconosciuti a pieno titolo come degli artisti; solo nel caso in cui il settore periferico cominci ad interessarsene, la loro produzione inizia ad essere legittimata. Ad esempio bands come Allun o Aidoru hanno cominciato ad ottenere un certa visibilità nel settore periferico solo dopo essere state ampiamente trattate da Succo Acido. Blow Up (da rivista ufficiale di settore) ha cominciato ad occuparsene, quindi gradualmente anche magazine come Rumore hanno concesso a questi gruppi degli spazi all’interno della rivista. In questo caso si trattava di band che autoproducevano i propri dischi e che non si appoggiavano ad etichette discografiche di alcun tipo. La loro musica è per molti versi improvvisata e grezza; tutte le fasi di editing basilari all’interno dell’industria discografica sono completamente assenti. Ne risulta che è difficile stabilire se i loro dischi siano l’effettivo risultato di un processo creativo maturo e consapevole, o se invece siano il “delirio” di ingenui musicisti privi di mezzi. Non può che essere intesa in questi termini anche la diffusa usanza, nella maggior parte delle fanzine musicali, di mescolare insieme l’analisi di dischi veri e propri a quella dei cosiddetti demo17 nelle pagine dedicate alle recensioni. Il demo viene ascoltato e criticato come se si trattasse di un disco a tutti gli effetti, benché non lo sia affatto. Vengono persino fatte interviste a gruppi che non hanno alcuna registrazione alle spalle, forse solo qualche concerto. 17 Il demo è una registrazione artigianale, realizzata a spese dei musicisti stessi allo scopo di far conoscere la propria opera e nella speranza di ottenere un contratto discografico. 79 Dall’altra parte, le fanzine offrono una efficace e concreta azione di gatekeeping per tutti quei professionisti integrati la cui opera è mediamente di valore mediocre ma che se debitamente sostenuti potrebbero cominciare a produrre materiali meritevoli di attenzione. P. Hirsch18 adotta il termine “gatekeepers” per indicare quei filtri mediali sfruttati dalle industrie culturali nella attività di selezione e promozione delle merci di consumo culturale Hirsch descrive il complesso delle organizzazioni atte alla produzione di prodotti culturali di massa attraverso il modello chiamato “sistema dell’industria culturale”. Nella sua visione, la produzione culturale è caratterizzata da incertezza della domanda (non si può prevedere l’efficacia di un prodotto culturale), dallo sfruttamento di tecnologie economiche e standardizzate nella produzione dei beni culturali e da una sovrabbondanza di aspiranti creatori culturali. Il sistema che egli ha formulato spiega come i mondi dell’arte regolano e controllano queste variabili per ottenere maggiore efficienza e prevedibilità nella produzione culturale. A partire dal lato sinistro di questo modello (vedi figura) troviamo quello che Hirsch identifica come il sottosistema tecnico, vale a dire gli artisti che creano le opere da distribuire e che costituiscono la cosiddetta area di “imput” per tutto il sistema. Spostandoci verso il centro troviamo il sottosistema manageriale che consiste nelle organizzazioni che effettivamente producono e distribuiscono il prodotto (etichette discografiche, case editrici, etc.). Tra i due sottosistemi c’è un primo filtro, causato dall’eccedenza di imput prodotti dagli artisti che cercano di avere accesso al sistema manageriale, tra cui gli artisti ribelli. Essendo eccessiva la produzione di prodotti culturali nel sistema tecnico 18 Cfr. W. Griswold, Sociologia della cultura – Il mulino, Bologna 1997 80 4.Chi realizza una fanzine, e perché il sistema manageriale necessita di alcuni filtri (talent scout) che selezionino gli artisti e le opere che maggiormente potrebbero risultare efficaci. Contemporaneamente il sistema tecnico sfrutta delle interfacce di confine per promuovere la propria opera (gli agenti o i promoter, ad esempio). Nell’area di “output” le organizzazioni produttive utilizzano delle chiavi di confine, cioè delle strategie promozionali, per superare un secondo filtro ed avere accesso al sottosistema istituzionale, rappresentato dai gatekeepers mediali, cioè i mass media che pubblicizzano e recensiscono i prodotti culturali presso i consumatori. Il sistema manageriale riceve, inoltre, due tipi di feedback: il primo proviene dai gatekeepers mediali, attraverso l’attenzione che i media dedicano ai prodotti culturali (ad esempio le recensioni), il secondo dai consumatori, rappresentato dal successo delle vendite (che è influenzato in gran parte dal terzo filtro, cioè dalle presentazioni che i media fanno di un determinato bene culturale al pubblico). Le organizzazioni produttive devono tenere conto di entrambi questi feedback per valutare l’efficacia di un artista e di un prodotto. Le fanzine rappresentano un tipo stampa, cioè di gatekeeper mediale, prodotto direttamente dai consumatori e che agisce su tutti e tre i filtri postulati dal sistema di Hirsch. Permettono agli artisti ribelli di bypassare il primo filtro ed il sottosistema manageriale, riconoscendo loro lo status di “artista” e sponsorizzandoli nei confronti del pubblico e delle stesse organizzazioni produttive; Agiscono sul secondo e sul terzo filtro del sistema focalizzando la propria attenzione su autori o prodotti trascurati dagli altri media, e da altri consumatori. Com’è noto, infatti, l’industria del disco immette nel mercato migliaia di titoli, solo alcuni dei quali finiscono con l’ottenere un discreto successo di pubblico e di critica. È necessaria, pertanto, un’azione di filtraggio 81 che permetta ai consumatori di conoscere le realtà di maggiore interesse. Le fanzine scandagliano tutti quei settori dell’industria discografica trascurati dai gatekeeping del settore periferico (le riviste di settore come Rumore, Rockerilla), permettendo di mettere in risalto l’opera di autori che meriterebbe la loro attenzione. Ad esempio, le etichette discografiche che a metà anni novanta non erano commercializzate nel nostro paese, ma che Blow Up indicava come le più interessanti e vivaci in ambito rock, a poco a poco cominciarono ad essere distribuite nella penisola, e anche altre riviste iniziarono a trattare ampiamente le bands che pochi mesi prima erano completamente sconosciute. La scena musicale di Chicago, sbrigativamente indicata come post-rock, venne ampiamente trattata dalla rivista Blow Up mesi prima che la stampa di settore cominciasse a darne informazioni e a concedergli adeguata visibilità. Il risultato fu che il fenomeno post-rock divenne assai di moda a fine anni novanta, benché Blow Up ed altre fanzine come Jammai o Freak Out avessero cominciato a presentarlo come fenomeno di estremo interesse anni prima19. 19 Nell’articolo “Musiche d’America” apparso sul numero 3 della fanzine Blow Up (febbraio ’96) si discerne ampiamente della, allora nuova, scena musicale gravitante nella zona di Chicago e comprendente bands quali: Don Caballero, Gastr Del Sol, Slint, Rodan, Rachel’s, June Of 44, etc. Vale a dire nomi che un paio d’anni più tardi sarebbero comparsi sulle copertine dei periodici specializzati italiani. 82 4.Chi realizza una fanzine, e perché 83 Questo esempio mostra come questi periodici amatoriali abbiano influenzato con il proprio feedback il sottosistema manageriale (che ha messo in distribuzione nel nostro paese determinati prodotti) e quello istituzionale (che ha iniziato a trattare determinati artisti e argomenti), oltre che, ovviamente, il sottosistema dei consumatori. L’esigenza di far circolare informazioni di valore, però, non riguarda solo realtà underground come quelle evidenziate precedentemente. Le fanzine Nobody’s Land o Velvet Goldmine si occupano di argomenti piuttosto “mainstream” (nella fattispecie: progressive rock e David Bowie) cercando di approfondire soggetti che i loro curatori reputano essere trattati con superficialità dalla stampa commerciale. Nobody’s Land o Arlequins sono state due fanzine che si sono occupate di musica progressive durante gli anni novanta. Esse soppiantarono la carenza di informazioni che caratterizzava questo stile musicale, in Italia largamente trascurato e snobbato a partire dagli anni ottanta20. Stefano Nardini spiega che una delle ragioni per cui i fan di Bowie avevano bisogno della sua fanzine era che “mancava qualcosa che ruotasse intorno alla figura di Bowie”; “la stampa italiana non ha mai dedicato molto spazio a Bowie”. In altre parole, il fan di un artista o di un genere musicale ben preciso sente la necessità di avere e far circolare un gran numero di informazioni che per la loro esclusività difficilmente potrebbero interessare il lettore di un periodico più generico. Su Velvet Goldmine venivano pubblicate pagine su 20 Riviste di settore come Mucchio Selvaggio o Rumore, ad esempio, dedicano pochissimo spazio a questo genere, considerato tronfio e superato, e quando lo fanno hanno spesso dei toni aspramente critici o ironici. 84 4.Chi realizza una fanzine, e perché pagine di recensioni di bootlegs21, piene di dettagli e giudizi sulle registrazioni, sul modo per procurarseli e sui prezzi, informazioni che solo un collezionista, o un fan “sfegatato”, potrebbe realmente trovare utili. Per questo motivo sono spesso i fanclub a dare vita ad una fanzine, o viceversa, i lettori di una fanzine costituiscono un fanclub. Succede che alcuni individui scoprono di avere una passione in comune e si istaurano dei rapporti di scambio che attraverso la realizzazione di uno stampato vengono istituzionalizzati22. In alcuni casi le fanzine nascono addirittura dai cosiddetti fanclub ufficiali, cioè fanclub riconosciuti dagli stessi artisti: da un lato queste testate diventano un organo di informazione che permette agli artisti di seguire attentamente il proprio pubblico e fornirgli una vasta serie di informazioni promozionali, in maniera più soddisfacente rispetto a qualsiasi strategia di marketing; dall’altro i fan vivono nella convinzione di avere un rapporto diretto e più “intimo” con l’oggetto della loro passione23. Il principio di emulazione è alla base della scelta di realizzare un prodotto cartaceo con le peculiarità di una fanzine. Tutti i fanzinari interpellati 21 I bootleg sono dischi pirata contenenti, in genere, registrazioni di esibizioni dal vivo o rarità assortite. 22 A questo proposito si veda oltre riguardo i fandom come comunità; cap. V 23 Negli Stati Uniti i fanclub ufficiali di band piuttosto seguite come i R.E.M. o i Pearl Jam pubblicano delle fanzine che aggiornano periodicamente i propri lettori su tutte le attività, professionali o meno, di questi artisti. Spesso allegano alla fanzine dei singoli inediti o delle versioni particolari di qualche brano, in modo da accentuare il senso di esclusività e di legame tra gli artisti ed i propri fan. In Italia, queste strategie di marketing sono adottate per artisti di grande richiamo come Carmen Consoli e hanno poco a che vedere con l’idea di fanzine oggetto di questo elaborato. 85 hanno ammesso di aver avuto l’idea di realizzare una fanzine dopo averne vista e letta un’altra. L’idea di fare una fanzine mi è venuta perché ho incontrato Giovanni Meli, Pennello, che pubblicava Jammai, mi era piaciuto quello che faceva… lui è un po’ il papà. Poi c’era una cooperativa che ha fatto un po’ da mamma, una cooperativa di Palermo che si chiamava Limone A Motore che voleva costruire dei capannoni ai Cantieri Culturali della Zisa, avevano avuto il progetto firmato dall’IG, e gli aveva dato un miliardo solo che alla fine sto miliardo non se lo sono ammuccato perché non avevano i duecento milioni per anticiparlo. […] Mi avevano contattato per fare un po’ l’ufficio stampa, io già là mi muovevo un po’ nei circuiti per i fatti miei come musicista, e io poi ho proposto di fare la rivista di questa associazione per informare Palermo. […] l’idea iniziale venne così, poi però l’associazione ha chiuso ma io ho tenuto l’idea. - Marco Di Dia, Succo Acido Si prende spunto dalle altre fanzine che con pochi mezzi ma molta passione riescono a realizzare degli scritti con cui far circolare idee, opinioni, contenuti. Capita che all’inizio ci si appoggi a delle associazioni di tipo culturale, che possano fungere da base logistica o possano fornire un minimo capitale iniziale “Collaboravamo per un’altra fanzine, Snort (musica rock, con un occhio sulla scena regionale e provinciale), e suonavamo e avevamo inoltre passione per la musica e gusti comuni. […] nel frattempo avevamo fondato un’associazione culturale: B’aut Batu. Dopo un po’ Snort ha 86 4.Chi realizza una fanzine, e perché chiuso, noi organizzavamo concerti per finanziarci, e quando abbiamo racimolato qualcosa ci siamo imbarcati nella fanzine, investendo quei soldi per coprire almeno i primi due numeri, confidando nella possibilità di trovare altri finanziamenti dopo” - Roberto Baldi, Baut Il tasso di mortalità di questo tipo di pubblicazioni è piuttosto elevato. Molte fanzine cessano di esistere dopo il primo numero, il cosiddetto “numero zero”, per la ragione che mancano le risorse economiche necessarie a proseguire l’iniziativa, o semplicemente l’interesse a farlo poiché forse la fanzine non è riuscita a instaurare contatti solidi e duraturi. In molti casi, comunque, colui che scrive su una fanzine, se questa cessa le proprie pubblicazioni, ne fonda o collabora ad un’altra. Il creative team di Succo Acido aveva nel proprio organico varie “penne” che avevano collaborato ad altre fanzine (oltre ad Andrea Pintus e Roberto Baldi di Baut, Gianni Avella di Freak Out, Giovanni Meli di Jammai, per esempio), molti dei quali conosciuti da Marco Di Dia al M.E.I., il meeting delle etichette indipendenti italiane, un luogo di incontro per individui dagli interessi analoghi, in questo caso musicali. 87 Tutto ciò ci porta a discutere l’altra ragione pratica per cui si crea una fanzine, cioè quella di rispondere alla necessità di istaurare dei contatti umani e professionali. 4.4 Network La fanzine è anche un mezzo di comunicazione in cui individui perlopiù isolati, o distanti geograficamente, instaurano un rapporto di scambi e collaborazioni; non rappresentano esclusivamente un modo per conoscere bands sotterranee, ma anche una maniera per entrare in contatto con altre persone che condividono determinati interessi, e relazionarsi con esseri umani che hanno mentalità simili. Secondo Atton [2002] ci sono due forme di socialità (sociability) che si istaurano tramite le fanzine: una socialità interna ed una esterna. Il primo tipo ha attinenza con le trasformazioni formali e metodologiche, relative all’organizzazione del lavoro e alle pratiche produttive delle fanzine. L’autore evidenzia l’aspetto ludico intrinseco alla produzione di uno stampato amatoriale, che permette ai fanzinari di instaurare una relazione di amicizia e collaborazione che va ben oltre i tradizionali rapporti di lavoro; chi crea le fanzine coinvolge amici o comunque soggetti simili per indole e attitudine. Non c’è mai una rigida gerarchia di produzione perché ognuno è in rapporti di estrema confidenza con gli altri, al punto che le scelte professionali sono frequentemente subordinate alle relazioni umane all’interno del team di produzione. Marco Di Dia, direttore di Succo Acido, dichiara: D: i tuoi collaboratori in base a cosa li hai contattati, li hai scelti? 88 4.Chi realizza una fanzine, e perché R: simpatia D: hai mai pensato di rivolgerti a dei professionisti? R: ho pensato di cercare dei collaboratori… professionisti no. Gente che avesse un minimo di competenza e voglia di starci dentro. Tutti i professionisti che ho incontrato non sono cosa di fanzine… […] io ho questo concetto di squadra di lavoro, persone che quando fanno una cosa la fanno con molta tranquillità e che ti stimola a fare altro, perché se non ti stimola tutto si riduce al semplice denaro D: cerchi anche l’aspetto umano nella collaborazione? R: certo! Certo. D: hai trovato umanità tra i collaboratori di Succo Acido? R: umanità tantissima, sbattimento e disponibilità a fare il grosso no, non solo perché non erano disponibili ma anche per problemi logistici, la lontananza. D: cosa ne pensi del Succo Acido Creative Team? R: (lunga pausa)… è il mio clubbino personale. Ho un bellissimo ricordo D: in che senso? R: voglio dire…proprio una vittoria. Una stanza, un luogo, una bella festa D: quante persone fanno parte del team? R: quelli buoni siete una ventina, poi ce ne sarebbero ottanta, ma molti ora si sono persi Marco ha scelto i collaboratori della propria fanzine in base a giudizi di simpatia e antipatia, non tenendo conto nella selezione delle capacità professionali dei suoi potenziali aiutanti. Anche nell’organizzare il sommario della rivista si è spesso fatto guidare dall’amicizia, cercando di inserire un certo 89 numero di articoli per ciascun collaboratore, senza escludere nessuno, a prescindere della effettiva validità degli elaborati in questione “[…] Fa male non pubblicare qualcuno che vorresti pubblicare. È una tristezza infinita…”. D: come lavoravate? R: liberamente; chi voleva, scriveva quello che voleva, chi impaginava correggeva le cose più evidenti, a livello di strafalcioni grammaticali. Io curavo l’ufficio stampa, Pintus si occupava dei demo, Fede della pubblicità, Massimo impaginava, tutti distribuivamo: in base alle nostre predisposizioni individuali, ci aiutavamo se si aveva bisogno oppure si faceva le cose insieme. - Roberto Baldi, Baut È importante sottolineare l’aspetto collaborativo all’interno di una redazione di fanzinari. La realizzazione di questi periodici non è mai vista come un lavoro, ma come un hobby, in alcuni casi preso molto seriamente, ma pur sempre un piacere [Duncombe 1997]. Il brano riportato sopra pone l’accento su quella mancanza di gerarchia e di ruoli professionali definiti, che secondo Atton denoterebbero un modo innovativo, e comunque alternativo, di produrre un mezzo di comunicazione. Il secondo tipo di socialità generata per mezzo delle fanzine è quella esterna, e fa riferimento alle relazioni che si istaurano tramite la fanzine, intesa come medium tra il fanzinaro ed il mondo esterno. Chris Atton cita una efficace frase del cantautore anglosassone Momus, che rielabora una nota affermazione di Andy Warhol: “In futuro chiunque sarà famoso per quindici persone”24. 24 Chris Atton, Alternative Media, Sage 2002; pag. 67 90 4.Chi realizza una fanzine, e perché Questa frase è significativa perché pone l’accento sull’altro aspetto chiave della realizzazione di una fanzine: la costruzione di una serie di rapporti interpersonali che sovente sfociano nella concretizzazione di una vera e propria comunità. Il creatore di Velvet Goldmine, Stefano Nardini, difatti, racconta: D: Come è nata l’idea di realizzare Velvet Goldmine? Cosa ti ha spinto a farlo? R: Era il 1997 e mancava qualcosa che unisse tutti i fans di David Bowie, che magari si conoscevano già. La fanzine è anche un luogo virtuale di incontro.. perché mette in contatto le persone, offre spazi... etc… ci conoscevamo di vista, ma era tutto sparso, casuale La fanzine è un luogo virtuale di incontro. Secondo Duncombe [1997] attraverso la fanzine gli autori cercano di sfuggire dal mondo da cui si sentono alienati25, creando una nuova, per quanto virtuale, comunità. Questa è stata una funzione delle fanzine sin dagli esordi, quando la fanzine nacque per mettere in contatto gli appassionati di fantascienza nordamericani, geograficamente disgregati. Tuttavia, se la comunità è intesa come un gruppo omogeneo di individui che condivide degli spazi, nel caso delle fanzine sarebbe meglio parlare di network, poiché gli spazi condivisi sono solo virtuali, considerato che le interazioni instaurate tramite questo mezzo di comunicazione sono principalmente relazioni a distanza. Il fanzinaro guadagna in relazioni personali dalla creazione della propria fanzine, come illustra chiaramente Roberto, creatore di Baut prima e collaboratore di Succo Acido poi: “ [Senza Baut e Succo Acido] non avrei mai 25 Si veda il paragrafo relativo al profilo del fanzinaro. 91 conosciuto te, Marco e altri contatti umani che mi sono rimasti, gente veramente appassionata con la quale scopri di condividere altre cose, come le idee politiche, o magari con cui suonare; trovi gente affine: scrivere su una fanza è come un club!”. Confermano questa visione d’insieme sia Marco di Succo Acido sia Michele di Oriental Beat: D: facevi già parte di un certo ambiente o è stata Succo Acido a introdurti in certi circuiti R: no no ho conosciuto un sacco di gente. La maggior parte delle persone le ho conosciute così D: in che senso? R: Succo mi ha permesso di parlare, di scrivere a persone che proprio non sapevo che c’erano… D: a livello personale che cosa ti ha lasciato l’esperienza di Oriental Beat? R: ho imparato a scrivere e ho conosciuto tante persone simpatiche. Questi brani di intervista sono piuttosto significativi: tramite la fanzine si istaura un network di conoscenze che sarebbe difficile concretizzare altrimenti. È la passione per un determinato argomento che funge da terreno comune d’incontro fra soggetti spesso isolati, e la fanzine è il medium che permette di rompere questo isolamento. Non solo si guadagna in termini affettivi, ma anche pratici, poiché tramite un fanzine si può coltivare più attivamente la propria passione. All’interno di una fanzine musicale di solito sono pubblicati gli indirizzi di negozi di dischi dove è possibile procurarsi la fanzine, ma anche la musica che essa tratta; sono presenti tutte le indicazioni necessarie relative a 92 4.Chi realizza una fanzine, e perché etichette discografiche, altre fanzine, o distributori, tramite le quali, chi suona, può entrare in contatto con realtà professionali utili ma a lui distanti26 o ignote. Questo aspetto pratico, per tutte le fanzine legate a dei fanclub, è coerentemente calcolato. Velvet Goldmine nacque per metter in comunicazione i fan di Bowie in Italia, per consentirgli di scambiarsi informazioni e materiale raro sul loro idolo; Stefano Nardini racconta che “Appena nata la fanzine, fu fatta una reunion a Bologna e venne un sacco di gente che si conobbe”; in questo tipo di occasioni i fan si scambiano registrazioni introvabili o edizioni di dischi particolari; organizzano serate a tema, in cui le cosiddette cover bands27 hanno modo di esibirsi davanti ad un pubblico attento e consapevole. Quando David Bowie venne in Italia per comparire nel film “Il Mio West”, i lettori e curatori di Velvet Goldmine, attraverso varie telefonate, “soffiate” e conoscenze, riuscirono ad organizzarsi ed entrare nel blindatissimo set cinematografico. In quell’occasione ebbero anche modo di conoscere personalmente il loro idolo, che mostrò di apprezzare molto la fanzine a lui dedicata. Se non fosse stato per i contatti innescati dalla testata questo incontro non ci sarebbe stato28. 26 Su ogni numero di RockIt viene pubblicato un elenco delle etichette discografiche indipendenti italiane e l’invito a “subissarle di demo”; Su Nobody’s Land c’è la lista di tante altre fanzine, gli indirizzi di collezionisti e negozi di dischi specializzati in musica rock progressiva; Su Jammai è presente una pagina per le inserzioni, in cui si possono cercare altri musicisti per la propria band o altri appassionati per creare una fanzine. 27 Sono dei gruppi che ripropongono esclusivamente le canzoni di un singolo artista o di una sola band, di norma in modo poco personale e nel modo più simile possibile all’originale. In genere la cover band ricalca pedissequamente il gruppo cui si ispira, anche dal un punto di vista estetico. 28 La cronaca di questa vicenda è dettagliatamente raccontata sul numero 2 di Velvet Goldmine, del novembre 1998. 93 Nella visione di Stephen Duncombe [1997] il network di fanzine è un unicum in cui le varie testate ed i vari fanzinari sono più o meno connessi tra loro scambiando la propria fanzine, le proprie idee, i propri materiali. Questo probabilmente è un quadro fedele della situazione fanzinara statunitense. Per quanto riguarda le fanzine musicali italiane bisogna considerare che, in realtà, ogni fanzine rappresenta un network in sé e che solo alcuni di questi network sono interconnessi gli uni con gli altri. La comunità dei bowieani, che fa capo a Velvet Goldmine, non ha particolari scambi con altri network di fanzine come nei casi di Jammai, Freak Out e Succo Acido che invece sono strettamente legate fra loro. Nel caso dei fanzinari italiani, solo alcuni di essi sentono un senso di appartenenza a quello che potremmo definire il “mondo delle fanzine”; Roberto Baldi di Baut ha suggerito indirettamente di pensare ogni fanzine come qualcosa di funzionale ad un preciso network: D: Si può parlare, secondo te, di mondo delle fanzine? R: Assolutamente no… perché in Italia sono fatte da uno o due pazzi che decidono di investire tempo e denaro in questa follia, alla fine metteresti insieme poche persone. Anche se con alcuni entri a fare a parte di un club, questo non è sempre vero: non sempre nascono network …per divergenze, per la distanza, per la pochezza dei mezzi (come fai a fare un meeting?), etc. all’interno di una… sì, vacillante, ma sì, …belle relazioni personali. In alcuni casi si concretizzano dei legami tra un network ed un altro, ma di solito questi networks soffrono di una eccessiva carenza di risorse economiche e organizzative per cui rimangono abbastanza isolati. 94 4.Chi realizza una fanzine, e perché Un settore dell’editoria marginale che è riuscito a creare dei network di una certa solidità è quello delle fanzine musicali generiche. Nella seconda metà degli anni novanta in Italia sono nate una mezza dozzina di etichette discografiche indipendenti specializzate in musica indierock29 (Gammapop a Bologna, Wallace a Milano, Snowdonia a Messina, Indigena a Catania, per citarne alcune). Le bands prodotte da queste labels erano particolarmente favorite nelle recensioni e nei sommari di varie fanzine musicali (Freak Out, Jammai, Itself). Le stesse etichette e i distributori, cercavano agevolare dal di canto loro, appoggiare queste e fanzine mandando i dischi da recensire, concedendo interviste con estrema facilità, e distribuendo la fanzine stessa. Nasceva in tal modo una cooperazione che funzionava perfettamente come i mondi (dell’arte) delle case discografiche multinazionali, ma agiva solo sul territorio nazionale e parallelamente a questi. I fanzinari organizzavano concerti e promuovevano questa musica. Succo Acido, nel febbraio 2002, ha organizzato un festival indierock di tre giorni a Palermo, coinvolgendo le etichette indipendenti Wallace Records, Bar 29 Indierock sta per: rock indipendente, ossia quel rock che non viene prodotto, distribuito e/o commercializzato dalle case discografiche multinazionali, le cosiddette majors (Emi; Virgin; Warner, ad esempio). 95 La Muerte, Beware! e Snowdonia ed alcuni loro gruppi. Ciò è stato possibile perché il direttore di Succo Acido era entrato in contatto con le persone che gestiscono queste etichette, che a loro volta credevano nell’iniziativa editoriale del giovane palermitano, e avevano bisogno di un “gancio” per fare arrivare concretamente la loro musica nell’isola30. In questo caso il network non è rappresentato esclusivamente da coloro che leggono o scrivono su una fanzine, ma da tutti coloro che, a vario titolo, gravitano negli ambienti della musica indipendente italiana. In altri casi c’è un legame stretto tra fanzinari, come spiega il curatore di Oriental Beat: D: Senti una sorta di senso di appartenenza al mondo delle fanzine? R: Decisamente. D: Ma cos’è per te il mondo delle fanzine? R: Un mondo di carta che sta morendo. Ne rimarrà soltanto una, forse: la mia. D: Hai contati con altri fanzinari? R: Certo, conosco molti fanzinari o ex-... Il Canclini di Nessuno Schema, Franz Barcella di Bam!, anche perché collaboro, Andrea Valentini di Shove/Too Much Junkie Business... 30 Prima di allora a Palermo i concerti rock erano molto sporadici; negli ultimi anni Marco Di Dia, grazie alle conoscenze ottenute per mezzo della fanzine, ha moltiplicato questi eventi. 96 4.Chi realizza una fanzine, e perché Così come la comunità di bowieani, coloro che in Italia sono appassionati di garage e rock and roll leggono e scambiano le proprie fanzine, collaborano e organizzano concerti delle bands che amano. Si è parlato di comunità di bowieani, termine con cui si autodefiniscono coloro che leggevano Velvet Goldmine e che oggi, essendo iscritti al fanclub di Bowie, visitano attivamente il portale on-line in cui questa fanzine si è trasformata. Infatti, i network illustrati sinora, in alcuni casi, si istituzionalizzano, cioè cominciano ad adottare delle regole e a creare delle gerarchie all’interno delle loro organizzazioni, al punto tale da poter essere riconosciute come delle vere e proprie comunità chiamate fandom. Questo aspetto sarà l’argomento del prossimo capitolo. 97 5. Comunità di fan e webzine Stephen Duncombe [1997] parla di “scena”, alludendo al fatto che in certi casi la fanzine si inserisce all’interno di determinate comunità, per esempio quella degli appassionati di fantascienza, e diventa uno dei principali connettori tra gli individui che ne fanno parte. Altre volte la “scena” si costituisce proprio per mezzo delle fanzine stesse, come nel caso di Velvet Goldmine. Non tutte le fanzine, anche qualora inneschino dei network, danno luogo a delle comunità, solo coloro che sono fortemente appassionati di un contenuto ben preciso, in genere, originano delle forme organizzate di associazioni come i fanclub, come quelli del serial televisivo Star Trek, o del cantante David Bowie. Il vocabolo “comunità” pone dei problemi non trascurabili sul suo significato e sulla sua applicabilità. Non tutti gli aggregati di persone possono essere considerati delle comunità, e, allo stesso tempo, questo termine può essere usato per indicare diversi insiemi di soggetti contraddistinti da tipi di interazioni differenti ed estremamente variabili nel grado e nella frequenza. 5.Comunità di fan e webzine Una comunità potrebbe essere decritta come un intreccio di relazioni sociali tenute assieme da varie situazioni. Potremmo distinguere tra comunità intenzionali, i cui componenti sono scelti da circostanze casuali, in particolare la prossimità fisica, e non intenzionali, in cui l’appartenenza comunitaria si crea in base a interessi condivisi. [Paccagnella 2000; Brint 2001] Steven Brint illustra un modello che possa permetterci di capire e contestualizzare vari tipi di comunità in base a determinate variabili, proprio partendo da questa dicotomia di fondo. Nelle comunità non intenzionali le basi per delle interazioni tra i soggetti sono determinate dalla prossimità geografica, mentre le ragioni primarie per le interazioni possono dipendere dalle attività in cui gli individui sono coinvolti, o dal loro sistema di credenze/valori. Nel primo caso si potranno avere delle comunità a scala ridotta, come il vicinato, se le interazioni tra gli elementi che compongono queste comunità sono relativamente frequenti, o, se all’opposto le interazioni sono meno regolari ci saranno network di amicizie locali, basate principalmente sulle attività comuni degli elementi coinvolti. Nel secondo caso ci saranno dei collettivi se ci troveremo in presenza di interazioni frequenti, viceversa si avranno dei network di amicizie locali basati su aspetti culturali. Anche le comunità intenzionali possono distinguersi tra quelle le cui interazioni sono basate sull’attività dei componenti che ne fanno parte o sulle loro credenze. Ma qui entra in gioco un’altra variabile, determinata dalla localizzazione dei vari membri. Se i soggetti interagiscono in base alla proprie attività e sono geograficamente concentrati si avrà luogo a comunità elettive basate appunto sull’attività comune di coloro che ne fanno parte. Se, invece, i soggetti in questione sono localmente sparsi, potremo avere gruppi di individui le cui interazioni sono basate sulle loro attività che Brint definisce network di 99 amicizie disperse ma solo nel caso in cui ci siano delle interazioni faccia a faccia. In assenza di queste si avranno delle comunità virtuali1. Le comunità intenzionali basate sulle “credenze” possono essere a loro volta distinte in base al grado di dispersione che ne caratterizza gli aderenti. In presenza di una concentrazione locale avranno luogo comunità elettive contraddistinte da forti caratteristiche ideologiche o subculturali. Al contrario, se ci sarà dispersione geografica, si avranno network di amicizie sparse stabiliti su fattori culturali, oppure comunità immaginate2, a seconda del tasso di interazioni faccia a faccia presenti all’interno dei suddetti gruppi. Questo modello tuttavia ha dei limiti, perché ogni sottotipo di comunità teorizzato da Brint non possiede necessariamente quelle variabili che il ricercatore gli attribuisce. In primo luogo, ad esempio, quelle che vengono chiamate “comunità virtuali” sono molto spesso gruppi di persone senza reciproci legami diretti, orientati verso la stessa direzione a livello di interessi o pratiche, ciò comporta che non sempre si sviluppano vere e proprie interazioni che giustificherebbero la definizione di “comunità” che, invece, gli viene attribuita. In secondo luogo, come fa notare Luciano Paccagnella [2000], alcuni autori3 respingono l’idea di comunità virtuali, perché se esistono comunità in rete queste non sono significativamente diverse da quelle “reali”. Internet, come 1 Le “comunità virtuali” sono state introdotte da Howard Rheingold [1994] in riferimento a quei gruppi di soggetti la cui interazione avviene quasi esclusivamente mediante mezzi di comunicazione telematica 2 Con “comunità immaginate” Bendict Anderson [2000] indica quegli insiemi di soggetti che condivide la convinzione di appartenere ad uno stesso gruppo, nonostante non siano presenti forme di interazione diretta tra i vari componenti del suddetto. Le comunità immaginate andrebbero intese, quindi, come delle rappresentazioni collettive. Le etnie, o le nazioni, ad esempio, fondano le loro basi in questo tipo di convinzioni. 