Intro
Redazione
Matteo Casari
Daniele Guasco
Simone Madrau
Matteo Marsano
Giulio Olivieri
Cesare Pezzoni
Anna Positano
Collaboratori
El Pelandro
Marco Giorcelli
Grafica e Impaginazione
Matteo Casari
sito internet
http://compost.disorderdrama.org
email
[email protected]
snailmail
Compost
c/o Matteo Casari
C.P.1009
16121
Genova
Pubblicazione NON periodica, amatoriale,
destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza.
Questa pubblicazione è una produzione Disorder Drama.
Un sincero ringraziamento al collettivo del
Laboratorio Sociale Occupato Autogestito
Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui.
Se interessati a collaborare, con parole o disegni, scrivete a [email protected]
Il prossimo numero lo troverete in giro a metà
Settembre 2007
Arrivederci a CMPST #4 - [09.2007]
2 CMPST #3[07.2007]
Il tre dovrebbe essere il numero perfetto, eppure questo numero di Compost
ha avuto una gestazione a dir poco travagliata, e non solamente per il fatto che
l’editoriale è affidato alle mie parole sconclusionate.
Questa terza uscita sarebbe dovuta essere tra le vostre mani sull’erba del parco
di villa Croce in occasione del Mù-mù, ma
“Genova” ha deciso di rinunciare a uno
degli eventi che rendevano più magica la
sua estate musicale, e chi siamo noi per
andare contro alle sue decisioni? Abbiamo un tale quantità di spazi a disposizione
che ci siamo ridotti a organizzare e ascoltare concerti casalinghi per pochi intimi.
L’allungarsi delle scadenze e il caldo di
luglio hanno minato un po’ la nostra (forse
dovrei parlare solo per me?) produttività,
e infatti mentre scrivo queste righe non so
ancora se Compost andrà in stampa in
tempo.
Genova comunque dimostra sempre di
più di essere una di quelle stanze dei film
d’avventura degli anni ‘80 e ‘90 in cui le
pareti si chiudono sempre di più fino a stritolare il protagonista, un protagonista, la
musica cittadina, che mentre la stanza si
riduce ingrassa a vista d’occhio, andando
così a bloccare l’avanzata omicida dei
muri con la sua stazza.
Per quanto uno si informi, vada ai concerti, di band emergenti genovesi ne nascono in continuazione, e se una di queste
si perde negli ingranaggi di quei macchinari da tempio maledetto, ce ne sono
sempre due o tre pronte e prenderne il
posto. A Genova non si butta via niente, e
succede così che anche i musicisti si riciclino in continuazione, tenendo il fermento
artistico vivo, fresco, profumato.
Mentre i vecchi dinosauri occupano le
valli nel clamore della loro maestosità destinata al declino, una miriade di uomini
aspetta il suo turno nelle caverne, caverne dallo sfratto facile però in questa strana
città di mare.
In queste righe dalla metafora facile
e sul filo della retorica, dell’entusiasmo e
del campanilismo voglio quindi rendere
un piccolo omaggio alla Genova con lo
strumento in mano che tra salette, piccoli
palchi, macchine da caricare e scaricare,
partecipazione al lavoro altrui, ore piccole
e quant’altro, urla ai vicoli e ai palazzi della
città la sua forza e la sua rabbia, la sua urgenza di essere protagonista in un dialogo
che va avanti da anni e non ha intenzione
di smettere nonostante tutti i bavagli.
Daniele Guasco
Smesciarsi
“Qui il divertimento collettivo
passa principalmente per le discoteche ed è un tipo di aggregazione che non è legato ai concerti, all’ascolto di musica dal vivo.”
Cromatigullio
Intervista con Nicola Cazzaniga
di Daniele Guasco
FERMENTI A LEVANTE
Con l’estate Compost esce da Genova e va a scoprire una realtà
del Tigullio, in una zona in cui, a parte qualche sporadico tentativo
spesso poco seguito dai giovani rivieraschi, vede veramente poche
occasioni, tra spiaggie e bagnanti, di ascoltare musica dal vivo:
Cromatigullio, una compagnia d’arte che dal 2005 si impegna ad
organizzare un ottimo festival di musica indipendente e a promuovere i gruppi locali che condividono e partecipano al loro progetto.
Pur frequentando abbastanza assiduamente la vita musicale genovese, posso essere considerato un pendolare. Ogni concerto presuppone i suoi bei trenta chilometri di
guida in autostrada che separano gli eventi
della città della lanterna dalla “mia” Rapallo, città del Tigullio nella quale sono nato,
cresciuto, e nella quale ancora vivo. A parte
qualche sporadico caso (i concerti invernali
di Mojotic a Sestri Levante, qualche gruppo
al Jambalive di Rapallo) sono veramente poche, se non nulle, le possibilità di ascoltare
un po’ di musica live vicina ai miei gusti da
queste parti, e l’estate non fa che peggiorare la situazione. In questo panorama arido e
scontroso si muove però una realtà piccola,
ma ben orchestrata e interessante: la compagnia d’arte Cromatigullio che organizza
ogni anno un bel festival all’aperto. Ho raggiunto Nicola al Binario Zero, più che una
saletta una vera e propria base per questo
collettivo di ragazzi situata nell’ex scalo merci della stazione ferroviaria di Lavagna, e tra
un treno che partiva e uno che arrivava abbiamo fatto questa chiacchierata a proposito di questo progetto, ma anche sui giovani
musicisti (e non solo) del Tigullio e della loro
scarsa capacità di far uscire la loro musica
dai confini del golfo.
Partirei da Cromatigullio: come nasce il
progetto? Quali sono i suoi obbiettivi?
Citando l’home page del nostro sito siamo un’associazione di ingrati e di privilegiati,
musicisti, poeti autoreferenziali, folli, frustrati
e rabbrividiti che si sono dati una casa comune e qualche piccolo ricreativo sogno.
Cromatigullio nasce dall’esperienza maturata da alcuni di noi nel Forum dei Giovani di
Sestri Levante e da lì, raccogliendo altri pezzi
per strada (tra cui io ad esempio) si è deciso
di fare una cosa a sé stante con lo scopo di
reperire spazi, strutture e collegamenti per
promuovere musica e un certo tipo di cultura giovanile.
Il festival annuale quindi è nato come
qualcosa di automatico per testimoniare
questa realtà?
L’idea del festival nasce dai 2 anni di attività del Forum, da quell’esperienza si voleva poi fare un unico concerto come ultima
fiammata per poi mollare tutto. Tant’è che
dopo quel primo festival ci abbiamo preso
gusto. Quell’anno fu un evento su più fronti,
itinerante tra Chiavari, Sestri Levante e Lava3 CMPST #3[07.2007]
Smesciarsi
e dare spazio alle realtà creative della zona
(band emergenti e collettivi di artisti locali).
La cosa più difficile è trovare il referente in
ambito comunale che abbia a cuore più
o meno la stessa idea nostra di dare uno
spazio ai giovani lasciandogliene anche in
mano la gestione. Questo ovviamente oltre
alle difficoltà economiche e burocratiche
(siamo ancora un’associazione non riconosciuta!). I due primi anni siamo stati appoggiati dalla cooperativa sociale La Fattoria di
Orero che ci ha dato una mano enorme per
tirare su le cose. Quest’anno siamo stati aiutati dal comune di Lavagna, dall’assessorato
alle politiche giovanili. La terza difficoltà sta
nel trovare anche la collaborazione di altre
persone, altre realtà; in questo senso bisogna partire con largo anticipo, cosa che non
sempre è facile e si finisce sempre col ridursi
agli ultimi due mesi. Nonostante il Tigullio si riveli una realtà un po’ chiusa, sulla base di un
progetto ben strutturato è possibile comunque vincere la diffidenza altrui.
gna. Vedemmo però che era un po’ troppo
dispersivo. Essendo comunque non a fini di
lucro, solamente per i volenterosi che son disposti a “sbattersi”, abbiam trovato un terreno fertile a Lavagna e siamo ripartiti da qua.
Quali sono le difficoltà più grosse che avete incontrato nell’organizzazione di un evento come il Cromatigullio festival?
Non è facile nel Tigullio proporre musica
dal vivo invitando ospiti del circuito indipendente nazionale (Viclarsen, Blown Paper
Bags, Banghra Beat, Julie’s Haircut, One Dimensional Man e quest’anno gli Ulan Bator)
4 CMPST #3[07.2007]
Ecco, una cosa che ho sempre riscontrato nel Tigullio è una tendenza di coloro
che provano a fare qualcosa per la musica
a restarsene sempre per conto proprio, ad
essere diffidente negando sia l’aiuto ad altri
che eventuali aiuti per sè, mentre nel vostro
caso ho notato, ad esempio, che seguite
con particolare interesse l’attività dei ragazzi
di Mojotic...
Credo che le cose buone che ci sono da
queste parti non dovrebbero né ignorarsi né
tanto meno opporsi.
Abbiamo già accennato prima al libro con
la compilation uscito l’anno scorso (“Libere
interpretazioni danno le vertigini”)...
Il libro voleva essere una fotografia della
scena musicale del Tigullio, è stata secondo
me una cosa forse fatta un po’ troppo di fret-
ta ma eravamo presi dall’entusiasmo della
cosa, abbiamo gestito un po’ male le registrazioni dei gruppi e ci siamo un po’ persi in
fase di promozione ciò non toglie che resta
in ogni caso una preziosa raccolta di testi e
testimonianze, aperta a chiunque volesse
partecipare, messa insieme con il materiale
che ogni gruppo ci ha fornito, senza chiusure né censure. Sarebbe stato bello andare a
scavare ancora di più negli anni passati contando anche altri gruppi che non esistono
più. Quindici anni fa il fermento musicale non
mancava come tutt’oggi del resto.
Su questo son d’accordo, ma allo stesso
tempo è facile constatare una certa difficoltà dei gruppi del Tigullio a uscire da questo
piccolo guscio sul mare, particolarmente
secondo me a causa di una mancanza di
partecipazione. I gruppi della zona sono secondo me troppo portati al cercare la “pappa pronta”, ad aspettare senza uscire dalle
salette se non per muoversi di qualche centinaio di metri. Che ne pensi?
Principalmente è un problema di pigrizia e
mancanza di obbiettivi. Poi c’è da aggiungere il fatto che sono ancora veramente
Smesciarsi
“Nonostante il Tigullio si riveli una realtà un po’ chiusa, sulla base di un progetto ben strutturato è possibile comunque vincere la diffidenza altrui.”
troppo pochi i locali o gli eventi dove poter
suonare da queste parti, mancano così le
esperienze e il relativo riscontro con il pubblico e con i cosiddetti addetti ai lavori. Credo che però alla fine dietro tutto questo ci
deve essere da parte del gruppo la volontà
di “uscire” e cercare visibilità essendo veramente convinti del proprio progetto artistico.
Parlo principalmente per la mia esperienza
col mio gruppo (i God’s Great Banana). I
gruppi del Tigullio dovrebbero comunque
partecipare maggiormente ed entrare in
contatto con le altre realtà con umiltà, così
a Genova come da altre parti.
Una sera in un locale della zona ho sentito una critica a Cromatigullio che non è
che mi sia piaciuta moltissimo, gente che
si lamentava del fatto che voi non li aveste
mai contattati. Secondo me i gruppi locali non dovrebbero chiedersi cosa può fare
Cromatigullio per loro, piuttosto dovrebbero
domandarsi cosa possono fare prima di tutto
loro per Cromatigullio...
In questi primi anni, partendo da zero, abbiamo puntato principalmente sui gruppi di
cui facevamo parte noi stessi, o comunque
gruppi collegati a noi. Poi abbiamo cercato
degli aiuti, del sostegno, dato che tutta la nostra attività si basava solamente sulla nostra
volontà di fare le cose. La mancanza di una
risposta e di gratificazione diciamo che non
ci è piaciuta molto. Abbiamo così mantenuto una forma maggiormente legata all’idea
di consorzio, prendendo in considerazione
quei gruppi e quei musicisti che si facevamo
più vedere, che si impegnavano nelle nostre
iniziative. C’è chi dice che i gruppi che partecipano al nostro festival sono “raccromanda-
ti”. Cromatigullio non è che può far suonare
in due giorni all’anno tutti i gruppi del Tigullio.
Un po’ vediamo il festival più che altro come
una nostra festa, non è quindi facile rinunciarci a suonare, ma alla fine, per come la vedo
io, non è neanche giusto, anche perché non
aprendosi ad altre realtà non ci si muove da
qui. Intanto quest’anno proviamo ad aprirci
anche verso Genova, invitando due gruppi
del capoluogo a suonare. Quindi tentiamo
di dare spazio ad altri gruppi della zona che
non hanno mai partecipato. Il cartellone del
nostro festival cambia durante gli anni, ma
dovrebbe cambiare ancora di più cercando lo scambio e la collaborazione con altri
appuntamenti simili sul territorio regionale e
non.
Parliamo invece del pubblico del Tigullio.
Io lo trovo molto apatico, difficilmente va a
sentire il gruppo che non conosce, o comunque di rado va a una serata se non c’è qualche suo amico sul palco. Quale potrebbe
essere secondo te un modo per invogliare,
incuriosire il pubblico del Tigullio verso musiche che normalmente non sono alla sua
portata di mano?
Questo secondo me si riallaccia al discorso di prima sulla mancanza di locali per la
musica dal vivo, al di là dei generi o di proposte o del fatto che siamo liguri, chiusi di testa. Qui il divertimento collettivo passa principalmente per le discoteche ed è un tipo di
aggregazione che non è legato ai concerti,
all’ascolto di musica dal vivo. E poi è un fatto
puramente culturale, emotivo, di passioni.