3 Wellman & Gulia [1999], ad esempio. 100 5.Comunità di fan e webzine vedremo più avanti, è un veicolo di esperienze profondamente significative per l’individuo che le vive, non distinguibili da quelle appartenenti alla vita quotidiana, bensì totalmente integrate in essa fino a diventare esperienze quotidiane esse stesse e, di conseguenza, assolutamente reali. Inoltre, in un certo senso, tutte le comunità sono virtuali, o meglio immaginate, poiché sono rappresentate e percepite cognitivamente dai loro membri come comunità reali, se non fosse così non si potrebbe parlare affatto di comunità. In terzo luogo Brint sottovaluta il ruolo di caratteristiche di status e prestigio all’interno delle comunità contraddistinte da un basso tasso di interazioni faccia a faccia. Egli ritiene che la stratificazione e il potere sono proprietà importanti per tutte le comunità in cui questo tipo di interazioni è presente, ma le considera potenzialmente irrilevanti per le comunità virtuali o immaginarie. Invece, gerarchie di status e altre forme di stratificazione sociale esistono in tutti i tipi di comunità, a prescindere dall’idea ottimistica di aggregati omogenei e egalitari che se ne possa avere. Per indicare queste formazioni sociali, allora, faremo riferimento semplicemente al termine “comunità”, poiché non esiste ancora una terminologia adeguata a contraddistinguere questi fenomeni. Lisa A. Lewis pone l’accento su aspetti generalmente trascurati e caratteristici delle fan cultures, permettendo di guardare alle comunità di fan non più come a dei gruppi di fanatici organizzati, consumatori passivi di prodotti culturali standardizzati, ma come individui che si appropriano e rielaborano costruttivamente questi prodotti culturali allo scopo di realizzarsi sia come individui sia come gruppi4. 4 In The adoring audience: fan culture and popular media , a cura di Lisa A. Lewis, Routledge 1992, Londra ; New York 101 Mettere in piedi una comunità di fan, un fandom, è un tentativo di superare il senso di isolamento culturale, di guadagnare una identità come fan superando la discriminazione operata sulla cultura popolare dai mass media e dalle istituzioni scolastiche. Percependosi come membri di una larga comunità sociale e culturale, i fan traggono forza dall’identificarsi come membri di un gruppo socialmente subordinato che condivide interessi comuni e si confronta con problemi simili. Definirsi fan è accettare una identità costantemente criticata dalla cultura dominante, ma è anche un modo per riconoscersi in una identità collettiva, un modo per non sentirsi soli. Coloro che fanno parte di un fandom trovano nei propri discorsi su un determinato prodotto culturale una base di discussione e di cameratismo. I membri di questi club condividono una certa configurazione degli interessi culturali più in generale e un modo particolare, intimo, di relazionarsi a determinati contenuti. [Jenkins 1992] Tutto il fenomeno dei fan e delle fanzine, inoltre, potrebbe essere interpretato come un tentativo di compensare la distanza tra le audience e i testi di intrattenimento, tra consumatori e prodotti, una distanza che il consumismo incrementa; da qui una delle critiche relativa ad una visione passiva dei consumi in luogo di un modello partecipatorio della cultura: i fandom attuano delle pratiche in cui la divisione tra produttori e consumatori sfuma e trova largo spazio l’etica do it yourself. [Duncombe 1997] Nel suo seminale studio sulle comunità di appassionati di fantascienza Henry Jenkins [1992] pone l’accento proprio su questo aspetto: i fan di un determinato “testo” non si limitano a fruirlo passivamente, ma se ne appropriano, rielaborandone forme e significati, svolgendo un’azione 102 5.Comunità di fan e webzine praticamente attiva che si discosta sensibilmente dal luogo comune che vuole il fan come individuo psicologicamente debole e manipolabile, in balia del proprio attaccamento morboso ad un testo di intrattenimento. 5.1 Fandom Le comunità di fan sono generalmente rappresentate dai media e dagli studiosi come delle semplici “audience”, come ricettori di determinati contenuti mediatici, e l’analisi che ne viene fatta non tiene conto in alcun modo dell’uso che questi ricettori fanno del testo. I fandom sono intesi, comunemente, come il risultato passivo di un certo tipo di consumo culturale. Viceversa, Jenkins [1992] cerca di ribadire che queste associazioni rappresentano un modo organizzato di rielaborare determinati testi allo scopo di creare un sistema di relazioni che valorizzi determinati contenuti e specifici stili di vita, e che implementi la solidarietà sociale tra individui in genere isolati e socialmente marginali. Secondo l’autore è necessario dare un definizione nuova di fandom che tenga conto di queste pratiche produttive dei fan; Jenkins propone un modello che opera a quattro livelli: A) I fan adottano modi caratteristici di ricezione del testo: in primo luogo la lettura di un testo è coscientemente selettiva; selezionano un testo tra altri testi, e all’interno di uno stesso testo focalizzano la loro attenzione su determinati aspetti piuttosto che su altri. Tali contenuti, inoltre, vengono letti e 103 riletti ripetutamente allo scopo di conoscerne ogni singola sfaccettatura, per poi essere assimilati nella vita quotidiana del fan. Questo tipo di lettura si discosta prepotentemente dalla lettura casuale e superficiale che generalmente caratterizza il rapporto con la cultura popolare nella nostra società. In secondo luogo i fan non si limitano a fruire del testo per degli scopi meramente ricreativi, ma lo incorporano e lo traslano in altri tipi di attività culturali e sociali, che siano particolarmente utili e significative all’interno della loro quotidianità. I membri di un fandom usano la propria esperienza di lettura testuale come base per instaurare delle relazioni interpersonali, per aumentare la loro competenza su un determinato soggetto o, guadagnando quello che Fiske indica come capitale culturale popolare e Thornton come capitale sottoculturale5, e, infine, per avere materiali di base da riformulare nella creazione di loro opere artistiche. È questa dimensione sociale e culturale che distingue i metodi di ricezione dei fan da altri modi di leggere i testi. [Jenkins 1992] Una discussione apparsa poco tempo fa sul forum6 di velvetgoldmine.it è un esempio eloquente di estensione di un testo (in questo caso l’immagine dell’artista) e della sua incorporazione nella vita quotidiana dei fan: Negli anni 70 (quelli "cruciali" tra il 72 ed il 77) il rosso è stato una sorta di marchio di fabbrica di Bowie. Una bandiera, una perfetta trovata d' immagine, un modo per sbattere in faccia all' immaginario benpensante il 5 Per i concetti di capitale culturale popolare e capitale sottoculturale introdotti da Fiske [1992] e Thornton [1998] si veda la parte introduttiva. 6 I tipi di comunicazione mediata dal computer saranno analizzati oltre, nel paragrafo relativo alle webzine. 104 5.Comunità di fan e webzine proprio essere "altro" e al tempo stesso porre le basi di una tendenza. A me questa "predilezione" per i capelli rossi, negli anni 70 ha sempre incuriosito molto, il suo significato, quello che sta dietro alla semplice scelta estetica... Ebbene si, è una di quelle discussioni in cui si parla delle acconciature di Bowie...embe' ? - Walter Ed è un piacere risponderti! beh il rosso...è un colore con cui non si passa inosservati te lo assicuro (forse per questo l' ha scelto, all'epoca poi era un'impresa e una sfida tingersi i capelli) è un colore che caratterizza più di ogni altro colore, anche perché da una certa "importanza". l'unica cosa che, ti sembrerà stupida, ma è così... io mi sono sempre chiesta come abbia fatto a portarlo per così tanto tempo...io dopo 5 mesi non ce la facevo più! e poi, facciamoci seri, il rosso è ziggy, ziggy è il rosso! TheDuchess Io penso che in genere si tenda a giustificare questo tipo di scelte esagerando o creando dal niente delle motivazioni psicologico/sociali, a enfatizzare l' equivalenza "ricerca della propria immagine da presentare agli altri = ricerca di se stessi e tentativo di veicolarne il significato agli altri". Forse ci si vergogna ad ammettere che la spinta originale di scelte estetiche sono, appunto, ragioni (quasi) solo estetiche. Ognuno di noi è segretamente convinto che il proprio stile - se è uno stile frutto di scelta radicale o comunque non subito passivamente - gli garantisca un certo tipo di fascino squisitamente estetico che altri tipi di stile non possono offrirgli. Ovviamente il canone del "bello" estetico è soggettivo e questa soggettività si riflette sulla sua concretizzazione formale. Nel caso di Bowie c' è da tenere conto della forte esigenza mediatica che spingeva verso uno stile estremo: doveva - voleva - diventare famoso. Per il resto: 105 perché il rosso? Perché quel tipo di acconciatura piuttosto che un' altra? Semplicemente si credeva figo! ( ...e io gli do ragione! ). – plug-in baby Hai chiesto perché proprio il rosso e allora posso però parlarti della mia esperienza: io mi sono fatta rossa solo in un periodo molto speciale della mia vita: quando presi quella decisione volevo essere qualcun' altro, la mia vita passata in qualche modo era finita e io volevo ricominciare come un' altra persona, inoltre volevo mostrare a me stessa e alla vita che io ero forte e aggressiva ...ho tenuto quel look 5-6 mesi poi sono passata al mio del tutto anonimo colore naturale per poi passare al mio colore attuale che è meshato... – thurs_child Questa discussione è una dimostrazione emblematica di rilettura altamente selettiva di un aspetto preciso della figura del cantante anglosassone: attraverso il dialogo si cerca di andare oltre gli aspetti meramente estetici e cercare di risalire a motivazioni più “profonde” e significative del suo look. Inoltre, in questo modo, i fan hanno l’opportunità di parlare di se stessi, di confrontarsi e conoscersi meglio, incorporando il testo nella loro vita quotidiana (è chiaro che si siano tinti i capelli proprio per assomigliare al loro idolo7) e potere esprimere con chiarezza e disinvoltura aspetti del proprio io senza preoccuparsi del giudizio altrui, poiché sanno di discutere con individui simili. Il testo influenza la vita ordinaria dei fan e diventa un qualcosa con cui essi si confrontano individualmente e collettivamente. 7 In uno dei sondaggi svolti da Velvet Goldmine tra i membri del fanclub risulta che tra 158 interpellati il 35,4% ha dichiarato di essersi tinto i capelli dello stesso colore di Ziggy Stardust, celebre personaggio dalla chioma rossa interpretato da Bowie a metà anni settanta. 106 5.Comunità di fan e webzine B) Il fandom costituisce una particolare comunità di interpretazione: fan club, meetings, newsletter e fanzine, forniscono uno spazio dove le letture e le interpretazioni testuali vengono negoziate, vengono proposte particolari chiavi di lettura alternative, e si consolidano standard e canoni di interpretazione per il gruppo, che fungano da base per ulteriori approfondimenti e per letture future, al punto da determinare ciò che costituisce un uso appropriato del materiale testuale. I significati generati da questo processo riflettono le specifiche istituzioni interpretative del fandom. [Jenkins 1992] I fan italiani di David Bowie ascoltano e riascoltano i suoi dischi e tutti i bootlegs dei concerti dei vari periodi della sua carriera. In questo modo, attraverso discussioni e recensioni, riescono a creare dei contesti di interpretazione delle musiche, dei testi e dei modi di cantarli da parte del loro autore. Il sospetto che durante un certo lasso temporale il musicista facesse uso stupefacenti, ad esempio, viene ricavato da determinate timbriche musicali e stili del canto, oltre che da liriche claustrofobiche e pessimistiche che si riscontrano in più album o concerti di uno stesso periodo. Ogni canzone ed ogni album è inserito, così, in un continuum in cui un singolo elemento rimanda ad altri che permettono una visione di insieme più approfondita e critica; attraverso il confronto con altri fan si può ricostruire questo continuum, che permetterà di recepire ogni singolo elemento della produzione culturale dell’artista secondo una visione precisa determinata dal fandom stesso. Ad esempio: Aladdin sane… che non sia quella vittima piangente, esclusa da una società in preda a una frenesia bellica, a cui una prima lettura del testo potrebbe far pensare, ma, all' interno di quella stessa società, rappresenti 107 quel dittatore assoluto di stationtostationiana memoria che, bloccato per adesso all' inizio della propria parabola politica, sguscia non visto e non considerato tra la gente, ma che, grazie a quelle condizioni che la società stessa gli sta costruendo, un giorno arriverà ai vertici di questo percorso verso il potere, e tutti, tra un bicchiere di champagne e una guerra navale, lo ameranno e lo adoreranno... come vedere uno squarcio su una strada parigina congestionata dalla colpevole spensieratezza e superficialità della bell' epoque, e scorgere, in un vicoletto laterale, assolutamente solo, emarginato, un Hitler ancora bambino che si succhia il dito... – thurs_child8 In questa recensione della canzone Aladdin Sane, la fan scorge le simpatie nazifasciste che avrebbero contraddistinto un periodo seguente della produzione musicale di David Bowie9. Inoltre, ribalta la lettura che viene normalmente fatta di questo brano: il protagonista delle liriche non è una vittima della società alienante ma rappresenta la società distruttiva stessa. L’interpretazione che di norma viene data della canzone nella letteratura musicale è la prima. In questo caso i fan danno una loro lettura del testo, perché riescono, grazie alle loro competenze, ad inserirlo in un sistema di riferimenti testuali incrociati che consente loro interpretazioni multiple e originali. È attraverso sistemi simili che un fandom si appropria di un testo e stabilisce nuovi canoni interpretativi per la lettura dello stesso. 8 Questa recensione è stata pubblicata on line sul forum di velvetgoldmine.it ed è della fan Plug-in baby. 9 La canzone Aladdin sane è stata pubblicata sull’omonimo album del 1973 dalla Rca. Il riferimento a simpatie nazionaliste è invece relativo all’album Station To Station del ’76. 108 5.Comunità di fan e webzine C) Il fandom è uno specifico mondo dell’arte: da una parte, infatti, i fanclub rappresentano un elemento essenziale dei mondi dell’arte esistenti, praticando fondamentali funzioni di riduzione della complessità per i consumatori, e di tastemaking e marketing per i produttori poiché svolgono un ruolo centrale nella distribuzione della conoscenza riguardante la produzione di determinati prodotti culturali10. D’altra parte il fandom costituisce un mondo dell’arte in se; i fan traggono materiale grezzo dai testi preesistenti, se ne appropriano e li rielaborano per crearne di nuovi, dando luogo a quella che Jenkins definisce una pratica di “bracconaggio testuale” (textual poaching, si veda oltre). Usano la propria esperienza di lettura dei testi come base per altri tipi di creazioni artistiche; ad esempio alcuni fan dipingono dei quadri che hanno per soggetto gli idoli del fandom a cui appartengono, oppure scrivono delle canzoni ispirate agli stessi. [Jenkins 1992] Il caso delle cover bands è significativo: si tratta di musicisti che ricalcano un artista in ogni dettaglio, dalla musica al look. Queste band non hanno un mercato discografico né un pubblico inteso in senso tradizionale. I loro dischi, autoprodotti, vengono comprati dai membri del fandom cui la cover band stessa appartiene, e ai loro concerti vanno coloro che fanno parte della comunità di fan. Si viene a creare un mondo dell’arte [Becker 2004] parallelo a 10 Riguardo il caso Velvet Goldmine: nella fanzine prima, e sul sito poi, lo spazio dedicato a dettagliatissime recensioni dei dischi di Bowie è sempre stato preponderante; in particolare nella sezione delle news vengono presentate con largo anticipo le ristampe che l’etichetta discografica si accinge a immettere sul mercato, con tutti i dettagli necessari a rendere l’oggetto in questione “appetibile” per un fan (ad esempio la presenza di canzoni inedite). Così, da un lato, le case discografiche possono constatare se ci sia effettivo interesse per un determinato prodotto, monitorando in continuazione gli interessi dei fan; dall’altro lato i fan sono costantemente aggiornati su cosa sia possibile acquistare, e se ne valga la pena farlo. Un meccanismo efficiente ed essenziale al funzionamento dell’industria musicale. 109 quello dell’industria musicale “ufficiale”, ma che funziona esclusivamente all’interno di un fandom. Nella comunità di bowieani, ad esempio, i concerti degli Zkippy Stardust, cover band italiana del Bowie periodo glam, sono un’occasione di incontro per i membri di Velvet Goldmine, che accorrono a vederli e sponsorizzano attivamente la loro musica11. D) Il fandom rappresenta una comunità sociale alternativa: i modi attraverso cui i fan si appropriano dei testi consente loro di avere un corpo di riferimenti condivisi che facilita la comunicazione con altri soggetti geograficamente dispersi, con cui dividono interessi e un comune senso di identità ricavato dal senso di appartenenza al fanclub stesso. Il collasso delle tradizionali forme di collettività e solidarietà culturale, all’interno della sempre più atomizzata società contemporanea non ha cancellato il bisogno di partecipazione e di identità di gruppo. Il fandom offre una comunità non più definita dai tradizionali termini di razza, religione, genere, localizzazione geografica, orientamento politico o professione, ma piuttosto una collettività di consumatori, definiti attraverso la loro comune relazione con i testi condivisi. I fan sono consapevoli della contrapposizione tra le proprie comunità e il mondo “ordinario” (mundane); difatti, si sforzano di costruire strutture sociali che accettino più facilmente le differenze individuali e che siano più adattabili ai particolari tipi di investimenti culturali promossi dai fanclub. Per di più, queste comunità attuano delle pratiche più democratiche e partecipatorie nelle loro attività (le fanzine sono un esempio di queste pratiche partecipatorie, come è stato esposto precedentemente). In questo senso il 11 Riguardo ai network di fanzine come mondi dell’arte si veda anche il capitolo precedente. 110 5.Comunità di fan e webzine fandom risulta attraente per i gruppi marginalizzati e subordinati nella cultura dominante, perché la sua organizzazione sociale fornisce tipi di accettazione incondizionati e fonti alternative di status. [Jenkins 1992] I bowieani si riuniscono, virtualmente e fisicamente, per fare delle lunge discussioni su aspetti specifici relativi ai contenuti della loro passione. Spesso avvengono le cosiddette reunion tra i membri di Velvet Goldmine, cioè serate a tema, organizzate tre o quattro volte all’anno in alcuni locali di grandi città come Roma o Milano, in cui si esibiscono alcune cover band di Bowie, che sono anche occasioni di incontri in cui i partecipanti rinsaldano la solidarietà reciproca e istaurano interazioni durature. Appartenere al fanclub permette innanzitutto di conoscere amici, con cui potere uscire e divertirsi condividendo particolari interessi12. Un modo di guadagnare prestigio in seno ad una organizzazione di fan può essere il possesso di una collezione di dischi estremamente vasta e ricca di rarità13. Collezionare oggetti, infatti, produce nuovi circuiti di valore tra i collezionisti. I valori attribuiti a questi oggetti, e alle relative collezioni, non sono riconducibili al valore di mercato, poiché spesso si tratta di materiale assolutamente privo di importanza per coloro che non se ne interessano, ma 12 Uno dei sondaggi svolti internamente dal fanclub di Bowie domandava quante persone fossero entrate in reciproco contatto attraverso la webzine, ne è risultato che il 52,4 % degli interpellati (145 casi) ha confermato questa pratica. 13 A questo proposito è interessante notare che uno dei sondaggi svolti periodicamente tra i fan e pubblicati on line riguarda il numero di dischi posseduto da ciascun membro del fanclub. Risulta così che il 39,9% dei bowieani ha da 1 a 50 pezzi, il 35,8 % ne ha tra 50 e 300, il 12,5% ne ha tra 300 e 500, il 7,7% ne ha tra 500 e 1000 e solo il 3% ne ha più di mille. Stilare questo tipo di classifiche è un modo per ribadire l’importanza attribuita ad una nutrita discografia dell’artista all’interno della comunità, che rappresenta una forma di capitale sottoculturale oggettivato [Thornton 1997] utile alle logiche di distinzione interne alla comunità di fan stessa (vedi anche capitolo seguente). 111 acquistano un valore, persino monetario, man mano che aumenta la loro singolarità o rarità. [Sassatelli 2004] Nel numero zero di Velvet Goldmine una intera pagina è dedicata a quello che viene presentato come “un evento importante”: un certo Daniele di Bassano del Grappa ha acquistato ad un’asta la chitarra autografata di David Bowie. L’evento viene commentato in questi termini: “[…] non ci rimane che complimentarci con Daniele per la sua importante acquisizione, che vale un pellegrinaggio a Bassano del Grappa”; questa persona ha assunto uno status di importanza quasi mistica (si parla addirittura di pellegrinaggio) solo per avere acquistato una chitarra ad un’asta. Il possesso di questo oggetto autografato, una sorta di feticcio dell’artista stesso, lo fa assurgere ad una posizione privilegiata agli occhi egli altri fan14. Indirettamente ciò ci consente di evidenziare anche un altro aspetto caratteristico delle comunità di fan, cioè il fatto che al loro interno esistano delle gerarchie e che i rapporti tra i soggetti che ne fanno parte sono regolati da una serie di norme. Nel forum di Velvet Goldmine ogni utente è contraddistinto da una serie di stelle che rappresentano l’anzianità e il grado di coinvolgimento all’interno del fan club. Si può essere neo-iscritto, e non avere stellette, o fan, fan attivo, fan hardcore, e fan senior, guadagnando rispettivamente da una a quattro stellette di anzianità e prestigio. Il massimo grado si raggiunge quando si diventa moderatori, con cinque stellette, ai quali si riconosce lo status di veri 14 Nel numero due della fanzine viene pubblicata una intervista di due pagine a questo fan, Daniele Pensavalle, con cui nel frattempo l’autore di Velvet Goldmine era entrato in contatto. Nell’intervista si chiede al “famoso” fan del suo rapporto con Bowie: quante volte lo ha incontrato e dove, quanti dischi possiede, quali sono i suoi preferiti, e di come è entrato in possesso del prezioso feticcio. 112 5.Comunità di fan e webzine esperti in materia David Bowie, ed una lunga militanza attiva all’interno del fanclub: nell’organizzare le riunioni, nel cercare in Rete notizie o foto da pubblicare, nell’innescare discussioni sempre nuove ed interessanti e, più in generale, nel tenere vivo l’interesse nei confronti dell’artista. Inoltre, alcuni comportamenti vengono sanzionati con dei “cartellini gialli” virtuali da parte dei fan più “anziani”, i moderatori. Non si può utilizzare un linguaggio scurrile e non si deve per nessuna ragione criticare le scelte ideologiche o comportamentali degli altri fan. Il rispetto reciproco, incondizionato, è la prima regola del forum, alla terza ammonizione si è espulsi a vita dal fanclub. In questo senso ognuno è libero, e si sente libero, di esprimere le proprie idee senza temere di essere giudicato infantile o in modo peggiore. Aumenta il senso di accettazione individuale all’interno di una comunità di persone, anche quando non tutti la pensano esattamente allo stesso modo su un determinato tema. Spesso, infatti, un disco, un film o il testo di un canzone, offrono ai fan lo spunto per discutere di argomenti che esulino dall’oggetto specifico del fanclub. La pena di morte, l’eutanasia, la liberizzazione delle droghe, il rispetto verso le comunità omosessuali, sono alcuni dei temi che si inseriscono nelle discussioni tra fan e permettono di dialogare e mettere a confronto soggetti che pur mantenendo delle affinità divergono sotto altri aspetti. Ognuno condivide le proprie esperienze con gli altri interlocutori, cercando di istaurare un dialogo costruttivo e utile alla propria realizzazione come individuo. Nel fandom, come nella cultura ufficiale, l’accumulazione di conoscenza e di esperienza è fondamentale per l’accumulazione di capitale culturale [Bourdieu 1983]. Questo specifico capitale culturale, che dovremmo definire 113 capitale sottoculturale15 [Thornton 1998], permette di distinguere tra una comunità e un’altra, ognuna caratterizzata da forme distintive di conoscenza, e, all’interno di una stessa comunità, tra soggetti più o meno ricchi di capitale. Gli esperti guadagnano prestigio all’interno del gruppo dei pari e agiscono come opinion leaders. Così, proprio come nella cultura dominate, la conoscenza è una fonte di potere e di status. Ma mentre la cultura borghese sfrutta il proprio capitale culturale per rafforzare o arricchire l’apprezzamento per un’opera o un artista, nei fandom questo capitale culturale aumenta il potere del fan di “vedere attraverso” i processi produttivi normalmente nascosti dal testo e dall’industria culturale e inaccessibili ai non-fan, consentendogli la pratica del bracconaggio16. Non a caso i fan sono avidi collezionisti; la collezione, infatti, è una forma di accumulazione del capitale culturale. I dischi o le fanzine rappresentano forme di capitale culturale oggettivato, poiché, per esempio, possedere una vasta collezione di dischi permette di acquisire status all’interno di un fandom. 5.2 Fan come bracconieri Traendo spunto dal lavoro di Michel De Certeau [2001], H. Jenkins propone una concezione alternativa di fan, identificandolo come quel lettore “bracconiere del testo” la cui attività pone importanti questioni sulle abilità dei media di controllare la circolazione e i significati dei loro prodotti. 15 La nozione di economia della cultura introdotta da Pierre Bourdieu [1983] e le distinzioni tra capitale culturale, capitale culturale popolare e capitale sottoculturale sono discusse nella parte introduttiva. 16 Vedi paragrafo seguente. 