I locali che fanno suonare cover-band in
zona però sono sempre pieni, a differenza
delle proposte che riguardano la musica originale...
Non so, la musica originale presuppone
una buona dose di attenzione e di dispo-
nibilità all’ascolto, curiosità nello scoprire
qualcosa di nuovo mentre in generale le
cover-band hanno una più facile presa sul
pubblico. E questo chi gestisce un locale lo
sa perfettamente.
Per quanto sia valida la proposta del festival, avete mai pensato di organizzare qualcosa anche negli altri periodi dell’anno?
Per ora no. Quantificando l’impegno che
richiedono certe cose, quantificando le persone che ci stanno dietro, che sono poche
e con il tempo ridotto all’osso, abbiamo vi5 CMPST #3[07.2007]
Smesciarsi
Cosa potrebbero fare quindi, ricollegandoci al discorso di prima, i singoli gruppi della zona per Cromatigullio?
Per ora abbiamo questa cerchia di gruppi ma con tutta la volontà di aprirci ad altri
gruppi, altre realtà, altre persone. La cosa
fondamentale rimane, al di là di Cromatigullio, il fatto di credere e di impegnarsi nei
propri progetti musicali o artistici che siano!
I sacrifici alla fine premiano, guarda l’esempio dei Ricochet che hanno recentemente
vinto le finali e suoneranno a Italia Wave. Per
quanto ci riguarda i gruppi possono sostenerci partecipando alle nostre iniziative, facendo girare la voce e venendo a trovarci nella
saletta che abbiamo allestito a Lavagna. Il
modo migliore è conoscersi direttamente.
Julie’s Haircut al Festival 2006 - foto di Tangacci
sto che per ora è appagante fare un festival
estivo che è arrivato al terzo anno. Ed è una
cosa secondo me dalle potenzialità enormi e di questo non abbiamo ancora piena
coscienza. Partirei dal migliorare quest’appuntamento, magari farlo diventare di tre
serate, coinvolgendo altre associazioni, altre
realtà alternative presenti sul territorio, creando una cornice più appropriata in termini di
bancarelle, persone e artisti coinvolti. Le faticate dietro al festival, dal montare il palco
alle formalità burocratiche, dalla pubblicità
alle grafiche, le facciamo volentieri, ma non
avendo un riconoscimento ufficiale né uno
scopo di lucro né possibilità di finanziamenti
ci investiamo tantissimo umanamente, ora il
nostro unico pensiero è arrivare contenti al
6 CMPST #3[07.2007]
29 luglio e che chi ci è venuto a trovare abbia apprezzato le nostre proposte. Il nostro
zoccolo duro ce l’abbiamo, amici e gente
che ci sostiene e che si è trovata bene ai nostri eventi, che si è accorta che le cose campate in aria non le facciamo e questo è già
un bel successo! Magari, nel caso ci fosse
uno spazio adatto e disponibile, si potrebbe
collaborare con qualche locale, proponendo gruppi collegati a noi, o semplicemente
dare una mano, facendo da mediatori, anche attraverso il nostro portale che è parte
integrante della nostra attività. In generale
diciamo che al momento non abbiamo ancora l’idea di avere anche altre cose da dire,
da mettere in moto, ma per ora ci sembra
che sia oltre le nostre possibilità
Per finire, a parte il festival quali obbiettivi si
pone Cromatigullio per il futuro?
Aprile scorso abbiamo partecipato al
bando del governo “Giovani idee cambiano
l’Italia” con l’intento di far crescere il nostro
progetto partendo dalla sede-saletta e dall’allestimento di una scuola di musica rock e
corsi di musica d’insieme e automaticamente diventare un’associazione riconosciuta a
tutti gli effetti. E da qui creare questa piattaforma per raccogliere anche altre cose. Ad
esempio sono tre anni che invitiamo al festival artisti locali che ora son diventati collettivo Laulima (www.laulima.it), aprirci anche ad
esperienze artistiche non necessariamente
legate unicamente al mondo della musica.
Ora il progetto è in fase di valutazione al Ministero, se dovesse andarci male proveremo
altre strade. Ci piacerebbe riuscire a creare
un vero e proprio centro artistico e musicale
nel Tigullio, in poche parole.
Più info suill’attività di Cromatigullio su
http://www.cromatigullio.org
Produzioni
“ Non c’è niente di costruito negli
Ex-Otago. Siamo arrivati con tanta gavetta in un momento in cui
nella musica italiana forse non
c’è tanto sfogo, e a Genova idem.“
Ex-Otago
Intervista con Alberto Argentesi e Simone Fallani
di Matteo Marsano e Simone Madrau
IO MI VOGLIO DIVERTIRE
Il 2007 per la scena genovese sarà probabilmente ricordato come l’anno degli Ex-Otago: un caso di
popolarità e visibilità a livello mediatico che la città non raggiungeva dai tempi dei Meganoidi. Il merito va tanto a un disco come Tanti Saluti, capace di coniugare canzone pop e sonorità indie quel tanto che basta da accattivarsi un pubblico più vasto del solito, quanto all’indubbia presenza scenica
del combo genovese. Ben due nomi di Compost, allora, per altrettanti Otaghi, ovvero Alberto e Simone, nel negozio di abiti in cui lavora quest’ultimo. Quasi all’ora di cena, saracinesca abbassata e una
fame che non impedisce ai nostri di fare un esauriente punto sull’ottimo stato di salute del gruppo, senza lasciare da parte nemmeno per un attimo la città che ha dato loro i natali: un quadro, quello della loro Genova, che non smentisce affatto quanto appurato nei precedenti numeri di questa fanzine.
Matteo: Ex-Otago sono ad oggi il gruppo genovese più in vista della scena indipendente italiana: avete perfino avuto
un’intervista sul Secolo. Sotto certi aspetti
si può dire che ce l’avete fatta o che ce
la state facendo: complimenti davvero.
Contenti? Avete qualche dichiarazione
da fare ai microfoni di Compost? Insulti,
ringraziamenti, vendette, frasi d’amore…
Oppure potete dirmi perché il gruppo
indie genovese di maggior successo è
quello meno serioso e meno pretenzioso,
e se non vi sentite un po’ un’anomalia in
una scena cittadina che purtroppo o per
fortuna non brilla per senso dell’umorismo e disimpegno.
Alberto: Innanzitutto grazie per i complimenti. Che la scena genovese non ab-
bia senso dell’umorismo è vero perché
comunque rispecchia molto il carattere
della città anche se stiamo mandando
parecchi gruppi in trasferta in questo
periodo, anche di generi molto diversi.
Diciamo che ciò che preme a me come
al resto del gruppo in questo momento
è il bene degli stessi Ex-Otago e dire di
avercela fatta è un po’una parola grossa, perché “indie” è una parola che vuole dire tutto e niente, ci sono tante sfaccettature di cui ti rendi conto quando
vai a festival come Italia Wave o Mi Ami,
dove la gente non sta a guardare molto
al contenuto e molto più alla forma. Noi
abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo per il nostro look anche in termini
non sospetti: non lo facciamo perché “se
ci vestiamo così andiamo in copertina”.
E’ una cosa che ci viene spontanea. Lo
facevamo quando suonavamo al Pinelli
ai tempi in cui eravamo ancora in tre, o
nei centri sociali. Non c’è niente di costruito negli Ex-Otago. Siamo arrivati con
tanta gavetta in un momento in cui nella
musica italiana forse non c’è tanto sfogo, e a Genova idem. So per certo che
a tanta gente non siamo simpatici perché presi singolarmente nessuno di noi
ha fatto il conservatorio, nessuno tecnicamente può vantare grande esperienza; senza contare che nessuno è al suo
posto veramente negli Ex-Otago: Simone
normalmente suona la chitarra, Maurizio
7 CMPST #3[07.2007]
Produzioni
Alberto - foto di Anna Positano
era un dj, io ero un cantante, Simone era
un bassista. Quindi molti gruppi che magari vanno in saletta nove volte a settimana, suonano la chitarra con la lingua
e rifanno pari pari pezzi dei Kyuss a volte
dicono: “guarda sti scemi che saltellano
sul palco”. Quella è la tipica ignoranza
che non c’è solo a Genova ma esiste anche qui, me ne sono accorto al Periferie
o in occasione di altri eventi dove non ci
avevano mai visti live: tanto pubblico entusiasta ma tanti che storcevano il naso
8 CMPST #3[07.2007]
dicendo “belin ma questi cosa sono, dei
giullari?” fermandosi all’apparenza. Vero
che non avevamo ancora tante canzoni
in scaletta, era uscito solo Chestnut Time.
Però…
Simone: Quello che può essere il nostro approccio live poi è anche qualcosa che ha un’attitudine dietro, ovvero
il puro show. Sul palco devi tenere viva
l’attenzione. Su disco invece puoi essere
molto più serio: quello che esce da noi
quattro può sembrarvi semplice ma non
scherziamo affatto.
A: Se uno vuole ascoltarsi la musica
se la ascolta in salotto, sul computer,
sull’iPod. Sul palco è un altro discorso.
A me quei gruppi che rifanno pari pari
il disco, asettici, freddi, non mi hanno
mai entusiasmato. Per di più quando fai
roba acustica tenere l’attenzione alta è
più difficile di quando fai roba con distorsioni, ecc. Se suoni acustico, o sei…
Tracy Chapman, o sei il più bravo chitarristafingerprintingporcozzio o non ti cagano neanche di striscio. Ho visto gente
fischiare le performance di cantautori
americani Pavement-style anche molto
bravi solo perché erano lì da soli col pedalino.
Simone: Avete detto che il vostro primo pensiero è verso gli Ex-Otago, come
gruppo e come gruppo in crescita. A
tal proposito non vi scazza un po’ il dover sempre ricorrere a strutture esterne,
fuori da Genova, per avere una visibilità proporzionale al successo che state
avendo? Non vi pesa, ad esempio, dover
andare a Bologna per fare un mini-set in
radio e non poterlo invece fare qui per
la mancanza di tanta imprenditoria e di
tante strutture?
S: Questo è pesantissimo, eccome.
A: Sì, però tengo a precisare che non
credo sia colpa della scena indie genovese. Parlando di Bologna posso riallacciarmi alla tua intervista con Monica
di Suiteside che è stata a Bologna una
vita. Bologna probabilmente ha toccato
l’apice quando la Homesleep ha cercato di mettere i tentacoli dappertutto.
Quindi i vari Giardini di Mirò, o gli Yuppie
Flu che non sono bolognesi ma essendo
sotto Homesleep erano sempre al Covo.
E poi lo stesso tizio della Homesleep che
si infila sempre dappertutto. Ma anche,
adesso, il ragazzo della Unhip senza il
quale forse Bologna in tanti contesti sarebbe anche ferma: Unhip quindi Settlefish, Death Of Anna Karina.. Produzioni
anche con l’estero.. A Bologna si salva
il fatto che c’è la materia prima: da noi
scarseggiano i giovani, siamo sempre gli
stessi. Lì invece ci sono. E con i giovani si
possono creare delle associazioni, con le
associazioni si possono avere dei fondi.
Anche se Cofferati non sta molto simpatico ai bolognesi sia il capoluogo che i
comuni emiliani sono sempre stati molto
attenti sotto questo profilo: se tu dimostri
che la tua radio è fatta per fare cultura,
ti arrivano dei fondi con cui puoi pagarti
tutta un’altra serie di cose. E a Genova
mancano queste strutture, e mancano
perchè manca la cultura. Genova è una
città dove tutti sanno tutto e nessuno sa
niente. A Genova devi far così per campare: essere un mini-bignami. Se chiedi a
qualcuno cosa sa, sa che c’è Babboleo
ma non è una radio: è una farsa commerciale che sta in piedi da una vita ma che
Produzioni
“Il miglior complimento che
ho ricevuto a riguardo è
stato:
Giorni
Vacanzieri
=
L’Estate Sta Finendo del 2007.”
non passerà mai gli Ex-Otago neanche
se facessimo una canzone orecchiabile
come una di Jovanotti. A Genova manca poi un giornale serio da questo punto
di vista, nel senso che non ci sono quotidiani con un briciolo di inserti giovanili.
A Bologna siamo andati una sola volta
e avevamo già un trafiletto sul giornale.
Era un trafiletto del cazzo, però intanto
c’era.
S: Quello che salva Bologna è che ha
un casino di studenti: poi magari Bologna la lasciano anche, però ne arrivano
altri. C’è un ricambio costante di volti
tra i 18 e i 25. C’è sempre qualche nome
nuovo. In più Bologna ha la fortuna geografica di essere abbastanza distante
da Milano: il risultato è che ci passano
un sacco di concerti grossi e questo crea
attenzione.
S: Probabilmente c’è più roba a Bologna che a Roma, che paradossalmente
è la capitale.
A: Roma è una città che anche lei non
se la passa benissimo, ok. Però ha tre o
quattro radio fighissime, poi ha le agenzie più grosse [DNA, Indipendente, Petrolio] quindi anche lì bene o male le serate
non mancano.
M: Anche se poi se le cucca tutte il Circolo degli Artisti…
A: Bè sì, il Circolo è un po’ come il
Covo a Bologna. E’ quello che anche per
sfregio nei confronti di altri locali - c’è un
po’ di campanilismo – piuttosto dà quei
100€ in più e paga quel gruppo che è
hype in quel mese tanto per dire “oh però
dal Circolo sono passati anche i taldeitali”. Comunque Genova da parte sua ha
avuto quell’anno in cui il Milk andava forte: parlo di quando c’era ancora Matteo
che collaborava. Tra le sue cose e il fatto
che loro mantenevano ancora la gestione normale, sapevi che in una certa sera
trovavi le cose più indie, in un’altra ecc.
Non mischiavano le carte, non facevano dei polpettoni. Infatti poi sono andati
in caduta libera, guardando alle ultime
stagioni. Eppure il nome del Milk girava
anche a Roma, anche nel sud Italia.
Questo vuol dire che per un po’ di tempo
i gruppi si sono trovati bene a suonare a
Genova, e la città aveva la sua bandierina nel Risiko dell’indie. Invece ora ha
perso di nuovo questo scettro. I Settlefish
che secondo me sono un gruppo valido
chiedono 300€ quando vogliono abbassarsi il cachet e ciò nonostante nessuno
qui può garantirglieli. Che è una cosa incredibile, tanto più se pensi che c’è chi
vorrebbe portarli.
S: A proposito di date, come funziona
Riotmaker in merito?
A: Loro sono etichetta e basta quindi
non ci procurano direttamente date. Noi
però siamo stati avvantaggiati dal fatto
che avevamo già i nostri fan prima di entrare in Riotmaker. Poi un po’ di fortuna
con il video che gira in rotazione abbastanza elevata su AllMusic, e MTV che lo
passava già da prima. Poi il passaparola
della gente… Metti tutto insieme e capisci che abbiamo sempre avuto modo di
suonare con date diciamo ‘freelance’
quindi Riotmaker non ha dovuto intervenire d’urgenza tappando buchi. In realtà
loro sarebbero intervenuti con qualche
Riotmaker Night. Ora invece le agenzie
si stanno facendo avanti e Riotmaker
ci aiuta a sceglierne una piuttosto che
un’altra.
S: Sì, avremo fatto due date organizzate da loro, a Milano e a Udine. Non
fanno booking. Però il grosso merito di
Riotmaker è che è stata una delle prime
etichette indipendenti in Italia a prendere distribuzione Warner, secondo un sistema simile a quello americano. Perché
in America tante etichette indipendenti
creano attenzione così, e con loro i gruppi che ne fanno parte: tutto grazie alla
grossa distribuzione.
A: Ora se, per esempio a Cuneo, un
ragazzo ha visto il nostro video su AllMusic e vuole il cd, può andare da un
negoziante qualsiasi, richiederglielo, e il
giorno dopo ce l’ha. Nell’ambiente indie
non è poco per un cazzo.
M: Parlando della presentazione del
nuovo disco alla Rosa dei Venti: noi
c’eravamo, e possiamo tranquillamente
dire che si è trattato di un successo. In
mezzo al tripudio e alla meritata esposizione ho pensato però una cosa, che
è questa: una volta la proposta Otago,
pur essendo a grandi linee easy-listening
come adesso, era però più francamente
legata a un certo approccio parodistico
e sarcastico che presupponeva la conoscenza se non altro dei bersagli musicali
del vostro cabaret, ovvero tutte le emobands. Adesso pensando anche al bello
spettacolo e alle innumerevoli ragazze
che ballavano i vostri pezzi, si può par9 CMPST #3[07.2007]
Produzioni
biamo sentito la necessità di ironizzare
su entrambe le cose. In effetti a essere
obiettivi le ultime canzoni arrangiate
sono comunque pop: trasversale, sbagliato come dice Riotmaker, come dicono i giornalisti, ma indubbiamente pop. E
questo ha giovato anche alla resa delle
ultime date dal vivo, vedi Rosa dei Venti.
Vorrei precisare che non è sempre facile
riempire Genova, non è detto che anche se suoni in casa riempi. Tanta gente
è presa bene dall’evento gratuito, dalla
serata particolare. E’ venuta con lo spirito giusto, quindi ballava, ecc.
S: E’ venuta gente anche da fuori.
Poca, ma ne è venuta.
Ex-Otago Live - foto di Anna Positano
lare degli Ex-Otago come un gruppo più
accessibile, senza bisogno di avere un
certo tipo di conoscenze. Secondo voi
quanto ha pesato poter contare su questo discorso della grossa distribuzione in
questo senso?
S: Secondo me in questo caso non
tanto.
A: Nella tua domanda c’è una provocazione che ci sta, nel senso che prima avevamo dei pezzi che erano molto
più legati a un impianto acustico di un
certo tipo, e nel farlo cercavamo di far
capire che nelle nostre melodie ultra10 CMPST #3[07.2007]
catchy non c’era voglia di essere catalogati sotto un certo tipo di emo. Ovvero
quello che, prima delle varie derive My
Chemical Romance, Simple Plan e quelle
merdate lì, coincideva con i Dashboard
Confessional…
S: Sì, il peggio in quel momento era
quello.
A: …E tra l’altro i Dashboard Confessional facevano emo con una chitarra
acustica. Quindi noi ci siamo ritrovati a
suonare in un momento in cui eri etichettato o Kings Of Convenience o emo. Ab-
S: Era anche sabato sera…
A: E’ sabato seraaaah… io mi voglio…
divertireeee…
S: Comunque il posto è bello, se lo facevi al chiuso probabilmente non veniva
altrettanto bene.
A: E’ vero, anche se tanta gente non
ha potuto godere fino in fondo lo show
perché era già tutto pieno sotto.
S: Comunque in questo caso più della distribuzione del disco conta secondo
me il fatto che - per scelta - era da gennaio che non suonavamo. Non è poco,
visto che qui a Genova riempivamo già
prima. Si è creata un’attesa, poi il passaparola, il video che se non vedevi in tv,
lo vedevi su QOOB o YouTube. La gente
si è gasata tanto che Giorni Vacanzieri
abbiamo dovuto inserirla: l’avete sentita,
era totalmente improvvisata. Fortunatamente sta piacendo anche Amato, ed è
un bene visto che sta per uscire il video.
A: Ora c’è molta più improvvisazione
Produzioni
da parte nostra, molta più voglia di trovare un contatto forte con il pubblico,
soprattutto quando quest’ultimo dimostra di conoscere le canzoni. Ci interessa più questo del cercare di far cogliere
le citazioni: che comunque c’erano e ci
sono, in Amato come altre tre o quattro
canzoni del nuovo album, visto che alla
fine tutti noi abbiamo i nostri ascolti e in
qualche modo li inseriamo dentro le nostre cose in maniera ovviamente irriconoscibile. Sfido chiunque a dire che gli
Ex-Otago somiglino a un gruppo in particolare.
S: Ma più che fare un discorso di somigliare a questo o a quest’altro, direi che
è proprio la chimica tra noi quattro a fare
sì che il gruppo suoni in questo modo.
A: Diciamo comunque che è ben lungi da noi voler passare per gli Elio E Le
Storie Tese dell’indie. Ci piace, questo sì,
ironizzare su noi stessi e su tante cose, ad
esempio sull’incapacità tecnica di reggere un concerto in un certo modo, perché se cerchi di stare a contatto con la
gente ogni tanto ti scappa una nota. Ad
esempio sabato alla Rosa era impossibile suonare bene perché la gente ballava
e la chiatta si muoveva e io avevo paura
a usare gli strumenti-giocattolo per paura che finissero ai pesci.
M: Sempre proposito di composizione
e produzione, come la affrontate? E’ un
affare più serio di quanto sembri o riuscite a mantenere l’approccio disimpegnato che vi caratterizza dal vivo?
S: Quando sei in quattro teste non è
facile fare le scelte di produzione che
tutti vorrebbero; il risultato è quello che
convince al 100% tutti, ma non i singoli
secondo me. Bisogna trovare un compromesso.
A: La gestazione del disco è stata
piuttosto travagliata perché firmando un
contratto con la Riotmaker hai dei canoni prestabiliti di estetica e di suono. Alla
fine il risultato ci soddisfa, ma durante
la gestazione il nervosismo è salito alle
stelle anche per un gruppo come noi
che sembra sempre che ridiamo. Ma è
normale, sei dentro una stanza come un
topo tipo cavia da laboratorio.
S: Avevi delle date, dovevi stare in studio dodici ore al giorno, dal giorno tot al
giorno tot, quindi dovevi fare più lavoro
possibile in quell’arco di tempo.
A: E’ uno studio che costa, considera
che ci lavorano Subsonica, Negramaro,
Frankie Hi-NRG, gente del giro dei Tiromancino. Riotmaker lo ottiene a prezzo
ridotto perché dà delle edizioni a questo
studio, ma diversamente è un posticino
da 1000€ al giorno come minimo. Quindi
a noi è andata bene, essendoci stati grazie a Riotmaker ben due settimane.
S: Quanto alla composizione invece
non c’è una formula fissa. Certe canzoni
sono state scritte in 20 minuti [si intende
la base, la linea importante], certe altre
un paio di mesi. Tanti Saluti comunque è
composto da canzoni che sono in giro
da una vita. Luisa è il pezzo più vecchio,
Cooking Ovation il più recente, ma dal
primo all’ultimo c’è un percorso di almeno tre anni. C’è anche un paio di pezzi
che abbiamo tenuto fuori, più per imposizioni che per nostra volontà. Noi li
avremmo messi tutti. Abbiamo un tipo
di produzione da cui per assurdo non
esce mai un pezzo che non ci convinca,
e questo perchè prima di finire un brano
dobbiamo mettere tutti i puntini sulle i.
M: Quindi siete piuttosto pignoli anche
in fase di registrazione.
S: Il problema è che noi sia in saletta
che dal vivo siamo legati a un certo tipo
di sound quindi ovviamente al momento
di registrare vuoi sì mantenere una parte
di lo-fi, una parte di questo o di quell’altro, ma al tempo stesso senti di voler puntare sulla forza “pop” delle canzoni.
A: Con i mezzi che hai oggi hai la possibilità di fare un sacco di cose, nove giri
di tastiera ecc., ma il rischio è quello di
sovraccaricare tutto il suono. Ne paghi
lo scotto dal vivo, dove la gente se ne
accorge. Sente la differenza.
S: Un po’ lo abbiamo sovraccaricato,
in effetti. Comunque sfrutti il fatto di poter mettere quattro tastiere quando dal
vivo ne hai due, nonché il fatto di poterle
sovrapporre.
A: Sono cose che fanno anche gruppi
grossi di un certo calibro. I Bloc Party non
credo abbiano mai realmente suonato
una batteria vera in studio. Ma penso anche a gruppi, senza fare troppi nomi, che
hanno quattromila cori in studio e poi dal
vivo canta uno, per giunta stonato.
M: Ma se voi aveste avuto il controllo
completo anche del processo di registrazione, avreste fatto qualcosa che cattura
di più lo spirito live, qualcosa di, diciamo,
più analogico?
S: Lo avremmo fatto, ma il problema è
che se manteniamo quello spirito analogico ne viene meno anche la composizione. Su disco secondo me è importante che uno che non ci conosce si faccia
11 CMPST #3[07.2007]
Produzioni
un’idea il più possibile positiva, per poi
venire a vederci dal vivo e rimanere piacevolmente sorpreso di come le canzoni con meno strumentazione possano
in realtà rendere molto di più. In studio,
suonando in acustico, è molto difficile
rendere la stessa intensità che abbiamo
dal vivo ed è per questo che è più prodotto del precedente, ma non iperprodotto. Meno lo-fi, questo sì: ma lontano
da tante produzioni italiane, e parlo anche di produzioni indie. Quindi in studio
è importante conservare la forza delle
canzoni e dal vivo vanno amplificate in
intensità.
S: Io vi ho visto per la prima volta dal
vivo alla Rosa Dei Venti però avevo già
preso il disco. C’è un divario grosso, per
quanto anche il disco sia più che gradevole: l’ho fatto girare a nastro per due
settimane senza quasi ascoltare altro. Il
rischio in quei casi è sempre che poi un
disco lo molli per non riprenderlo più.
A: Sì tipo rigetto, ma alla fine quello ci
sta. A me casomai fa innervosire è che
venga considerato semplicemente “il disco estivo”.
S: Anche perché alla fine da September in poi ci siamo fatti portatori di una
malinconia che ha ben poco di estivo.
S: Già: alla fine, per quanto voi facciate i “cazzari” c’è sempre una sorta di malinconia. Certo: in Sasha è trasparente, in
Giorni Vacanzieri molto meno.
S: Considera poi che Giorni Vacanzieri
è un pezzo nato quasi per scherzo che è
stato anche remixato. E’ nato per essere
un pezzo dance.
A: Il miglior complimento che ho rice12 CMPST #3[07.2007]
vuto a riguardo è stato: Giorni Vacanzieri
= L’Estate Sta Finendo del 2007. E’ un pezzo che ha anche i suoi bravi tormentoni
a livello di testo, come “ho 35 anni, non
sono mica vecchio”.
S: Io in effetti mi ritrovo spesso a citare
pezzi di quel testo. Casomai è dall’altra
parte che quasi sempre non viene colto.
M: Una cosa che ho notato su disco è
l’impianto Pernazza un po’ addomesticato, un po’ disciplinato.
A: Me lo hanno detto tutti, però secondo me è giusto così.
S: Ti rispondo io che la vedo da fuori.
Pernazza più disciplinato, ok, ma molto
più attivo anche dal lato compositivo e
sotto il profilo degli stessi interventi rap
[freestyle, nota bene] che nel primo disco non c’erano. Poi Albe ha un background hip hop importante e i grandi
vecchi dell’hip hop di Genova lo sanno.
A: Aggiungi che troppi interventi miei
trasformerebbero il gruppo in una parodia: sia mia che del gruppo ed Ex-Otago è il gruppo di tutti e quattro, non solo
mio.
M: Io personalmente avrei preferito
una cosa più sopra le righe, con qualche
citazione emo-core, più urla, ecc.