114 5.Comunità di fan e webzine La cultura dei fan tenta di erodere i confini tra il gusto legittimo di determinati prodotti culturali, promosso da istituzioni come la scuola o i media, e quello reputato abnorme per altri prodotti culturali di massa17. I fan cercano di leggere questi prodotti testuali in modo più serio e approfondito rispetto ai modi legittimamente consentiti, trattando i testi popolari come se meritassero lo stesso grado di attenzione e di apprezzamento dei testi canonici. Parlano di artisti dove altri vedono prodotti di intrattenimento di massa, di creatività dove altri vedono banalità Come evidenziato all’inizio di questo capitolo, le pratiche interpretative dei fan si differenziano da quelle attuate dal sistema educativo e preferite dalla cultura borghese, non solamente nel loro oggetto e nella loro intensità, ma spesso nelle capacità di lettura utilizzate, nei modi in cui i fan si approcciano ai testi stessi. Benché dalla prospettiva del gusto dominante sembrino fuori 17 De Certeau parla di una “muraglia cinese che circoscrive un luogo proprio del testo e costituisce l’ordine segreto di un opera”. Secondo l’autore “è evidente che l’idea di un tesoro nascosto di un’opera, cassaforte del senso, non ha come fondamento la produttività del lettore, bensì l’istituzione sociale che surdetermina il suo rapporto con il testo. La lettura viene cioè in qualche modo obliterata attraverso un rapporto di forza tra produttori e consumatori, di cui diviene lo strumento. L’uso del libro da parte di soggetti privilegiati lo trasforma in un segreto di cui essi sono i “veri” depositari. Erige fra esso e i suoi lettori una frontiera che può essere oltrepassata solo con un passaporto rilasciato da questi interpreti, trasformando la loro lettura in una “letteralità” ortodossa che riduce le altre interpretazioni all’eresia o all’insignificanza”. “Il senso “letterale” è l’indice e l’effetto del potere sociale di una èlite. Il testo diviene così una arma culturale, una riserva di caccia, il pretesto di una norma che legittima l’interpretazione dei professionisti socialmente autorizzati”. “L’isolamento del lettore dal testo di cui il produttore o i maestri si considerano padroni avviene attraverso i dispositivi sociopolitici della scuola, della stampa e della televisione. […] Il lettore è spinto così da questa struttura gerarchica a conformarsi all’”informazione” distribuita da un èlite, ma si prende una rivincita insinuando astutamente la sua inventività nelle falle di una ortodossia culturale. I lettori sono dei viaggiatori; circolano sui territori altrui, come dei nomadi che praticano il bracconaggio attraverso pagine che non hanno scritto verso una lettura caratterizzata da tattiche e giochi con il testo, che va e viene, di volta in volta giocosa, protestataria, fuggente”. cit. da: Michel De Certeau L’invenzione del quotidiano Roma Lavoro, 2001 [pag.233-248] 115 controllo, non facendosi influenzare da autorità istituzionali ed esperti, i fan affermano il loro diritto di interpretare, di valutare e di costruire canoni culturali propri. Essi costruiscono la loro identità sociale e culturale prendendo in prestito elementi della cultura di massa e investendoli di significati nuovi, cessando in questo processo di essere la “semplice” audience di un testo popolare, e diventando partecipanti attivi nella circolazione e costruzione dei messaggi del testo stesso. Come i bracconieri che, girovagando clandestinamente nelle riserve di caccia protette, prendono solo ciò di cui hanno bisogno, così i fan si appropriano di vari elementi della cultura di massa, sfruttandone i materiali per i propri scopi e rielaborandoli come basi per la loro produzione culturale e per le loro interazioni sociali, tralasciando il resto. Questo tipo di pratica va intesa, quindi come un tentativo di superare i tradizionali confini tra cultura alta e cultura popolare (di massa) istituzionalmente determinati. Secondo l’autore americano, l’analogia con il bracconaggio caratterizza una relazione di lotta tra scrittori, cioè produttori di testi, e quindi di significati socialmente stabiliti, e lettori, per il possesso del testo e per il controllo sul suo significato. De Certeau [2001] parla proprio di una economia della scrittura dominata dai produttori di testi che istituzionalmente sanzionano gli interpreti e le voci multiple dell’oralità popolare, restringendone i campi d’azione. Il potere del linguaggio diventa emblema della autorità culturale e del potere sociale esercitato dalle classi dominanti all’interno della società. In quest’ottica il testo è una arma culturale, una riserva di caccia privata, e il lettore è un recipiente passivo del significato autoriale, mentre ogni forma di deviazione dal significato iscritto nel testo è vista negativamente e quindi sanzionata. Le istituzioni scolastiche penalizzano la deviazione e premiano l’interpretazione 116 5.Comunità di fan e webzine gerarchicamente corretta. Difatti, quando i testi popolari sono inglobati all’interno dell’accademia, essi vengono valutati secondo i criteri che si adottano per gli stessi testi eruditi. Tutto questo marginalizza e mette a tacere le voci in opposizione, e rispecchia la loro esclusione al momento della produzione culturale. Come i bracconieri, infatti, i fan operano da una posizione periferica e di debolezza sociale. Essi non hanno l’accesso diretto ai sistemi di produzione culturale e ai loro significati, e sono fortemente dipendenti da questi, nonostante abbiano un certo grado di autonomia. È importante chiarire, tuttavia, che la nozione di bracconaggio introdotta da Henry Jenkins è una teoria dell’appropriazione e non una teoria di fraintendimento. Il fraintendimento è necessariamente valutativo e preserva la gerarchia tradizionale che privilegia il significato autoriale rispetto a quello del lettore. Un’idea di fraintendimento includerebbe l’ipotesi che ci siano strategie di lettura proprie e improprie, che comporterebbero la distinzione tra significati legittimi e illegittimi. Inoltre implicherebbe che lo scolarizzato, e non il lettore comune, sia nella posizione di rivendicare la corretta attribuzione di significati, e che la lettura accademica, quindi, sia in qualche modo più oggettiva rispetto a quella del fan. De Certeau non esclude il valore del significato legittimo, autoriale, ma cerca di introdurre le pratiche di appropriazione e bracconaggio nell’ampio range di più o meno accettabili modi di creare significati. Ad ogni modo, dire che i fan producono i propri significati attraverso quelli dei produttori non significa che il fan si pone necessariamente in antagonismo con questi: non significa che i loro significati siano sempre in contrasto/opposizione con quelli degli autori. I lettori non sono sempre ribelli (resistant), non sempre riconoscono la loro condizione alienata e subordinata. Come ha notato Stuart Hall la cultura popolare è profondamente 117 contraddittoria, caratterizzata da un duplice movimento di contenimento e resistenza: ogni lettore valuta in continuazione la sua relazione con la fiction e ricostruisce il suo significato in base a interessi più immediati. [cfr. Jenkins 1992] I lettori descritti da De Certeau sono individui isolati; per di più, il significato che essi ricavano dal testo primario soddisfa soltanto i loro interessi momentanei ed è costituito di limitato investimento intellettuale. Invece Jenkins ribadisce che la lettura del fan è un processo sociale, attraverso il quale le interpretazioni sono plasmate e rinforzate per mezzo di ulteriori discussioni che superano la semplice fruizione occasionale del testo. Queste discussioni espandono i limiti propri di tali testi, i significati ottenuti sono più integrati nelle vite dei lettori e hanno un carattere fondamentalmente differente rispetto a quelli generati dalla lettura occasionale. Creano una base interpretativa per le seguenti esposizioni ai testi, plasmando il modo in cui verranno percepiti e definendo il modo in cui dovranno essere fruiti. Il meta-testo [Jenkins 1992] realizzato dai fan è un processo di attiva partecipazione e interpretazione che trasforma le priorità del testo, allungando i contenuti dai loro margini, focalizzandosi su dettagli periferici di un contenuto primario e facendogli guadagnare un significato particolare all’interno della comunità dei fan stessi. I fan riproducono il testo primario riscrivendolo e ricostruendolo, riparando o omettendo elementi del testo che non li soddisfano e sviluppandone altri non sufficientemente esplorati dagli autori “legittimi”. Si potrebbero citare numerosi esempi di meta-testo rapportabili alla comunità di bowieani. Dei quadri e dei disegni che rappresentano il cantante Bowie si è già accennato. Da qualche anno, inoltre, la webzine crea un proprio calendario con varie immagini del cantante “rubate” in Rete, e lo mette a 118 5.Comunità di fan e webzine disposizione dei fan per il download gratuito. Questa pratica è fortemente antagonistica nei confronti del mondo dell’arte ufficiale, che produce i propri calendari e li mette in vendita a prezzi piuttosto alti, ed è un buon esempio del conflitto tra i lettori/bracconieri e i produttori/autori. Il conflitto tra fan e produttori è rappresentato dal tentativo dei primi di creare e far circolare i loro testi basati sul testo creato dai secondi, che, di contro, tentano di impedire tutto ciò. Il “bootleg” è il meta-testo che meglio di ogni altro rappresenta una lotta per la circolazione del testo e del suo significato. Come già spiegato in precedenza, i cosiddetti bootleg sono dischi pirata immessi sul mercato da gruppi di fan organizzati, che contengono registrazioni dal vivo di concerti, rarità e versioni particolari di brani più noti. I fan si preoccupano di registrare questi materiali, a volte con mezzi di fortuna e risultati decisamente scadenti, e di riprodurli su larga scala per scambiarli con altri fan. Occasionalmente i bootleg vengono venduti, ma in genere il fan che possiede dei dischi di questo tipo è in contatto con altri soggetti con cui potere scambiare le proprie registrazioni; di fatto la creazione di un bootleg è perseguibile legalmente. I discografici e gli artisti sono comprensibilmente ostili a questa pratica, poiché il materiale riprodotto è protetto da copyright, e, quando inedito, non è considerato degno di essere 119 pubblicato. Il fan, invece, vuole ascoltarlo comunque, per poterlo giudicare e per poterne discernere con altri fan. Così, da un lato l’artista/autore vorrebbe impedire la circolazione di uno specifico contenuto e del relativo significato, dall’altro il fan/bracconiere se ne appropria e lo distribuisce, anche in condizioni inadeguate (come nel caso di registrazioni particolarmente scadenti o di materiale non all’altezza di pubblicazione). Uno dei membri di Velvet Goldmine, Oscar, ha coinvolto altri fan per realizzare la propria copertina per il bootleg di un live di Bowie del ’78. Ha chiesto ad altri membri del fanclub di spedirgli via e-mail il maggior numero di foto che fossero in grado di recuperare, purché fossero relative a quel periodo della vita del cantante, per potere realizzare una copertina pertinente al contenuto dell’album. Completato il disco pirata, ha messo a disposizione degli altri fan il bootleg e la copertina creata. D' altronde Velvet Goldmine fornisce l’elenco di tutti i dischi non-ufficiali disponibili tra i fan, molti dei quali realizzati e scambiati dai membri stessi del fanclub, dando la possibilità a coloro che se ne interessano di procuraseli. Un esempio di bracconaggio più innocuo, invece, può essere considerata la pratica di realizzare un fumetto ironico/satirico che si prende gioco della figura del cantante inglese, traslando il personaggio in una dimensione familiare e “casereccia” molto poco inerente con la realtà ma indubbiamente comica. Walbianco e Anthea, pseudonimi dietro i quali si nascondono due membri della comunità di bowieani, hanno realizzato una serie di simpatiche vignette in cui Bowie e consorte parlano in romanesco e litigano come una normalissima coppia di mezza età in crisi coniugale. Anche in questo caso alcuni elementi del testo primario vengono “rubati” dai fan, ritoccati e ricontestualizzati per ottenere dei significati inediti e funzionali alla comunità di 120 5.Comunità di fan e webzine fan: ridere del loro idolo, calato in una situazione grottesca e molto “umana”, poiché vicina alla vita ordinaria dei membri del fandom. 5.3 Fanzine e webzine Dopo appena tre numeri di Velvet Goldmine e meno di un anno di pubblicazione18, Stefano Nardini decide di abbandonare il supporto cartaceo e dedicarsi esclusivamente al web, realizzando il sito Internet velvetgoldmine.it, con l’aiuto di altre due fan conosciute per mezzo della fanzine, Valeria e Paola, provviste delle competenze necessarie. D: perché Velvet Goldmine ha smesso di esistere come fanzine? R: perché è arrivato Internet... la fanzine era sempre vecchia... poi altri fans, altri contributi, altre idee, io non avrei saputo dove mettere le mani, hanno portato alla realizzazione del sito. D: quando e stata presa la decisione di creare il sito? E perché? R: il fatto di cronaca che ha messo in leggera difficoltà la fanzine è stato un problema al mio p.c. che mi ha fatto perdere tutto il grande lavoro di impaginazione... ma poi la valutazione che uno spazio italiano adatto in Rete non c’era. Poi Valeria conosceva tutte le procedure Internet, l’html, etc. abbiamo provato, abbiamo imparato tutti a scrivere le nostre pagine D: come viene realizzato il sito? Come è costituita la redazione, e come nasce e si svolge la collaborazione? 18 Il numero zero di Velvet Goldmine è del gennaio ’98, il secondo e ultimo numero del novembre dello stesso anno. 121 R: siamo in tre: io, Valeria e Paola. Valeria è molto preparata dal punto di vista tecnico, io curo più le pagine e Paola si occupa dei rapporti con l’esterno… ogni cosa viene comunque decisa sempre insieme. D: che opportunità in più offre Internet rispetto una fanzine? R: la velocità della comunicazione… la maggiore facilità di interagire D: viceversa, cosa manca rispetto ad uno stampato? R: non saprei, forse nulla D: che ruolo ha ricoperto il sito per tutti gli eventi riguardanti Bowie e i suoi fan italiani? R: importante, molto. Il ruolo del sito è stato determinante per la logistica di alcuni fans per i concerti. Determinante per la serata dell’8 settembre 2003, quando c’è stata la diretta cinematografica del concerto dei Riverside Studios di Londra. Determinante per la signing session di ottobre 2002 presso la Feltrinelli di Milano. D: il sito ha fatto aumentare la comunità di bowieani? Ha permesso contatti tra la comunità di fan nazionale e l’esterno (o quella estera)? O con altre comunità (tipo i loureeders). R: penso di sì... non so se sono aumentati, sicuramente li ha tenuti insieme. Sì contatti con loureed.it e qualche sporadico contatto con l’estero La webzine Velvet Goldmine offre tutte le opportunità che erano già presenti nella fanzine (immagini, recensioni, articoli, news) e in più può essere aggiornata quotidianamente, qualora ce ne fosse la necessità19. 19 Di norma il sito Internet viene aggiornato almeno un volta alla settimana. 122 5.Comunità di fan e webzine Se i meeting reali tra i fan sono inevitabilmente sporadici, a causa della dispersione geografica lungo tutto il territorio e i relativi impegni familiari e lavorativi, attraverso Internet questi incontri avvengono quotidianamente. Basta possedere un computer collegato alla Rete per ottenere la possibilità di mettersi “on line” ovvero di avere accesso al network di reti telematiche che costituiscono Internet. Una volta connessi si può dialogare con altri utenti geograficamente lontani in uno scambio di testi scritti che rappresentala la cosiddetta CMC, comunicazione mediata dal computer, che avviene fondamentalmente attraverso due modalità: in modo asincrono (posta elettronica, mailing list e forum) e sincrono (chat line). I forum di discussione, anche noti come newsgroup, sono come delle bacheche elettroniche a tema, cui ogni membro iscritto può accedere sia per leggere i messaggi inviati dagli altri iscritti sia per inviarne di propri, contribuendo alla discussione collettiva che contraddistingue ogni forum. Di norma i forum si occupano di argomenti caratteristici in modo generale, e al loro interno sono strutturati in sottocategorie per discussioni più specifiche. Le chat line, a differenza dei newsgroup, offrono la possibilità di comunicare sincronicamente con gli altri utenti iscritti, sia collettivamente sia privatamente, all’interno di quegli spazi virtuali chiamati “chat rooms”. La chat line presente nel sito di Velvet Goldmine consente di dialogare in tempo reale con decine di altri fan; allo stesso modo il forum di discussione, in cui ciascun fan può “postare” un argomento che gli interessa discutere con gli altri membri del fanclub (relativo alla produzione di Bowie o meno), permette il confronto reciproco tra soggetti distanti ma in continuo contatto20. 20 Molti membri del fanclub scrivono sul forum direttamente dal proprio posto di lavoro, durante le pause, ad esempio. 123 L’opportunità di entrare in contatto con altri individui è data anche dal sistema di ricerca presente nella pagina di iscrizione gratuita al fanclub di Bowie, dove c’è la possibilità di consultare l’archivio dei 1088 iscritti, per constatare se ci siano altri bowieani nella propria zona di residenza; si possono trovare gli indirizzi e-mail di altri fan vicini a casa propria, in alcuni casi persino il numero di cellulare, con cui potere condividere interessi e istaurare delle relazioni. La scelta di abbandonare la forma stampata da parte del creatore di Velvet Goldmine evidenzia, comunque, il principale vantaggio offerto dalla Rete: l’interattività. La webzine consente uno scambio di informazioni e contenuti costante e istantaneo; i fan possono aggiornarsi in qualsiasi momento sulle novità riguardanti il loro interesse e possono mettersi in contatto l’un l’altro in tempi irrisori e con costi decisamente contenuti. Internet possibilità: l’abbattimento offre in anche primo dei costi altre luogo di distribuzione e stampa di una fanzine, che, per quanto contenuti, il nuovo medium consente di annullare completamente. La gestione di un sito è indubbiamente meno dispendiosa di quella di un magazine, anche in termini di tempo, poiché una volta scritto, l’articolo può immediatamente essere 124 5.Comunità di fan e webzine pubblicato in Rete. Il lavoro di web design, invece, è l’equivalente del lavoro di impaginazione per un prodotto stampato, ma, nel caso di una webzine, il layout viene eseguito un' unica volta, laddove nella fanzine è necessario realizzare l’impaginazione grafica per ogni numero. In secondo luogo, le webzine permettono di archiviare e rendere contemporaneamente accessibili tutti i contenuti elaborati in precedenza. Nei siti di Freak Out o Succo Acido c’è la possibilità di leggere tutti gli articoli realizzati per le fanzine e ordinati per argomenti. Inoltre, frequentemente, trovano collocazione in Rete quegli articoli che per motivi di spazio non hanno trovato posto nella forma stampata. Alcune fanzine/webzine, per di più, sfruttano la multimedialità offerta dal web dando la possibilità di scaricare musica o altri materiali gratuitamente. Si è già accennato al calendario offerto da velvetgoldmine.it; Succo Acido mette a disposizione di chi ne fosse interessato gli mp3 della band di Marco Di Dia (il curatore della fanzine) gli Sbarazzo Magazzini Box; la webzine Non Ce N’è, invece, permette di scaricare per intero la fanzine così che ognuno possa stamparsene una copia personale. Infine, la facilità di accesso che il mezzo Internet comporta, consente di ottenere maggiore visibilità e di raggiungere simultaneamente un gran numero di utenti, senza determinare particolari investimenti in promozione o distribuzione. Questo aspetto, tuttavia, è uno dei più controversi del rapporto tra fanzinari e world wide web; infatti, per i fanzinari poco interessati ad ottenere visibilità e diffusione su larga scala, questo è uno svantaggio, al punto che per alcune fanzine lo sfruttamento della Rete non è neanche contemplato. Oriental Beat non ha un portale on line, il suo curatore ha una opinione negativa delle webzine: “Con Internet tutto è più veloce, più economico, definitivamente più ‘facile’. E questo non giova sempre alla qualità dell’offerta. 125 Oggi tutti fanno webzine. E’ bello, ma c’è dietro molta meno fatica e molta più incompetenza”. La possibilità che chiunque possa leggere e realizzare una webzine si scontra, in alcuni casi, con le logiche di distinzione [Bourdieu 1983] che caratterizzano le pratiche dei fanzinari. Come vedremo oltre, infatti, la scelta di rimanere ai margini del mercato dell’editoria è perseguita allo scopo di mantenere una certa esclusività del capitale culturale che le fanzine rappresentano21. Anche Stefano Bianchi di Blow Up non manifesta apprezzamento per le webzine: “Le webzine nel 99% dei casi, secondo me, sono fatte malissimo, […] perché non hanno neanche il briciolo di filtro che avevano le fanzine cartacee, che era bene o male la piccola spesa della carta, cioè due soldi li devi recuperare; il mercato è una gran cosa, cioè, è un mostro ma è una cosa straordinaria, distingue bene. Purtroppo la webzine non ha nessun tipo di filtro, per cui trovi delle cazzate astrali in Rete, proprio delle imprecisioni, […] cioè, è uscito il nuovo disco degli U2, è il quarto disco che fanno, puttanate di questo tipo qua”. Indubbiamente il fatto che chiunque possa immettere nel web le proprie opinioni e i propri contenuti è visto negativamente da coloro che cercano di fare un tipo di (contro)informazione più approfondita e critica rispetto a quella offerta dai mass media. La webzine è un ibrido tra un medium di tipo tradizionale, accessibile a chiunque, e una fanzine. Se da un lato i vantaggi in termini di interattività sono indubbi, dall’altro molte delle caratteristiche della fanzine vanno inevitabilmente perse, ed in particolare tutti quegli aspetti relativi all’estetica e alla fisicità della fanzine, che in parecchi casi ricoprono 21 Le pratiche di distinzione sociale [Bourdieu 1983] adoperate nel realizzare una fanzine verranno ampiamente trattate nel capitolo seguente. 126 5.Comunità di fan e webzine un’importanza maggiore dei contenuti. Roberto Baldi della fanzine Baut, infatti, conferma: “Le webzine non le concepisco, anche se Internet come mezzo è ottimo per i fanzinari, per raccogliere informazioni, stare in contatto etc., non si possono leggere ... si stancano gli occhi! […] Da un punto di vista feticista manca proprio il supporto da avere in mano, da sfogliare, guardare, etc., si perde il gusto del possesso dell’oggetto”. Internet è enormemente sfruttata dai fanzinari per raccogliere informazioni, aggiornare i propri collaboratori e per mantenere i contatti reciproci. Tuttavia manca l’aspetto concreto della realizzazione di uno stampato che per molti fanzinari rappresenta una caratteristica irrinunciabile: D: internet! Cosa rappresenta per te e per Succo Acido questo mezzo? Ci sono pro? Ci sono contro? Come lo sfrutti e come lo hai sfruttato? R: (lunga pausa)… Internet è un mezzo…bellissimo. Cioè, è anche un mezzo bruttissimo. D: spiegati R: è bello perché io su Internet c’ho messo tutte le sezioni di Succo Acido, di arte, di teatro, di musica, di fumetti, di scrittura, poi ci ho fatto la galleria di tutte le opere, che lì si possono vedere a colori, poi ci ho messo tutti gli articoli che per problemi di spazio non sono finiti sul cartaceo, recensioni comprese, e poi…i vari link, che sono tantissimi, circa duemila, e sempre intesi a scambio di informazioni tra certi circuiti. E basta, più o meno questo. D: con che frequenza viene letta su Internet? R: ci sono tra i 130 e i picchi di 250 ingressi giornalieri, quando mando le newsletter all’uscita di un nuovo numero. D: perché non hai deciso di concentrati esclusivamente sul web? 127 R: no perché Internet da sola non… ha un altro sapore. D: cioè? R: non ha l’odore della carta, non c’ha il brivido della carta, non ha cinquemila copie che sono là, su cinquemila tavoli. D: cosa ha in più la carta? R: resta. Resta di notte, resta di giorno, la puoi anche usare per sedertici a terra… l’ho visto fare. Diventa un oggetto di culto a volte, un soprammobile… se non ti va di leggerlo ora puoi farlo dopo, ma comunque magari lo leggi. Internet è pochi secondi, è un altro metodo di fruizione. Le parole di Marco Di Dia di Succo Acido esprimono chiaramente il rapporto controverso dei fanzinari con il Web. La fanzine in se è un oggetto di culto, una forma di capitale culturale oggettivato, che rappresenta l’appartenenza ad una certa cultura e ad un determinato stile di vita. Per quanti pro e contro si possano trovare nel binomio fanzine/webzine, si può affermare che lo spirito delle prime è migrato nelle seconde; benché si siano persi determinanti aspetti coinvolti nelle pratiche produttive di una fanzine, come quelli estetici, si sono guadagnati altri aspetti, come l’interattività e la velocità degli scambi. Il futuro delle fanzine è ormai Internet e ciò è dimostrato dal crescente uso della Rete sviluppato dalle poche fanzine ancora in circolazione. Alcuni fanzinari, legati agli aspetti più radicali del creare fanzine negano la possibilità di sfruttare Internet (Oriental Beat, ad esempio). Altri, invece, maggiormente interessati alla creazione di comunità di interesse e alla circolazione delle notizie, hanno preferito dedicarsi esclusivamente a questa applicazione del web (Velvet Goldmine). Nel mezzo restano coloro che pur 128 5.Comunità di fan e webzine mantenendo la fanzine cartacea cercano di sfruttare il più possibile le opportunità offerte dai nuovi sistemi di comunicazione (Freak Out, Succo Acido). Partendo dal presupposto che la fanzine svolge un fondamentale ruolo di scouting/gatekeeping e di network22, non si può negare che le webzine facciano la stessa cosa e la facciano meglio, ma con caratteristiche differenti. D' altronde le e-zine sono generalmente prodotte da una persona o da un gruppo di non professionisti, fatte spesso per divertimento e per passione, e tendono a ricoprire e riscoprire quegli stessi contenuti marginali appannaggio delle fanzine. Le webzine amatoriali, cioè realizzate senza scopo di lucro e da pochi appassionati di un determinato settore delle produzione culturale, mantengono alcune delle caratteristiche degli alternative media focalizzate dal modello di Chris Atton [2002]23, e possono a tutti gli effetti essere considerate il corrispettivo contemporaneo delle fanzine. Infatti, anche nel caso delle webzine la comunicazione tra emittente e ricevente è orizzontale, oltre che più immediata e diretta (grazie a chat o forum il feedback tra emittente e ricevente è continuo); il linguaggio e la grafica utilizzati sono specifici per i circuiti di fruizione delle informazioni fornite (con i limiti imposti dal formato elettronico che sono sicuramente maggiori di quelli determinati dalla carta stampata), e in questo senso del tutto simili a quelli usati nelle fanzine; i compiti e le responsabilità produttive sono flessibili e non standardizzate professionalmente; 22 Si veda il capitolo precedente. 23 A questo proposito si veda il capitolo III. 129 infine, anche nel caso delle webzine si tiene poco conto della nozione di proprietà intellettuale24. 24 In velvetgoldmine.it vengono riproposti per intero decine di articoli apparsi in pubblicazioni nazionali ed estere riguardanti David Bowie, per esempio. 130 6. Caratteristiche tecniche In questo capitolo mostrerò le caratteristiche formali delle fanzine musicali per spiegare a cosa corrispondono le scelte dei fanzinari nel realizzare i propri stampati. Come già accennato, le pratiche adottate da questi soggetti nella concretizzazione delle fanzine riflettono il tentativo di differenziarsi da altri gruppi sociali e contemporaneamente costruire dei “ponti” con altri. Permettono di essere etichettati come fanzine, o fanzinari, e di distinguersi dalla società di massa all’interno della quale si gode di relativo prestigio. Queste pratiche, oggettivate o meno nelle dimensione estetica di una fanzine, non sono altro che quei significati i cui flussi e la cui distribuzione determinerebbero, nell’ottica di Hannerz [1998] la definizione dei confini microculturali. 6.1 Formato, grafica e tecniche di stampa Come già accennato, esistono, e sono esistite, migliaia di fanzine con i formati più disparati. Alcune sono stampate in tipografia mentre altre sono scritte e ricopiate a mano. Quando la tecnologia di stampa non era alla portata di tutti, ciò che distingueva queste pubblicazioni era l’uso di caratteri non comuni, l’inserimento massiccio di disegni, fumetti e vignette provocatorie, e, quando possibile, di colori piuttosto accesi. Inoltre, raramente si rispettavano regole di impaginazione. Negli anni settanta la diffusione delle macchine fotocopiatrici ha permesso di realizzare questi prodotti in modo più professionale da un lato, e più casalingo dall’altro. Le punkzine, e le fanzine musicali che seguirono, erano perlopiù fotocopiate in bianco e nero su fogli A4, ripiegati e spillati. L’estetica collagistica della musica punk deriva in parte proprio dalle condizioni tecnologiche offerte dalle fotocopiatrici: si potevano scrivere gli articoli a mano e con la macchina da scrivere, e poi incollare tutto su altri fogli, insieme a vignette e fotografie. Il risultato naturalmente era molto grossolano e divenne una peculiarità del movimento musicale1 [Hebdige 1983; Chambers 1986]. Questa estetica divenne una caratteristica essenziale sia delle punkzine prodotte nel mondo anglosassone, sia di quelle nate in Italia per emularle, come Pogo o Dudu, fanzine punk prodotte nel milanese alla fine degli anni settanta, che avevano esattamente questa caratteristiche grafiche. Più recentemente, Tutti Morimmo A Stento o Itself continuano a mescolare articoli scritti con il personal computer e scritti a mano, messi assieme con la logica del cut and paste tipica delle punkzine di una volta, anche se i riferimenti musicali sono differenti: si occupano di musica rock, ma in termini più generici. In seguito alla proliferazione di personal computer e di programmi per l’impaginazione, si sono moltiplicati anche i designs delle varie fanzine. Gli 1 Valeva lo stesso per tanti altri materiali autoprodotti, come copertine di dischi, flyers, locandine dei concerti etc. 132 6.Caratteristiche tecniche stili restano molto spartani, sia per contenere i costi (relazionati al numero di copie da stampare), sia per la mancanza di una certa abilità che consenta di realizzare grafiche più sofisticate. Per esempio, la fanzine Equilibrio Precario, benché stampata in tipografia, era in bianco e nero, riprodotta su carta riciclata economica, e con impaginazioni molto semplici. Music In Rags, pubblicata nella zona di Imola, ha le stesse caratteristiche ma comincia a sfruttare meglio le possibilità offerte dai programmi di impaginazione. Gli stili grafici della maggioranza delle fanzine musicali odierne, come RockIt, Freak Out, Jammai, Ka-Boom o Succo Acido, non hanno quasi nulla da invidiare alla grafica delle riviste specializzate. La maggior parte resta in bianco e nero e stampata su carta piuttosto scadente, alcune adottano la copertina a colori2. Quelle che raggiungono tirature di un certo livello, di solito almeno un centinaio di copie, vengono stampate in tipografia; le altre per mezzo di stampanti casalinghe o, ancora, fotocopiatrici3. In ogni caso c’è da evidenziare un fattore: tanto più cresce una fanzine in termini di tirature e di esperienza accumulata dai propri autori, tanto più aumentano gli introiti derivanti dalle inserzioni pubblicitarie o dagli abbonamenti. Questo determina la possibilità di 2 Pochissime sono quelle realizzate su carta patinata e completamente a colori. In questo senso l’unica con queste caratteristiche è Mood, una fanzine realizzata nella zona di Teramo che per molti versi potrebbe essere considerata una semplice free press piuttosto che una fanzine vera e propria. 3 Anche le fotocopiatrici stanno scomparendo del tutto; a partire dagli anni novanta quasi tutte le fanzine musicali vengono realizzate in tipografia, restano poche eccezioni: Velvet Goldmine, Itself, la primissima Blow Up, fino a qualche anno fa; Tutti Morimmo A Stento o Oriental Beat ancora oggi. 133 investire nella grafica, migliorando impaginazione, la carta, e inserendo il colore. È stato esattamente così per fanzine quali Freak Out4 o RockIt. Seppure non frequentemente, sono stati sfruttati anche i supporti digitali per divulgare il contenuto delle fanzine. In questi casi esse non vengono stampate, ma semplicemente “salvate” su floppy disc o cd rom, e con questo mezzo distribuite o duplicate (provvederà poi l’interessato a stamparsele). È chiaro che internet ha permesso di bypassare ulteriormente questi stadi, consentendo all’utente di scaricarsi e stamparsi individualmente la fanzine5. In pratica, negli ultimi anni, è più difficoltoso capire esteriormente se la pubblicazione che si ha davanti sia una rivista tout court o una fanzine. Tendenzialmente è nel modo di elaborare il contenuto che continuano a persistere differenze sostanziali. Generalmente, quello che spinge a adottare certi formati o certe scelte grafiche non convenzionali è la ricerca di originalità. Rifiutando la standardizzazione delle riviste da edicola, alcune fanzine si permettono di adottare formati e grafiche non ortodossi. Baut, ad esempio, aveva la forma di un opuscolo/pieghevole pubblicitario, al semplice scopo di essere originale, come è stato confermato durante l’intervista a Roberto Baldi, uno dei fondatori: D: Cosa distingueva Baut da altre fanzine? 4 Nel 2001 la fanzine Freak Out, dopo un breve periodo in cui si dedicò esclusivamente al portale on line, fece un accordo con lo studio grafico S. B. R. per avere un’impaginazione più professionale e copertina a colori, in cambio della pubblicità per il medesimo studio grafico in quarta di copertina. 5 Le fanzine Rancido o Mostro, per esempio, possono essere scaricate dalla rete per intero, arretrati compresi. 134 6.Caratteristiche tecniche R: Il formato.. difficile dirlo per i contenuti […] D: In base a che cosa hai scelto di realizzare una fanzine in quella forma: numero di pagine, formato, grafica, etc.? R: Il formato doveva essere economico e originale, era l’unica in quella forma, ispirato alla pubblicità, è stata un’idea di Pintus: formato economico e carino La fanzine Permanent Vacation si sfoglia verticalmente. Succo Acido adotta il formato 21x21cm per distinguersi da altre fanzine e dai magazine da edicola. In questo caso l’omologazione dei periodici commerciali funge da punto di riferimento negativo [Bourdieu 1983] nelle scelte estetiche dei fanzinari. L’originalità a tutti i costi va intesa come una pratica di distinzione che risponde, nella stragrande maggioranza dei casi, a quello che Bourdieu chiamava il gusto del necessario: i fanzinari, non potendosi permettere l’adozione di grafiche più raffinate, colorate e, appunto, professionali, si adeguano, facendo di necessità virtù6. L’aspetto estetico di una fanzine assume il ruolo di segno distintivo attraverso il quale i fanzinari segnano la distanza da un sistema editoriale che non gli riconosce il valore che essi vorrebbero riconosciuto. Infatti, come dice Stefano Bianchi, direttore del mensile Blow Up, che pure ha cominciato realizzando una fanzine: “la fanzine […] è fatta da adolescenti che non hanno il problema del far quadrare i conti. Il mondo delle fanzine è il mondo del sogno del ragazzino.” Il mondo editoriale ufficiale difficilmente si occupa o si è 6 Su questo punto si veda anche il discorso sull’introduzione del colore e la scelta del bianco e nero, più avanti. 135 occupato del fenomeno fanzine, e quando lo ha fatto lo ha trattato in termini paternalistici; le fanzine sono viste dalla stampa di settore come qualcosa di infantile, di mediocre “in linea di massima, secondo me le fanzine non valgono nulla” continua Stefano Bianchi, “non valgono granché, ma in linea di massima, poi […] possono valere moltissimo come forma di comunicazione fra piccole tribù che si ritrovano attorno ad un soggetto, però dal punto di vista critico il più delle volte non valgono, anzi direi proprio sinceramente, in quei casi lì non valgono mai nulla”. L’opinione del direttore di Blow Up, che oggi è una rivista di musica tra le più seguite e note, è un’opinione diffusa nel mondo della musica italiana. Nel lavoro di “giornalista musicale”, quando scrivevo su Succo Acido, mi sono sempre scontrato con una certa aria di sufficienza rivolta nei miei confronti. Scrivendo su una fanzine, difficilmente riuscivo ad ottenere gli accrediti per i concerti e ancor più difficilmente riuscivo ad ottenere copie gratuite dei dischi che avrei voluto recensire. La cosa più critica era riuscire ad essere presi sul serio dai musicisti che si voleva intervistare. Il fatto che fossi mediamente più giovane dei giornalisti professionisti, ed il fatto che scrivessi per una fanzine, mi etichettava automaticamente come uno sprovveduto7, come qualcuno che non sapeva bene ciò che stava facendo e quello di cui parlava. Lo stesso fatto che i potenziali inserzionisti snobbino le fanzine, come lamenta il direttore di Succo Acido o pretendano di pagare le inserzioni pubblicitarie molto meno di quanto non paghino una rivista8 dalla tiratura persino inferiore, 7 Il cantante del noto gruppo inglese The Fall, ed il cantante/bassista della band italiana One Dimensional Man, per esempio, mi fecero insistere a lungo prima di cominciare a rispondere seriamente alle mie domande. 8 D: che problemi hai avuto quando hai cominciato a realizzare Succo Acido? R: ottenere fiducia dai clienti che potevano comprare la pubblicità. Il primo numero l’ho regalata a tutti, proprio per fargli capire che il prodotto era quello e se gli piaceva… 136 6.Caratteristiche tecniche evidenzia il rapporto di subordinazione che questo tipo di iniziative editoriali inevitabilmente soffre nei confronti della stampa ufficiale. Queste pratiche evidenziano una connessione tra coloro che creano consapevolmente una fanzine con uno stile meno professionale, e la rigida contrapposizione alla stampa commerciale. Ad esempio, la scelta fatta da Marco, direttore di Succo Acido, di evitare rigorosamente di inserire le immagini dei gruppi musicali che venivano intervistati o recensiti all’interno della sua fanzine, mosso dal fatto che spesso queste immagini sono realizzate con evidenti intenti promozionali, è da intendersi come un tentativo di volersi distinguere dai magazine tradizionali; piuttosto che mettere le fotografie delle bands, egli ha dato spazio ad artisti giovani o dilettanti per “esporre” le proprie opere all’interno della sua fanzine. Per lui Succo Acido non è una rivista di musica, è una fanzine. Anzi è molto di più: D: mi spieghi in base a cosa hai scelto di realizzare Succo Acido in questo modo, dal punto di vista estetico? R: è quadrata perché è un catalogo d’arte. Audioglobe poi è venuta e sono venuti altri, ma sono venuti con delle scelte sempre tarate per il target fanzine…sbagliando. Audioglobe mi ha sempre dato 300 euro D: intendi che sottovalutavano il potenziale di Succo Acido? R: sì, sottovalutano alla grande la potenzialità di una rivista gratuita. Perché sono delle teste di cazzo drogate da Blow Up, Rumore e minchiate varie D: che vuoi dire? R: significa che il concetto di rivista per circuito secondo loro funziona di più. Se tu compri una rivista per il circuito vuol dire che sei motivato a leggerla. Se non la compri non sei del circuito non la leggeresti mai a pagamento. Questo è un errore enorme che schiavizza i circuiti alla povertà. E quindi la fanzine gratuita in Italia non va, non è sostenuta. D: perché non è sostenuta? R: sì, a meno che non ha grandissime tirature…non si concentra su un territorio locale di provincia…e a meno che non si svenda. Altrimenti non ce n’è. Tant’è che tutte le fanzine oneste, Jammai, Equilibro precario, Freak Out etc. non ci sono più. 137 D: i cataloghi d’arte sono così? R: spesso sono quadrati D: e perché vuoi che somigli ad un catalogo d’arte? R: costa di più anche, fatta in questo modo, purtroppo… no, semplicemente… non si arroga il diritto di essere un catalogo d’arte, però comunque vuole dire che se io sto pubblicando in copertina la foto di quello stronzo di Gandolfo Pagano che mi ha abbandonato, con la sua caffettiera e la cucina, e quella non è che è proprio arte, con la ‘A’ maiuscola, però vorrei fare capire che se io scelgo quella foto per la copertina, e non ci metto per esempio questa qui, o quell’altra, che questi sono dei mostri sacri dell’arte, significa che io comunque anche se sto facendo ‘sta minchiata sto comunque considerando quello che io metto in copertina un’opera d’arte. È una mia scelta, è un mio modo di dire agli altri “attenzione, questa per me potrebbe essere arte.” Ma è in bianco e nero, ed è lì la dualità… il gioco bello di Succo… D: perché è in bianco e nero? R: per vari motivi… intanto per povertà… ma soprattutto per scelta. Perché comunque a me piace il bianco e nero troppo di più. È un po’ limitante nella scelta delle opere d’arte, nel senso che molte andrebbero viste a colori, ma dopo tutto alla fine non si può avere tutto dalla vita… ho sempre pensato che anche se avessi avuto dei soldi per farla a colori non avrei cambiato niente. D: pensi che sia originale Succo Acido, dal punto di vista estetico? R: (lunga pausa)… decisamente! Lo dicono in tanti, non lo dico io. D: in cosa sarebbe originale? R: dal fatto che viene impaginata in un giorno e mezzo (ride)… e dal fatto che… non lo so, dicono che sono bravo e che riesco a metterci una firma… 138 6.Caratteristiche tecniche A lui non interessano le riviste, il mercato e la possibilità di vendere Succo Acido ai lettori. Per cui, ovviamente, non ha interesse a imitare le stesse convenzioni adottate dalle riviste da edicola che gli consentano di guadagnare visibilità all’interno del mercato editoriale. Al contrario Stefano Bianchi ammette candidamente di aver fatto determinate scelte riguardanti Blow Up, come l’inserimento del colore, anche allo scopo di ottenere più visibilità e aumentare il numero di lettori9. Per queste ad altre decisioni è stato esplicitamente accusato di essersi “svenduto” al mercato: […] il colore… l’introduzione del colore fu uno scandalo, ma tu mettevi a colori gli U.S. Maple! Gli Storm & Stress! Gente che in Italia comprano in mille! Mettevi in copertina quelli, però erano a colori, per cui eri già venduto! D: ma perché così li facevi assomigliare ai gruppi sulle copertine di Rumore o peggio! R: esatto! Oooh… hai capito tutto. Il colore ti avvicina a qualcosa ce tu non “vuoi” essere. Così come Marco Di Dia decide di non adottare certi stili grafici per non assecondare una certa omologazione stilistica e mantenere un certo grado di distinzione dalla stampa ufficiale, Stefano Bianchi decide di fare l’esatto contrario, anche provocatoriamente. Entrambi, con il loro comportamento, sottolineano che la grafica riveste una grande importanza in ordine alla 9 Vedi le interviste in appendice. 139 riconoscibilità che può ottenere un magazine e al senso di distinzione che se ne può ricavare. 6.2 Copyright e sabotaggio Tra i fanzinari il problema del copyright è tra i più sentiti. Ideologicamente molti di loro si oppongono con fervore alla protezione del diritto d’autore, visto come ostacolo alla diffusione di idee e contenuti; si oppongono anche ad altre forme di legittimazione istituzionali riguardo le proprie testate, come l’autorizzazione presso i tribunali regionali per la pubblicazione di uno stampato. Le parole di Roberto Baldi non lasciano dubbi: D: Hai mai pensato di registrarla presso il tribunale? R: No, eravamo appoggiati da Stampa Alternativa, come supplemento. Non volevamo vincolarci con quelle merde: è un modo per blindare il pensiero, perché impedisce la libera circolazione delle idee. È tutta una questione di raccomandazioni e censure. Per essere registrarti devi avere 140 6.Caratteristiche tecniche un giornalista che ti fa da paraculo, lo devi pagare è questo ti impedisce di fare circolare le tu opinioni se non sei Berlusconi: vince la logica economica. Crea ulteriori costi, ti mette i bastoni tra le ruote… e poi si crea una gerarchia di controllo imposta, perché devi dire chi è il direttore, che poi è responsabile e quindi in un certo senso comanda, e chi fa quello e chi quell’altro, cioè ruoli rigidi che in una fanzine solitamente non ci sono, si è tutti alla pari. È una cosa veramente fascista. Innaturale per una rivista di questo tipo. Considerata anche la sua ridotta diffusione10. Non è difficile trovare fanzine che riproducono, parzialmente o integralmente, articoli pubblicati su altre fanzine o su riviste ufficiali. Anzi, nel mondo delle fanzine è una prassi molto diffusa quella di rielaborare contenuti prodotti da altri fanzinari [Baroni 1998; Umiliacchi 2001]. Per esempio la fanzine Jammai ha pubblicato per intero un’intervista all’etichetta indipendente Snowdonia, fatta e pubblicata da Succo Acido pochi mesi prima; Invece sul numero due di Velvet Goldmine venne riproposta per intero una divertente intervista fatta a David Bowie apparsa su Vanity Fair, più tutta una serie di immagini prese dal sito ufficiale del cantante e da riviste di musica (nazionali ed estere); “Tendenzialmente una fanzine non si occupa troppo del copyright. Vero è che gli articoli pubblicati erano di riviste oramai morte.. forse gli aventi diritto chissà dove erano… è stato più concepito come un servizio… e non abbiamo mai avuto problemi”. Dalle parole di Stefano Nardini si capisce che, nel caso di Velvet Goldmine, il fatto di appropriarsi di contenuti altrui e la rielaborazione di materiale protetto, e magari non facilmente reperibile, come 10 È chiaro che questo atteggiamento sia una diretta eredità del movimento controculturale di fine anni sessanta. Non a caso, infatti, molta stampa underground clandestina vantava gli stessi principi ideologici [cfr. Hollstein 1971; Maffi 1972]. 141 per gli articoli stranieri, è visto come un sorta di servizio offerto ai propri lettori, alla propria comunità: la possibilità di divulgare informazioni utili ed interessanti ma non accessibili. Spesso sono le immagini a essere più piratate, vengono riproposte foto, fumetti, pubblicità, etc. senza minimamente preoccuparsi di segnalarne autori o chiederne le autorizzazioni; oltre agli esempi di Velvet Goldmine, si potrebbe citare la fanzine Itself, piena di fotografie e fumetti chiaramente non realizzati dall’autrice. La fanzine in questione evidenzia, almeno da un punto di vista estetico, il suo forte debito nei confronti delle punkzine di fine anni ’70. L’impaginazione è molto caotica, non c’è un sommario ma un indice analitico alla terza di copertina con l’elenco alfabetico dei gruppi trattati. E’ piena di figure e fotografie spesso qualitativamente scadenti, abbinate agli articoli in modo apparentemente arbitrario con lo stile cut and paste. Ad esempio, nella stessa pagina contenente un’intervista al celebre giornalista musicale Piero Scaruffi sono presenti un paio di vignette di un non identificato fumetto giapponese, ed una piccola foto di un uomo di mezza età (che non è Scaruffi). Probabilmente l’immagine abbinata al testo dovrebbe suggerire una certa interpretazione: nel fumetto una bambina chiede ad un adulto con un ridicolo costume da ape chi sia, e lui risponde di essere un alieno; collegare i due protagonisti delle vignette a intervistato e intervistatrice è automatico. Proprio come facevano i punk [Hebdige 1983], Monia, l’autrice di Itself, si impossessa di determinati prodotti, in questo caso vignette, per rielaborarli e ottenere un significato differente. Il fanzinaro in questo modo è una sorta di bricoleur [De Certeau 2001] che si appropria, in modo frequentemente sovversivo (vedi i punk), di contenuti realizzati ad altri scopi, producendo dei significati e dei valori estranei a quelli postulati dai sistemi di produzione. Questo tipo di 142 6.Caratteristiche tecniche pratica di consumo [Sassatelli 2004] è un altro tipo di pratica distintiva, essa riflette le condizioni in cui i fanzinari si trovano ad agire e la loro necessità di contrapporsi al sistema istituzionalizzato11. Infatti, Stephen Duncombe parla di sabotaggio riferendosi proprio a questo tipo di azioni: “rubando” o “prendendo in prestito” materiali dal sistema da cui si sentono alienati, perché non riconosciuti, i fanzinari ribadiscono la loro distanza da esso. Quello che è importante è il significato di queste azioni, il sabotaggio è una forma di rifiuto a fare parte di un “ingranaggio” odiato12. L’ingranaggio, che sarebbe il sistema dei mass media e dell’industria culturale, è odiato perché nella visione del fanzinaro non ammette la possibilità che si possa fare informazione, soprattutto buona informazione13, non rispettando determinate regole che spesso chi produce fanzine non è in grado di rispettare (distinzione dei ruoli, responsabilità giuridica per ciò che si scrive, la censura, etc.); al di là degli obiettivi limiti pratici che il rispetto del copyright e la registrazione presso il tribunale imporrebbero, cioè: uscita regolare, la nomina di un direttore editoriale responsabile iscritto all’albo dei giornalisti, e soprattutto depositi monetari. Non potendo fare le cose in questo modo, si è contro questo modo di fare le cose, e si finisce col costruire una sorta di identità negativa14 [Duncombe 1997]. 11 A differenza del “bracconaggio” analizzato nel capitolo precedente, però, queste pratiche si pongono maggiormente in contrapposizione alla cultura dominante, in modo più consapevole. 12 Roberto Baldi della fanzine Baut: “l‘ambiente musicale giornalistico era costituito da assenza di ideali, non andavano oltre, erano parte di un ingranaggio: pubblicità, marketing, etc.”. 13 A tal proposito si veda il paragrafo relativo al rapporto con la stampa ufficiale nel cap. IV 14 Vedi il cap. IV 143 Ultimamente molti autori di fanzine hanno meno problemi a riconoscere il copyright e a registrare la propria pubblicazione presso i tribunali di riferimento. Una caratteristica che accomuna questi fanzinari15 è la voglia di realizzare un prodotto abbastanza professionale, con una certa grafica, una certa distribuzione e un certo numero di tirature, per ottenere le quali è necessario avere certe autorizzazioni; “la registrazione in tribunale, una volta che tu c’hai un proprietario è una stupidaggine, la partita Iva costava centomila lire, era una stupidaggine, capito? […] perché registrare il nome in tribunale dava una sorta di legalità; è come convivere con una ragazza, o con un ragazzo, e sposarsi, cioè dai una sorta di legalità.” Per Stefano Bianchi, che quando ha cominciato a realizzare Blow Up aveva uno stipendio da impiegato, registrare la rivista in tribunale non fu un problema particolare, d’altronde nelle sue intenzioni c’era la possibilità di ingrandirsi, di diventare una rivista tout court, per cui sarebbe stato necessario accettare questi compromessi, benché lui non li vivesse come tali. Al contrario, il direttore di Succo Acido sostiene che ha deciso di registrare la propria fanzine presso il tribunale di Palermo perché: R: perché, perché… dunque io sono una persona che se fa una cosa la vuole fare nei termini di legge, siccome non avevo intenzione di fare una bassa tiratura, ma volevo comunque servire parecchio, e miravo a tirature anche più alte di quelle che mi sono potuto permettere di fare, non vedevo pensabile che una rivista con quelle tirature poteva passare inosservata… D: quindi è stata una scelta obbligata, ma sei contento? R: sì 15 Vedi Blow Up; Succo Acido, Rockit; Freak Out 144 6.Caratteristiche tecniche D: non volevi essere anarchico, fuorilegge, come molti fanzinari? R: no, ma io rispetto tantissimo gli anarchici, sono anche d’accordo con loro… dunque per me il problema non è tanto nella forma… è nello spirito! Io personalmente non sono un anarchico… dichiarato… né sono uno che ci tiene a vedere stampato là copyright etc… solo che so benissimo di essere completamente fuori di testa, che non ho limiti nelle mie azioni né nelle mie elucubrazioni… e mi spavento per mio figlio quando lo faccio… però appunto queste cose non devono uscire da un lavoro serio… sono cazzi miei. Se io voglio fare un lavoro serio non devo permettere al sistema, che non me ne frega un cazzo del sistema, però non devo permettere al sistema di venirmi a chiudere il mio lavoro, e quindi sto dietro a queste cose… […] D: copyright? R: è scritto lì… però non ho mai posto limiti, anzi… se capitasse che l’articolo di Succo venisse citato senza citare Succo non me ne fregherebbe niente, anzi mi farebbe piacere, ci sono problemi molto più grossi… D: ma se è invece qualcuno che ha scritto su Succo Acido che ha copiato un articolo da un’altra rivista? R: per me non c’è problema, ma se si incazzano quelli dell’altra rivista è un problema… Marco Di Dia ammette implicitamente che se avesse potuto scegliere non avrebbe registrato la fanzine presso il tribunale di Palermo, cosa che gli è costata tempo e soldi. Inoltre afferma che a lui del copyright non importa nulla, benché sulla fanzine sia formalmente rispettato, a meno che qualcuno non abbia da ridire. Ha vissuto come un compromesso con il “sistema” la registrazione 145 della testata e conferma che dal suo punto di vista il sistema ha delle connotazioni negative, poiché viceversa gli avrebbe potuto impedire di esprimere quello che voleva manifestare liberamente. Come nell’editoriale di Velvet Goldmine citato più sopra, le autorizzazioni e la dipendenza da un “sistema”, in questi casi i tribunali regionali per le autorizzazioni o le case discografiche, è sempre connotata negativamente: gli si attribuisce, a torto o ragione, la facoltà di impedire la libera espressione del pensiero. Anche per questo motivo tutte le testate ufficiali, che da questi sistemi in qualche misura necessariamente dipendono, sono considerate sfavorevolmente. 6.3 Distribuzione: profitti di distinzione La distribuzione è il principale problema organizzativo delle fanzine. Auto-escludendosi dagli stessi canali della stampa tradizionale, le varie fanzine si sono di volta in volta ritagliate degli spazi e dei canali specifici. Si fa riferimento all’idea di auto-esclusione proprio perché il fatto di non sfruttare il canale edicola è una scelta consapevole che inconsapevolmente risponde a delle logiche di distinzione; ciò dipende in parte da quanto verrà spiegato più avanti sul concetto di auto-ghettizzazione, ed in parte da ciò che sarà esposto di seguito. Molte pubblicazioni riescono a sopravvivere solo grazie alla stima e alla fiducia dei loro lettori, disposti a finanziare con pochi abbonamenti una fanzine pur sapendo che questa non potrà mai garantire una certa periodicità e stabilità. Probabilmente la molla che fa scattare questo tipo di atteggiamento è, insieme all’interesse verso determinati contenuti, la convinzione di entrare a far parte di una comunità di “eletti”, ristretta ed esclusiva, e, contemporaneamente, 146 6.Caratteristiche tecniche appoggiare una realtà controculturale che fatica ad emergere in un mondo dominato dal mercato. Inoltre, a partire dalla fine degli anni settanta, parecchie organizzazioni indipendenti, non solo quelle vicine al movimento punk, come etichette discografiche16, negozi di dischi, e distributori hanno appoggiato questo tipo di pubblicazioni (almeno le più valide), da una parte acquistando spazi pubblicitari al loro interno, dall’altra distribuendo in modo più capillare il prodotto. Questo ha permesso ad alcune fanzine di aumentare notevolmente le tirature e di acquistare una visibilità e un seguito che nulla hanno da invidiare alla stampa di settore tradizionale. Questa visione delle cose è stata rafforzata dal direttore di Blow Up. In principio, quando questa testata era ancora una fanzine a tutti gli effetti, veniva distribuita manualmente o spedita in determinati negozi di musica, dove si supponeva che gli argomenti trattati potessero interessarne i frequentatori. Il tipo di distribuzione in questione è il più diffuso nel mondo delle fanzine musicali, poiché permette loro di risolvere tutta una serie di problemi logistici ed economici, arrivando a circolare direttamente all’interno dei circuiti costituiti sostanzialmente dagli appassionati di specifici generi musicali. Dopo i primi sei numeri la fanzine cominciò ad essere più seguita, e venne presa la decisione di distribuirla in abbonamento. Riscontrato un discreto successo, Stefano Bianchi decise di fare il salto di qualità e passare alla distribuzione in edicola, cosa che gli costò alcune critiche da parte dei lettori più fedeli: “la cosa stessa che tu passi in edicola ti fa diventare un venduto, perché questa è la mentalità giovanile; cioè il giovane, l’adolescente, ha bisogno del gruppo, e 16 Ricordo che la prima punkzine anglosassone, Sniffin’ Glue, fu sostenuta dall’etichetta indipendente londinese Rough Trade records. 147 questo è un dato di fatto; il gruppo, nel momento in cui diventa un gruppone non è più un gruppino, e il ragazzo ha bisogno del gruppino, è una forma di distinzione, cioè ti distingui se siete in pochi” nelle sue parole. La mia stessa esperienza personale potrebbe confermare questa visione d’insieme: ho cominciato a leggere Blow Up perché un amico che studiava in una grande città mi prestava le sue copie della rivista; all’epoca era considerata una sorta di “bibbia underground”, se si voleva ascoltare la musica più hip17 si doveva leggere Blow Up. Quando la rivista passò in edicola, questo mio amico smise immediatamente di comprarla, dicendo che non c’erano più gli “articoli di una volta”. Nonostante le penne non fossero cambiate e non fossero cambiati i contenuti affrontati! Chiaramente la testata aveva perduto tutto il suo fascino costituito dal potenziale profitto di distinzione [Bourdieu 1983] che se ne sarebbe potuto ricavare. Le fanzine o le riviste di settore non sono altro che dei prodotti culturali che, funzionando come capitale culturale oggettivato, assicurano un determinato profitto in termini di distinzione, proporzionale alla rarità e alla difficoltà di appropriarsene. Nel momento in cui la loro distribuzione consente a chiunque di venirne in possesso, coloro che detengono quel determinato tipo di capitale lo vedono minacciato di svalutazione, ed esso perde tutto il profitto di distinzione potenziale che altrimenti garantirebbe. Come dice Sarah Thornton [1998] il rapporto tra underground e overground (la distribuzione tradizionale) è simbiotico, nel senso che il capitale sottoculturale mantiene il suo valore di scambio solo finché continua a circolare attraverso canali soggetti 17 Da intendersi come: aggiornato, al passo con i tempi 148 6.Caratteristiche tecniche a determinate restrizioni di tipo fisico e intellettuale, che nel nostro caso sono i circuiti della musica indipendente italiana. Succo Acido, Jammai, Freak Out e così via, circolano all’interno di determinati ambienti, vengono distribuite gratuitamente in determinati negozi di dischi da distributori determinati discografici indipendenti, ad esempio Wide Records, o Audioglobe18. Questo è un vantaggio per i fanzinari, poiché risolvono buona parte dei problemi logistici legati alla distribuzione19, è un vantaggio per i distributori, dal momento che perlopiù i contenuti trattati da queste fanzine sono i dischi che loro stessi distribuiscono, ed infine è un vantaggio per i lettori, che da questo sistema chiuso traggono i massimi profitti possibili in termini di distinzione. Questo tipo di logica vale anche per le realtà più piccole, sia dove l’unico modo per essere diffuse resta il passaparola oppure la possibilità di sfruttare eventi come fiere, mostre, concerti, etc. sia per le fanzine che vengono distribuite esclusivamente in abbonamento. Da sottolineare, però, che la 18 A Bologna, per esempio, queste fanzine si trovavano solo in negozi di dischi molto d’èlite come Underground; presso la Phonoteca, che è anche la sede dell’etichetta discografica indipendente Gammapop; o ancora in locali “alternativi” come il Link o Il Covo. 19 Com’è noto, nel campo dell’editoria la distribuzione è il costo più rilevante; vedi anche: Voltare pagina : economia e gestione strategica nel settore dell' editoria libraria, Paola Dubini. - Milano Etas libri, 1997 149 maggior parte delle fanzine musicali viene distribuita in modo misto, cioè in buona parte attraverso dei distributori esterni o spedita in determinati negozi, e in percentuale inferiore in abbonamento. Soltanto le fanzine musicali specializzate su uno specifico artista o genere musicale, come Velvet Goldmine, sfruttano principalmente il canale abbonamenti. La ragione di tutto ciò sta nel fatto che questo tipo di iniziative nasce e funziona come collante per specifiche comunità di interesse come i fanclub20, per cui, circolando all’interno di un circuito chiuso, amplifica la percezione dei lettori di fare parte di una comunità, e aumenta il loro senso di appartenenza e di esclusività. 6.4 Promozione e “interlegittimazione” Le fanzine musicali attuano due tipi di campagne promozionali. Comprando degli spazi pubblicitari su riviste di settore, dei piccoli box, dove sponsorizzano l’uscita del primo o di un nuovo numero. Oppure attraverso le recensioni reciproche tra una fanzine e un’altra. Il primo tipo di promozione è il meno frequente, innanzi tutto per ragioni economiche, visto che comprare uno spazio pubblicitario, per quanto piccolo, ha i suoi costi, ma anche per ragioni etiche. Come evidenzierò più avanti, infatti, il rapporto dei fanzinari con la pubblicità è decisamente ambiguo; tra i casi presi in esame l’unica fanzine ad aver acquistato pubblicità su una rivista di settore è Succo Acido, ma c’è da notare che è stato acquistato uno spazio su Blow Up, cioè una ex-fanzine; inoltre Marco Di Dia ha un’idea di Blow Up piuttosto positiva: “per me una rivista è anche una fanzine se è ben fatta, se si 20 Vedi capitoli IV e V 150 6.Caratteristiche tecniche rivolge a dei circuiti… Blow Up è una fanzine. È una bella fanzine”. In realtà la considera di qualità, cioè la considera più una fanzine che una rivista, visto che dal suo punto di vista le fanzine sono fatte meglio rispetto ai periodici specializzati. Per tale motivo ha trovato opportuno sponsorizzare la propria testata su quelle pagine. Il più delle volte, invece, le fanzine trovano una vetrina espositiva nella sezione degli annunci; La rivista Rumore dedicava mezza pagina alle inserzioni dei lettori, in cui i gruppi potevano rendere nota l’uscita di un loro demo, oppure la ricerca di altri musicisti per completare l’organico di una band; dove si poteva mettere in vendita la propria collezione di dischi o evidenziare un concerto del proprio gruppo musicale. In questo spazio venivano pubblicati gli annunci riguardanti l’uscita di una nuova fanzine o di un nuovo numero, con tutti i contatti necessari per procurarsela. Questi spazi erano concessi alla modica cifra di diecimila lire. Riporto un esempio di questo tipo di annunci pubblicato sul numero 109 di Rumore (febbraio 2001): Incredibile! È uscito il numero 3 di Burp! Fanza ruttofila, 24 stravolgenti pagine piene di recensioni un tanto al chilo, articoli sovrappeso e interviste sbilanciate a: Fugazi, Queers, Lalli, Allun, Spinning Top records, Alive/total energy. Tutto a sole lire 3.000 (s.p.i.) a: Luigi Malara, via Pio XI dir. Gulli n.21/M 89133 Reggio Calabria, tel. 0965/58969. E-mail: [email protected] Non mancatela! Ancora disponibili copie del numero 2 (Blonde Redhead, Brutopop, Crunch, Make up, ecc..) Tutto questo consente indirettamente al fanzinaro di non sentire che quella che attua è proprio una promozione, pericolosamente simile alla 151 pubblicità, vale a dire agli stessi sistemi adottati dalle riviste specializzate da cui è essenziale distinguersi. Un altro modo di promuovere la propria iniziativa editoriale è quello di essere recensiti da altre fanzine21. È una legge non scritta dei fanzinari quella per cui se qualcuno recensisce una fanzine questa a sua volta recensirà la prima, così come è naturale scambiarsi le proprie fanzine [Baroni 1998; Umiliacchi 1995]. Nelle fanzine musicali più recenti questo aspetto è più ridimensionato, in Itself o Jammai continua ad essere dedicato grande spazio alle recensioni di fanzine altrui, ben tre pagine in entrambi i casi, e nella prima pagina si invitano gli altri fanzinari a scambiare le proprie fanzine. Viceversa Stefano Bianchi di Blow Up ha vissuto questa “regola” in modo sfavorevole: “Cominciarono gli scambi, cioè: quello che faceva la fanzine di Genova, uno si chiamava Pertone…ma che ne so, o i gruppi musicali… loro facevano la fanzine e mi mandavano la sua, e io, ti dico sinceramente, mi 21 Negli stati uniti esisteva una fanzine chiamata Factsheet Five, una sorta di guida alfabetica ragionata per ogni pubblicazione controculturale [Baroni 1992]; questa permetteva di conoscere svariate fanzine e spiega come procurarsele, stampa circa 16.000 copie ed è venduta attraverso le catene di librerie Barnes & Noble [Duncombe 1997]. Curiosamente una pagina del teletext inglese chiamata UFO – Unidentified Fanzines Observed, fornisce un elenco di fanzine interessanti, pieno di dettagli e recensioni [Stoneman 2001] 152 6.Caratteristiche tecniche rompeva anche molto i coglioni mandare la mia! Perché non capivo questo giochino”. Questo “giochino” in realtà è un modo per stringere i rapporti tra individui simili, con delle esperienze simili, è un modo per cementare la solidarietà all’interno del gruppo, soprattutto considerato che il gruppo non è geograficamente localizzato, si tratta piuttosto di una “Boemia virtuale”22. Le recensioni reciproche, invece, hanno una funzione differente, rappresentano una forma di interleggittimazione [Bourdieu 1983]; il “gioco”, come lo definisce Bourdieu, di riferimenti incrociati e allusioni ad altre fanzine, tesse intorno alle opere, in questo caso le fanzine stesse, e tutto quello che rappresentano come capitale sottoculturale oggettivato, una “trama di esperienze fittizie che si rinviano e si confermano vicendevolmente”23, questo produce l’incantesimo che consente di considerare belli e legittimi i modi e le pratiche caratteristiche dell’universo fanzinaro. Qualche esempio tratto da Itself: Freak Out - Freak out è una via di mezzo fra una fanza e una rivista e viene distribuita gratuitamente fino a dove può arrivare. Ovvio che sia graficamente professionale, ma ultimamente noto con dispiacere che non contiene più tutto ciò che potrebbe contenere. I caratteri sono diventati ultra mega giganti e in 10 minuti hai finito. […] e poi le interviste credo vengano mozzate di brutto… 22 Stephen Duncombe parla di virtual bohemia; egli considera i fanzinari degli outsiders, dei bohèmiens; ma a differenza dei bohèmiens di fine ottocento i fanzinari non hanno un luogo reale dove incontrarsi, collaborare e scambiare idee; questo luogo, è rappresentato dal network di fanzine che mette in comunicazione individui dislocati su vari territori. 23 Cit. da Pierre Bourdieu La distinzione: critica sociale del gusto, Bologna Il mulino, 1983; pag. 51 153 Jammai – per me sempre una delle migliori in Italia. Sì la grafica, sì i contenuti… ma Jammai ha personalità, ha capacità, ha senso dell’umorismo, è brillante, è fresca e soprattutto ama la buona musica. Jammai è gratis, si trova un po’ in giro, è da avere. DLK – ah, questa mi piace proprio. A4, stampata, scritta piccola piccola, testo bilingue, carta leggerissima ed è inoltre una delle poche fanze che mi sia pervenuta incentrata su musica industrial/elettronica e vasti dintorni. Moltissime recensioni e articoli interessanti, come per esempio un piccolo bollettino di “aiuto” a chi manda avanti una fanza o vorrebbe iniziare. Da avere assolutamente. Il fatto che questa pratiche di interlegittimazione siano sfruttate in misura inferiore dalle fanzine musicali24 meno radicali, risponde all’esigenza di ottenere visibilità e rispetto nella cultura legittima. Per il fanzinaro ricorrere a stratagemmi come questi significherebbe ammettere indirettamente che nella stampa ufficiale non c’è spazio e rispetto per questo tipo di iniziative; che ad esse non è riconosciuto alcun valore. Infatti proprio Stefano Bianchi, che in fin dei conti voleva realizzare una rivista25, critica questo atteggiamento “il mondo delle fanzine è un mondo molto chiuso in se”. Proprio per questo motivo, inoltre, sono le fanzine più in sintonia con i media tradizionali, e che per questo mettono in pratica in misura inferiore le 24 Nelle fanzine personali, o in quelle di fumetti, queste pratiche vengono sfruttate maggiormente. 25 Vedi intervista in appendice 154 6.Caratteristiche tecniche logiche distintive (come RockIt o Freak Out negli ultimi tempi), che non adottano affatto la politica degli scambi e le recensioni di altre fanzine. Queste riviste si pongono già in uno stadio intermedio, continuano a mantenere certi aspetti distintivi delle fanzine ma ne hanno persi altri (in questi due casi faccio riferimento alla copertina a colori ed alla rifinita grafica delle impaginazioni interne, per esempio) avvicinandosi a quella stampa mainstream che altri fanzinari continuano a ripudiare. Non a caso in una delle nostre discussioni al riguardo Gianluca Umiliacchi ha detto che, secondo lui, “ormai Freak Out e Rockit non sono più delle fanzine”. 