S: Sono rimaste, però dal vivo. La verità
è che siamo anche stati presi alla sprovvista da tutta una serie di cose: non siamo abituati a uno studio importante, con
un produttore che ti sta col fiato sul collo
su tutto. Ci siamo ritrovati a litigare per
dei giri di tastiera che secondo lui erano
“sbagliati”. E questo perché è una persona che ha studiato e ragiona in termini
diciamo matematici. “Questa nota dopo
questa non ci può stare, suona male”. Ma
scusa, se l’abbiamo sempre fatta così ed
è il suono che vogliamo noi, non ti puoi
permettere... Alla lunga, dopo dieci giorni passati così, può darsi che anche noi
riascoltando il disco rifaremmo le canzoni
in maniera diversa. Succede comunque
a prescindere da queste cose: anche
quando non le registri, suoni una canzone una volta così e poi risuonandola la
cambi, la riarrangi, aggiungi o togli cose.
Io credo che la musica sia arte, e l’arte è
in continua evoluzione.
S: Forse i produttori sono abituati a ragionare in termini più accademici. Poi
magari sto generalizzando questo è stato
il vostro caso, e c’è produttore e produttore.
S: Non saprei, tieni però presente che
comunque Riotmaker di libertà in questo senso ce ne ha anche date. Siamo il
gruppo più lo-fi del loro roster, se vai a
vedere. Siamo però costretti a trarre il
massimo da una situazione che di base
lo-fi non è.
A: Gli Amari comunque in fase compositiva suonano in tre, dal vivo diventano
cinque. Loro sono dell’idea di infarcire
tanto, io invece sono per il less is more.
S: Secondo me è un problema di buona parte del pop di questi anni, ovvero
che è troppo, troppo carico. Ne perdi in
spontaneità.
S: Davanti alla possibilità di fare quello
che vuoi è facile eccitarsi. Però spesso
capita che alla fine il pezzo lo preferivi
com’era prima, quando aveva centinaia
di suoni in meno. E’ giusto che il disco suoni un po’ più squisitamente pop. Rimane
Produzioni
il fatto che siamo un gruppo genovese
non friulano oltre che il più punk di casa
Riotmaker. Speriamo di aver portato un
po’ di rinnovamento nel loro catalogo.
A: Ora andiamo a suonare in Friuli e
in Veneto, vedremo un po’ come ci accolgono.
S: Rimanendo invece su Genova: mi
pare che nei confronti degli altri gruppi
ci sia un buon attaccamento. Lo avete
anche dimostrato portando con voi alla
Rosa Dei Venti Japanese Gum, Rocktone Rebel ed En Roco. A fine concerto,
parlando con lo stesso Teo, ho detto che
alla fine è bene che in tutta questa gamma di generi diversi che offre Genova ci
sia qualcuno di pop nel senso di popolare, che emerge, che arriva fuori come
voi e trascina anche gli altri. La cosa sbagliata sarebbe uscire rimanendo però
per i fatti propri, isolandosi dal resto della
scena.
A:
Il problema di Genova è questo: se tu a Genova provi a chiedere
300€ a qualcuno per farti suonare, loro
ti rispondono: “vabbè, ma siete di Genova”… Però perché quegli altri fuori i
soldi me li devono dare e tu no? E così
facendo con noi già parti con il piede
sbagliato, perché è chiaro che non andiamo a chiedere 1000€ al Buridda, anzi,
non per fare del libro Cuore, ma ci siamo
ritrovati a dare dei soldi indietro ad alcuni centri sociali che ci volevano pagare
di più di quanto chiedessimo. Detto questo, quando sono cinque anni che suoni e hai delle spese [perché comunque
la Riotmaker ha pagato le registrazioni
ma noi abbiamo comunque una quota
importante da dare] ti aspetteresti un
briciolo di equità da parte dei locali: in-
Simone - foto di Anna Positano
vece succede che tu sai che un locale
lo puoi riempire, vedi che danno 500€ a
[con tutto il rispetto] Giorgio Canali perché PGR e Paolo Benvegnù perché ah
belin Scisma e a noi senti ancora dire “eh
ma dai voi siete di Genova”. Questo è un
approccio sbagliato che ti fa scappare
dai locali. Per quanto riguarda i gruppi,
noi abbiamo invitato tutti a rifare pezzi
degli Ex-Otago e poi portarli con noi alla
Rosa Dei Venti. Chiaro, alcuni erano totalmente fuori contesto, non c’era spazio
per tutti per motivi di tempo e di logistica, e così abbiamo dovuto chiudere un
attimo le frontiere però io comunque ho
apprezzato lo spirito in cui certe persone
hanno partecipato. E sono contento che
uno come Amedeo [Rocktone Rebel],
che si trova sempre a suonare con poca
gente, abbia finalmente avuto occasione di misurarsi con il pubblico che merita. Alcuni sono scappati perché la sua è
una proposta particolare e al Rosa Dei
Venti c’era gente di tutti i tipi: altri però
l’hanno scoperto e sono rimasti piacevolmente sorpresi.
S: Ne parlavo con Cesare [Useless
Idea] che mi diceva che in realtà ciò che
fa non è così diverso, c’è una riga di gente anche solo in Italia che fa 8-bit…
13 CMPST #3[07.2007]
Produzioni
S: Vero, infatti è uscita anche la compilation [Bit Beat, per i tipi di To Lose La
Track, NdSimo]…
S: …Però il punto è che nella scena genovese, così come italiana e mondiale,
Amedeo ha dei margini di miglioramento notevoli perchè è giovanissimo. Già
rispetto ai suoi esordi ha avuto un’evoluzione incredibile e nel giro di pochissimi
anni.
A: Lui era partito con un Korg e l’idea
di fare una sorta di Casiotone For The
Painfully Alone genovese. Però, con tutto il bene che gli voglio, non è intonato
come non lo sono io: e quindi ha ripiegato su questa cosa, e ha fatto bene.
S: Per finire darei sfogo al mio lato eMpTV, chiedendovi sia di questa cosa del
contest per il video di Amato su QOOB
sia del vostro rapporto in generale con il
media videoclip.
A: I videoclip sono fondamentali: ora
come ora, nello stato attuale della musica italiana, conta più il video che un
cd fuori. Il cd lo puoi avere in più modi,
magari lo scarichi, lo masterizzi da un
amico, lo tiri giù dai vari blog. Il video è
quello che ti fa il cachet. Se vuoi andare
a suonare fuori, è il video che ti fa da curriculum. Anche se passano dieci giorni,
basta che qualcuno lo abbia visto una
volta sola e la voce in qualche modo si
sparge.
S: Per assurdo nel 2007 con il video hai
più possibilità di raggiungere la grossa
distribuzione piuttosto che con un passaggio su Radio DeeJay. Su MTV hanno
iniziato a passarci di notte, alle 4 o alle
5 del mattino, e siamo arrivati alle 6 del
pomeriggio su Our Noise.
14 CMPST #3[07.2007]
S: Io vi ho visti su Brand:New, su Sky.
S: Comunque sono tutti equivalenti
di Radio DeeJay o di Radio Dimensione
Suono, insomma: di mega-network cui
normalmente è molto difficile avere accesso.
A: Con la cosa dei media in generale
comunque c’è sempre da stare attenti.
QOOB però ci sembra un ottimo mezzo
anche per uscire un po’ dagli standard
del videoclip contemporaneo e ridare
spazio alla creatività dei veri registi.
S: Purtroppo non siamo gli unici coinvolti nella giuria, nella valutazione cioè
dei lavori che stanno arrivando e arriveranno. Le votazioni saranno divise tra
noi, Riotmaker e QOOB, Ed è ovvio, se la
cosa fosse in mano solo a noi potremmo
bossarcela in un sacco di modi e fare un
sacco di mafie. Ad esempio io faccio
fare il video a te, lo voto per amicizia anche se magari mi piace meno di altri e i
3000€ di premio vanno in tasca a te, o ce
li dividiamo. Non sarebbe molto corretto.
La speranza è che chi se li porterà a casa
ne farà un uso costruttivo, preferibilmente legato a questo genere di cose.
M: Rilancio con una domanda nella
domanda e poi chiudiamo davvero: parlando di media più nuovi del videoclip,
come gestite la questione MySpace?
A: Leggevo proprio su Compost la
column di Casari diceva di non perdersi
troppo a pimpare MySpace e cose simili e farsi anche un sito. Sono d’accordo
con Matte su certi aspetti. Noi ad esempio non mandiamo request a nessuno
e guardiamo solo chi addare e chi no:
diversamente dovremmo passarci sopra dieci ore al giorno e non ci sembra
il caso. Poi leggiamo le mail e annunciamo le date. Stop. Rimane però che
è un veicolo incredibile: è più colorato
e più immediato di un sito ufficiale. E lo
dico obiettivamente, non certo perché
siamo un gruppo “della generazione MySpace” come altre nuove band tipo My
Awesome Mixtape in cui il ragazzo ha 22
anni, ha tempo da perdere online e si è
creato così il proprio successo [oltre che
con le parentele che sappiamo]: procacciandosi date, commentando ovunque, ecc.
S: Effettivamente è aumentata la semplicità nelle interazioni, del tipo che invece di mandare mail alle etichette
sperando che abbiano tempo e modo di
leggerle puoi mandare direttamente una
request e questi, ciccando sul tuo profilo, possono sentire la tua musica direttamente e crearsi un’idea da subito.
S: Queste sono cose che più o meno
puoi fare anche con un sito, secondo me
infatti non c’è grossa differenza tra un
MySpace e un sito. Il punto però è che la
creazione di un profilo su MySpace è sufficientemente immediata da consentire
a tutti, anche a noi, di darci una visibilità
in rete in pochissimo tempo. Se Internet
in questo è già il veicolo per eccellenza, con MySpace hai la semplicità nella
semplicità.
Più
info
sulle
attività degli Ex-Otago
su
http://www.myspace.com/exotago
Fanzine
“Essenzialmente lo facevo per me,
poi le facevo leggere agli altri.“
La Repubblica Di Latta
Intervista con Mauro Ghirlanda
di Matteo Casari
CARTA FORBICE E VIDEO
Negli ormai lontani anni 90, quelli in cui non si riusciva ad uscire
dal decennio precedente, prima della rivoluzione informatica e del
tutto e subito, c’era, anche a Genova, una casta di piccoli artigiani che hanno miniato le loro storie per pochi fortunati. Uno di questi
segreti fini incisori è Mauro, per tutti Momo, chitarrista, di giorno, con gli
Heartside e i Sybil e, di notte, fanzinaro estremamente attento al
contesto. Ha toccato vari stili e ha smosso le acque del decennio
prima di ritirarsi a vita monogama e monacale. Non serve però
pressarlo più di tanto per riportarlo ai vecchi entusiasmi e
convincerlo ad esserci di nuovo. Speriamo che dai fortuiti incontri di
quest’ultimo periodo e dalla nuova situazione locale si possa arrivare
presto a rivederlo su un palco. Per ora, ecco la nostra chiacchierata.
La Repubblica di Latta, Wait A Second, Broke, Buio Omega, Hidden
Crimes... Quale impulso ti ha spinto a
pubblicare così tante e così diverse
fanzine negli anni ‘90 ?
Erano gli anni novanta e a Genova c’era veramente poco: fra noi e la
vecchia scena punk genovese c’era
un gap generazionale e di contatto,
bisognava ricreare tutto, dai concerti,
ai gruppi e, ovviamente, anche tutta
la scena che gravitava intorno.
in quegli anni c’era solo Red House,
dove si potevano comprare i dischi della media distribuzione, e c’era Blast:
ma era tutto l ì. Ero entrato in quella
sfera e dopo poco, come tutti gli altri, avevamo bisogno di qualcosa in
piu’. Fuori c’erano le piccole etichette
italiane dell’epoca che, oltre che pro durre (adesso rari) 7”, scambiavano
con l’estero e davano vita all’anima
del diy, oltre che funzionare da piccoli
importatori. Fuori da Genova c’erano i
concerti e c’erano anche le fanzine più
o meno emo, più o meno musicali ecc.
Con gli Heartside e la piccola distribuzione di Luca Brengio potevamo portare anche noi la nostra traccia fuori.
Scrivere e fare fanzine in quegli anni
era divertente e per certi versi fondamentale.... E poi mi piaceva da matti
scrivere di quello che mi interessava
Ti è servito stampare tutte quelle fanzine?
Boh. É servito a raccontare stati
d’animo e sensazioni. Essenzialmente
lo facevo per me, poi le facevo legge re agli altri. Mi sono divertito un sacco,
andavo in giro a fare foto e ritagliavo
di tutto, dai giornali e dalle riviste; poi
mi divertivo ad assemblarle ovviamente scopiazzando da quello che vedevo
in giro: era bellissimo.
15 CMPST #3[07.2007]
Fanzine
Come le hai distribuite?
Ho sfruttato la distro/banchetto di
Luca e poi le ho scambiate con altre
fanzine. Non che il mio materiale fosse questa grande merce di scambio...
Però alla fine qualcuno interessato lo
trovavo sempre.
Quale importanza rivestiva il target
nella loro composizione?
Target? Non saprei, il mio approccio
alla fanzine era veramente “punk”...
Prendevo dei fogli A4 e ci incollavo le
cose sopra, un po’ scritte a macchina
un po’ a mano, e poi, con pazienza, fo tocopiavo il fotocopiabile. Non badavo a nulla, se non al risultato che alla
fine doveva essere il più diretto possibile. Tutto qua. Quello che ne usciva alla
fine era storto, non chiaro, scuro, ma
alla fine genuino.
trovato una pagina che mi ha fatto
sobbalzare, c’è scritto: Non si butta via
niente, proprio come nel sottotitolo di
Compost.