155 7. Logiche di distinzione Dopo aver evidenziato alcuni metodi adottati dai fanzinari per realizzare le proprie pubblicazioni passerò ad enuclearne i principi discriminatori che sono sottintesi a queste pratiche, in particolare riguardo ad altri aspetti tecnici del fare fanzine, come lo slang adottato e le problematiche relative alle forme di introito e sovvenzionamento. Ricavando i principi di distinzione che guidano le scelte di coloro che creano fanzine, e quei flussi di significati esclusivi utili a determinare i confini sottoculturali di questi fenomeni, si potrà allora distinguere cosa è considerato underground nell’universo fanzinaro, cosa mainstream, e cosa significa e comporta lo svendersi. 7.1 Codice e logiche di distinzione Essendo destinate ad uno specifico target di fruitori che cercano nella lettura una maggiore conoscenza su un determinato argomento, e una forma di distinzione in ordine al proprio stile di vita, a livello testuale le fanzine sono 7.Logiche di distinzione caratterizzate da una marcata anticonvenzionalità, che rende la loro decodifica piuttosto faticosa per il lettore inesperto. Alcune fanzine musicali rifiutano di dare un ordine logico e consequenziale al proprio contenuto. Il classico sommario è completamente assente, come anche il numero di pagina. Ciò è vero soprattutto per le fanzine che escono più sporadicamente, le quali sono costituite da una mole consistente di fogli, con articoli scritti in caratteri minuscoli, e assemblati in modo abbastanza caotico1. Anche questo riflette indirettamente una sorta di repulsione verso i modelli uniformati delle riviste commerciali, anche a scapito della ridotta fruibilità che ne consegue. All’interno del creative team di Succo Acido, ci furono svariate discussioni riguardo alcune decisioni da prendere in merito ad una certa competenza formale da adottare nella realizzazione della fanzine. In uno di quei casi, fu proposto di determinare un tetto massimo di battute da utilizzare nelle recensioni, visto recensioni erano che alcune sicuramente lunghe e prolisse. Naturalmente gli autori di queste recensioni si opposero accanitamente a questa proposta “professionalizzante”, adottando l’argomento che una fanzine è per sua stessa natura differente dalle riviste di settore, per cui non dovevano esserci “limiti 1 Vedi in tal senso Itself; Hopes Of Harmony; Freak Out; Tutti Morimmo a Stento. 157 alla creatività”. Il sottostare a certe regole stilistiche era percepito come un compromesso inaccettabile con le logiche della stampa “mainstream”. Marco Di Dia a tal proposito: D: come la vedi la professionalità delle riviste? Ti ricordi quando discutevamo del numero delle battute che avrebbe dovuto avere una recensione standard? R: qua c’è un gioco di equilibrio tra frequenza di uscita, spazio e numero delle pagine e intenzione di dar sfogo a chi scrive in modo quanto più proficuo possibile. Con proficuo intendo dare la possibilità di dire tutto quello che si ha bisogno di dire, e quindi non tagliare le interviste… ecco il lavoro di editing finale secondo me è pensabile su logiche di mercato, non su logiche di divulgazione “scientifica” D: scientifica? R: vabbè, intendo il circuito… intendo il mondo del teatro, della musica… D: cos’è la logica di mercato? R: e quello che deve scrivere qualunque cazzata purché faccia numero, per vendere. D: in che modo tu non rispetti questa logica? R: prima di tutto questa etica non mi piace, due non mi interessa vendere la rivista, mi interessa far circolare l’idea, e tre, grazie a questo meccanismo, la divulgazione scientifica permette di poter pubblicare tutto un teorema, senza tranci D: intendi dire che se imponessi un numero di battute per una recensione ad uno dei tuoi collaboratori… R: e come chiedere di dimostrare un teorema in meno spazio possibile, e questo potrebbe costare troppo caro, potrebbe portare alla non 158 7.Logiche di distinzione dimostrazione del teorema. Invece spesso servono dimostrazioni lunghissime, lunghi libri solo per un teorema…quindi, se c’è qualcosa da dire diciamola tranquillamente, e tutta. D: ma non ti è mai sembrato che le recensioni di alcuni collaboratori di Succo Acido fossero un po’ troppo lunghe, che andassero spesso fuori tema? […] R: sì, il problema era forte, perché la rivista era piccola, aveva poche pagine e quindi pubblicare tutte le recensioni di tutti, e con queste recensioni, praticamente era davvero improponibile. D: come lo hai risolto questo problema? R: non era un problema risolvibile… la c’è la casualità del gioco del fanzinaro… un po’ il caso, un po’ quello che veniva scelto era il risultato di un equilibrio precario, tu dicevi “stavolta è andata”… all’ottava volta non andava più […] Consultando altri autori di fanzine traspare che il principio di “libertà” è molto sentito. Si tratta di libertà espressiva, cioè di assoluta mancanza di regole formali o censure; il fanzinaro deve sentirsi assolutamente libero di scrivere quello che gli passa per la mente, senza stare troppo a preoccuparsi di risultare volgare, prolisso, o di andare fuori tema. Ecco un esempio rappresentativo: “Questo dei Mirabilia è un CD che riesce a dare all' uomo la gioia più grande. Non parlo semplicemente di musica, godibilità d' ascolto, estetica delle sette note. Qui si va oltre. No, nemmeno riferimenti alla voglia di scopare, a patetismi emozionali e toccanti, a cariche adrenaliniche nascoste in suoni ritmici e nervosi. C' è un piacere che supera ogni altro, più intenso del sesso, del sonno, del cibo. Il principe dei piaceri. Cagare. Compressione del muscolo anale in un atto di sodomia retroattiva, nervi 159 strizzati e polmoni piegati da un impulso irresistibile. E poi, senso di vuoto. Sentire i Mirabilia è un esperienza trascendentale che in meno di un minuto ti trascina al cesso con le braghe calate e il sedere spiaccicato sul water. Mai titolo è stato più azzeccato: come puoi cambiare la tua vita? Semplice, ascolta i Mirabilia, corri al cesso. E non è tutto. Misto all' effetto lassativo vi è pure un' ansia sonnifera, nascosta nella struttura monotona e monocorde delle canzoni. Forse l' apice del benessere possibile: cesso + letto (ma solo per dormire, ci si ritrova mosci da far paura dopo l' ascolto...). Intendiamoci, qualche pezzettino di musiche decenti lo si può pure trovare (la stereolabiana New Song ad esempio), ma è poca roba, e soprattutto la "solita roba": pop languido che va tanto di moda, approccio alla materia sonora quasi post-Post-Rock, ovvero inutile. Questa è la musica che non mi piace (e forse ai molti piacerà). Notevole comunque la voce del cantante, a mio avviso sprecata per queste canzoni. Grazie Mirabilia, costate più della solita cassa di prugne, e fate anche più schifo, ma in fondo vi voglio bene, perché siete italiani. Sì, la musica italiana va rivalutata. Avrete successo, ottime cose diranno di voi. Ora anche noi abbiamo la nostra brutta copia degli Air. Consigliato agli stitici.”2 Almeno in parte, risponde a questa logica anche la scelta di adottare dei linguaggi ben precisi. Ad esempio, nelle fanzine che si occupano di fantascienza viene utilizzato un particolare vocabolario, chiamato fannish la cui decodifica risulta ostica per chi non è parte del fandom. Si utilizzano termini, e si fa riferimento a concetti che solo gli appassionati di fantascienza, o di un certo tipo di fantascienza, potrebbero comprendere a pieno [Crane 1997]. 2 Recensione, scritta da Bakunim, pubblicata nel n°3 di Succo Acido. 160 7.Logiche di distinzione Stesso dicasi per le punkzine, che adottavano lo slang giovanile più vicino alla cultura punk3. Ecco di seguito un esempio di ermeticità del linguaggio usato per una recensione su Freak Out, fanzine musicale realizzata a Napoli: “Istruzioni per l’uso: segnare questo nome sulle vostre agende tra le cose da ordinare al vostro spacciatore di dischi; inserire nel lettore l’atteso feticcio. Il mantra si diffonderà nella vostra camera, abbacinati dalla sua ossessività ne uscirete frastornati dall’ascolto. Questo ep di un altro componente dei GSYBE! Si eleva al rango di disco seminale come se ne può dire di pochi altri, quindi se ne consiglia l’accaparramento a quanti hanno amato i primi Tortoise”4 Come si evince chiaramente, solo chi ha specifiche cognizioni musicali potrebbe decodificare con immediatezza il contenuto di questa recensione. È necessario conoscere i gruppi a cui si fa riferimento, di uno è addirittura presente solo la sigla. Occorrerebbe, inoltre, capire cosa si intende per disco seminale in questa fanzine. Più di tutto, bisogna essere già dentro un certo ambiente per comprendere quello che c’è scritto tra le righe: ossia che è un ottimo disco da ascoltare sballati, cioè sotto l’effetto di stupefacenti. Potremmo fare un ragionamento simile per quest’altra recensione apparsa sul n° 8 di Oriental Beat: 3 Come succedeva anche per tutta la stampa underground degli anni sessanta, che adoperava linguaggi propri della controcultura sessantottina. 4 Recensione pubblicata sul n°28 di Freak Out, scritta da Gerardo Ancora. 161 “duo giapponese dedito a un trash rock and roll a tratti sconfinante nella cessofonia. Un album intero di sta roba per me è troppo, sto diventando allergico al lo-fi… comunque Gualtiero era esaltato con sti tipi ai tempi di Gabba Gabba Hey e rimane esaltato pure ora. Almeno c’è ancora qualcuno coerente in giro.” Per capire quest’altra recensione, o meglio, per capire il giudizio espresso da questa recensione, sono necessarie tutta una serie di nozioni riguardanti la musica rock garage, cosa si intende con lo-fi, e conoscere altre fanzine e altri fanzinari (Gualtiero è il nome di una altro fanzinaro che scriveva sulla fanzine Gabba Gabba Hey!). Gli esempi riportati mostrano che il modo d' esprimersi ed il lessico rappresentano un codice. Questo viene usato, da un lato, per allontanare tutti coloro che non fanno parte di un determinato circuito o cui manca del fondamentale capitale sottoculturale5 [Thornton 1998], poiché non capirebbero il senso di quello che c’è scritto; e, dall’altro, a prendere le distanze da tutti quei media che sfruttano una certa normalizzazione linguistica per rendere il proprio contenuto più comprensibile pur di andare incontro ad esigenze di natura commerciale. Se quest’ultima funzione del codice adoperato è svolta in modo 5 Sarah Thornton introduce la nozione di capitale sottoculturale, in riferimento alle tre tipologie di capitale postulate da Bourdieu (capitale economico, sociale e culturale), intendendolo come quella forma particolare di capitale culturale che permette a certi gruppi, o a certe sottoculture, di distinguersi dalla cultura dominante (legittima) e da altre sottoculture. 162 7.Logiche di distinzione coerente all’esigenza di distinguersi dall’editoria ufficiale, la prima è svolta in modo più o meno inconsapevole: in qualsiasi cultura, sottocultura o gruppo, il linguaggio, lo slang, è uno degli strumenti essenziali per evidenziare le distanze dagli altri gruppi e individuare i confini del proprio, o, come direbbe Bourdieu, “l’intenzione” occulta dello slang è soprattutto “l’affermazione di una distinzione di tipo aristocratico”6. Entrambe queste funzioni rispondono all’esigenza di serrare i ranghi contro il nemico immaginario, costituito dalla stampa commerciale e da tutti coloro che non sono in grado di riconoscere il valore e l’importanza che i fanzinari attribuiscono alla propria opera. Il fatto che questa logica, in negativo o in positivo, sia sempre presente tra coloro che realizzano degli stampati, è stato ribadito da Stefano Bianchi di Blow Up durante il nostro colloquio: “ovviamente, essendo nel campo della comunicazione uno dovrebbe fare l’impossibile per cercare di comunicare bene quello che deve dire. Io quando faccio dei paragoni con un gruppo, cerco disperatamente, non ci riesco sempre, […] di paragonare il suono di un gruppo sconosciuto al nome più conosciuto possibile, non a un altro nome altrettanto sconosciuto. Ma lo faccio proprio con spirito di servizio.” Poco prima, però, aveva anche affermato che “l’accusa di elitismo nasce nel momento in cui tu che me la fai leggi il giornale e dici: ‘ma questo Felix Kubin… chi cazzo è? Questi elitisti…’ semplicemente perché tu non lo conosci! Ma questo che significa? Se parlo di cose che non conoscono… se io faccio un trattato di fisica nucleare, tu non ci capisci un cazzo perché non l’hai studiata, sono un elitista? Non credo proprio!”. 6 Pierre Bourdieu, Language and Symbolic Power, Polity, Cambridge 1991; [cit. in Thornton 1998, pag. 22] 163 Tenuto conto che Bianchi, per sua stessa ammissione, segue esattamente la stessa logica commerciale delle riviste specializzate, dove per logica commerciale intendiamo il compromesso stilistico che una rivista di informazione deve attuare allo scopo di aumentare il numero di lettori, questo non sorprende; ad ogni modo c’è da notare che per lui, come per altri fanzinari che non si pongono il problema della comprensibilità immediata di ciò che scrivono, utilizzare un linguaggio specialistico è segno di “un profondo rispetto […] nei confronti della materia che tu tratti!”. Certamente l’esclusione dalla cultura ufficiale è più marcata in alcune produzioni rispetto ad altre; Come ho già chiarito alcune testate riescono a collocarsi in sintonia col sistema ufficiale, altre cercano intenzionalmente di restare confinate in uno spazio marginale. Se da un a parte questa autoghettizzazione giunge per via dei contenuti affrontati, particolarmente underground, d’altra parte, ciò avviene anche per mezzo di, consapevoli o meno, logiche di distinzione [Bourdieu 1983], che si evidenziano, in questi casi a livello formale, nella realizzazione di una fanzine. La stampa tradizionale, che per via della sua diffusione e affermazione viene identificata come dominante o mainstream, è rappresentata da tutta una serie di caratteristiche, sempre indicate negativamente da coloro che realizzano fanzine: 1) l’assenza di senso critico: […] per come ho vissuto l‘ambiente musicale giornalistico era costituito da assenza di ideali, non andavano oltre, erano parte di un 164 7.Logiche di distinzione ingranaggio (pubblicità, marketing, etc.) e quindi parlavano solo di determinate cose e non di altre; il rock oggi è un baraccone di gruppi tutti uguali tipo Slipknot, però loro ne parlano e li elogiano fuori misura. Ti propongono sempre lo stesso brodo e non sai cosa succede realmente nel mondo musicale: sono praticamente pubblicità per delle major, ne hanno bisogno (di pubblicità) e questa ti viene garantita solo a patto che tu non sei veramente critico…. Uniformazione del gusto. I giornali principali sono il braccio armato di questo mondo, ma la cosa è subdola perché si spacciano per essere neutrali – Roberto Baldi, Baut 2) dipendenza dal denaro: […] molte riviste sono vendute. D: che vuol dire? R: significa che gli editoriali sono comprati, che gli articoli sono comprati D: per esempio quali sono queste riviste vendute? […] R: sinceramente prima di fare dei nomi devo specificare che non compro riviste… è la mia idea di venduto per le riviste, di cui stiamo parlando. D: ecco allora spiegami la tua idea di ‘venduto’ R: mah…io personalmente ho avuto una proposta grossa di acquisto per la mia testata D: cioè? R: un teatro di Trento, Teatro In Corso, ha proposto di comprarmi e fare un asse Trento-Palermo e mi davano tutti i soldi che volevo, […] ho detto no […] a me non va che qualcuno possa comprare il verbo, 165 potevano anche essere bravi a parlare di teatro, più bravi di me, però significa che a me piace la libertà di parola e di stampa, e se ci mettiamo il denaro in mezzo a questi discorsi la libertà va a puttane. D: perché? R: perché è il denaro che comanda. Cioè l’articolo se vien pagato bene, se non vien pagato no. […] D: se avessi venduto gli articoli di teatro a quelli di Trento ti sarebbe parso di svenderti alla logica di mercato? R: sì, cioè a me gli articoli di venderli non va, cioè mi piace pensare che se la rivista è la mia che quell’intervista è nata non per denaro ma perché il disco è bello, lo spettacolo teatrale è interessante, c’è un messaggio nelle scritture… c’è dell’arte per l’arte e non dell’arte per il denaro. - Marco Di Dia, Succo Acido 3) la mancanza di libertà nello scrivere senza censure: D: cos’è il principio di libertà per le fanzine secondo te? R: (lunga pausa)… poter scrivere quello che, nella legalità, ti può permettere di mandare a cagare chi cazzo vuoi. – Marco Di Dia, Succo Acido 4) l’impossibilità di adottare estetiche e linguaggi meno comuni a causa di convenzioni editoriali, come illustrato precedentemente. Infine, 5) la necessità di far quadrare i conti o addirittura guadagnarci, come si ricava dai brani di intervista riportati. Tutto ciò può essere ricondotto indirettamente alla subordinazione economica dei magazine tradizionali, cioè all’esigenza di guadagnare vendendo pubblicità 166 7.Logiche di distinzione Queste caratteristiche vengono osservate e attribuite alla stampa ufficiale, vengono ribaltate, fungendo da punto di riferimento negativo, e utilizzate per distinguersi dalla stampa commerciale. Si costituirebbero in questo modo delle scelte estetiche esplicite [Bourdieu 1983]: se si decide di adottare un preciso formato per la propria fanzine, anche per distinguersi dalla stampa “ufficiale”, si risponde alle logiche di distinzione appena descritte. Tuttavia, è importante chiarire che l’aderenza a queste logiche non è sempre consapevole. Il più delle volte è il frutto di una assimilata opposizione noicontro-loro7 necessaria ad affermare e riconoscere il proprio capitale sottoculturale, in cui il “noi” è rappresentato da tutti coloro che fanno parte di un determinato circuito artistico, musicale, o teatrale, e che riconoscono un valore legittimo alle fanzine, e il “loro” è costituito da tutti coloro che questo valore lo ignorano o lo disconoscono. Parlo di inconsapevolezza perché difficilmente il fanzinaro ammette esplicitamente di adottare un determinato stile per opporsi apertamente alla stampa ufficiale; dai colloqui con loro, tuttavia, si ricava che le loro scelte di fondo sono il frutto di questa concezione dei media e che con le loro pratiche puntualmente riproducono questo bipolarismo. I confini che inevitabilmente si vengono a formare attorno ad una sottocultura, anche se fluidi, vengono costruiti dalla sottocultura stessa. Non a caso Sarah Thornton [1998] evidenzia che la logica sociale del capitale 7 Nelle interviste e nelle ricerche mi sono imbattuto spessissimo in una strenua opposizione a quello che veniva semplicemente definito con “ufficialità”; Umiliacchi, oltre ad utilizzare di frequente questo termine in senso negativo, per definire le fanzine dice semplicemente che esse “non sono la stampa ufficiale” .Senza spiegare, anche dietro mia insistenza, in cosa consistano effettivamente queste differenze; in generale questo fumoso concetto di “ufficialità” è sempre stato fatto presente come forma negativa di non appartenenza, ma non è mai stato spiegato chiaramente come identificarlo. 167 sottoculturale si rivela più chiaramente attraverso ciò che non si ama e ciò che non si è. 7.2 Sottocultura dominata Stephen Duncombe [1997] rileva il fatto che l’originalità, intesa come l' esser nuovo, il non imitare altri, sia un elemento altamente tenuto in considerazione nel mondo delle fanzine. Questo è stato ribadito in tutte le interviste realizzate: ciascun intervistato riteneva, a torto o ragione, di aver realizzato in qualche modo un prodotto singolare, sia per i contenuti, sia per l’aspetto grafico, sia semplicemente per la linea editoriale adottata. Nessuno ha dato una definizione univoca di “originalità”, se non quella di essere semplicemente diversi dagli altri, pur riconoscendo di ignorare effettivamente se quello che loro consideravano originale lo fosse o meno. Per la verità Stefano Bianchi (Blow Up) e Roberto Baldi (Baut) hanno fornito la stessa risposta, cioè che per loro la propria fanzine era originale nel mescolare contenuti musicali più di nicchia e meno underground. Secondo l’autore americano, il tentativo di creare qualcosa di assolutamente originale risponde anche all’esigenza di creare un oggetto che non sia stato realizzato e commercializzato dalle industrie culturali; nella sua visione della cultura delle fanzine ciò tradirebbe un forte antagonismo, non solo verso i media mainstream, ma verso buona parte della cultura di massa; il rifiuto verso la cultura dominante porterebbe ad una sorta di auto-ghettizzazione da parte dei fanzinari. Duncombe parla proprio di “ghetto virtuale” riferendosi ad una immaginaria zona di sicurezza nella quale i fanzinari possono rifugiarsi e dove 168 7.Logiche di distinzione sono liberi di comunicare tra di loro, dei loro interessi e con le loro regole, evitando di mettersi a confronto con la cultura di massa/dominante dalla quale si sentirebbero alienati. Come già accennato prima, questo antagonismo non sempre è dichiarato; in alcuni casi lo è limpidamente, ad esempio in ogni numero di Tutti Morimmo A Stento viene ribadito questo concetto: “FANZINE THE REAL MEDIA – le fanzine sono i veri mezzi di comunicazione della strada, fuori da logiche di mercato sono alla base di un libero scambio di informazioni, dialogo, cultura, musica, arte, iniziative, azioni, idee e emozioni… sostenere una fanzine significa leggerla, informarsi realmente, dialogare, fotocopiarla, esserne coinvolti e parteciparvi attivamente…”. Nel resto della fanzine, inoltre, sono frequenti gli insulti e le accuse di stupidità, inerzia e ignoranza nei confronti di coloro che si “ammorbano” il cervello fruendo dei media più ortodossi. D' altronde, anche una certa sospettosità nei miei confronti ha tradito un certo disprezzo per la cosiddetta cultura “ufficiale”; alcuni fanzinari, quando ho spiegato loro a quale scopo li avrei intervistati, si sono tirati indietro. Giulia Vallicelli8 ha così tagliato corto: “la mia fanza non esce più da 5 anni e odio i sociologi e non amo essere oggetto di tesi”. Quando ho fatto leggere alcuni dei miei appunti a Gianluca Umiliacchi, mi ha detto che non condivideva affatto il modo in cui stavo rappresentando il mondo delle fanzine. In altre parole, quando i fanzinari sono costretti a confrontarsi con i metri di giudizio della cultura legittima, si tirano indietro, accusando coloro che se ne interessano di ignoranza e impedendogli di conoscere la loro realtà più in profondità. 8 Autrice dela fanzine Punto-G. 169 Ma a cosa serve questa auto-ghettizazione? Duncombe suggerisce che essa sia utile a respingere tutti coloro che sono estranei ad una certa sottocultura e che tentano di appropriarsene svilendone il valore e l’unicità. Sarebbe quindi una forma di autodifesa sottoculturale, che reitera un sistema di credenze (i giudizi a proposito della stampa commerciale e della cultura legittima) e rinforza la solidarietà di gruppo. Non a caso la migliore arma usata per denigrare un avvicinamento da parte dei fanzinari alla stampa mainstream è l’accusa di essere svenduti (selling-out). In quest’ottica ogni accenno di popolarità o di accessibilità è condannato. Non dobbiamo dimenticare, però, che la cultura delle fanzine è una cultura dominata [Bourdieu 1983], cioè ininterrottamente costretta a definirsi in relazione alla cultura dominante (la stampa ufficiale), che fatica ad imporre come legittimi il proprio capitale e le proprie pratiche. Quando il capitale sottoculturale dei fanzinari, per qualunque ragione, comincia ad essere legittimato, e comincia ad essere assorbito dalla cultura “alta”, è il caso di certi contenuti ma anche di certi modi e pratiche di riproduzione di questi contenuti, per un effetto di influenza dal basso9, questa forma di segregazione serve a frenare la svalutazione del loro capitale; arrivando persino ad istaurare dei principi di selezione, inclusione ed esclusione, fondati su vari criteri più o meno 9 Roberta Sassatelli [2004] pone l’accento sul fatto che in una società frammentata come la nostra anche i gruppi sociali più deboli, tra cui le sottoculture, sviluppano proprie mode e propri stili di vita che possono affermarsi ben oltre i confini originari. Ciò è in aperto contrasto con la teoria di T. Veblen [1981] che inserisce i meccanismi della moda all’interno di una struttura gerarchica per cui esclusivamente le classi subalterne emulano le classi agiate. Questa visione trova le sue radici anche nelle riflessioni sulla moda di G. Simmel [1996] e viene riconfermata nel quadro teorico postulato da Bourdieu [1983] in relazione alle dinamiche dei campi sociali. Un esempio lampante di questa tipo di influenza dal basso è la moda dei piercing, nata come fenomeno circoscritto alla cultura punk e divenuto oggi uno stile diffuso in qualsiasi gruppo sociale. 170 7.Logiche di distinzione impliciti. Basta osservare le definizioni sempre diverse, più o meno selettive, che sono state date di “fanzine”: D: dammi una definizione di fanzine… R: eeehh…ma… la fanzine è un rivista… mirata. D: in che senso mirata? R: dedicata a uno, o alcuni circuiti che la richiedono fortemente. D: intendi che è un mezzo di comunicazione per determinati circuiti? R: anche, sì, nasce così spesso. Ovviamente fanzine viene dal termine fan e magazine, e da lì si capisce che è, insomma, un magazine per fan. Questo è banale però. – Marco Di Dia, Succo Acido R: ma la fanzine per me… la fanzine è semplicemente una fan magazine, cioè semplicemente quello che dice la parola, cioè una… la fanzine è un giornaletto fatto in casa, il più delle volte fotocopiato, questo storicamente perché fra l’altro adesso non esistono praticamente più, esistono le webzine. Ma era un giornale fatto in casa, inizialmente, quando hanno iniziato a circolare negli anni 50, ma soprattutto negli anni 60, erano piccole riviste, inizialmente, negli anni 50 soprattutto, negli anni 60 iniziano ad avere una dimensione più da “rivista”, erano dedicate dai fan club.., erano appunto una contrazione di fanatic magazine. D: ma riguardo le fanzine nella loro accezione più contemporanea… R: no ecco.. ce ne sono state.. no perché poi la fanzine ha cominciato, negli anni 60, 70, e poi via via, ha cominciato ad avere una dimensione diversa, fino a trasformarsi in qualcosa di molto diverso di quello che era l’accezione originaria, cioè sono diventate nel tempo delle riviste non ufficiali, la distinzione diciamo giuridica/legale che distingue una fanzine, tra l’altro ci son passato per cui te lo dico con cognizione di causa, una 171 fanzine da una rivista è semplicemente che la prima non è, non ha una registrazione… non è legale, non è registrata in tribunale e la seconda è registrata. Poi dopo il fatto che una vada in edicola e l’altra non vada in edicola è una cosa molto…molto opinabile, perché tante rivista vanno esclusivamente in libreria, altre vanno esclusivamente per abbonamento, per cui la tipologia… di sicuro la fanzine non va in edicola perché, voglio dire, non essendo legale, non c’è una partita Iva dietro non c’è una fatturazione non c’è nulla! Ma la distinzione è diventata quella, molto spesso negli anni novanta, soprattutto, secondo me, le fanzine sono diventate molto meglio fatte rispetto alle riviste, però il discorso è veramente lungo e complesso del perché e del percome, perché da un lato le riviste hanno cominciato ad essere fatte meno bene e le fanzine ad essere fatte meglio. – Stefano Bianchi, Blow Up R: giornale per i fan, che si occupa di musica o altro in modo perlopiù monotematico, perché anticamente il fanclub decideva di seguire una band esclusiva. Oggi nel gergo si considerano fanzine delle mini riviste spesso non solo musicali, si potrebbe dire che la fanzine, oggi, sia una rivista con pochi mezzi. – Roberto Baldi, Baut R: La fanzine è l’organo di un gruppo di persone che ha lo stesso interesse. Oramai non esistono più perché la funzione viene svolta quasi interamente da internet. – Stefano Nardini, Velvet Goldmine R: giornaletto autoprodotto. D: in che senso autoprodotto? R: pensato, fatto, curato e praticamente pagato tutto dal sottoscritto. – Michele Bisceglie, Oriental Beat 172 7.Logiche di distinzione Nel primo caso con “fanzine” si intende uno stampato che abbia come scopo la comunicazione tra circuiti culturali/artistici diversi; nel secondo caso si considera come principio di inclusione o esclusione l’assenza di registrazione presso il tribunale competente, anche se dal discorso si capisce che Bianchi considera fanzine anche degli stampati registrati; nel terzo caso la fanzine è indicata come un giornale che si occupa di musica in modo monotematico, concentrandosi su un singolo artista o gruppo; nel quarto caso la fanzine è un mezzo di comunicazione tra individui che condividono un determinato interesse; infine, nel quinto caso, la fanzine per essere riconosciuta come tale deve essere realizzata da un unico individuo. In pratica nessuno dei fanzinari consultati definizione ha saputo esatta di dare una “fanzine”; Adattare la nozione di “fanzine” alle situazioni più disparate gli permette di disconoscere tutte quelle forme d’espressione fanzinara che flirtano con la cultura legittima, rassicurandoli della propria unicità. Si tratta di un esempio evidente di quello che Becker [1997] chiama “etichettamento”: si usa un termine per classificare qualcuno allo scopo di segnarne la distanza, per sanzionarne il comportamento. Per i fanzinari legati ad una forte contrapposizione critica verso la cultura “ufficiale” le fanzine che non 173 rimarcano una certa distinzione da questa vengono etichettate come “pseudofanzine”10. Il paradosso l’ho vissuto quando Gianluca Umiliacchi, pur di dimostrare che ciò che stavo evidenziando di questo universo fosse sbagliato, mi ha detto che i casi da me studiati non erano rilevanti, perché “non sono proprio fanzine”; egli tuttavia non è stato in grado di spiegarmi in che maniera potessi determinare, in modo pertinente, se lo stampato che avevo di fronte fosse proprio una fanzine o meno. 7.3 Introiti e pubblicità Il capitale necessario alla creazione e alla gestione di una fanzine viene di norma messo di tasca propria dal fanzinaro. Tutti coloro che sono stati intervistati per questa ricerca si sono procurati i soldi in modi diversi (prestiti, associazioni, collette) e hanno deciso di investirli in questo tipo di iniziativa11. Una volta avviato l’ingranaggio hanno cercato di coprire o ammortizzare i costi di stampa e distribuzione, ove presenti, attraverso varie strategie. Velvet Goldmine veniva spedita in abbonamento: pagando 35.000 lire tramite vaglia postale ad uno dei due autori, si potevano ricevere quattro numeri in un anno. Anche Blow Up inizialmente era sostenuta dagli abbonamenti. In realtà quasi tutte le fanzine cercano di far abbonare i lettori (Succo Acido, Jammai, Freak Out, ad esempio), allo scopo di poter distribuire meglio le proprie spese 10 Si veda soprattutto il discorso sullo “pseudofanzinaro” e sulla teoria dell’etichettamento trattata nel capitolo IV. 11 Vedi capitolo IV. 174 7.Logiche di distinzione prevedendo il numero di copie da stampare. Solo poche, però, riescono ad ottenere un numero tale di abbonamenti da andare in pari. Velvet Goldmine chiuse dopo il terzo numero, trasformandosi in webzine; altre fanzine come Itself, Equilibrio Precario o Oriental Beat, sempre a pagamento, non riescono a garantire alcuna periodicità per cui sono in perdita e sono costrette a recuperare denaro in altro modo. La risorsa più efficace, in questo caso, è la vendita degli spazi pubblicitari12. Come dice Michele di Oriental Beat “Qualche pubblicità copre buona parte delle spese di stampa. Il resto lo metto di tasca mia. Introiti pochi” La pubblicità consente di mantenere basso il prezzo di copertina e magari aumentare la qualità della carta su cui viene stampata la fanzine. Questa scelta però ha i suoi contro, infatti nell’editoriale del primo numero di Equilibrio Precario, Stefano Paternoster scrive: Siamo consci del fatto che nel circuito a cui ci rivolgiamo vi saranno sicuramente persone che storceranno il naso di fronte alle inserzioni pubblicitarie presenti tra queste pagine. Crediamo però che l’uscita di molte fanzine fotocopiate in modo illeggibile, solo per mantenere integra una “verginità ideologica” sia controproducente e dannoso per la scena stessa, scoraggiando possibili interessati. Dall’esigenza di mantenere un prezzo accessibile e una buona qualità di stampa, abbiamo optato per alcune inserzioni pubblicitarie, vogliamo sottolineare che non riteniamo dannosa un inserzione pubblicitaria finché questa non presenti una qualsivoglia limitazione. 