Vedi certe idee alla fine non cambiano; lo stile e’ sempre quello che sia
il 1990 o il 20 07. Non si butta via niente
no ! Perchè poi vai in soffitta e guardi
quello che hai fatto e una fetta di ricordi che avevi inevitabilmente perso
riaffiorano alla tua memoria. Ti sembra
di rivivere certe situazione e certi momenti.
Pare quasi che per ognuna ci sia un
target ben diverso. Come parti diverse
della scena in evoluzione che vengono
raggiunte dalle tue parole e immagini. Mi spiego: Hidden Crimes, fanzine
“Straight Edge Comunista”, le immagini di Broke, le storie di vita vera de La
Repubblica di Latta, l’emo primitivo di
Wait A Second, la tua passione per i Bmovies in Buio Omega...
Beh, direi di si, questo è, in condensato, l’elenco delle cose che mi piace vano di piu’ e che volevo condividere
con altri. E, ovviamente, a piccoli passi
hanno seguito una specie di evoluzione.
Tu hai fatto parte di due dei gruppi
più importanti degli anni ‘90 genovesi :
hardcore con gli Heartside e slowcore con i Sybil. Raccontaci qualcosa di
queste due esperienze.
É stato bello viverle entrambe, anche
se completamente differenti, a Geno va una band hc non esisteva e, forse,
fino agli Heartside non ne erano esistite (almeno di quel tipo e in quel contesto). É nata ed è cresciuta insieme a
quello che in italia stava succedendo.
É cresciuta insieme al nostro modo di
pensare e di vivere; siamo riusciti a
portare avanti un sacco di ideali ed
idee che ancora sono parte viva della
nostra vita. Per i Sybil, che sono venuti
dopo e come si suol dire un po’ più maturi, sono stati momenti fantastici. Non
ci capivamo un gran che, il progetto
è nato, abbiamo goduto un poco del
momento e poi è finito tutto. A posteriori avrei voluti rendermi conto meglio
di quello che stava succedendo.
In un numero di Wait A Second ho
Oggi siamo in contatto con tutto il
16 CMPST #3[07.2007]
mondo in pochi secondi via internet. Mi
ha colpito non poco l’intervista con il
tipo della scena di Singapore del terzo
numero di Hidden Crimes. Come funzionava dieci anni fa uno scambio del
genere?
Funzionave scrivendosi lettere e
scambiandosi flyers. Insieme alle lettere ci univi un folto numero flyers che
pubblicizzavano un disco, una fanza
ecc. Ci buttavi in mezzo quello che ti
era arrivato a tua volta per posta. E tutto funzionava così. Lentissimo ma ine-
Fanzine
“Non
mi
interessava
la
qualita’
dell’immagine
mi
interessava
l’immagine
e
quello
che
c’era
dietro.“
sorabilmente palpabile. Da l ì partiva
la base dei contatti che ognuno di noi
teneva con le band, con gli amici, le
etichette e via dicendo.
Parallelamente ad un discorso di
contenuti hai portato avanti una ricerca sulle immagini. Fai fotografie e
le metti nelle tue zine: ma non le hai
stampate, le hai fotocopiate. Come affronti e compensi la perdita di definizione e di fedeltà delle immagini?
La perdita della definizione era la
base di quello che facevo ! Non mi interessava la qualità dell’immagine, mi
interessava l’immagine e quello che
c’era dietro. Andavo in giro con la mia
macchina e fotografavo; poi, alla fine,
facevo una raccolta di immagini che
mi interessava far conoscere. I mezzi
erano sempre quelli: il foglio A4 e le fotocopie, quello non era null’altro che
essere hardcore o punk.
Quali sono i tuoi attuali progetti?
Mamma mia mi piacerebbe fare un
libro di testimonianze sul punk e HC
della scena genovese dal 90 in poi.
Quello si che è un sogno che continuo ad avere nel cassetto. E poi... Vorrei rimettermi a suonare ! Sono sincero
però: il tempo rimasto lo dedico a mia
moglie e alla mia futura famiglia.
Come sei messo con internet? Myspace, Flickr...
Un po’ maluccio ... É un mondo che
mi interessa solo in parte, per certi versi sono legato ancora alla recensione
letta su un giornale e, poi, all’acquisto
in un negozio (ma ce ne sono ancora?)
per altri vorrei farmi travolgere dal web,
ma forse non ho il tempo per dedicarmici. Sono cresciuto così, il bello era la
ricerca del disco, trovare il flyer, scrivere all’etichetta, aspettare la risposta e
poi cambiare i dollari, metterli in busta
e sperare che quel 7” arrivi non rotto.
Era macchinoso e lento ma quello era
proprio il bello di quei tempi.
Qui non si butta via niente e io mi
riciclo le domande. Per concludere,
secondo te, nel 2007, ha ancora senso
fare una fanzine?
Assolutamente si, e, per certi versi,
è fondamentale come lo era anni fa.
Non è cambiato nulla, sono solo cambiati i mezzi. Comunque, grazie a te
Matteo che mi stai facendo rivivere
momenti e situazioni che ahimè sareb bero dimenticati.
17 CMPST #3[07.2007]
Fanzine
“Eppoi esce sempre fuori qualche
cosa di cui viene voglia di parlare…”
Sodapop
Intervista con Emiliano Grigis
di Marco Giorcelli
DIECI ANNI
1997-2007. Decennale della web-zine più letta di Genova. Se una volta
la Superba aveva lo Psycho o l’Albatros come punto di riferimento (leggi d’aggregazione), oggi ed anche ieri, Sodapop, spazio virtuale online, è stato ed è capace di coagulare le diverse realtà cittadine e non,
tra le più disparate. L’Ingegner Grigis ama il rock n’roll. E questo basta,
ma non quello mainstream bensì l’indie-rock, etichetta che oggi vuol
dire tutto e niente. Emiliano è il webmaster, il redattore, insomma il deus
ex-machina della fanza che, a dispetto di mode, tendenze e dissapori, continua a stare in piedi e a dir la sua praticamente ogni giorno.
Perché ancora parlare di indie rock
dopo dieci anni? Dove la trovi la voglia
di metterti online, ogni santo giorno,
dopo otto di ufficio?
E dove la trovi la voglia tu, di intervistarmi ancora? E’ già la seconda volta!
A parte gli scherzi, finché avrò voglia
lo farò: dieci anni però non sono pochi… come dicono le nonne, il tempo
vola. Però qualche cosa per resistere
al tempo l’ho cambiata: con il restyling
completo del sito fatto l’anno scorso la
gestione è molto più facile, per cui c’è
più tempo per ascoltare la musica e, se
18 CMPST #3[07.2007]
avanza tempo, scriverne. In più ho tagliato la corrispondenza: c’è uno spazio
F.A.Q. pieno delle solite domande a cui
non rispondo più via e-mail, giusto per
sopravvivere… Insomma ho ridotto il più
possibile i tempi morti, cercando di razionalizzare dove potevo, dato che il lavoro
e il resto della vita in generale portano
via sempre più tempo: in fondo avevamo anche tutti quanti dieci anni di meno
e molte cose erano diverse per tutti noi.
Eppoi esce sempre fuori qualche cosa di
cui viene voglia di parlare…
Credi che Sodapop sia riuscita a contenere e soprattutto a mettere d’accordo
realtà così disparate come quelle che si
muovono in città?
Non penso, Sodapop non si è mai interessata ad essere “genovese”, non abbiamo mai dato un taglio cittadino alle
cose che abbiamo scritto in questi anni,
forse per presunzione, o perché il titolo di
fanzine genovese ci sta stretto, ci limita
un po’: saremo anche bravi a Genova,
ma quante cose belle escono in giro per
l’Italia e soprattutto all’estero? Ecco,
ci avete scoperto, siamo pure un po’
esterofili… ma forse per gli amanti delle
musiche di matrice anglosassone credo
sia quasi normale. Resta il fatto che cerchiamo di parlare delle cose belle che ci
sono in città, naturalmente, e ne siamo
molto contenti: siamo più un sito che ha
connotazioni di genere più che geografiche, ma negli anni abbiamo cercato di
promuovere anche le cosa di casa nostra, forse meno puntualmente di altri.
Credi che la web-zine possa essere associata o accomunata ad altri media di
settore specializzati proprio in rock indipendente? (Blow Up, Rumore o lo stesso
Genovatune, in ambito cittadino).
Fanzine
“Stare a contatto con la musica indipendente porta senz’altro ad evolvere i propri gusti.“
Direi che siamo su un altro piano: mentre ci sono fanzine come Blow Up che si
sono trasformate in rivista e siti musicali
che ambiscono in modo più o meno velato a fare questo salto verso l’edicola,
devo dire che il taglio che ho preferito
dare a Sodapop è sempre stato quello
più “basso”, da fanzine, anche perché
preferisco che il mio impegno si concentri di più sulla musica stessa che sull’organizzazione e sulle pubbliche relazioni
che inevitabilmente portano via molte
risorse se si vuole fare un percorso verso
“il professionismo”: per farti un esempio
quando si sceglie la via del magazine
occorre parlare di tutti i cosiddetti “fenomeni” dell’anno e non si può evitare
di scrivere di TUTTI i dischi considerati in
giro come “cool”… invece noi ci occupiamo solo di quello che ci pare, senza
voler fornire una informazione apparentemente più “completa”, ma poi in realtà
pure più omologa; non siamo alla ricerca del fenomeno per anticipare gli altri,
non vogliamo essere gli iniziatori di qualche trend musicale… insomma restando
al nostro livello non siamo interessati alla
competizione, al completismo e ad altre
faccende in cui altri sono molto più bravi di noi: semplicemente forse non è la
nostra cosa.
Discorso diverso poi per Genovatune
che, come si capisce dal nome, si occu-
pa al 100% di Genova, comprendo praticamente tutti i generi, cosa che per il
nostro snobismo elitario non potremmo
mai fare; ma in fondo anche qui si torna al discorso di prima: parliamo di musica (rock, punk, hardcore, metal, elettronica, jazz, sperimentazione) ma solo
quando quello ascoltiamo ci interessa,
ci dice qualche cosa, senza costrizioni
di genere o luogo, forniamo solo alcuni
consigli/opinioni/idee a chi ha voglia di
leggerci.
Dieci anni son lunghi. Come si sono
evoluti i gusti degli utenti di Sodapop in
tutto questo tempo?
Stare a contatto con la musica indipendente porta senz’altro ad evolvere
i propri gusti, trovandosi davanti questo
calderone di musica sempre in movimento: nel ’97 eravamo all’inizio degli
anni in cui usciva fuori il post rock, dopo
la fine dell’ondata grunge e britpop, poi
sono arrivati il revival anni ’80, l’hip-hop
bianco, il glitch, il new folk e tante altre
cose… Le riviste e i nomi più blasonati
del giornalismo secondo me giocano un
po’ a creare nuovi hype, c’è chi li segue
e chi si mostra più critico cercando una
propria strada: di certo ogni anno esce
sempre buona musica in diversi ambiti e
cercando con pazienza la si può trovare,
più si desidera dare un taglio personale
ai propri gusti musicali più occorre stare
in ascolto con attenzione.
Tu credi che ci siano band o musicisti
che dovrebbero sentirsi in debito con Sodapop per la promozione ricevuta?
Assolutamente no, siamo noi di Sodapop che saremo sempre in debito con
chi ci ha inviato del materiale per un giudizio! Sia chi ha mandato dischi interessanti o meno, generi che ci piacevano
oppure no, chi ha sopportato le critiche
e chi si è offeso… tutti quanti; è soprattutto grazie a loro che abbiamo riempito il sito con circa 2500 recensioni. Già
che siamo nei ringraziamenti c’è un posto importante per tutti quelli che hanno scritto qualche cosa per Sodapop
(quindi anche a un aficionado come te
caro Giorc) e poi “last but not least” tutti
quelli che ci lasciano messaggi nei commenti agli articoli, nelle caselle di posta
e soprattutto nel nostro Forum, da sempre crocevia di scazzi, risate, polemiche
e cazzate.
Quali sono le band cittadine che orbitano intorno a Sodapop?
Intorno a Sodapop orbitano logicamente prima di tutto le band attorno
alle persone che scrivono sul sito, principalmente quelle della Marsiglia di Matteo Casari (il papà di Disorderdrama e
Compost); inoltre il contatto personale
è molto importante e quindi tutte quelle
persone con cui ci incontriamo ai concerti e che suonano di conseguenza prima o poi arrivano a Sodapop. Potrei fare
dei nomi ma l’elenco è davvero troppo
19 CMPST #3[07.2007]
Fanzine
lungo… Pure tu se avessi un gruppo potresti essere recensito, ancora meglio se
diventassi il bassista della band di Perseo
Miranda o di Magross.
Non hai mai pensato di mollare il lavoro e dedicarti alla fanzine a tempo
pieno?
Ci ho sempre pensato come ad un
sogno, qui in Italia lo potrei fare solo se
potessi vivere di rendita! Per dedicarmi
alla fanzine a tempo pieno dovrei essere
in un paese dove il mercato della musica avesse qualche zero in più nei propri
conti, come nei paesi anglosassoni: da
noi chi vuole vivere con lo scrivere di
musica deve, tranne pochissimi casi, cominciare ad allargare le proprie vedute
(o meglio restringerle) avvicinandosi al
mainstream, in modo da poter arrivare
alla fine del mese; preferisco stare con
i piedi per terra, prenderlo come un
hobby e potermi esprimere più autonomamente: niente pubblicità “dovute”,
niente MTV.
Senza contare poi che passando in un
settore più professionale è inevitabile il
dover garantire una maggiore qualità
in quello che si produce (cosa più facile
a dirsi che a farsi…) e acquisire prima o
poi quel velo di “serietà” da precisini che
non credo faccia per noi di Sodapop!
Come si può interagire con la webzine? Esiste una forma di registrazione
oppure “è un liberi tutti”?
20 CMPST #3[07.2007]
Come ho già detto prima, un elemento molto importante per noi è la relazione
con l’esterno. I metodi per comunicare
con noi attraverso il sito sono principalmente tre: la email con cui si può scrivere ad ognuno di noi, i commenti agli
articoli (consentiti solo a chi si registra)
e il nostro Forum. Quest’ultimo è il nostro
spazio aperto e libero, perché in questo
mondo di registrazioni e avatar consente
ancora di scrivere mantenendo l’anonimato (come nelle vecchie messageboard che c’erano prima del web 2.0),
in modo da avere la massima libertà:
come potrebbe sennò un addetto ai lavori commentare come gli pare e gli piace qualche cosa relativo al mondo dell’italietta indierock e poi sopravvivere?
La verità è che in questo piccolo mondo
di ripicche e critiche striscianti, il “volemose bene” è solo una facciata sotto la
quale spesso si replicano le dinamiche
del mondo mainstream, solo ripetute in
piccolo e “tra poveri”, il che rende il tutto anche un po’ patetico. Qui qualcuno
può arrivare, scrivere e andare via… naturalmente se si iscrive e mette in chiaro
la propria identità il suo parere è di un
altro spessore, ma sul nostro Forum c’è
posto per entrambe queste persone.
Mai pensato ad un formato cartaceo?
Magari con sponsor paganti.
Se ne parla ogni tanto, ma in prima
persona non mi sento di affrontare questa avventura, per ora: magari in futuro
Emiliano - foto di Anna Positano
con la collaborazione di qualcheduno.
Come ripeto spesso però, quello che
non abbiamo ancora fatto a Sodapop
non è detto che non ci vada a genio farlo, più che altro se qualcuno è disposto
a prendere in carico un aspetto che al
momento non abbiamo ancora curato
basta che lo dica… e possiamo metterci
d’accordo. Quello che mi farebbe piacere dopo dieci anni è avere qualche
Fanzine
“Sulla rete scriviamo tutti di fretta
due parole e una faccina, si può
facilmente assumere un carattere
che poi non corrisponde a quello
che realmente si ha nella vita vera.”
collaboratore dal punto di vista organizzativo: chessò qualcheduno che si
occupi della promozione oppure di altre
iniziative… speriamo.
Credi che tra vent’anni qualcuno si ricorderà di Sodapop, come oggi rievocano il Concerto Grosso dei Trolls?
Non siamo così importanti, dai! Le cose
si fanno sempre sperando che qualcheduno le apprezzi, poi quello che verrà
verrà… Però per essere celebrati alla
stesso modo dei New Trolls dovremmo
anche noi avere la nostra fase più “melodica”, e non so se saremmo in grado
di tirare fuori qualche pezzone come:
“Quella carezza della sera o quella voglia di avventuraaaaaa…”!
Chi meriterebbe una recensione tra i
blasonati di ieri? New Trolls, Matia Bazar oppure Delirium?
A differenza di molti non abbiamo ancora dedicato uno spazio ai dischi del
passato: mescoliamo articoli sulla musica di ieri e di oggi senza soluzione di
continuità, per cui magari prima o poi
capiterà qualche cosa, anche se non
siamo proprio orientati verso quel tipo di
suoni… Forse sarà più facile che tu faccia una recensione dei Sadist.
Chi sono gli utenti di Sodapop?
Risposta molto difficile… con il tempo
abbiamo raggruppato una serie di persone interessate alla musica che piace a noi, coinvolte o meno nel mondo
musicale indipendente italiano: alcuni
sono genovesi, altri no, ma nel complesso sono nati dei buoni rapporti con molti
di loro, che studiano oppure lavorano e
hanno diverse età.
Io però non considero la comunicazione attraverso Internet alla stessa stregua
dei rapporti che si possono avere incontrando le persone o anche solo avendo
un contatto telefonico: sulla rete scriviamo tutti di fretta due parole e una faccina, si può facilmente assumere un carattere che poi non corrisponde a quello
che realmente si ha nella vita vera: nonostante usi la rete da ormai dodici anni
non sono un fan della Second Life e
quando è possibile preferisco sempre incontrare gli utenti di Sodapop “dal vivo”,
magari in occasione di un bel concerto.
Se la Sony ti mandasse qualche cd dei
suoi artisti, verrebbe recensito oppure
ignorato?
In dieci anni una sola volta ci è arrivato
del materiale da una major, ed è stato
recensito come il resto, né più né meno…
Dopo il restyling estetico, informatico ed
organizzativo dell’anno scorso, ci siamo dati una nuova politica riguardo al
materiale ricevuto: non scriviamo più di
tutto al 100% come facevamo prima,
ma selezioniamo e ci occupiamo solo di
quello che riteniamo interessante, ovviamente major comprese.
Ma insomma, c’è speranza per Genova? Oppure era meglio affondare davvero nell’eroina e nel brigatismo?
A livello generale, penso che Genova
senz’altro sopravviverà, attenta come è
sempre stata alle sue risorse se la caverà
anche questa volta: certo la sua proverbiale chiusura continua ad esserci e non
penso che le cose cambieranno tanto
facilmente.
In un certo ambito musicale indipendente c’è un po’ di ricambio generazionale, ma i numeri sono sempre più o
meno quelli: più che altro è una carenza
di interesse da parte dei genovesi, da
sempre molto compartimentati nelle
loro frequentazioni e particolarmente
pigri nel frequentare nuove persone o
ambienti diversi (salvo poi rivelarsi abitudinari fino alla morte una volta “preso il
giro”), unita anche ad una cronica incapacità di promuovere per bene le cose
che si fanno, magari con un maggiore
supporto dei media che ci sono a disposizione.
Leggete
Sodapop
http://www.sodapop.it
su
21 CMPST #3[07.2007]
Export
“Ci sono sempre state amicizie,
persone che si rispettano e si
vogliono bene, ma ho sempre
pensato al concetto di scena
come roba molto di diversa.”
K.C.Milian / Cragstan Astronaut
Intervista con Guglielmo Rossi
di Matteo Marsano
DAL NOSTRO INVIATO
Guglielmo Rossi. K.C. Milian. Due nomi fino a pochi anni fa indissolubilmente legati a Genova e a quella ristretta cerchia di gruppi
e musicisti che siamo soliti, fatecene o meno torto, chiamare “scena”. I K.C. Milian (Kids Claiming Milian – Thomas, quello dell’ispettore Nico Girardi alias Er Monnezza) sono stati, per chi scrive, una delle
realtà musicali della città il cui output più felicemente si sposava con
i nostri padiglioni auricolari, fautori di una raffinata mistura di emo a
tinte kinselliane (chi se li ricorda gli American Football?) e di un certo post-rock intricato, geometrico e ritmicamente dinamico (soprattutto nell’ultimo periodo di attività, in cui il gruppo era ridotto a trio).
Ma i K.C. Milian, nelle parole di Guglielmo Rossi, chitarra e anima del
gruppo, sono “morti e sepolti”, e il loro ricordo più recente è quell’ultimo, emozionante concerto al Lab. Buridda ormai due anni or sono.
Quello che molti non sanno è che Guglielmo è stato uno dei “padri fondatori”
della nostra fanzine, uno di quelli che
c’era dall’inizio e che la musica non si
accontenta di suonarla, ma anche di
promuoverla e coccolarla, nel più puro
22 CMPST #3[07.2007]
spirito DIY. Un emigrante d’eccezione
per Compost, un interlocutore obbligato, inviato ad honorem dalla Londra
un po’ malinconica che ci tratteggia,
città nella quale all’oggi vive e studia.
Una chiacchierata telematica che, ol-
tre a farci rimembrare i vecchi tempi,
quando erano gli “orsetti gommosi” a
girare sui nostri impianti, ci informa del
presente e futuro, artistico e lavorativo,
di uno dei musicisti genovesi che più ci
spiacerebbe apprendere di aver perso,
oltre a gettare una luce su come le cose
cambino aspetto se viste dalla più ampia prospettiva dell’altra sponda dell’English Channel.
Iniziamo dalla rivista. Indiscrezioni
vogliono che tu sia stato uno dei proponitori originali dell’idea di una fanzine cartacea che trattasse la “scena”
genovese. Addirittura parrebbe che sul
nome stesso “Compost “ pesi la tua influenza avuta in fase di concertazione,
e ammirando ora il logo che avevi a suo
tempo proposto, le voci di cui sopra fanno presto a trasformarsi altrettanti cori
da stadio. Scherzi a parte, che ne pensi
del lavoro fatto sinora (ho amici brutti
e cattivi nell’East End, quindi sii sincero)? Ammettendo che al terzo numero
una fanzine è ancora, freudianamente, in piena fase orale, ritieni che ci sia
speranza, con le premesse di questi tre
vagiti, che il virgulto d’inchiostro si trasformi in una realtà cazzuta? E infine: sei
andato a Londra per scamparti un posto in redazione, o hanno aspettato che
te ne andassi da Genova per iniziare a
stampare?
Ciao Marso, iniziamo dalla fanza, perfetto. A dire la verità, la fanzine di per
se è sempre stata una di quelle cose
che mi sono frullate in testa per anni,
ne parli con gli amici, decidi dieci nomi
diversi, tutti fighissimi, poi tempo che
arrivi a casa ti metti a fare dell’altro e
buonanotte… Credo di aver fatto e disfatto almeno una quarantina di gruppi
(come tutti quanti voi, ne sono sicuro) in
questo modo. La verità è che di cose da
dire ce ne sono sempre state a pacchi,
io purtroppo ho le mie tempistiche, che
non sono quelle svizzere, ma quelle tipiche del DIY, inoltre sono pure contorto,
le cose le devo partorire. Ultimamente
inoltre, la gente mi deve prendere per le
orecchie e rompermi le scatole per fare
un qualcosa, per un po’ ha funzionato
che ero io a rompere le scatole agli altri,
ora non sono più così volenteroso. Come
attenuante posso alludere al fatto che
a Genova c’è troppo sole, il mare, troppi amici e distrazioni. Fossi cresciuto in
qualche postaccio grigio, probabilmente avrei scritto quintali di fanze. Tutte
fotocopiate, tagliate e cucite, ovviamente non tirate a più di 20/30 copie.
Ecco, si, infatti, anche in questo caso è
colpa di Genova… Ora che sto a Londra
e piove e tutto costa, magari, invece di
uscire la sera, mi metto a fare una fanza.
Di blog e porcherie del genere proprio
non ne voglio sentir parlare, la fanza potrebbe essere un buon compromesso.
Per quanto riguarda Compost: magari
mi sbaglio, ma non credevo che il primo
fine fosse testimoniare la scena genovese, quanto parlare in generale di quello
che succede nella nostra città, non mi
piace fare il puntiglioso e il catastrofico,
ma a meno che le cose non siano cambiate negli ultimi mesi, a Genova io non
mai avuto modo di vedere, negli ultimi
anni, quella che chiami scena... Ci sono
sempre state amicizie, persone che si rispettano e si vogliono bene, ma ho sempre pensato al concetto di scena come
roba molto di diversa. Matteo sa che
mi è sempre stata simpatica la frase: “A
Genova non si butta via niente”, avevo
anche disegnato un logo per Compost.
Tuttora ritengo sia incredibilmente meglio di quello fatto da Matteo, ma essendo io emigrato all’estero sul più bello, non è il caso di farglielo pesare. Cari
ragazzi, mi sembra stiate facendo un
Export
“Per come la sto vivendo io, a
Londra bisogna semplicemente adattarsi e stare alle regole
del gioco, se ci riesci è fatta. “
ottimo lavoro, ve lo dice un fanzinaro di
vecchia data, che nemmeno è riuscito
a scrivere il numero zero della sua, continuate così! Per quanto riguarda la fine
della domanda, mi fai sorgere il dubbio,
forse è la seconda che hai detto. Prometto di preparare una fanza entro la
fine dell’estate, giunti a questo punto.
Londra e Genova sono due realtà che
appaiono distantissime. Della prima,
si dice un gran bene per quello che riguarda il fermento culturale e creativo,
male per aspetti come la vivibilità, il
costo della vita, l’accoglienza riservata
a quelli che vengono da fuori. Sembra
che la proverbiale torta di riso (che da
loro/voi equivarrà, chessò, all’arrosto
della domenica o agli scones al burro)
sia “finita” anche al di là dello stretto
di Dover, con una scarsa propensione
all’ospitalità come unico denominatore culturale comune tra metropoli e
“provincia”. Fatte le debite proporzioni
(il paragone con Londra sarebbe più
calzante – e avrebbe esiti sicuramente diversi – se fatto con una città come
Roma), trovo si possa comunque trarre un’analogia tra la “nostra” chiusura
mentale, modesta e provincialissima, e
quell’isolazionismo geografico e culturale d’oltremanica, isolazionismo che –
tra l’altro, e a differenza del genovesato
- denota fra i sintomi una certa autoreferenzialità musicale, con i gruppi non in23 CMPST #3[07.2007]
Export
“Locali che chiudono: Madeleine
e Mascherona erano posti dove
si faceva musica e ci si andava con piacere. È capitato più
volte di suonare in entrambi,
ne
sentirò
la
mancanza.“
glesi di successo ad essere quelli (e solo
quelli) la cui musica è ascrivibile, guarda caso, ad una desinenza del “brit”. Ti
va perciò di raccontarci un po’ la “scena”, le persone, i luoghi, la vita che fai?
Entusiasmi, lamentazioni, miti (anche
quelli di cui sopra) da sfatare…?