12 Da notare che Itself non ha pubblicità al suo interno; il fatto che l’autrice della fanzine lavori in una tipografia di proprietà della sua famiglia le consente di annullare quasi del tutto i costi di stampa, e di non avere quindi l’esigenza di vendere spazi pubblicitari 175 Stefano si è sentito in dovere di giustificare sette piccoli box pubblicitari distribuiti lungo le 64 pagine della rivista. Il curatore di Equilibrio Precario parla di una “verginità ideologica” per cui all’interno di una fanzine non deve esserci alcuno sponsor che possa compromettere l’etica dei fanzinari, avulsi da qualsiasi logica di guadagno, da qualsiasi interesse economico, e da qualsiasi influenza che la necessità economica possa determinare sul contenuto della fanzine. Benché sia stato impossibile istaurare un contatto con l’autore di questa fanzine, il tema della pubblicità e dei suoi risvolti ideologici è stato affrontato con tutti i fanzinari intervistati. Roberto di Baut: D: Ma non credi che sia una contraddizione il fatto che volevate essere indipendenti dagli sponsor e poi cercavate il loro appoggio? R: I piccoli pesci devono usare le stesse armi dei grandi pesci, con una ideologia dietro, altrimenti non ottieni nulla: il compromesso ci deve essere con una certa consapevolezza, bisogna considerarlo sempre un compromesso però, e non come una via. Pubblicità ce n’era poca; ci può essere purché non costituisca una snaturazione dei contenuti, è una necessità. D: Non pensi che sarebbe come svendersi? R: Svendersi per me significa accettare soldi da chiunque e non potere dire quello che penso realmente di certi gruppi, e si finisce nell’ingranaggio di cui sopra. Prendendo alla lettera quello che dice si capisce che la pubblicità è vista innanzi tutto come un compromesso, esattamente come per Marco Di Dia lo è 176 7.Logiche di distinzione stato la registrazione presso il tribunale13. È un modo in cui realtà che faticano a sopravvivere, si adattano ad un sistema (in questo caso quello capitalista) per cercare di resistere, magari rivolgendo contro il sistema le sue stesse armi. L’importante è mantenere una “ideologia dietro”, una “verginità ideologica”. Non permettere alla logica del denaro di prevalere, non “farsi comprare” a costo di parlare bene di un disco, in altre parole non svendersi. In questi casi la pubblicità è vista come promozione legittima [Thornton 1998], un mezzo attraverso cui si può resistere allo svendersi, “Se le pubblicità sono discografiche, cioè del settore, e da parte di chi condivide un discorso che cerchi di fare, un certo modo di vedere la musica, perché magari ti appoggiano etc. Purché non ti influenzino. Fuori dal settore diventa più complicato... farei fatica ad accettare un certo tipo di pubblicità, tipo commerciale: Nutella, sigarette, Coca cola, perché non condivido assolutamente le loro politiche” con queste parole Roberto sposta l’accento sull’aspetto politico che viene attribuito al denaro: svendersi non significa accettare dei soldi e basta, svendersi significa accettare dei soldi da qualcuno che non condivide la sua visione del mondo, che non da la giusta importanza alle cose cui lui da importanza. Non è giusto accettare soldi dalle grandi multinazionali o dalle case discografiche. D: Praticamente non c’era pubblicità tra le pagine di Velvet Goldmine, come mai? R: Beh quando si è una piccola fanzine, non si hanno mica i contatti per avere pubblicità… e poi una fanzine deve essere davvero libera… non so, questa è la mia opinione 13 Vedi paragrafo relativo al copyright nel capitolo precedente. 177 Queste sono parole di Stefano di Velvet Goldmine, che nell’editoriale del numero zero della fanzine scriveva inoltre: “in un momento in cui si parla moltissimo di diritto d’autore e del fatto che sia giusto che esista, questa rivista fa coerentemente una scelta di non ufficialità. Non vuole essere autorizzata da nessuna casa discografica, né considera il fatto di esserlo un vanto”. Per essere davvero liberi non bisogna accettare denaro per quello che si sta facendo, ma se proprio si è costretti a farlo, allora bisogna fare attenzione che provenga dalla persone giuste; a tal proposito anche a Marco di Succo Acido: D: accetteresti la pubblicità del disco di Laura Pausini? R: NO! Non mi piace! (ride) non posso… D: degli A Short Apnea? R: quelli sì, gliel’ho regalata anche D: in base a quale criterio decidi la Pausini no, e A Short Apnea sì? R: una linea editoriale comunque ci deve essere… D: ma cos’è questa linea editoriale? R: un gusto personale D: quindi è perché parli di determinate cose che trovi appropriato selezionare le pubblicità? R: non venderei la pubblicità alla Coca Cola, alla Benetton… D: perché? R: ma perché ho l’idea che queste siano delle multinazionali che sfruttino lavoro nero, minorile e cose varie […] D: ma li guadagneresti 10.000 euro al mese a costo di mettere la pubblicità della Coca Cola su Succo Acido? 178 7.Logiche di distinzione R: no, no. Te lo ripeto. Basterebbero dieci acquirenti che mi comprassero una pagina a mille euro D: ma questi acquirenti devono essere… potrebbero essere chiunque? R: no, mi piacerebbe che fossero determinati acquirenti… io la pubblicità l’ho proposta alle gallerie d’arte, alle compagnie di teatro, ai teatri, alle distribuzioni discografiche… è impensabile che gente come Promorama [Wide records], che gli abbiamo lanciato tantissime interviste e tantissime recensioni non abbia mai comprato la pubblicità, e che dica che non la comprano visto che ce la distribuiscano e che anzi dovremmo regalargliela. Quando mi hanno scritto sta cosa ho inoltrato la lettera alla Southern Records [compagnia di distribuzione discografica cui fa capo Wide per l’Italia] e gli ho fatto un cazziatone tanto… tutta la crew della Southern sa che io ho mandato a cagare Wide, perché queste cose sono impensabili. Che non sono meccanismi di mercato, ho detto “ guardate con che state lavorando, questa è la gente che vi distribuisce in Italia”. Per Marco è “impensabile” ragionare in termini di guadagno, significa mettere da parte l’aspetto umano che c’è dietro ogni fanzine. La fanzine, come spiegato nella prima parte di questo elaborato, non è fatta per un tornaconto economico, non è fatta per vedere il proprio nome stampato su una rivista; la fanzine è fatta per passione, per amore dell’arte e della comunicazione. Mettersi a discutere di soldi svilisce l’intento del fanzinaro. Marco Di Dia è stato molto fermo a tal proposito durante l’intervista: “penso che l’Italia non mi meriti perché l’Italia non mi ha capito, non ha capito gli sforzi di Succo Acido, non ha capito l’utilità di Succo Acido, è rimasta a pensare nella maggior parte dei casi di Succo Acido come a uno dei soliti tentativi di arricchirsi con la stampa. E pur quando ha visto che invece era 179 cazzuta e non mirava ai guadagni si è trovata di fronte… […] Purtroppo la gente è ubriacata dagli altri editori che si comportano come cani, c’è un concetto di media che è veramente penoso. Per darti un’idea, Flash Art è un venditore di pubblicità, la galleria d’arte quando tu la contatti ti chiede subito se vuoi vendere pubblicità! Ma non è quello il punto! Questa gente nemmeno si curava di capire qual’era il tuo obiettivo editoriale, non te lo chiedeva nemmeno. Per loro le riviste sono venditori di pubblicità, è questa è la stampa italiana! Io forse non sono riuscito a farmi capire, sono timido e mi scoccia che pensino che sono uno che vuole vendere pubblicità, perché quello pensano appena li contatti. E io comunque per sopravvivere la pubblicità la devo vedere e quindi glielo dico, alla fine…” Il concetto di media “veramente penoso” è il concetto che hanno gli autori di fanzine riguardo ai media, visti come dei mezzi atti all’arricchimento e a saziare di gloria i giornalisti professionisti. Ancora una volta i media tradizionali vengono presi in considerazione come punto di riferimento negativo. Questo atteggiamento è l’antitesi dell’atteggiamento economico della stampa legittima, che subordina il valore di una passione a logiche di denaro. 7.4 Svendersi: “underground” vs. “mainstream” In questa parte della ricerca ho messo in evidenza tutti quegli elementi che rappresentano dei significati esclusivi presenti all’interno delle culture dei fanzinari sfruttati come indici di distinzione nei confronti dell’editoria tradizionale e della cultura dominante. Potremo quindi delineare i confini che demarcano una sottocultura da tutte le altre culture all’interno della società 180 7.Logiche di distinzione complessa in cui sono inserite, ed in particolare da quelle culture nei confronti delle quali si pongono criticamente. Lawrence Grossberg [2002] ritiene che i confini di una sottocultura e quelli del mainstream siano fluidi, in certi casi le due dimensioni sono addirittura indistinguibili. Egli critica la dicotomia data per scontata dai cultural studies che vede la cultura popolare come qualcosa di contrapposto al mainstream identificabile dalle specifiche forme di resistenza alla cultura dominante messe in pratica dalla cultura popolare. Secondo il sociologo statunitense è necessario un modello dinamico di circolazione delle pratiche popolari, che tenga conto della relazione tra le pratiche culturali e i loro contesti. Il mainstream in questo senso non è qualcosa di oggettivo, di determinato, ma è rappresentato da una serie di differenze definite da set di pratiche produttive e di consumo distintive. Per chiarire cosa sia concretamente “il mainstream” nella cultura delle fanzine è necessaria allora la puntuale osservazione di determinate pratiche che esplicitino una qualche forma di opposizione culturale, che ci permetta di delineare i confini di queste culture alternative. Inoltre, le considerazioni sui media tradizionali e sulla stampa musicale ci consentono di capire meglio cosa significhi per i fanzinari svendersi. “Mainstream”, “stampa ufficiale”, “ufficialità”, “sistema”, “ingranaggio”, sono tutti termini con cui nell’ambiente fanzinaro si indicano quelle riviste immerse nelle logiche del mercato, accusate di anteporre il desiderio di guadagno al senso critico; che sono liete di accettare denaro da sponsor, che spesso vengono identificati con multinazionali che la controcultura di sinistra tende a demonizzare, anche se questo può significare limitare il proprio senso critico; riviste che adottano un linguaggio standardizzato allo 181 scopo di aumentare il proprio bacino di utenza, non curandosi dello svilimento che ne potrebbe conseguire per determinati contenuti; riviste che circolano in edicola; riviste che rispettano il copyright. Da quanto è emerso sinora si potrebbe, quindi, realizzare uno schema che riassuma tutte le caratteristiche negative attribuite alla stampa ufficiale contro le quali si adottano le logiche che guidano il comportamento, le pratiche, quindi i modi di realizzare fanzines, in base a giudizi assimilati e consolidati all’interno di una sottocultura, in opposizione ad una cultura dominante, o intesa come tale, al fine di segnare uno scarto da questo stesso tipo di stampa (vedi figura). Questi giudizi sono costruiti in contrapposizione alle scelte dei gruppi più vicini nello spazio sociale, in questo caso l’editoria periodica musicale convenzionale, nei cui confronti la concorrenza è più diretta ed immediata. Per Hebdige lo “svendersi” è teorizzato come un processo di assimilazione da parte della cultura di massa di segni sottoculturali, che in questo modo perdono tutto il loro valore sovversivo. Invece, più che di sovversività, si dovrebbe parlare di valore distintivo [Bourdieu 1983]. Le fanzine accusate di essere svendute sono suscettibili di confusione con la stampa ortodossa, hanno perso quelle caratteristiche che permettono ai fanzinari di distinguere chiaramente il “noi” ed il “loro”. Ciò è visto come una forma di tradimento, poiché in questo processo coloro che sono i detentori di una cultura esclusiva si vedono minacciati di svalutazione del proprio capitale sottoculturale. Per cui, come dice Sarah Thornton, “le storie che i giovani sottoculturali raccontano sui media […] devono essere prese […] come modi di negoziare le 182 7.Logiche di distinzione questioni legate al capitale sottoculturale”14. La stampa tradizionale partecipa indirettamente alla demarcazione e allo sviluppo della ideologia fanzinara. L’underground esiste solo come contrapposizione al mainstream; i fanzinari demonizzano la stampa di settore perché altrimenti non potrebbero controllare la diffusione, la circolazione e soprattutto l’esclusività del proprio capitale sottoculturale. A differenza di quanto sostenuto da Thornton riguardo le sottoculture dei ravers, comunque, il fenomeno delle fanzine non è partorito dai media, ma è un fenomeno che si è sviluppato a causa dei mass media e costruisce la propria identità in contrapposizione ai mass media. “UNDERGROUND” “MAINSTREAM” Grafica originale Grafica standardizzata Slang Distribuzione all’interno di determinati circuiti Boicottaggio copyright Pubblicità assente o condizionata Linguaggio comune Vs. Distribuzione in edicola Rispetto del copyright Pubblicità sempre presente e non selezionata 14 Cit. da Sarah Thornton Dai club ai rave – musica, media e capitale sottoculturale, Milano Feltrinelli, 1998; pag. 203 183 8. Conclusioni Dopo un breve capitolo in cui ho ricostruito per sommi capi la nascita e l’evoluzione delle fanzine, mi sono concentrato su alcune teorie riguardanti i media alternativi e radicali. Ho illustrato il modello di alternative media formulato da Chris Atton [2002], cercando di constatare se effettivamente potremmo considerare le fanzine musicali come esempi di media radicali e/o alternativi, così come lo stesso autore teorizza. Benché in esse siano presenti alcune caratteristiche che di questa categoria sono essenziali, nondimeno ritengo sia difficile considerare “radicale” un mezzo di comunicazione che solo formalmente rifiuta una serie di compromessi con l’industria culturale. Come ho evidenziato a partire dal quarto capitolo, infatti, le regole che i fanzinari adoperano nelle loro attività duplicano su scala inferiore le norme proprie della stampa ufficiale che essi stessi contestano: di fatto, la maggior parte di coloro che realizza fanzine fa propri dei principi discriminatori che non funzionano diversamente da quelli diffusi nelle cultura “dominante” ma che invece vorrebbero modificare. 8.Conclusioni L’auto-esclusione dai circuiti editoriali tradizionali, o meglio l’autoghettizzazione messa in atto dai fanzinari, per dirla con le parole di S. Duncombe [1997], è un esempio lampante di come le sottoculture riproducano al loro interno le gerarchie e le stratificazioni della società complessiva, benché nominalmente dichiarino di fuggirle e di rifiutarle. La loro “nonprofessionalità” ed il loro diniego verso le norme burocratico/formali proprie della stampa di settore generano altre professionalità ed altre categorie di classificazione, atte a determinare quelle forme significanti che fungano da indicatori di appartenenza alle o esclusione dalle sottoculture stesse. Potremmo considerare le fanzine dei media alternativi solo in quanto diversi, sotto determinati aspetti, da altri mezzi di comunicazione, e non per le loro implicazioni “politiche” nel sistema della produzione culturale. All’interno del quale, peraltro, sono completamente incastrate e utilizzate al meglio, come illustrato sempre nel capitolo quarto, dove ho spiegato come nel sistema dell’industria culturale le fanzine svolgano indispensabili compiti di selezione dell’informazione e promozione, in maniera non dissimile da quanto facciano altre organizzazioni espressamente preposte a tale scopo. L’unica differenza consiste nel fatto che questi ruoli sono portati a termine in modo apparentemente autonomo dal sistema. Il fanzinaro è ingenuamente e genuinamente convinto, ad esempio parlando di una band sconosciuta, di far circolare informazioni che logorano l’industria discografica, laddove, viceversa, consente all’industria stessa di monitorare e sfruttare in maniera più efficiente le proprie risorse effettive o potenziali. Così come gli artisti ribelli hanno una loro spiegazione e posizione all’interno dei mondi dell’arte concettualizzati da Howard Becker [2004], anche 185 le fanzine hanno una propria ragione e collocazione all’interno dei mondi dell’industria del disco, sebbene agli occhi dei fanzinari ciò sia ignoto o falso. Indubbiamente la fanzine è un mezzo di comunicazione più interattivo se paragonato alla stampa tradizionale. Da un lato in queste pubblicazioni la dicotomia autore/lettore è sfumata o del tutto annullata: come per i fandom, le comunità di fan, in cui la distanza tra una audience e il testo da essi fruito viene accorciata o rimodellata continuamente, così avviene per le fanzine, per i contenuti da esse trattati e per coloro che le realizzano, non a caso circolano frequentemente all’interno dei fanclub. Inoltre, le fanzine favoriscono l’interazione tra individui dalla indole simile ma distanti geograficamente. Questi scambi innescano dei network ed in alcuni casi sorgono delle vere e proprie comunità, come abbiamo visto nei capitoli quarto e quinto. Una considerazione è d’obbligo: di norma la distanza compensata da questi network è più una distanza geografica che non culturale o sociale; queste forme di interazione contribuiscono in maniera estremamente esigua ad abbattere le barriere sociali e culturali preesistenti tra coloro che fanno o leggono fanzine, riconfermando, al contrario, lo status quo delle strutture sociali in cui questi soggetti interagiscono. All’interno di un fandom, o all’interno di un network di fanzine, l’individuo sembrerebbe isolarsi ulteriormente, ricavando quei benefici di cui è privo e contemporaneamente sublimandone l’assenza sugli altri livelli sociali in cui si trova a relazionarsi. In più, l’orizzontalità del processo comunicativo introdotta dalla stampa amatoriale oggetto d’esame ha anticipato l’interattività propria del medium Internet, anche se in scala ridotta. Ma poiché non considereremmo il Web un mezzo di comunicazione alternativo, essendo estremamente diffuso e globale, sebbene se ne possa fare un uso “rivoluzionario” come dimostra il cosiddetto 186 8.Conclusioni “Hacktivism”, l’attivismo politico messo in opera dagli hackers attraverso la rete [cfr. Pasquinelli 2002; Di Corinto e Tozzi 2002], sarebbe fuori luogo considerare l’insieme di network e comunità innescate dalle fanzine come emblema della loro natura radicale. Infine non ritengo opportuno neppure considerare effettivamente pluralistiche e partecipatorie le pratiche messe in atto dai fanzinari nel realizzare le proprie testate, come, al contrario, postulato dalle teorie sui media alternativi. I fanzinari sono guidati da ideali e principi di emulazione che si concretizzano in attività più o meno discriminatorie utili a generare delle forme di distinzione tra alcuni gruppi, all’interno di una società vasta e articolata, e all’interno dei gruppi stessi. Le logiche di distinzione che ho illustrato nell’ultimo capitolo servono a demarcare dei confini ideali tra varie culture alternative, a generare delle etichette che consentano ai soggetti di identificarsi con certi gruppi e a distinguersi da altri. Queste logiche, assimilate e riprodotte dalle pratiche dei fanzinari, servono inoltre a fornire quel capitale sottoculturale essenziale all’individuo per consentirgli di posizionarsi chiaramente all’interno delle varie formazioni sociali in cui si trova ad interagire, creando gerarchie di status e forme di capitale culturale proprie. Questo significa che in verità la partecipazione e il pluralismo sono comunque soggetti a determinati filtri sociali e culturali, più o meno rigidi o elastici. Inoltre, è importante sottolineare che le formazioni sociali che identifichiamo nelle sottoculture non sono necessariamente resistenti alla cultura dominante. I soggetti che fanno parte di una cultura alternativa sono inseriti all’interno di essa solo in base ad alcuni ruoli della propria vita, come ha acutamente osservato Ulf Hannerz [1998], posizionandosi trasversalmente all’interno di un tessuto sociale molto più complesso e dinamico. In questo 187 senso la “cultura dominante” non è definita, in quanto non esistono gerarchie chiare e stabili all’interno della nostra società. Coloro che fanno parte del fandom dedicato a David Bowie, ad esempio, non vivono alcuna forma di opposizione esplicita nei confronti di altre formazioni sociali, anche se al loro interno sono rigidamente gerarchizzati. Tuttavia, non si può ignorare che certe ricorrenze sono presenti tra coloro che realizzano fanzine, ed in particolare tra quelli che, situati in una posizione più subordinata rispetto ad altri nel tessuto sociale, si pongono in forte antagonismo nei confronti della cultura che viene considerata dominante. È in questi casi che si riscontrano con maggiore evidenza quelle “riflessioni critiche su di un qualche Altro” [ibidem; pag.103] necessarie alla creazione e alla sopravvivenza delle sottoculture, che fungano da elementi essenziali all’identificazione stessa dei confini subculturali. Solo una volta che si è stati in grado di riconoscere una sottocultura in base a questi confini e a queste dinamiche di distinzione si potrà cercare di trovarne le ragioni pratiche e ideologiche che stanno alla base di coloro che le riproducono. Interpretare questi fenomeni in riferimento ai problemi strutturali della società, come facevano gli scienziati della “scuola di Birmingham”, implica che i membri di queste sottoculture cercherebbero di trovare delle soluzioni a quelli che percepiscono come problemi strutturali. Nell’ottica degli scienziati del Centre for Contemporary Cultural Studies questi individui sfiderebbero l’ordine sociale dominante e tenterebbero di guadagnare lo status di cui sono privi all’interno della struttura socioeconomica in cui vivono. Ma questa sarebbe soltanto una soluzione simbolica poiché non gli fornirebbe, di fatto, risposte a problemi pratici come l’isolamento o la mancanza di capitale culturale legittimo. In altre parole le culture alternative offrirebbero forme 188 8.Conclusioni originali di identità individuali e di gruppo, distinte da quelle ricavate dalle istituzioni come la famiglia o la scuola, che includono al loro interno caratteristiche selezionate che forniscono risorse simboliche utili alla creazione di identità fatte su misura per l’individuo. Ma queste identità, escluse o parzialmente integrate all’interno della struttura sociale più ampia, sarebbero solo una scappatoia dai problemi quotidiani vissuti da questi soggetti, che rimarrebbero in questo modo irrisolti. Invece, non dobbiamo trascurare il fatto che qualsiasi formazione sociale, o qualsiasi microcultura, è caratterizzata da dinamiche di distinzione, non solo la borghesia, come ha brillantemente illustrato Pierre Bourdieu [1983], ma anche le cosiddette culture popolari o quelle giovanili, come suggeriscono John Fiske [1992] e Sarah Thornton [1998]. Ciò significa che l’adozione di pratiche distintive non necessariamente simboleggia o è attuata allo scopo di “resistere” alla cultura dominante o a compensare uno scarto all’interno della gerarchia sociale. Le distinzioni della cultura popolare sono solo mezzi attraverso i quali gli individui negoziano la propria posizione all’interno del tessuto sociale multidimensionale, più che come resistenza nei confronti di una gerarchia sociale stabile e riconoscibile queste logiche evidenziano le microstrutture presenti all’interno di ciascuna formazione sociale a loro volta inserite all’interno di strutture sempre più ampie. Di conseguenza, quando ci accostiamo alle sottoculture, o alle culture alternative, non dobbiamo incorrere nell’errore di considerarle necessariamente contrapposte ad una cultura dominante, né tanto meno dobbiamo considerare questa opposizione una conditio sine qua non per la sottocultura stessa. Le subculture esistono in quanto gli individui si trovano ad interagire e a creare dei 189 sistemi di significati specifici in base a determinati ruoli della propria esistenza, sono più o meno strutturate e più o meno dinamiche e sono integrate comunque all’interno delle strutture sociali più ampie. In alcuni casi questa integrazione è vissuta in maniera problematica, come nel caso delle controculture, in altri in modo del tutto fluido. Gli esempi concreti che sono stati oggetto di studio per questa ricerca hanno fornito diversi esempi dei gradi di integrazione possibili. Il termine “alternativo” ci può essere utile a indicare che, ad un certo livello di analisi, determinate formazioni sociali tendono a distinguersi da altre in modo complesso e variegato, ma conservando una certa omogeneità su altri livelli. In certe circostanze queste distinzioni sorgono dall’attrito nei confronti di formazioni sociali prossime nel tessuto sociale, il altre sorgono semplicemente in risposta a differenti stili di vita e abitudini culturali. 190 Appendici Questa sezione della Tesi è dedicata alla spiegazione, il più chiara e trasparente possibile, della metodologia adottata nella raccolta dei dati per la ricerca etnografica. Come detto nell’introduzione sono state fatte cinque interviste principali. Stefano Bianchi di Blow Up è stato intervistato tramite colloquio faccia a faccia raccolto per mezzo di un registratore a cassette, nella redazione della sua rivista, a Camucia in provincia di Arezzo, il 22 novembre del 2004. Lo stesso procedimento è stato adottato per Marco Di Dia della fanzine Succo Acido, ma in questo caso le conversazioni sono state registrate in due occasioni, il 18 e il 21 dicembre del 2004, a Giacalone (Pa). Viceversa Roberto Baldi di Baut e Michele Bisceglie di Oriental Beat sono stati intervistati tramite colloqui telefonici, anche questi audioregistrati. Il primo è stato sentito nei giorni 12 e 13 novembre ‘04, il secondo il 15 dello stesso mese. Infine l’intervista al curatore di Velvet Goldmine, Stefano Nardini, si è svolta tramite posta elettronica, in ripetuti scambi avvenuti tra il 3/11 e il 2/12 del 2004. Di seguito, nell’appendice A, illustro la traccia di intervista che ho adoperato in questi confronti e pubblico integralmente il colloquio avuto con il direttore di Blow Up, come esempio significativo del metodo impiegato e dei risultati conseguiti nella ricerca. Nell’appendice B elenco alfabeticamente le fanzine lette ed esaminate 192 nel corso di questo studio. Appendice A: Metodo e interviste Traccia d’intervista - Mi daresti una definizione di fanzine? Raccontami la storia di come è nata X fanzine, da dove hai preso l’idea? Chiedere una presentazione della propria fanzine e la storia di come è nata e come si è sviluppata (con motivazioni). - Cosa ti ha spinto a realizzare una fanzine musicale? La necessità di informazioni su contenuti ignorati dai mass media? O la necessità di un’informazione alternativa su contenuti forniti dai mass media? O ancora l’esigenza di costituire un circuito di conoscenze/scambi comuni, basate su una determinata passione? Emulazione per aver visto altre fanzine? Voglia di diventare professionisti? Oltre a BU hai realizzato altre fanzine? Ne conoscevi altre? - Chi è il fanzinaro di musica in Italia? qual è il suo background? Estrazione sociale? Età, sesso, etc.. Differenze tra questi aspetti comportano differenze nella realizzazione della fanzine? - Cosa rifletteva l’estetica della fanzine? C’è una scelta ideologica dietro un grafica spartana o solo un’esigenza pratica? Come lavoravate? Se ci sono entrambe le cose (come credo) cosa prevale? e in che modo? - Quando realizzavi X sentivi una sorta di senso di appartenenza al mondo delle fanzine? - È stato tramite la fanzine che sei entrato in contatto con altri appassionati di musica, oppure eri già nell’ambiente? - Che valore hanno/avevano i principi di indipendenza e autoproduzione? Come li intendi, cosa significano? - Cosa distingueva X da altre fanzine? Cosa distingue/va X dalle riviste di musica specializzate? Cosa ne pensi delle riviste di musica specializzate? - Come ti ponevi nei confronti della stampa ufficiale? Sintonia (e in tal caso emulazione?) o opposizione. - In cosa si evidenziano questi due principi (linguaggio, grafica, etc.), e a cosa rispondono; come è vista la professionalità? Cosa è il “mainstream? - Trasformarsi in rivista ufficiale è visto come uno “svendersi” al mercato? Perché? - Copyright? È rispettato o è considerato un ostacolo alla libera diffusione delle idee? - Che atteggiamento hanno i fanzinari nei confronti di coloro che li accusano di elitismo e eccessiva specializzazione (in particolare riguardo al linguaggio adoperato)? La difficile decodifica di una fanzine è per i suoi autori un pregio o un limite? E perché? 194 Appendici - Come veniva distribuita la fanzine? Perché si appoggia a determinati canali (indipendenti; alternativi)? Convenienza pratica o/e similitudini etiche? - Quali erano i principali introiti? Come era finanziata?Perché l’abbonamento? Perché alcune scelgono un prezzo politico o la gratuità? Come hai fatto a procurarti il materiale? Che problemi hai avuto per la grafica, le tirature, le immagini etc.? - Come ti ponevi nei confronti della pubblicità? Facevi dell’autopromozione? Ti sentivi in concorrenza con altre fanzine? (recensioni di altre fanzine come auto-legittimazione e auto-promozione del settore) - Come vengono sfruttate le nuove tecnologie (internet)? Rifiuto (per motivi di integrità sottoculturale), sfruttamento parziale o totale? - A livello personale che cosa ti ha lasciato quell’esperienza? Intervista a Stefano I. Bianchi della fanzine/rivista Blow Up, realizzata il 24/11/2004 a Camucia (Ar) D: hai mai ricevuto delle critiche per via della pubblicità nella fanzine? R: certamente!…non capire che la marchetta, le riviste di musica, come tutte le riviste specializzate, in particolare parlo di musica, non la fai con le case discografiche, perché è una stupidaggine, perché tu la fai con i lettori se 195 la vuoi fare. Cioè: esce il disco nuovo dei Sonic Youth, esce il disco nuovo dei R.e.m. D: li spari in copertina… R: bravo! Li spari in copertina e li tratti bene perché comunque la copertina ti prende lettori, perché il fan è cieco, per definizione, sennò non sarebbe “fanatic”. Per cui se esce il disco nuovo dei Sonic Youth, io non ho nessun problema, faccio una recensione abbastanza accomodante, magari mi fa schifo il disco, però faccio una recensione abbastanza accomodante, in cui dico: beh... si ripetono, però minchia, si ripetono sempre a grandi livelli; tu che sei un fan sei contento come una pasqua e tutto va benissimo, mi compri il giornale. Se io ti pubblico la recensione dei Sy e te lo stronco, tu sei un fan, potresti anche non essere d’accordo ma se sei un briciolo intelligente capisci che almeno ho preso posizione, e lì nasce il problema, perché il fan non ti può più vedere, non può comprare un giornale, lui che è un fan dei R.e.m. D: la cosa però, secondo me va al di là del discorso sul fanatismo, perché nei “mondi” della musica ci sono gli appassionati di dark, gli appassionati d’indierock, etc., per cui ci sono quei nomi che sono delle divinità intoccabili… R: che non li puoi toccare D: se tu vai a scalfire la figura dei Sonic Youth naturalmente ti inimichi tutta una serie di ambienti, tutta una serie di persone che la pensano in un certo modo R: certo D: però paradossalmente succede che Blow Up involontariamente ha creato altri miti R: senza dubbio, ma credimi, questo è ovvio ed è del tutto naturale, ma credimi, non abbiamo veramente mai problemi a stroncarli; nel momento in 196 Appendici cui… ovviamente anche noi siamo fan, perché sennò.. è inevitabile, tu un occhio di riguardo nei confronti di qualcuno ce l’hai, è impossibile non averlo. Ma non si è mai avuto problemi a stroncare il disco nuovo di uno che magari prima abbiamo fatto disco dell’anno. E questo, comunque, io me lo posso permettere per un motivo: perché il pubblico del giornale è un po’ più adulto, proprio in questioni di età, rispetto ad altri giornali. è brutto da dire forse, però è un processo naturale, tu l’acquisisci con il passare degli anni, con la maturazione, con la maturità, è invitabile che tu tanto più diventi grande, tanto per brutalizzare il discorso, più acquisisci una capacità di distaccarti da un mito e cominciare a vederlo con occhi più limpidi; io ho amato a dismisura i R.e.m. sono stati la colonna sonora, non della mia adolescenza ma della mia giovinezza di sicuro, però porca puttana non posso fare a meno di vedere che fanno dei dischi brutti; io ho amato a dismisura i Rolling Stone[s], quelli veramente l’adolescenza, a metà anni settanta, nonostante non fosse il periodo migliore, però cazzo non puoi fare a meno di vedere che sono arrivati ad un certo punto e da lì in avanti non hanno fatto più niente. Il fan purtroppo questo non te lo perdona, se tu vai a toccargli i miti intoccabili il fan non te lo perdona. D: cos’è per te una fanzine? R: ma la fanzine per me… la fanzine è semplicemente una fan magazine, cioè semplicemente quello che dice la parola, cioè una… la fanzine è un giornaletto fatto in casa, il più delle volte fotocopiato, questo storicamente perché fra l’altro adesso non esistono praticamente più, esistono le webzine. Ma era un giornale fatto in casa, inizialmente, quando hanno iniziato a circolare negli anni 50, ma soprattutto negli anni 60, erano piccole riviste, inizialmente, negli anni 50 soprattutto, negli anni 60 iniziano ad avere una dimensione più da 197 “rivista”, erano dedicate dai fan club.., erano appunto una contrazione di fanatic magazine. D: cosa distingue la fanzine da una rivista di musica? R: ma in linea di massima, secondo me le fanzine non valgono nulla, non valgono granché, ma in linea di massima, poi ce ne sono sicuramente di.. io ti dico storicamente, perché in linea di massima c’è, io… però… aspetta... parlo delle fanzine autentiche, quelle dedicate ad un gruppo musicale, perché in linea di massima, storicamente, le fanzine erano dedicate.. la fanzine degli U2, perché voglio dire non c’è… possono valere moltissimo come forma di comunicazione fra piccole tribù che si ritrovano attorno ad un soggetto, però dal punto di vista critico il più delle volte non valgono, anzi direi proprio sinceramente, in quei casi lì non valgono mai nulla. D: perché? R: perché… appunto, per i motivi che dicevamo prima, perché la critica non ammette fanatismo, io credo, cioè la critica di qualsiasi forma d’arte, ammesso e non concesso assolutamente che la musica e questo tipo di musica sia una forma d’arte, non ammette il fanatismo, cioè tu non puoi essere limpido se tu sei del fanclub degli U2, non puoi essere limpido nel giudicarlo, perché è difficile, puoi anche esserlo, ma è difficile. D: ma riguardo le fanzine nella loro accezione più contemporanea… R: no ecco.. ce ne sono state.. no perché poi la fanzine ha cominciato, negli anni 60, 70, e poi via via, ha cominciato ad avere una dimensione diversa, fino a trasformarsi in qualcosa di molto diverso di quello che era l’accezione originaria, cioè sono diventate nel tempo delle riviste non ufficiali, la distinzione diciamo giuridica/legale che distingue una fanzine, tra l’altro ci son passato per cui te lo dico con cognizione di causa, una fanzine da una rivista è 198 Appendici semplicemente che la prima non è, non ha una registrazione… non è legale, non è registrata in tribunale e la seconda è registrata. Poi dopo il fatto che una vada in edicola e l’altra non vada in edicola è una cosa molto…molto opinabile, perché tante rivista vanno esclusivamente in libreria, altre vanno esclusivamente per abbonamento, per cui la tipologia… di sicuro la fanzine non va in edicola perché, voglio dire, non essendo legale, non c’è una partita Iva dietro non c’è una fatturazione non c’è nulla! Ma la distinzione è diventata quella, molto spesso negli anni novanta, soprattutto, secondo me, le fanzine sono diventate molto meglio fatte rispetto alle riviste, però il discorso è veramente lungo e complesso del perché e del percome, perché da un lato le riviste hanno cominciato ad essere fatte meno bene e le fanzine ad essere fatte meglio. D: perché meglio? Cos’è questo meglio? R: meglio perché… per esempio negli anni novanta Itsef era fatta molto bene, Succo Acido era fatta molto bene.. D: in che senso? A livello di contenuti..a livello di forma..? R: a livello di contenuti, no, a livello di forma ci andrei cauto, già le riviste non sono eccezionali. Le fanzine questo lo soffrono di più e cioè dal punto di vista della scrittura, proprio materiale, lì qualche dubbio c’è, è inevitabile perché sono figlie di uno spontaneismo che non ha filtri oltre se stesso, la rivista ha un filtro, che è il mercato, cioè: se tu scrivi con i piedi, la gente non ti compra, se non ti compra, chiudi. La fanzine, se è scritta con i piedi, bene o male sopravvive; ma questo è un discorso che potremmo applicare alla musica direttamente, oggi come oggi tu fai un disco con mezzo milione ne fai tre/quattrocento copie su cd, può far schifo, nel 90% dei casi fa schifo, però non ci sono problemi, perché hai impegnato pochissimi soldi… fidanzata, 199 amica, sorella, parente, fratello etc. ne vendi cinquanta copie e hai recuperato i soldi, per cui…ecco…non so se ho risposto però… D: la domanda era: a livello di contenuto tu hai detto che sono meglio… R: sono state meglio, guarda io parlerei sempre al passato perché attualmente io di fanzine sinceramente non ne conosco. D: ormai stanno scomparendo del tutto R: le webzine nel 99% dei casi secondo me sono fatte malissimo, questa è un’opinione mia, perché non hanno neanche il briciolo di filtro che avevano le fanzine cartacee, che era bene o male la piccola spesa della carta, cioè due soldi li devi recuperare, il mercato è una gran cosa; cioè è un mostro ma è una cosa straordinaria, distingue bene, purtroppo la webzine non ha nessun tipo di filtro, per cui trovi delle cazzate astrali in rete, proprio delle imprecisioni, non del tipo il disco nuovo degli U2 è bello o è brutto, che questa è un’opinione per cui rientra nel grande universo delle opinioni, proprio imprecisioni: cioè è uscito il nuovo disco degli U2, è il quarto disco che fanno, puttanate di questo tipo qua. Molte erano fatte meglio perché riuscivano a scavare, a cercare, a capire, a intuire nomi particolarmente interessanti, particolarmente buoni, molto prima delle riviste, sostanzialmente questo. D: nell’approccio critico nei confronti di un determinato artista non noti una differenza? R: non ci sono grandissime differenze, nel senso è difficile…, ma anche perché poi in buona parte quelli che tu vedi nelle riviste, le firme che vedi nelle riviste, hanno un passato da fanzinari, poi e ovvio… perché la fanzine ha sempre fornito carne alle riviste, perché l’ambizione del fanzinaro è sempre stata, c’è poco da fare, è quasi inevitabile… 200 Appendici D: molti ti direbbero che non è così R: molti direbbero che non è così, però, ti dico sinceramente, per esperienza: è così! Ma è anche giusto, è anche logico.. D: è una forma di gavetta obbligatoria R: è una forma di gavetta, e il fanzinaro ha sempre aspirato a scrivere in una rivista. Perché? Perché una rivista va in mano a tanta gente, perché è stampata meglio, perché ha una diffusione più grande, perché la trovi in edicola per cui tu hai la sensazione: “Oh minchia! Sono arrivato!”, cioè voglio dire…, fa parte de gioco, è il gioco della vita, l’ambizione è sempre quella. Possono esistere, esistono sicuramente casi opposti, ma qui ovviamente si deve parlar di media. Dal punto di vista dell’approccio critico, io ti posso dire che, al di là del caso mio personale di Blow Up, che è nata da persone tutte abbastanza adulte per cui distantissime dall’universo della fanzine, io personalmente quando ho iniziato a fare Blow Up non avevo mai preso in mano una fanzine, onestamente non mi passava manco per l’anticamera del cervello comprarne. D: scusa, ma allora da dove hai tratto l’ispirazione di creare una fanzine? R: computer… dal grandissimo bisogno che avevo di scrivere. D: ma l’idea proprio di metterti lì e fare una fanzine com’è nata? R: nooo, è nata in modo estremamente semplice: io avevo 35 anni, lavoravo in biblioteca e mi comprai il computer nel 1995, la mia ambizione non è mai stata quella di scrivere di musica, sinceramente mai, anzi i miei interessi erano anche la musica ma erano sicuramente molto, molti.. D: era uno dei tanti R: era uno di tanti interessi e non era, anzi sicuramente, non era neanche il principale. Il mio interessa era la lettura, era lo studio… che ti posso dire… la 201 politica mi ha sempre interessato moltissimo, volendo anche la sociologia, cioè quel campo strano a metà fra sociologia, politica… erano questi gli interessi. Ma, voglio dire, anche dovuti, se non altro, all’età, perché io quando ho iniziato avevo trentacinque anni. Molto semplicemente il computer era un mezzo… anche la letteratura, perché mi piaceva scrivere come tutti gli adolescenti, tardo adolescenti maturati tardi, ho un romanzo mezzo finito, ho una serie di racconti, le poesiole che hanno tutti, la mia ambizione era scrivere. Per cui io mi son comprato un computer, all’interno de quale, l’ho comprato usato, c’era un programma di impaginazione, poi sono un gran consumatore di riviste da sempre, per cui ho detto: perché non provare a farla? C’era un amico mio, molto più giovane di me, che è Fabio Polvani, che vive a Camucia, e veniva a studiare in biblioteca, e gli dissi: “Fabio, ma visto e considerato che noi si c’ha questa passione, perché non si prova a scrivere qualcosa?” C’era Rumore, gli annunci di rumore, all’epoca c’era l’ultima pagina dove c’era gli annunci, dove c’era chi vendeva questo, chi vendeva quello, in gran parte erano fanzine: “E’ frase contiene un numero dispari di virgolette. uscito il nuovo numero di pincopallino! Tremila lire, per richiederlo spedire…” Ci si prova! Molto semplicemente ci provammo. D: quindi tu praticamente hai emulato altre fanzine senza neanche mai vederle R: sì, assolutamente mai, però aspetta… vedi, il punto è questo: in realtà l’aspirazione era quella di fare una rivista, proprio per questo: non avendo mai visto un a fanzine non potevo imitare una cosa che non avevo mai visto, tant’è vero che una delle primissime, che poi ci siamo portati dietro e io quasi ne porto vanto, accuse, era quella di essere una cosa strana che non era una fanzine ma non era neanche una rivista. 202 Appendici D: era troppo professionale per essere una fanzine e troppo poco per una rivista. R: ma soprattutto anche per il tipo di musica che si trattava, perché poi questo è stato un ritornello che è andato avanti per lungo tempo, perché, per dirti: nel primissimo numero c’era un articolo sugli Smashing Pumpkins, che un fanzinaro non avrebbe mai toccato neanche con la canna da pesca, perché erano il gruppo emerso, e contemporaneamente ce n’era un altro sui Thinking Fellers Union 282, che, voglio dire… non erano distribuiti in Italia. Lo stesso identico meccanismo che oggi regola in qualche maniera Blow Up, per cui c’erano cose estremamente emerse, abbiam pubblicato pezzi su Madonna, per esempio, e subito dietro pezzi su Merzbow, Tu spiazzi chi ti legge. Il fanzinaro dice: ma questo che minchia è? Cos’è questa cosa qua? Perché non è dei nostri, però è dei nostri! È un fanzinaro anche lui… perché noi trattavamo cose assolutamente ipersommerse, non distribuite tra l’altro, perché erano dischi che ci compravamo, gli altri che collaboravano con me nei primi numeri, alcuni sono rimasti, erano quasi tutti grandi, avevano soldi in tasca e compravamo dischi all’estero, non distribuiti in Italia, per cui il nostro dico dell’anno del ’96 fu i Gastr Del Sol. D: ma perché lo facevate? R: per passione, passione allo stato puro! D: ma cosa ti spingeva a metterti davanti alla scrivania e scrivere un pezzo sui Gastr Del Sol? Un gruppo che non si cagava nessuno? R: sinceramente perché a me piace scrivere. D: per te era proprio un bisogno fisiologico di far conoscere i tuoi pensieri? R: assolutamente! 203 D: non c’era la voglia di affrontare degli argomenti che vedevi ingiustamente ignorati da altri… R: nella maniera più assoluta! Non me ne fregava pressoché niente! Non me ne è mai fregato assolutamente nulla. D: e non volevi diventare neanche un giornalista professionista? R: non ci pensavo, ovviamente la cosa si è sviluppata molto velocemente, perché col terzo numero… fecero un articolo su Rumore sulle fanzine, piazzando una nostra copertina un po’ particolare, un po’ strana, a tutta pagina, dicendo: “Questa è la fanzine migliore che c’è in Italia”, porca puttana! Dietro quello cominciarono ad arrivarmi richieste, richieste anche di inserzioni pubblicitarie! Perché il giornale… la fanzine io la vendevo attraverso i negozi di dischi. D: come la finanziavi? R: eh... male! I primi tempi si finanziava di tasca, tanto per esser chiari. E poi voglio dire, se… la fanzine in realtà è come i cd che fanno oggi, i cd-r che fanno oggi, tante me ne chiedi tante te ne fotocopio, se io te la vendo a tremila lire, non aveva tante pagine, si faceva pari, poi lavoravo... è lo stesso meccanismo di chi fa dischi: due soldi da buttare, proprio letteralmente da bruciare, ce li avevo, per cui ci provavo. Il problema nacque nel momento in cui cominciavo ad avere richieste di inserzioni pubblicitarie a pagamento. Ora… all’inizio io il discorso lo cominciai, diciamo così, a far girare in nero, non era registrata, ma la cosa diventava un po’ imbarazzante, nel senso che io stavo facendo un lavoro nero! Oltretutto non solo da parte mia, ma anche da chi faceva le inserzioni pubblicitarie, è chiaro che voleva una fattura. A quel punto si pose questo problema, cioè: qui bisogna diventare un giornale adulto, potrei annoiarti per ore raccontandoti tutte le vicissitudini… 204 Appendici D: sì, racconta. R: registrai il giornale in tribunale a nome di mia moglie… D: perché non a nome tuo? R: perché non potevo, ero un dipendente pubblico, non potevo assolutamente, invece mia moglie no, per cui lei poteva farlo. Però era ambigua anche in quella maniera la situazione, perché comunque la facevo io, nel dopocena, con nottate insonni, ecco… però vedevo una luce infondo a un tunnel, cioè io cominciai a capire: porca miseria questo può diventare… non un lavoro, però può diventare un mezzo per potere scrivere. Io avevo veramente un bisogno fisico di potere scrivere, materiale. Se io, quando… all’inizio usciva ogni due tre mesi, ma io continuavo a scrivere altro, è veramente una sorta di… di… di… non lo so, dovevo farlo! E lì feci per un anno una distribuzione solo per abbonamento, alla fine di questa distribuzione per abbonamento, io pensai… D: perché sei passato all’abbonamento? R: perché non ce la facevo a gestirla, perché io lavoravo tutto il giorno e per me era comunque un passatempo e non ce la facevo farla, letteralmente; perché dopo tutto l’orario di lavoro in biblioteca io mi rinchiudevo nella mia stanza… D: sì, ma perché proprio l’abbonamento? R: perché l’abbonamento mi permetteva di evitare tutti i disguidi, e non ti sto a dire che tipo di disguidi, soprattutto economici, che mi venivano dal fatto che fino a quel momento l’avevo venduta attraverso i negozi di dischi. I negozi di dischi non sempre ti pagano! Anzi ti pagano di rado, poi c’era il problema dei resi, per cui… voglio dire, era una follia! Io avevo una cinquantina di negozi di dischi da gestire per cui dovevo memorizzare, 205 conteggiare, “quello ne ha vendute tre”, poi chi te l’ha detto che ne ha vendute tre? Potrebbe averne vendute quattro, cinque, dieci. Gliene ho mandate dieci, dice che ne ha vendute tre, mi faccio rimandare i sette? Non ne esco vivo! Nel senso che poi questo mi fa pagare a me il pacco, diventava una follia. Con questo io pulivo tutto questo e pensavo, forse con un po’ di masochismo, la speranza era diversa ovviamente, che con l’abbonamento chi vuoi che ti si abboni a una rivista che non esiste, che nessuno vede? Invece paradossalmente, l’effetto fu il contrario! E qui sarebbe interessante, forse, sociologicamente, perché era l’effetto carbonaro che si sparse a macchia d’olio. Io ne vendevo, fai conto, due trecento copie come fanzine e gli abbonamenti arrivarono a esser mille! Paradosso incredibile! Perché voglio dire: tu non la vedi, mi dai soldi, per pochi che siano, sulla fiducia, perché o potrei sparire domani e non ti mando più nulla, questo è valido per qualsiasi rivista D: per tutte le fanzine! R: per tutte anche le riviste, perché una rivista che muore, tu hai fatto l’abbonamento, che gli fai causa per avere i soldi indietro? E difficile, però nel caso delle fanzine molto di più! Alla fine di questo anno, diciamo di prova, a quel punto si ripropose il problema, cioè mille copie… con mille copie se vai in edicola, ovviamente m’ero preso tutte le informazioni, quanto paghi, quanto prendi, il disastro per cercare il distributore per l’edicola perché non è che ti accettano, alla fine dissi: beh il distributore l’avevo trovato, passai un periodo in cui ci furono degli abbocchi con alcuni che si proposero o che io cercai per comprare la testata, perché di Blow Up si cominciò a parlare molto nel nostro piccolo ambiente. D: però già all’epoca non era più una fanzine. R: no, non era più una fanzine 206 Appendici D: ma la molla che ti ha fatto trasformare la fanzine in rivista… R: tu intendi l’uscita in edicola ? D: no, per me già il numero zero non era più una fanzine, era già una rivista, anche se continuava a mantenere alcune caratteristiche della fanzine R: sì, quello era già registrato. Ma non c’è nulla di particolarmente strano, la registrazione in tribunale, una volta che tu c’hai un proprietario è una stupidaggine, la partita Iva costava centomila lire, era una stupidaggine, capito? D: ma perché quest’ufficializzazione? R: perché registrare il nome in tribunale dava una sorta di legalità; è come convivere con una ragazza, o con un ragazzo, e sposarsi, cioè dai una sorta di legalità. D: ma non è un compromesso per te? R: è una sorta di legalità… poi significava prendere una partita Iva per gestire le pubblicità… D: e non l’hai visto come compromesso questo? R: no perché, voglio dire: tu vivi come compromesso il fatto di pagare un biglietto per salire su un treno? D: no R: è perché non è un compromesso? D: perché mi viene offerto un servizio R: ovvio! E io ti dico la stessa identica cosa! Io se registro il giornale in tribunale mi si offre un servizio D: ma quando ti offrivano dei soldi per le inserzioni pubblicitarie, tu li volevi accettare? 207 R: certo! Perché io volevo fare il giornale D: e non pensi che accettare questi soldi avrebbe, in un certo senso, svilito la tua etica? R: nella maniera più assoluta, anzi! In questo, vorrei proprio sottolinearlo molte volte, scrivilo in grassetto sottolineato, anzi è esattamente vero il contrario! Cioè… noi viviamo… nel momento in cui tu ti esponi, qualsiasi cosa tu faccia, che tu faccia un quadro, tu vivi, esisti, sei esistente, ufficialmente esistente, esattamente nel momento, ed esclusivamente nel momento in cui ti riconoscono gli altri. Più persone ti riconoscono e più esisti! Detto brutalmente… questo non significa che se ti conosce tutto il mondo e sei George W. Bush sei particolarmente intelligente, potrebbe essere il contrario, in questo caso è esattamente il contrario, però di sicuro… nel nostro piccolo mondo… ma nel nostro grande mondo, l’ambizione di SA non è quella di farsi conoscere da 1500 persone, l’ambizione sarebbe quella di farsi conoscere da un milione di persone. Se quelli che lavorano dentro Succo Acido ti dicono il contrario sono dei falsi, come Giuda. D: non è vero… R: no! Fidati è vero, perché è un meccanismo naturale, non saresti umano se non fosse così, questo è il meccanismo che regola i comportamenti umani D: questa regola va bene, funziona con tutta una serie di pubblicazioni, ma non con molte fanzine: la fanzine si auto-isola, molti fanzinari sono felici di essere letti da dieci persone, e solo dieci! R: questo è vero, allora il discorso è ancora più complesso e psicologicamente complesso. Quello che dici è vero, e sottoscrivo, chiaramente, dipende però da che età tu hai, da quali sono le tue aspirazioni nella vita. Cioè: 208 Appendici a 18 anni la tua più grande aspirazione, da fanzinaro, è quella di crearti, è lo stesso meccanismo del rock and roll, tu hai bisogno di una tribù, tu hai bisogno di una tribù di appartenenza. Guarda ti potrei far vedere delle lettere bellissime che io ho tenuto, perché nell’epoca della fanzine mi arrivavano veramente un sacco di lettere, non c’era internet per cui…, mi arrivavan lettere e le ho tenute tutte. Ce né una che mi ha colpito particolarmente, poteva essere mio figlio, era un ragazzino di 16 anni. D: dimmi dimmi R: era bellissima, perché questo tipo me la comprava tutti i mesi e a un certo punto mi scrisse… ma te lo giuro, mi colpì in modo particolare ed entrai ancor di più nel mondo delle fanzine, capii ancor di più la psicologia di questi ragazzi. Mi scrisse una cosa di questo tipo: “Caro Stefano, ti mando le mie tremila lire, però mi dispiace, questo è l’ultimo numero che compro” cazzo dissi, questo non è più contento del giornale, “ti racconto cosa è successo…” poi mi raccontò tutte le sue piccole vicissitudini di vita, e praticamente mi scrisse letteralmente “da oggi io sono un Mod!”, cazzo dissi! Era un ragazzino di Genova, che mi diceva che era entrato in un gruppo… aveva trovato un gruppo di appartenenza, lo disse come te lo sto dicendo io, da quel momento era un Mod, ascoltava musica Mod, che ovviamente non sapeva neanche lontanamente cosa potesse essere la musica mod, “per cui da oggi io ascolto solo ska, ska-punk , e i grandissimi Who” che presumo non avesse sentito neanche una nota, “ e per cui ti saluto, tutte le cose più belle del mondo, etc. etc.” Cazzo dissi! Ecco come funziona! Non ci voleva molto per capirlo, ma nel momento in cui lo tocchi con mano… perché tu a 18 anni hai bisogno di una tribù di appartenenza. Per cui se tu fai una fanzine, primo: sei mantenuto dai genitori, per cui non hai sti grandi problemi, avere una tribù, piccola, che si 209 distingue fortemente da tutti gli altri; perché, voglio dire, tu sei un Mod! Non sei un bischero come me che va a fare un lavoro da ferroviere, no, sei un Mod cazzo! Che significa? Però sono un Mod, mi vesto in un certo modo, ascolto una certa musica e sto con i miei amici. È il gruppo no? È la tribù…è la cosa più elementare dell’adolescenza: hai trovato un ambiente D: e delle sicurezze R: da questo punto di vista capisco che tante fanzine, ed è vero, che tante fanzine non aspirano neanche lontanamente a far diventare questo un lavoro. Guarda che io non ero un fanzinaro, e quelli che erano con me neanche. D: sì infatti questo è quello che cero di capire: è contraddittorio, perché per alcuni le fanzine devono avere certe caratteristiche, devono essere fatte da qualcuno con determinati e forti ideali dietro, ma mi sono anche ritrovato in una realtà che spesso confuta completamente questa visione delle cose. R: ma tu fai caso anche al fanzinaro che ti dice che non vuole la fama, anche loro hanno un interesse. Tutto quello che gli esseri umani fanno nella loro vita corrisponde a un interesse, anche i Fugazi che fanno i concerti a prezzo politico hanno una loro logica! Se facessero pagare i loro cd come tutti gli altri non si distinguerebbero più! D: per te quindi il loro elitismo è una forma di distinzione? R: assolutamente! Tant’è vero che molte fanzine spesso polemizzano con le famose riviste ufficiali. D: tu ne hai ricevute? R: io nessuna…io magari all’inizio ne facevo con le altre riviste. D: perché? Cosa c’era che trovavi di brutto? R: trovavo di brutto quello che non facevo io nel giornale, cioè trovavo che né so… poi però col tempo ho capito che questo è infantilismo, nonostante 210 Appendici i 35 anni, è l’invidia nei confronti della rivista, tu vorresti esser come loro etc. Cosa trovavo? Trovavo essenzialmente il motivo per cui iniziai a scrivere, il bisogno di… ma non era un bisogno, la voglia di raccontare tante musiche che nelle riviste ufficiali non c’erano, non le trovavo! Cioè: la Drag City, grande etichetta, i Gastr Del Sol, giustamente oggi non se li incula più nessuno, ma all’epoca hanno avuto un cinque anni che sono diventati…Jim O’Rourke, David Grubbs, e compagnia bella… non era distribuita in Italia. Non la trovavi! Noi compravamo dischi all’estero, c’era molta corrispondenza con le riviste straniere, con le riviste americane, inglesi, Wire, Magnet, etc. noi parlavamo delle stesse cose, molto spesso, voglio dire con molta poca modestia, anche molto prima di loro. D: sì, ma le polemiche con le altre riviste in cosa consistevano? R: ma non erano poi tante, consistevano in questo: la grande rivista mi parla bene dei… Minkions, e non vede questi che son più bravi! D: vivevi agonisticamente il rapporto con altre riviste? R: col tempo sì, però è una cosa che acquisisci col tempo. Finché tu fai un giornale che non è mensile, che non è sui tempi, tu non concorri, voglio dire: se tu corri i cento metri piani non puoi concorrere con me che faccio la maratona. Quando facciamo tutt’e due la maratona possiamo concorrere. Quando tu fai i cento metri piani, tu puoi dire “ah quello prende gli anabolizzanti” è venuto bene questo, “ah quello prende gli steroidi, io invece sono puro, sono pulito” D: questa “pulizia” in cosa si manifestava nella fanzine? Perché eravate meglio? R: perché parlavamo di musica più buona! Più bella, più bella per noi. Ma qui si potrebbe discutere a vita. 211 D: non è perché vi ponevate al di fuori del mercato, quindi… R: no, questo non mi ha mai attraversato, anzi guarda, io cercavo proprio la polemica, l’ho sempre cercata insistentemente con chi… ecco io non mi sono mai sentito underground, se tu guardi nella mia discoteca, uno dei miei amori, ora molto molto molto meno, è Bruce Springsteen! Assieme a Bruce Springsteen io ho amato alla follia il Pop Group, che sono quanto di più distante da tutti i punti di vista. Io li posso ascoltare, li ho sempre ascoltati, e non mi sono mai posto il problema. Nell’universo del fanzinaro il Pop Group è una divinità, Springsteen è una merda assoluta. D: come la realizzavate la fanzine? I primi tempi come lavoravate? Proprio in modo pratico R: impaginavo sul computer e portavo in tipografia, si facevano le pellicole… D: tutto da solo? R: sì, sì, tutto da solo D: come li sceglievi i collaboratori? R: all’inizio fu semplicemente una questione d’amicizia D: eri già all’interno di un certo ambiente..? R: no D: oppure è stata la fanzine… R: assolutamente sì D: in che modo? R: contatti che tu prendi. Guarda, basta che ti guardi intorno, io ero totalmente e irrimediabilmente solo. Anche questo è il desiderio, il bisogno, di scrivere. Io vivevo tra una festa dell’unità e una casa del popolo… l’hai visto il primo di Benigni? 212 Appendici D: Berlinguer ti voglio bene? R: ecco! Io ero uno di quelli, esattamente uno di quelli. Se a te ti faceva ridere tu vai alla casa del popolo di questo paesino qui, è in quella maniera. Se ti fa venire voglia di piangere… è quello. Cioè, era quello, capito? Questo era l’universo, per cui la sera uscivo ed andavo a vedere Lino Banfi, mi sono pappato tutti i polizziotteschi che vanno di moda oggi, tutti, dal primo all’ultimo. Poi tornavo a casa mia e leggevo Frigidaire, fumetti, ahimè Cèline, che non andava troppo di moda, leggevo Thomas Bernhard che mi piaceva da morire, era un universo completamente mio, ma come è, credo, comune a un milione di altri ragazzi. Non avevo uno straccio di amico. L’unico amico che avevo erano le riviste, i libri, i dischi, parlavo con i dischi… materialmente, fisicamente, parlavo con i dischi, perché sentire Springsteen… Springsteen parlava di me, parlava del ragazzino di buona famiglia, con i sani principi morali, che viveva completamente isolato, che aveva un gran desiderio… D: in che modo la fanzine ti ha fatto abbattere queste barriere, se così possiamo dire? R: ma non le ho mai abbattute. Molto semplicemente la fanzine mi ha fatto entrare in contatto con una marea di altre persone, molto spesso isolate come me, perché è questo il punto. Il fanzinaro, voglio dire… il ragazzo che sta dentro Milano o dentro Roma e che c’ha il suo gruppo di amici è difficile che faccia una fanzine. La fanzine il più delle volte, e io questo l’ho scoperto, è fatta da ragazzi soli. Soli come me, capito? Soli o che hanno piccoli gruppi che comunque sono soli all’interno di una comunità più grande. 213 D: adesso qualche amico ce l’hai? R: pochi D: ma grazie a Blow Up? R: ho tante conoscenze, ma dipende da quello che si intende per amico… voglio dire, io sono sposato. Non ci ho questo grande bisogno che tu hai nell’adolescenza… me ne sbatto anche molto i ciglioni, cioè non ci vado… esco con un mio amico, ci si vede una volta la settimana, una volta ogni due settimane, ma non ci ho tutta questa grande esigenza. D: quando realizzavi Blow Up non sentivi un senso d’appartenenza al mondo delle fanzine? R: nella maniera più assoluta. Non le avevo mai lette. Cominciarono gli scambi, cioè: quello che faceva la fanzine di Genova, uno si chiamava Pertone…ma che ne so, o i gruppi musicali… loro facevano la fanzine e mi mandavano la sua, e io, ti dico sinceramente, mi rompeva anche molto i coglioni mandare la mia! Perché non capivo questo giochino, non mi interessava proprio leggere la fanzine degli altri, non me ne fregava più di tanto. D: ma tu nel realizzare Blow Up non ti ponevi i famigerati principi d’integrità e indipendenza? R: nella maniera più assoluta. Me ne sbatto i coglioni perché non credo nell’indipendenza, nessuno di noi è indipendente, da nulla, neanche da sé, non ci ho mai creduto. Mi sembrano delle grandissime baggianate e spesso letali dal punto di vista culturale. Ma poi che significa essere indipendenti? Indipendenti da cosa? Ma soprattutto qual è lo scopo del tuo essere indipendente? D: è una forma di autodifesa… un modo per riconoscersi… solitamente c’è questa grande dicotomia Undeground/Mainstream… 214 Appendici R: ma che significa? D: dimmelo tu R: underground dovrebbe essere una cosa, lo dice la parola stessa, sommersa, mainstream dovrebbe essere quello che tutti consumano D: quando poco fa facevi riferimento alla critica verso riviste che non parlavano di certi argomenti… R: però quello non era mainstream, Rumore non era mainstream… un giornale che ti mette in copertina i Le Tigre non è mainstream. D: ma allora la tua polemica in cosa consisteva? R: era musicale, perché la musica che trattavano loro non mi piaceva più. D: ma allora cos’è per te il mainstream? R: è quello che ascoltano tutti, ma non è una connotazione negativa, è questo l’importante. Il fanzinaro gli da una connotazione negativa, il mainstream è male, l’underground è bene. Io questa distinzione non sono riuscito a farla mai. Io non faccio questa distinzione perché non l’ho vissuta. La distinzione fra mainstream e underground è una distinzione tipicamente tribale, è la tribù che ti fa questo, è il gruppo che ti fa fare questa distinzione. Se tu vivi nel centro di una grande città e hai un gruppo di appartenenza col quale esci, ascolti un certo tipo musica, ti riconosci, io non l’ho mai vissuto. Mi è scivolato addosso, non so manco cosa significa punk! Ma chi l’ha mai visto? D: però mi hai detto che credi in una distinzione tra underground e mainstream R: no “credo”, è una distinzione oggettiva D: mi spieghi cosa è mainstream? R: mainstream è la musica che ascolta la massa della popolazione. 215 D: è un discorso quantitativo? R: assolutamente! D: mi fai un nome di rivista di musica mainstream? R: mah..in questo momento mainstream dal punto di vista musicale non ce ne sono tante. D: Tutto, Musica di Repubblica? R: sì, Tutto… Musica di Repubblica… ci sono diverse gradazioni di mainstream come ci sono diverse gradazioni di musiche ascoltate da tutti. La gran parte delle musiche più belle del novecento sono musiche che sono andate in pasto alla marea delle persone. I Beatles han fatto dei dischi straordinari! Hanno fatto dei dischi assolutamente unici, ma assolutamente! Frank Zappa ha venduto a diverse centinaia di migliaia di persone. La distinzione fondamentale… questo è il concetto di fondo che separa tutto, non è l’essere indipendenti, l’essere underground, è, molto più brutalmente, cosa cazzo fai. Perché se tu sei un gruppo iperindipendente o un fanzinaro iperindipendente, e mi fai una cacata di disco e mi fai una cacata di giornale, io me ne sbatto! In un modo che non ne hai una vaga idea, non ti voglio neanche vedere. Cioè… non è lì la distinzione. Fino a che non sono esplose, veramente esplose, le etichette indipendenti, e anche le fanzine, alla fine degli anni settanta, col punk e la new wave… c‘erano anche prima, sia le fanzine che le etichette indipendenti, ma, voglio dire, spesso… La United Artist, americana, era del Texas, faceva i dischi dei 13th floor elevators, che erano un gruppo underground etc. etc. etc. ma andavano oltre il Texas pochissimo. Nel momento in cui sono esplose, non è che fino a quel momento lì i dischi, che erano praticamente tutti su major, fossero delle gran porcate, sono usciti dei capolavori assoluti. Cpt. Beefheart usciva su major ragazzi! 