Sappi che per rispondere a questo
servirebbero tre protocolli. Facciamo
che se vuoi ti racconto come me la passo qui, provando a essere il meno noioso
possibile... Londra e Genova sono diversissime, dici bene. Sono appena tornato
da una due giorni genovese, pomeriggio sugli scogli a Pieve, mare, non una
nuvola in cielo, focaccia con formaggio a Recco, gelato in Piazza delle Erbe.
Sono stati due giorni orgasmici, e io non
sono mai stato né un mangione né un
patito del mare… Inizio così perché insomma, a Londra queste cose non ci
sono, e quelli che tu chiami provincialismi, hanno dei punti a favore che possono provocare astinenza, soprattutto durante la bella stagione. Per come la sto
vivendo io, a Londra bisogna semplicemente adattarsi e stare alle regole del
gioco, se ci riesci è fatta. Faccio qualche rapido esempio: in casa mia abitiamo in nove, gli affitti costano tanto e i
giornali dicono che aumentano del 20 %
l’anno (per questo siamo in nove). I trasporti costano tantissimo, quindi vado in
giro in bici, anche se è buio, fa freddo
24 CMPST #3[07.2007]
e piove. Infine, ovunque debba andare,
so già che ci metterò minimo 40 minuti.
Fondamentalmente si tratta di riuscire
a prendersi bene, nessuna cattiva accoglienza perché sei “straniero”. Io non
l’ho mai vissuta così, abito nella contea
di Hackney, qui sono tutti stranieri, e in
generale, di londinesi ne ho conosciuti proprio pochi in questi 10 mesi… Mi
rendo conto che come premessa d’accoglienza non sia delle migliori, ma sull’altro piatto della bilancia, Londra offre
tanto. Diciamo che Londra è un’esperienza, che la differenza sostanziale col
passato, posso riassumerla nel fatto che
per la prima volta mi sento non cittadino
genovese, ma parte del “fottuto mondo
globale”. Probabilmente la nostra (io ho
24 anni) è la prima generazione a vivere
questo clima. Ho parlato di ciò più volte
con un amico italiano che vive a Londra, io non mi sento migrante. Non ho un
passaporto, ma la mia carta d’identità
italiana. Probabilmente per i più Londra
è una città di passaggio, si viene per
pochi mesi, qualche anno, poi si torna a
casa o si va altrove. Questo mio amico
ha definito Londra un insieme di spazi e
traiettorie in cui la gente transita. Come
immaginario funziona molto bene, secondo me. Sorprendente è la leggerezza e le modalità con cui ci muoviamo in
questi ambienti e in questi spazi. In passato non funzionava così. Ed è curioso
provare a pensare che cosa potrà accomunare, in futuro, persone che hanno
queste “traiettorie” in comune, ma non
una vera e propria locazione. Ok, meglio che mi fermi, non vorrei finire fuori
tema… Chiudo dicendo che io mi sento
tra quelli in transito anche se, avendo
iniziato l’Università, la mia permanenza
sarà molto più lunga di altre.
Okay, sarò di parte ma a me i K.C.
Milian sono sempre piaciuti moltissimo. Se poi penso alle ultime evoluzioni
pre-scioglimento, quando alla batteria
sedeva Nicola, la tua affermazione “i
K.C. Milian sono morti e sepolti” letta
nell’e-mail continua a sapere pesantemente di amaro in bocca. Cosa ha portato allo scioglimento di una delle band
a mio parere più dotate della Superba?
Export
Cos’ha significato per te la militanza nel
gruppo, quali obiettivi pensi che abbiate raggiunto, e che cosa avreste potuto
fare, secondo te, se la cosa fosse continuata? Vi hanno sfrattato perché “rubavate la scena” alle altre bands? Che
fine ha fatto la tua etichetta, la Cragstan
Astronaut? E infine, per ridere: ma i K.C.
Milian erano “emo” o “post-rock” ?
Il post-rock è fuori moda, e l’emo troppo per fighetti, i K.C.Milian erano segretamente un gruppo punk, in verità. Basti
dire che Nico non ha nemmeno mai avuto una custodia per i piatti della batteria. Probabilmente ora avrà provveduto,
visto che suona con gente seria. Grazie
per le belle parole, diciamo che i K.C.M.
sono morti e sepolti da più di due anni,
l’ultimo concerto è stato al Buridda il
giorno del primo Illegal Arts, con Ex Otago e Blown Paper Bags, Mae Shi e Rapider Than Horsepower. E’ stato uno dei
concerti più belli. Abbiamo combinato
poco, almeno io la penso così, di tangibile resta un cdr su Marsiglia rec, l’Ep
di 5 pezzi su Holidays records, un 7” split
con i La quiete prodotto da Cragstan
Astronaut (sto parlando di realtà piccole piccole, non è strano che nessuno
le conosca) e un paio di compilation…
Le nostre apparizioni live erano rare e
discontinue, abbiamo sempre suonato
poco dal vivo. Sull’andare in giro a suonare la si pensava in modo diverso, e
mettersi tutti d’accordo è sempre stato
un casino. L’ultimo periodo, quello con
Nico, è stato sicuramente quello dei
K.C.M più “raffinati”, si suonava con costanza, i pezzi erano molto più arrangiati e matematici, ricordo che mi piaceva
K.C.Milian - foto di Federico Tixi
moltissimo la piega che stavamo prendendo. Tempi dispari e incalzanti, lento
e veloce, forte e piano, stavamo imparando a fare i pezzi insieme tutti e quattro in saletta. Era figo. Il primo periodo,
quello a 5 con Gerri alla batteria e Alberto Figgeu tromba e voce, è l’unico di
cui esistono i pezzi registrati e i dischi. La
fase “emo e post rock”, direi: arpeggioni e intrecci di chitarre, pezzi molto più
lineari e melodici, la tromba e la voce
che strilla in sottofondo. Sono pessimo a
fare recensioni anche se devo parlare
del mio vecchio gruppo. Ovviamente a
quel periodo sono legati gli entusiasmi
di quando si ha 19/20 anni, se a suonare
facevamo dei gran pasticci, poco ci importava. Io e Nico abbiamo continuato
a suonare insieme fino al giorno prima
della mia partenza lo scorso settembre,
con Matteo, un amico di Arenzano, al
basso, senza aver mai deciso un nome
per la nuova banda. Direi che come
minimo i K.C.M avrebbero dovuto fini25 CMPST #3[07.2007]
Export
Guglielmo - foto di Anna Positano
re di registrare il loro disco. Quello con
Nico, con tutti i pezzi più belli. Ci sono
7 canzoni, 40 minuti di musica registrati
a metà. La cosa divertente è che ho un
paio di amici in giro per l’Europa, che mi
scrivono ancora per sapere se abbiamo
finito e dicendo che loro sarebbero interessati a co-produrre il nostro disco. Magari un giorno almeno lo finiremo; mi sarebbe piaciuto fare anche un tour, ma
per quello la vedo molto più difficile…
Per quanto riguarda l’esperienza, suo26 CMPST #3[07.2007]
nare in un gruppo è una figata, Marso,
anche tu suoni e anche tu lo sai. Potessi
tornare a 14 anni cercherei di fare altri
cento gruppi. Se stai leggendo, piantala qui, prendi in mano la chitarra e metti
su una band, mannaggia a te! Cragstan Astronaut (per chi non lo sapesse
è un’etichetta discografica piccina piccina) resiste. Abbiamo (io, Albi Otago e
Michele, il nostro amico nerd) stampato
da poco il 7” split tra i locals Blown Paper
Bags e gli Experimental Dental School,
da Oakland, California. Il dischetto
spacca, compratelo, e se non avete il
giradischi, comprate anche quello. Ci
manca il sito internet e siamo pronti a
ripartire. Dopo lo split 7” La Quiete / K.C.
Milian, la prima fortunata uscita, oramai
di 3 anni fa, andata fuori stampa in tempo record (se ne possedete una copia,
sappiate che raggiunge cifre notevoli
su ebay), ci eravamo un po’ impantanati… In teoria ci sarebbero un po’ di robe
in programma per il futuro. Un libercolo
raccolta delle migliori foto scattate da
Federico Tixi ai concerti in giro per l’Europa (sarebbe dovuto uscire due anni
fa, prima o poi ce la faremo). E poi con
Albi si è parlato in lungo e in largo di ristampare il primo disco degli Ex-Otago.
Vedremo quel che sarà, ma sicuro non
resteremo fermi altri tre anni…
Qui a Genova la scena musicale ha
recentemente visto una rifioritura del
post-rock, con gruppi molto validi come
gli Hermitage, che stanno peraltro godendo di apprezzamenti anche al di fuori dei confini nazionali; oppure riletture
del canone in chiave metallica “evolu-
ta”, come quella dei Vanessa Van Basten. Realtà più radicate come gli ExOtago sono poi arrivate, dopo anni di
concerti in giro per l’Italia, al sospirato
successo - se così si può chiamare - con
un disco uscito per Riotmaker/Warner
e una popolarità in crescita. Continui a
seguire la scena genovese? Se sì, ti va
di spendere qualche parola sui tuoi exconcittadini musicisti, quelli “nuovi” e
quelli con cui dividevi il palco qualche
anno fa? E come si vive la chiusura di locali genovesi “storici” come La Madeleine e il Mascherona, a fronte peraltro di
un certo ricambio della scena musicale
cittadina e della ripresa delle attività da
parte di realtà che operano “dal basso”
come Marsiglia Rec., dalla prospettiva
sicuramente più ampia e cosmopolita in
cui ti trovi adesso?
So poco di quel che si muove a Genova, ma da come ne parli, sembra che ci
sia grande fermento. Vivendo a Londra
la mia prospettiva è sicuramente cambiata, è tutto piuttosto strano. Se le cose
le vivi in prima persona l’impatto è più
forte, la distanza smorza i toni. Di solito
mi arrivano tante notizie tutte assieme
e quando ci sono tante informazioni, è
difficile infervorarsi per ognuna. In generale diciamo che Genova ha sempre sfornato gruppi fighi, cosa che può
sembrare difficile a credersi, visto che
parliamo delle “solite” persone, alcuni
oramai eroi metropolitani del genovesato. Per coincidenze temporali, i K.C.M
suonavano in contemporanea ad ExOtago, i Cary Quant e poi i Blown Paper Bags, gli En Roco, i Port-Royal, i Cut
of Mica. Nelle serate più punk, i Kafka
Export
e i Never Was e Downright. Sicuramente
scordo qualcuno. Tutti gruppi notevoli,
e non pochi nomi, se pensiamo ad una
Genova con poca scena e con spesso
troppa poca gente ai concerti. Suona
molto strano, ma Genova ha le sue stranezze ed è bella anche per questo. Sarò
sincero, non ho mai visto né sentito gli
Hermitage, rimedierò presto. Ho invece
ascoltato alcune cose dei Vanessa Van
Basten e devo dire che mi piacciono un
casino. Molti miei ascolti si avvicinano
a quelle cose. Sono poi curiosissimo di
vedere e sentire come suona il progetto
post-Kafka, gli Stalker. Ho letto l’intervista a Luca nel numero scorso, so già che
potrebbero piacermi parecchio, e non
vedo Albi strillare nel microfono dai tempi degli A New Angel Fade… Per quanto riguarda gli Ex-Otago, io non faccio
testo, sono spudoratamente di parte.
Tanti Saluti è il mio disco dell’estate,
continuo a riguardare il video di Giorni
Vacanzieri, non riesco a smettere. I ragazzi stanno diventando famosi e spaccheranno tutto, non ce n’è. Locali che
chiudono: Madeleine e Mascherona
erano posti dove si faceva musica e ci
si andava con piacere. E’ capitato più
volte di suonare in entrambi, ne sentirò
la mancanza. Spero solo che al loro posto non aprano altri posti leccati, con le
pareti bianche e l’arredamento firmato;
dove la gente va a fare le chiacchiere
e a pagare l’aperitivo cifre senza senso. Genova è piena di posti dove fare
le chiacchiere, diciamo che non ce ne
servono altri.
So che parlare della tua “attività di
illustratore” ti suona già come titolo immeritato, ma credo che chi avrà modo
di sbirciare le riproduzioni in b/n dei tuoi
lavori su queste pagine si renderà conto
della tua bravura. Per concludere l’intervista, ti va di lasciar perdere per un
attimo la musica e dirci qualche cosa in
merito alle tue creazioni grafiche?
Ci tengo a precisare che “immeritato” è una parola sbagliatissima. Il fatto
è che non credo sarò mai un illustratore. Mi impegno a disegnare (ci provo),
a volte faccio illustrazioni, ma non sono
un illustratore né un artista. Diciamo che
ho una grande passione per la grafica,
e studiare grafica è la ragione del mio
trasferimento a Londra. Parte dei miei
lavori è illustrativa, ma si tratta di “esercizi”, diciamo che ultimamente sto cercando di provare a fare dell’altro, e che
il disegno sarà portato avanti solo come
un “arma”, una delle tante, per fare
grafica. Ho imparato molto da quando
sono qui, sono soddisfatto di quel che
sto facendo al momento e inizio a capire su cosa insistere e cosa approfondire
in futuro. E’ incredibile quante siano le
cose da imparare. Ho da poco on line
una versione beta del mio sito, fateci
un giro: http://gr.notnot.org Li troverete più o meno le cose fatte nell’ultimo
anno, se le riproduzioni in b/w in queste pagine non sono chiare e volete di
più, scrivete qui: guglielmo.rossi@gmail.
com e vi mando un pdf con i miei lavori,
insomma, ci tengo che questo materiale giri, quindi fatevi sentire. Tra le opere
più memorabili del sottoscritto, ricordo il
poster del concerto degli Evens e Geoff
Farina, e la grafica del Goa Boa Festival
2006. Questi e i vecchi lavori non sono
sul sito, perché ho deciso di farlo partire
dalla mia nuova vita, quella oltremanica. Non mi dilungo troppo parlando di
“creazioni grafiche”, guardatele (voi di
Compost mettetele grandi a sufficienza
perché possano essere guardate) e fatevi una vostra idea, i link ci sono. Buona
visione. Ciao e grazie.