216 Appendici D: anche gli Henry Cow… R: a me m’ha attirato una marea di critiche averlo scritto questo… mica vorremmo pensare che la musica è diventata bella nel ’78? D: dunque per te non è stato uno “svendersi” al mercato il… R: nella maniera più assoluta! È stato un bellissimo e positivissimo vendersi al mercato! D: vi siete mai posti il problema del copyright? R: vai! Parliamo di copyright perché devo scrivere un articolo sul copyright perché m’è venuto nei coglioni tutte queste cose sul copyright. D: proteggevate ciò che scrivevate? R: io lo proteggo, e forsennatamente! D: non pensi sia un limite alla libera circolazione delle idee? R: certo! Ed è giusto che sia un limite! Ma ci mancherebbe… ma la libera circolazione delle idee, se sono idee mie, non è giusto che le paghi? D: ma non ti sembra un controsenso il fatto che nasca un giornale per la divulgazione dell’informazione, ma poi questa stessa informazione venga controllata? R: no, no, no, nasce un giornale per vendere! Ma stiamo scherzando? D: ma se dici così vuol dire che tu hai fatto Blow Up per guadagnarci! R: anche! Ma non c’è alcun dubbio! D: ma se prima mi hai detto che lo facevi per parlare di musiche che secondo te… R: ma secondo te Michelangelo la Cappella Sistina perché l’ha fatta? Ma per guadagnarsi da vivere! D: ma anche perché era un’artista! 217 R: ah certamente! Allora io sono u grande scrittore critico, lo faccio perché sono un grande scrittore critico, ma permetti che tu paghi quello che viene fuori dalla mia testa. Se tu chiami un grande architetto per farti fare una casa, e lui, che è un grande artista, ti studia una bella casa etc. tu lo paghi o sbaglio? Eppure quelle sono idee! Questa cosa del copyright… per quale motivo dovrebbe essere riservata, non so alla musica, alla scrittura, e non, per esempio per un lavoro? Poniamo che tu fai l’insegnante, perché ti fai pagare quando insegni? Perché non fai lezioni gratis? D: sì, ma culturalmente c’è una forte distinzione tra arte e lavoro! R: questa è l’orribile, orripilante, questa sarebbe bella se fosse un’intervista…veramente se mi intervistasse il corriere della sera riuscirei a dirlo… è un orripilante deformazione che nasce in un periodo molto esatto della storia dell’umanità che si chiama Romanticismo… D: ma per te realizzare Blow Up era un lavoro o una passione? R: ascolta. Secondo te Picasso quando faceva la... per l’amor di dio non mi voglio paragonare a Picasso, quando faceva la Guernica, secondo te, perché la faceva? Rispondi D: la faceva perché sentiva il bisogno di farla R: e io faccio Blow Up perché sento il bisogno impellente di farlo D: ma nel momento in cui questo bisogno comporta dei guadagni e diventa, di fatto, un lavoro, per te non perde quella sua aura magica che hanno e passioni? R: no, nella maniera più assoluta. D: perché? R: perché non vedo perché dovrebbe perderla, perde questa aura se tu questa aura gliela dai! Ma io questa aura non gliela do! È questa la differenza 218 Appendici grossa. Nel momento in cu Blow Up dovesse smettere di vendere, non vende più, non funziona più, la gente non lo compra più, si vede che le cazzate che scriviamo sono cazzatee vengono riconosciute come tali, pace! Io cerco un altro lavoro per vivere e magari continuo anche, a tempo perso continua a scrivere, non ci guadagno nulla fino a che non smette di divertirmi. D: siete mai stati accusati di “elitismo”? R: sì, e questo mi da molta noia. Perché non è vero! Perché non lo sono assolutamente. L’accusa di elitismo nasce nel momento in cui tu che me la fai leggi il giornale e dici: “ ma questo Felix Kubin… chi cazzo è? Questi elitisti…” semplicemente perché tu non lo conosci! Ma questo che significa? Se parlo di cose che non conoscono… se io faccio un trattato di fisica nucleare, tu non ci capisci un cazzo perché non l’hai studiata, sono un elitista? Non credo proprio! D: al di là dei contenuti però…Blow Up potrebbe risultare di difficile decodifica R: se tu leggi un saggio sulla pittura rinascimentale nella Francia meridionale tra il 1473 e il 1474 non è elitista? Certo, perché si rivolge a un pubblico di esperti. Ma questo non è elitismo. Permetti? Non parlo di te… è ignoranza tua! D: ma per te questo è un valore? R: no! Tant’è vero che io metto in copertina Battiato, che è quanto di più popolare ci sia oggi in Italia e parlo anche della pittura rinascimentale… perché per me è semplicemente musica. D: un attimo. Per farti un esempio: a me piacciono gli articoli di Busti, che sicuramente non scrive nel modo più semplice e diretto perché fa dei riferimenti a gruppi, fa dei riferimenti storici, fa dei riferimenti a delle nozioni, 219 che un “non-addeto-ai-lavori” decodifica con più difficoltà. Per me questa cosa, lo dico da lettore che comunque capisce Busti, è un qualità. Per altri potrebbe essere un limite. Per te cos’è? R: per me è semplicemente parlar… ora ovviamente, essendo nel campo della comunicazione uno dovrebbe fare l’impossibile per cercare di comunicare bene quello che deve dire. Io quando faccio dei paragoni con un gruppo, cerco disperatamente, non ci riesco sempre, parlo per me, di paragonare il suono di un gruppo sconosciuto al nome più conosciuto possibile, non a un altro nome altrettanto sconosciuto. Ma lo faccio proprio con spirito di servizio. È del tutto ovvio comunque che si usi un linguaggio specialistico, ma il problema di fondo è questa disgrazia ahimè che c’è nel considerare questa musica…paradossalmente non una forma d’arte. Cioè, nel momento in cui io gli do una valenza d’arte, rutta o bella che sia, io utilizzo una terminologia specialistica. Se tu non capisci il problema è tuo, non è mio. D: quindi mi stai dicendo che tu se scrivi qualcosa cerchi di renderne la decodifica il meno difficile possibile, però mi stai anche dicendo che non puoi esimerti dall’utilizzare un certo linguaggio complesso e quindi di difficile decodifica. Però non capisco per cosa tendi… sei per la lettura semplice o per quella complessa? R: ma bisogna vedere che cosa si intende per semplice e complessa, tutto è relativo. D: ma non credi che utilizzare un linguaggio di un certo tipo sia una forma di auto-ghettiazione? R: no! No! No e no! È un profondo rispetto, anzi, viceversa, nei confronti della materia che tu tratti! Per quale motivo questo dubbi a te non 220 Appendici viene nel momento in cui leggi un trattato di teoria politica o un trattato filosofia? D: no, a me viene, ma mi do la stessa risposta che mi stai dando… però me lo voglio sentire dire da te… R: io avendo rispetto per la musica, io ne devo parlare in quei termini. È chiaro che se non ti ci rapporti…studia! È rispetto per l’argomento! D: hai detto che i primi numeri di Blow Up, quando era una fanzine, le portavi nei negozi… R: no, li spedivo. D: poi sei passato all’abbonamento, con il numero zero, che era già una rivista. A chi l’hai mandato il numero zero? R: a chi si abbonava! Nell’ultimo numero della fanzine misimo l’annuncio che ci trasformavamo in rivista e che sarebbe stata per abbonamento, il numero zero poi fu gratuito, lo mandammo quelli che ce lo chiesero. D: siete stati accusati di esservi venduti? R: certo! Di esserci venduti a tutti, alle case discografiche, al mercato, etc. ti devo dire che mi dispiace sinceramente, perché oggi me ne arrivan sempre meno di queste lettere. Cioè a me mi diverte da morire, le pubblico tutte. Mi verrebbe da dire che il motivo per cui faccio Blow Up è ricevere le accuse di essermi venduto, è provocare, ecco questo è un gusto molto forte che mi piace molto, per cui l’accusa di essersi svenduti viene, ma è una accusa talmente ridicola che a me diverte da morire. Perché non esiste svendita. Tutti noi siamo venduti a una personale fetta di mercato. 221 D: quelli che ti accusavano di questo che argomenti adottavano? R: se tu facevi un articolo particolare, ora non i viene in mente nulla… una articolo su Madonna. Ma anche la cosa stessa che tu passi in edicola ti fa diventare un venduto, perché questa è la mentalità giovanile, cioè il giovane, l’adolescente ha bisogno del gruppo, e questo è un dato di fatto, il gruppo nel momento in cui diventa un groppone non è più un gruppino, e il ragazzo ha bisogno del gruppino, è una forma di distinzione, cioè ti distingui se siete in pochi. D: io ho cominciato a leggere Blow Up perché me lo prestava un amico che studiava a Roma. Questo mio amico me lo presentava come una sorta di bibbia underground, cioè: se vuoi conoscere un gruppo figo come gli U.S. Maple devi leggere Blow Up! Uno dei trucchi era che non si prestava a chiunque, ma solo a qualcuno che potesse capire. Quando siete andati in edicola e molte più persone hanno cominciato a leggervi… R: questo tuo amico ti ha detto “cazzo, questi si son venduti il culo!” D: …non l’ha più letto. R: non l’ha più letto, ma è normale. Questo fa parte della normalità delle cose. Questo discorso dell’essersi venduto etc. è un discorso prettamente giovanilistico, prettamente adolescenziale. Se tu prendi il giornale dal primo numero della fanzine a oggi tu t’accorgi che non c’è stato…a parte qualche cambiamento estetico… il colore, l’introduzione del colore fu uno scandalo, ma tu mettevi a colori gli U.S. Maple! Gli Storm & Stress! Gente che in Italia comprano in mille! Mettevi in copertina quelli, però erano a colori, per cui eri già venduto! D: ma perché così li facevi assomigliare ai gruppi sulle copertine di Rumore o peggio! 222 Appendici R: esatto! Oooh… hai capito tutto. Il colore ti avvicina a qualcosa ce tu non “vuoi” essere. D: ma tu hai mai seguito questa logica, in positivo o in negativo, nella realizzazione di Blow Up? R: all’opposto. D: quindi tu volontariamente andavi contro la logica underground? R: bisognava c’avessi i soldi per farlo, perché anche per introdurre il colore ci devi avere i soldi. Però di sicuro la provocazione ce l’ho sempre avuta e ce l’ho tuttora, perché mi esalta fare un articolo su Madonna e poi subito dopo uno sugli U.S. Maple. È uno spasso. D: nel vostro modo di lavorare seguivate una certa professionalità o vi sentivate, piuttosto, liberi? R: nascevano gli articoli senza neanche il vago problema di quanto fossero lunghi. Molto semplicemente… abbiamo fatto l’articolo sui Boredoms? Benissimo lo impagino, non c’entra tutto il materiale? Restringo il testo. Attenzione perché nelle riviste, diciamo serie, è vero esattamente il contrario, cioè: abbiamo sei pagine a disposizione per mettere i Boredoms, tu che sei il mio giornalista mi fai dieci cartelle, se me ne fai dieci e mezzo mi fai incazzare, te lo rimando indietro e me lo tagli, se no, non ti pago. Con Blow Up questo problema nasceva a posteriori, perché questo problema non ce lo ponevamo, il problema era comunicare cose, parlare della musica. Poi col tempo ovviamente questa esigenza tu l’avverti, capisci anche, brutalmente, che vendi meglio, vendi di più. D: questa forma di controllo sul materiale che col tempo si è cominciata a fare anche su Blow Up è per te un compromesso? 223 R: è un compromesso, ma non è né positivo né negativo. È semplicemente il fatto che tu, se fai una rivista, non puoi ammazzare la gente con articoli da venti pagine D: ma… vedi, una delle logiche delle fanzine è quelle di non preoccupasi minimamente se il lettore possa trovare noioso quello che scrivi… R: perché la fanzine non c’ha il riscontro del mercato. Perché è fatta da adolescenti che non hanno il problema del far quadrare i conti. Il mondo delle fanzine è il mondo del sogno del ragazzino. D: anche quando facevi la fanzine ti ponevi il problema economico, perché comunque dovevi stampare un tot di copie… R: no, non si stampava neanche, era fotocopiata. Per cui se ne fotocopiavano trenta copie, poi le vendevi, quando te ne rimanevano quattro o cinque ne rifotocopiavi altre trenta. Anche se poi non ne vendevi più non era una gran cifra. Il problema finanziamento per le fanzine non esiste.Il terzo numero della fanzine stampammo cinquecento copie, è lì ci misi qualche centinaio di mila lire, non mi ricordo. Ma il mio stipendio era, fai conto, di un milione, si può anche fare per una volta! Se non funziona la prossima volta ne stamperò di meno, non era un gran problema. D: cosa ti ha lasciato l’esperienza della fanzine? R: a livello umano conosci un sacco di persone che poi ti porterai dietro… però in tutta sincerità non m’ha lasciato più di tanto, lo dico sinceramente. Perché il mondo delle fanzine è un mondo molto chiuso in se. D: che background di studi hai? R: ho fatto il classico, poi mi sono laureato in lettere. D: grazie, sei stato gentilissimo! R: grazie a te per la conversazione! 224 Appendici Appendice B: Elenco delle fanzine consultate durante la ricerca 29febbraio: fanzine dedicata al mondo dei fumetti e dei giochi di ruolo nata a inizio 2003. è realizzata a Piacenza dai membri del circolo Arci “Il senso delle nuvole – Arcadia”, viene distribuita gratuitamente, è fotocopiata ed è diretta da Elena Gatti. Arlequins: fondata nell’ottobre 1990 a Siena da Albero Nucci è una fanzine che si occupa esclusivamente di musica rock progressive. Inizialmente fotocopiata in bianco e nero col tempo ha migliorato la propria veste grafica. Era spedita in abbonamento, dal 1995 si è trasformata prima in newsletter e poi in webzine. Baut: fanzine dedicata alla musica rock, creata dall’associazione culturale “B’aut batu” a Savona. Tra i membri dell’associazione Roberto Baldi e Andrea Pintus poi sulle pagine di Succo Acido. Era stampata in tipografia, in bianco e nero, e distribuita gratuitamente nei circuiti della musica indipendente. Il numero zero è uscito nel giugno del ‘99, l’ultimo numero, il quarto, nel settembre 2000. Blow Up: è nata nel settembre 1995 per opera di Stefano Isidoro Bianchi, che ha deciso di realizzare uno stampato che si occupasse di una delle proprie passioni, cioè la musica, insieme ad un suo amico, Fabio Polvani, ancora oggi collaboratore della testata.. Inizialmente fotocopiata e spillata in bianco e nero, usciva con periodicità irregolare, si è a poco a poco emancipata diventando sempre più sofisticata, migliorando la qualità della carta e 225 introducendo il colore. Con la veste di fanzine ha pubblicato sei numeri, oggi diventati oggetto per collezionisti, che venivano spediti in abbonamento. Nel febbraio 1997 ha ricominciato la propria numerazione come rivista a tutti gli effetti, spedendo gratuitamente il numero zero a tutti coloro che erano abbonati alla fanzine, e dopo un anno e mezzo in cui è stata disponibile con cadenza bimestrale solo per abbonamento è passata alla distribuzione in edicola nel giugno 1998. Con il numero dieci del marzo 1999 è diventata mensile. Si occupa di musica di vario tipo: rock indipendente, elettronica, musica d’avanguardia, industrial, improvvisata e jazz, cercando di superare i confini di ogni singolo genere per ottenere una visione più globale, e complessa, dei fenomeni musicali contemporanei. Blow Up è realizzata a Camucia (Ar); quando ha avviato questa iniziativa Stefano Bianchi lavorava come impiegato e aveva 35 anni, è laureato in lettere. Camelot 2019: fanzine di fantascienza, fumetti e fantasy curata da Francesco Miranda realizzata a Roma. È anche il foglio di informazione dell’omonima associazione di appassionati del genere. È stampata in modo casalingo ma a colori e su carta patinata, ed è distribuita in abbonamento. Capelli di colore indefinito: fanzine personale interamente realizzata dalla livornese Martina Ceccarelli. Non ha un argomento specifico ma si occupa di qualsiasi cosa passi per la testa della sua autrice. È distribuita per posta, è fotocopiata e il primo numero è uscito nell’ottobre 2004. Dusk: fanzine dedicata ai Genesis, nata nel marzo 1991 inizialmente fotocopiata e oggi stampata in tipografia. La redazione è guidata da Mario 226 Appendici Giammetti, che gestisce anche un sito internet con news, chat e pagina degli annunci. È giunta al numero 49 ed è realizzata a Benevento. Equilibrio Precario: fanzine realizzata a Trento da Stefano Paternoster. Stampata in tipografia, in bianco e nero su carta di bassa qualità, veniva spedita in abbonamento a partire dalla fine del 1998. Si occupava di musica indierock e punk, principalmente di gruppi esordienti italiani. Oggi il suo curatore a dato vita all’etichetta discografica RobotRadioRecords. Freak Out: nasce nel maggio del 1989 a Torre del Greco (Na), si occupa di musica rock, è gratuita e distribuita nei circuiti della musica indipendente in Italia. È realizzata da una redazione di appassionati guidati da Giulio Di Donna. Inizialmente fotocopiata e spillata ha progressivamente migliorato la qualità di stampa e della grafica. Nel 1999 la redazione decide di inaugurare il portale on line della fanzine che per un lungo periodo sostituisce completamente il supporto cartaceo. Nell’ottobre del 2001 la fanzine viene nuovamente stampata, con il numero 30, ma in tipografia e con copertina a colori e carta lucida. Hopes of Harmony: dedicata alla musica Hardcore/Metal veniva realizzata a partire dal 1999 dal milanese Andrea Timpani. Era fotocopiata e si trovava nei negozi di dischi o tramite abbonamento. Il Foglio Clandestino: fanzine fotocopiata, distribuita in abbonamento, dedicata alla poesia e a racconti. Realizzata dalla “Bottega di poesia Fernando Pessoa” sin dall’agosto 1993 a Sesto San Giovanni (Mi). Il direttore è Roberto Marchi. 227 Il Giardiniere: fanzine di fumetti con una sezione dedicata alla musica rock indipendente. Realizzata nel 2001 a Bologna da Alex Tirana. Fotocopiata e gratuita, si trova nel circuito bolognese della musica indipendente. Il Porro: fanzine realizzata dallo “skollettivo senza nome” all’università di Messina dalla fine del ’98; fotocopiata e gratuita si occupa di musica punk italiana, fumetti e contro-informazione. Into The Darkness: rivista realizzata a Cagliari da una redazione composta da Mara Lasi, Francesca Mulas, Giacomo Pisano, Daniele Serra. Si occupa di musica, letteratura, cinema, poesia, arte, e moda che riguardano l’universo gothic. 50 pagine, formato A4, stampa tipografica. Esiste dalla fine del 2003 ed è venduta in abbonamento. Itself: fanzine che si occupa di rock indipendente, italiano e straniero, realizzata a Pescara da Monia De Laurentis. È stampata tipograficamente ma con una grafica molto “grezza”, in parte in bianco e nero e in parte a due colori. Itself nasce orientativamente all’inizio degli anni novanta e da allora sono usciti pochi numeri in tutto (circa 6). Jamm’bell: La fanzine nasce nel settembre 2002 con l' intento di dar voce alla realtà mod campobassana. contiene interviste, disegni, articoli vari riguardanti soul music, 60' s 70' s spot, recensioni, etc. Sono usciti 3 numeri, il formato è A5 32 pagine, copertina lucida in bianco e nero. Ad oggi è l' unica fanzine mod cartacea del sud Italia! Capo redazione: Andrea Zita. 228 Appendici Jammai: fanzine che si occupava di musica rock indipendente realizzata a Firenze da Giovanni “pennello” Meli. In bianco e nero, con copertina a colori, stampata tipograficamente su carta di bassissima qualità, veniva distribuita gratuitamente nei circuiti musicali italiani. È nata nel luglio del ’94 e dal 2003 dopo più di cinquanta uscite è diventata una rubrica fissa nelle pagine della fanzine Music Club. Ka-Boom: fanzine generica nata a metà anni ’90 diretta da Stefano Vanacore, si occupava di musica, cinema, fumetti, videogames e altro. Veniva realizzata a Milano, costava tremila lire e si trovava nelle fumetterie o nei negozi di musica, oltre che per abbonamento. Kerosene Rivoluzione: fanzine di fumetti e scritti “contro-culturali” realizzata a Bologna, nata nel novembre del 2001. La redazione è guidata da Andrea Von Paggiaro ed è stampata in tipografia in formato A2. L’isola Che Non C’era: fanzine riguardante il cantautorato italiano creata a Milano da una vasta redazione diretta da Francesco Baracchini. Era stampata in tipografia e in bianco e nero, costava cinquemila lire e veniva spedita in abbonamento. Il primo numero fu pubblicato nel novembre del 1996. La Mini: nasce nell’estate del 1999 per opera del torinese Fabio Battistetti, ex curatore della fanzine Non Ce N’è. È fotocopiata in bianco e nero e spedita per abbonamento, si occupa di musica, prevalentemente punk, e della 229 quotidianità del suo autore. Nella primavera del 2003, dopo 4 numeri, si trasforma in “fanzine virtuale” realizzata on line e scaricabile della rete. Libertare: bizzarra fanzine realizzata a Barberino Val D’Elsa (Fi) dai membri del movimento “Flescj”, autodefiniti come “comunità indipendente”, è una testata che pubblica racconti, barzellette e articoli dalla spiccata verve comica. Fotocopiata e distribuita in abbonamento a partire dal 1998. Llorda’zine: nasce nel maggio 2003, ad opera della diciassettenne Valentina Salandi. Fotocopiata, si occupa dei più disparati argomenti, con interviste a gruppi emergenti, fumetti, poesie. È realizzata a Como ed è giunta al n°7. Mood: free magazine di musica, fumetti, letteratura, e cinema edito dall’associazione culturale “mood” a Teramo, dall’ottobre 2000. È diretta da Enzo Gramenzi, stampata in tipografia, prima in bianco e nero e poi a colori su carta lucida. È distribuita gratuitamente nei negozi di musica e nei locali notturni. Mostro: nasce nell’ottobre 2000 a Firenze, si occupa di arte, poesia, narrativa e musica, con una predilezione per i contenuti decadenti/grotteschi. Fotocopiata e in bianco e nero, può essere interamente scaricata dal relativo sito internet. Viene realizzata da un collettivo di artisti tra cui: Dario Honnorat, Francesco D’Isa, Gregorio Magini, Matteo Salimbeni, Giamo del Fiore. Music Club: fanzine che adotta lo stesso formato dei quotidiani e che si occupa di musica. Elenca al proprio interno tutti i concerti organizzati nel centro-nord 230 Appendici d’Italia. Viene realizzata a Fermo (Ap) ed è curata da una redazione capitanata dal direttore Luciano Massetti. Esiste dal 1991 ed è distribuita gratuitamente nei circuiti musicali nazionali. Music In Rags: fanzine dedicata alla scena hardcore/punk emiliana. Realizzata dal maggio del ’99 a Imola da una redazione di appassionati tra cui Daniele Pelliconi. Fotocopiata e gratuita, distribuita nei circuiti della musica indie/punk. No Warning: fanzine che si occupa di musica progressive nata nel 1999 come foglio informativo di musica alternativa, nell’aprile del 2000 fa il suo ingresso nella rete trasformandosi in webzine. Nobody’s Land: fanzine dedicata esclusivamente al rock progressivo, realizzata a partire dall’aprile del 1994 a Trofarello (To), da una redazione di appassionati tra cui: Rinaldo Doro, Antonio D’Agostino, Ettore Zanatta. Oggi ormai scomparsa, era stampata in tipografia in bianco e nero ma su carta patinata e copertina a colori, e veniva distribuita gratuitamente alle fiere del disco o in negozi specializzati, oltre che per posta. Non Ce N' è: fanzine di musica punk, inerente principalmente i gruppi italiani emergenti, creata a Torino da Fabio Battistetti e Luca Goti. Sono stati pubblicati nove numeri, in bianco e nero fotocopiati, tra il 1994 e il 2000. Oriental Beat: fanzine dedicata alla musica garage, punk e rock n’roll, curata dal laureando in Scienze Politiche Michele Bisceglie, di 26 anni. È realizzata 231 a Limbiate (Mi), è fotocopiata e distribuita in abbonamento. Il primo numero è uscito nella primavera del 2001. Permanent Vacation: fanzine personale, che costituisce il “diario di viaggio” del proprio autore, un ragazzo di Ferrara di nome Marco Pecorari. Si occupa principalmente di musica rock punk/indie ed è pubblicata dal giugno 2002. fotocopiata, di piccolo formato, in abbonamento. Punto-G: fanzine “riot-grrrl”, si occupa di femminismo, lesbismo e gruppi rock femminili. È realizzata a Roma da Giulia Vallicelli e Alessandra Pezzuolo. È fotocopiata e distribuita per posta. Il primo e (finora) unico numero è uscito nel giugno del 1999. Rancido: fanzine nata nell’aprile del 2002 che si occupa prevalentemente di fumetti, racconti e articoli “contro-culturali” (no-global, liberalizzazione delle droghe, anti-copyright). Si può scaricare interamente da internet. Rockit: fanzine che si occupa esclusivamente di musica rock italiana, viene realizzata a Sesto San Giovanni (Mi), da una redazione di amici. Nasce nel maggio 1997 inizialmente stampata in bianco e nero di bassa qualità, oggi completamente a colori su carta patinata. Nel marzo 2000 si costituiscono formalmente nell' Associazione Nazionale Rockit. Parallelamente alla fanzine, e da subito, viene gestito il sito internet con l' intento di creare un unico portale web, specializzato sulla musica rock italiana. Oggi, lo staff di Rockit è composto da 7 persone: Giulio Pons, Daniele Baroncelli, Fausto Murizzi (Fausti' ko), Camillo Ferraris, Stefano Rocco (Acty), Stefano Bottura (Fiz) e 232 Appendici Carlo Pastore abbondantemente il centinaio. La fanzine è gratuita e viene distribuita nel circuito della musica rock nazionale. Succo Acido: la fanzine viene fondata a Palermo dal trentaquattrenne studente di matematica Marco Di Dia. Il numero zero esce nel gennaio del 2001, è gratuita e stampata in tipografia in bianco e nero, ne vengono realizzate 6000 copie da distribuire su tutto il territorio nazionale nel circuito della musica rock indipendente. Per la distribuzione Marco si appoggia ai distributori discografici che comprano la pubblicità sulla testata (Wide; Audioglobe). Dal numero uno in poi le tirature si assestano a 5000. Con il numero 18, uscito nel novembre 2003 la fanzine viene distribuita anche in Europa da Dense. Alla fine del 2002 Marco crea, parallelamente alla fanzine cartacea, il sito internet succoacido.it nel quale pubblicare il materiale che non trova spazio sulle copie stampate. Succo Acido si occupa di musica indipendente, rock e non solo, teatro e arte. La redazione è composta da varie penne tra cui molti exfanzinari conosciuti da Di Dia in parte al Meeting delle Etichette Indipendenti (M.e.i.) del 2000, ed in parte durante la pubblicazione della sua rivista. Marco Di Dia promuove la musica indipendente e le realtà artistiche che reputa ingiustamente sottovalutate nel capoluogo siciliano, sia con la fanzine che con eventi organizzati ad hoc per queste realtà. A tutt’oggi l’ultimo numero pubblicato è il 19 del dicembre ’04. Tutti Morimmo A Stento: fanzine realizzata a partire dall’estate del 2003 a Potenza da Fabio Settembrino, a dal collettivo autogestito dell’università di Potenza. Fotocopiata, si occupa di musica rock (principalmente indierock o 233 punk) e fumetti. Parallelamente viene gestito una sito internet da cui è possibile scaricarsi autonomamente la fanzine. Underground Press: fanzine stampata tipograficamente in bianco e nero, spedita in abbonamento al costo di quattro euro a copia, è diretta da Pedro Adelante. Viene realizzata a Battipaglia (Sa) e si occupa di arte, fumetti e narrativa pulp/erotica. Il primo numero è uscito nell’aprile del 2004. Velvet Goldmine: nasce per iniziativa di due fan italiani del musicista/cantante David Bowie. Stefano Nardini e Stefano Pizzo, incontratisi per mezzo di un annuncio sulla rivista di musica Rock Star, scoprono una “insana” [nelle loro parole, editoriale n°0] passione reciproca per l’artista in questione e decidono di istaurare una serie di scambi e relazioni coinvolgendo anche altri fan del cantante. Comprano dischi rari, barattano materiale (ad esempio videocassette con le registrazioni delle apparizioni televisive di Bowie in Italia), scambiano informazioni, mettono annunci su varie riviste di settore, allo scopo di conoscere altri fan e arricchire la loro rete di conoscenze e di scambi. Nel gennaio del 1998 decidono di concretizzare il loro sistema di interrelazioni attraverso un supporto, la fanzine, che funga da referente simbolico per questo network di scambi e reciprocità. Il numero di contatti aumenta e la fanzine è lo strumento principale che li tiene in vita. Si organizzano delle riunioni, la prima a Bologna il 22 febbraio 1998, in cui tutti questi fan hanno modo di conoscersi personalmente. La fanzine provvede a far circolare informazioni sempre aggiornate sulle attività artistiche di Bowie o a lui correlate (la nascita del suo sito ufficiale; la pubblicazione di un disco tributo all’artista, per esempio); recensisce puntualmente tutti i bootleg che vengono pubblicati 234 Appendici (decine in un anno) fornendo giudizi e informazioni essenziali al collezionismo. L’enorme mole di informazioni che circondano questo soggetto, soprattutto in seguito al boom di internet, rendono necessario aggiornare con maggiore frequenza le notizie e i dati relativi all’idolo Bowie. Così, dopo appena tre numeri usciti in undici mesi, Stefano Nardini con l’aiuto di altre due fan conosciute per mezzo della fanzine, Valeria e Paola, che hanno le competenze necessarie, decide di abbandonare il supporto cartaceo e dedicarsi esclusivamente al web realizzando il sito internet velvetgoldmine.it. Il principale artefice di Velvet Goldmine si descrive con queste parole: “Mi chiamo Stefano Nardini, ho 44 anni e vivo a Milano, Seguo Bowie dal 1974. Lavoro in una casa editrice. Sono appassionato a molte forme di espressione artistica. Teatro cinema danza. Leggo molto.” Vintage: trimestrale di cultura beat e psichedelica nato nel giugno del 2004. viene realizzata a Roma da una redazione di appassionati guidata da Paolo Ansali, è stampata in tipografia e disponibile per abbonamento. Wanderwall: fanzine italiana dedicata alla band britannica Oasis, il primo numero è uscito nell’aprile 96 ed era fotocopiato. Oggi ogni numero è stampato tipograficamente. Al suo interno trovano spazio le traduzioni delle interviste fatte alla band tratte da riviste inglesi, i testi e gli accordi di tutte le canzoni, le recensioni dei dischi, concerti, libri, cd live non ufficiali, tutte le news riguardanti gli Oasis catalogate giorno per giorno, foto e reportage esclusivi. La fanzine è stata creata da un fan del gruppo, Fabio D' Antonio, dopo la fanzine ha anche fondato il fanclub ufficiale italiano. Il sito Internet opera dal gennaio ‘97 ed oggi ha raggiunto una media di accessi giornalieri 235 con punte di oltre 1000 accessi unici, è aggiornato quasi quotidianamente con tutte le ultime news, appuntamenti live, c’è anche un forum di discussione ed una chat. La fanzine viene realizzata a Corropoli (Te). Why I Hate Asia: una fanzine personale realizzata da Marco Pecorari dedicata esclusivamente al suo odio nei confronti di Asia Argento. È uscita nel giugno del 2003, è fotocopiata e costa un euro. Si può avere per posta. Wolvernight: fanzine nata nel dicembre del 1990 che si occupa di musica punk rock, cinema, libri, fumetti, letteratura. Viene realizzata a Bracchio di Mergozzo (VB) da un gruppo di amici punk: Macy, Dona e Schizzo. A tutt’oggi sono usciti 32 numeri, è passata dalle 50 copie del n°1 alle 650 del n°32. Alla fanzine sono stati allegati fumetti, cd, 45 giri, e libri, tutti autoprodotti. 236 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Adorno, Theodor W. 2004 Sulla popular music, Roma, Armando. Alferj, P. e Mazzone, G. (a cura di) 1979 I fiori di Gutenberg: analisi e prospettive dell' editoria alternativa, marginale, pirata in Italia e Europa, Roma, Arcana. Anderson, B. 2000 Comunità immaginate: origini e fortuna dei nazionalismi, Roma, Manifestolibri. Anonimo 2001 “Sniffin’ bits – dalla fanzine alla e-zine, storie di forbici, (taglia-e-in) colla & R' n' R” in Rumore n°114/115 , Edizioni Apache. Atton, C. 2002 Alternative media, London; Thousand Oaks; New Delhi, Sage. Baroni, V. 1992 “Fanzirama 2000 percorsi sotterrane dell’editoria indipendente: dal ciclostile al desktop publishing” in Rumore n° 7-8, Milano, Edizioni Apache. Baroni, V. 1997 Arte postale, Pordenone, AAA. Baym, Nancy K. 2000 Tune in, log on: soaps, fandom and online community, Thousand Oaks; London; New Delhi, Sage. Becker, H. 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