Più info e immagini sul lavoro
di Guglielmo su
http://gr.notnot.org
27 CMPST #3[07.2007]
Smesciarsi
“Ho scelto di compiere un
percorso musicale da solista e devo
ammettere che questo sul piano
pratico mi facilita molto la vita. “
Marcella
Intervista con Marcella Garuzzo
di Simone Madrau
LINEA DI CONFINE
Dalle collaborazioni in città fino ai tour improvvisati in giro per
lo stivale. Genova, l’Italia, la musica vissute da chi di storie ne
ha ascoltate e ora ama raccontarle, nella maniera più tradizionale di sempre: una voce, una chitarra. Marcella Garuzzo.
L’idea che mi sono creato girando sul tuo e
su altri MySpace è che, accanto ai nomi che
più ricorrono su Compost, ci sia un preciso
filone di artisti – giovani e non, maschietti e
femminucce -che hanno in comune la passione per il cantautorato. E non si tratta propriamente di quattro gatti. Che ne dici, possiamo parlare di “scena nella scena”?
Non so se si possa dire che esista una
“scena”, io personalmente conosco pochissime persone che fanno quello che faccio
io. Anche se alcuni di essi effettivamente
collaborano tra loro. E io per prima, del resto. In questo periodo sono in ottimi rapporti
con Mauro Cipri: ci siamo conosciuti poco
tempo fa, tramite MySpace, lui è venuto una
volta a un concerto e siamo diventati amici.
Anche con Davide Geddo suoniamo insieme
spesso, proprio di recente al Punto G. Fuori
da Genova poi ho instaurato un buon rapporto con Veronica Marchi, questa ragazza
di Verona di cui è appena uscito un secondo cd: ci siamo conosciute a un concorso, io
ho aperto un suo concerto a Verona e lei ha
partecipato a una serata qui a Genova. My28 CMPST #3[07.2007]
Space da questo punto di vista è fantastico.
Inoltre collaboro molto con cantautori un po’
più ‘grandi’ come Claudia Pastorino e Paolo
Agnello. La prima in particolare è stata mia
insegnante di canto e mi ha introdotto presso
tutta una cerchia di persone che a suo tempo collaborarono con De Andrè. Sempre lei
mi fa partecipare a questo progetto chiamato La Compagnia Dei Cantautori, uno spettacolo-concerto con 6-7 cantautori che si avvicendano sul palco e che stiamo cercando
di portare un po’ in giro. Abbiamo esordito al
Teatro Govi ad aprile e lo porteremo a Villa
Imperiale il mese prossimo.
Come è strutturato questo spettacolo? Suonate insieme, cose tipo jam session oppure vi
alternate sul palco?
No, ognuno ha un suo spazio. Al Teatro
Govi abbiamo fatto in questo modo: ciascuno portava due pezzi suoi e un omaggio a un
cantautore genovese, per cui c’era l’omaggio a De Andrè, a Bindi, a Gino Paoli…
Tu cosa hai portato?
Io ho portato La Gatta di Gino Paoli, ovviamente un po’ riarrangiata… Per non dire stravolta… Comunque è stata una cosa carina,
si rifarà. La prossima volta sarà un omaggio a
Tenco, come dicevo il 26 agosto a Villa Imperiale.
A proposito di stravolgimenti: tu sei un’artista accessibile e no. La tua poetica è piuttosto immediata, essendo legata a questioni
prettamente umane. Eppure musicalmente
tendi a ricorrere a soluzioni piuttosto inusuali, fai cioè un grosso lavoro di arrangiamento
sui tuoi brani. Per questo motivo potresti essere legata in qualche modo all’ambito della
musica indipendente, però forse questa mia
osservazione è influenzata dal fatto che sei in
buoni rapporti con un gruppo che poco ha
a che fare con il genere che suoni, ovvero i
Dresda. Cosa ascolti al di fuori di quelle che
possono essere le tue influenze?
I Take That! Dei quali propongo anche la
cover di Back For Good. Scherzi a parte: sì,
apprezzo cose anche più.. pesanti di ciò che
suono. I miei ascolti principali comunque vanno sempre a parare su sonorità più intimiste.
E non è nemmeno un genere di intimismo
preciso, non è una devozione verso il genere, casomai verso i singoli autori, verso le cose
che mi somigliano di più. Ti cito Cat Power
Smesciarsi
tra le cantautrici di ultima generazione. Kaki
King, anche se non canta. Joanna Newsom,
con quest’ultimo album così… strano. Ray La
Montagne, che credo conoscano in pochissimi. Chris Brokaw, che ho visto qui a Genova al Milk. I Kings Of Convenience li adoro. E
ovviamente Joni Mitchell. Però come vedi
siamo sempre in quei paraggi. Ecco, se vuoi
la cosa davvero strana è che sono cresciuta
ascoltando gli Smashing Pumpkins.
Bè, però Billy Corgan a suo tempo azzeccava anche delle signore ballate.
Verissimo, e infatti il loro disco che ho amato di più rimane Adore. Quindi una sorta di
coerenza con ciò che suono se vuoi c’è. Tuttavia ho ascoltato tantissimo anche Mellon
Collie And The Infinite Sadness che invece
mediamente era molto più rumoroso.
Anche lì c’era comunque qualcosa di riconducibile alla tua musica: Stumbeleine,
per dire, la vedo molto bene nel tuo repertorio
di cover.
E’ sempre stata la mia preferita infatti. Accidenti, sto diventando prevedibile. Allora ti
faccio un altro nome, forse meno sospettabile, ossia quello dei Current 93, gruppo che
sono andata anche a vedere a Torino. Loro
mi piacciono davvero molto, pur avendo
ben poco a che fare con me sul piano artistico. Ah, e poi i Dresden Dolls. Mi piace lei,
così secca nel modo di porsi e di cantare. E gli
Smiths che vabbè, sono supergettonati…
nomi di culto, sia classici che moderni. Come
dicevo prima tu stessa ti muovi su una linea
di confine molto sottile. Per questo motivo ti
chiedo quale sia la tua posizione in merito a
questa sorta di divisione etica mainstream/indie tanto in voga ai giorni nostri.
Secondo me le cose tendono troppo
spesso a mescolarsi per avere un’idea precisa. Uno stesso artista nell’arco di una carriera
può attraversare fasi diverse e fare una serie
di dischi in un certo modo, poi un disco nuovo
in un altro. Perfino le singole canzoni all’interno di uno stesso album possono avere impatti molto diversi. Non sono mai andata molto
d’accordo con queste distinzioni. Credo siano cose che servono più agli addetti ai lavori,
e che in generale un musicista avverta molto
meno la questione.
Sta diventando però un discorso di credibilità anche tra chi ascolta, e questo sta
raggiungendo livelli anche molto stupidi. C’è
gente che racconta che a tredici anni ascoltava, che ne so, i Sonic Youth. Ho difficoltà a
crederlo. Credo, forse ingenuamente, che chi
ascoltava davvero i Sonic Youth a tredici anni
tenda a non farne vanto. E, se anche li ascoltavano, non credo potessero apprezzarli davvero o parlarne con un briciolo di senso critico. Secondo me ascoltavano gli 883, come li
ascoltavo io, come li ascoltavano tutti. E poi è
arrivata una.. diciamo.. maturazione.
Mmm… io a tredici anni…ascoltavo…
Tornando a quelle che sono le tue influenze sbucano fuori tanto sia nomi stranoti che
Bè, tra le tue influenze di quel periodo ricordo di aver letto i Cranberries.
Nooo, magari avessi ascoltato i Cranberries già a tredici anni!
“I
miei
ascolti
principali
comunque vanno sempre a
parare su sonorità più intimiste.“
Ok però diciamo che essendo un gruppo
di quel periodo probabilmente te li porti dietro
dagli anni 90.
Sì ma li ho scoperti dopo, credo nel ’96. Li
Marcella - foto di Sissi Magnani
sentivo già ma non ero ancora minimamente
influenzata, anche perché mi sono avvicinata alla musica più tardi. A tredici anni invece
ascoltavo… bah, Mango, Enrico Ruggeri…
Ruggeri in verità scriveva ottimi testi - a suo
tempo, si intende. Altre prime influenze, beh,
la Consoli, i già citati Smashing Pumpkins.
Frank Black. Il primo disco di Noa, che avevo
consumato. E Prince, perché avevo un fidanzato che adorava Prince. Mi bombardava,
letteralmente, con Prince. E qualcosa deve
essermi rimasto. Poi c’è un altro gruppo, davvero poco conosciuto, chiamato Frente!, con
il punto esclamativo. Australiani, mi pare, facevano una sorta di pop acustico molto particolare, molto ritmico. Mi ero fatta arrivare
29 CMPST #3[07.2007]
Smesciarsi
“Mi pare che i locali cerchino di
seguire il gusto della gente, e quest’ultimo è, diciamo così, mutevole.“
dall’Inghilterra entrambi i loro dischi perché in
Italia non credo siano mai arrivati ufficialmente. Avevano questa cantante che si chiamava Angie Hart, mooolto simile come voce alla
Joanna Newsom del primo disco: sussurrata,
da bambina. Dopo lo scioglimento del gruppo, se non ricordo male, aveva tentato anche una carriera solista - evidentemente non
molto proficua, dato che è sparita nel nulla.
Cambiando discorso: tu segui una linea
promozionale esclusivamente tua. Sembri
indipendente in tutto e per tutto, a cominciare dal discorso date in giro. Mi spieghi un po’
come funziona la Marcella promotrice di se
stessa?
La Marcella promotrice di se stessa funziona in maniera molto semplice: vado a visitare
pagine di paesi e città in tutta Italia che presuppongo includano i contatti di molti locali
[ad esempio ultimamente vado spesso sui siti
dei Comuni] e tiro giù i relativi numeri di telefono; dopodichè li chiamo, tutti. Capita che tra
questi qualcuno mi dica di sì. E ti dirò che paradossalmente per lo più si tratta di locali che
non sono abituati a fare musica. Non l’hanno
mai fatta, e vogliono provare. Ecco perché
chiamo anche ristoranti, bar. Non si sa mai
che a volte anche loro vogliano buttarsi. Dalla mia ho anche il vantaggio di essermi messa
in condizione di essere autosufficiente.
Certo, alla fine essendo da sola hai una
strumentazione molto esigua: hai già con te
tutta l’attrezzatura necessaria, per loro si tratta
di spostare tre tavoli.
Esatto, e questo è fondamentale: se non mi
muovessi così credo non riuscirei a fare il 90%
30 CMPST #3[07.2007]
delle date che faccio. Inoltre in termini di soldi
il fatto di essere da sola conviene a entrambe
le parti: chi gestisce i locali può pagarmi anche molto meno di quanto farebbe con un
gruppo [che ovviamente dovrebbe dividersi
le spese]; mentre io posso permettermi viaggi anche piuttosto lunghi per suonare anche
molto fuori da Genova. Ho scelto di compiere
un percorso musicale da solista e devo ammettere che questo sul piano pratico mi facilita molto la vita.
Non hai mai avuto gruppi?
Sì, in verità fino a ventidue-ventitre anni ho
sempre suonato con gruppi. Facevamo cose
più rock, più pop anche. Sono cose che oggi
non faccio più. Erano cose più o meno sulla
scia dei Cranberries.
Tutta questa polemica sulla mancanza di
spazi a Genova ti sembra fondata o credi che
comunque anche i gruppi potrebbero osare,
sbattersi di più, per trovare delle date?
Secondo me ogni gruppo, così come
ogni persona al suo interno, ha un suo percorso: non mi sento di giudicare. Japanese
Gum sono diversi da Dresda che sono diversi
da Hermitage che sono diversi da En Roco.
Quanto al resto: fino al duo, al trio, il posto
c’è. I locali ci sono, forse nascosti, ma ci sono.
Mancano spazi un po’ più grossi, questo sì,
e questo inevitabilmente penalizza i gruppi
che ti ho citato. Aggiungi che Genova è tutta
stretta e sicuramente questo ha influito sulla
costruzione degli spazi.
Non credi che manchino anche locali
più, diciamo, settoriali, che si rivolgano cioè
in maniera esclusiva a quella che è la scena indipendente genovese alimentandone
l’importanza ad occhi esterni? Prendi il Bana-
no, che ultimamente ospita anche molti dei
gruppi che seguiamo noi ma in cui trovi anche il tipo qualunque che è lì semplicemente
a bersi qualcosa e la cui ultima preoccupazione è sapere chi sta suonando e cosa. E
questo perché, se è vero che la sera prima ci
trovi gli Hermitage, la sera dopo trovi il gruppo jazz o il dj. Lo stesso Buridda, per quanto sia
un po’ la roccaforte di Disorder Drama, rimane un centro sociale e pertanto è tradizionalmente incline al reggae, al punk ecc. – il che
è sacrosanto, intendiamoci. Solo che bisogna
sempre fare compromessi con il tipo di spazio
e viceversa i locali scendere a compromessi
con la nostra proposta.
Mah, il Milk forse è l’unico posto che si differenzia in quel senso lì a Genova, l’unico cioè
con un tipo di programmazione piuttosto ben
definita - ma non posso dirtelo con certezza,
essendoci stata personalmente giusto due o
tre volte. Il Milk e La Madeleine, anche. Ma
il discorso non vale solo in quell’ambito, ad
esempio a Genova manca anche un jazz
club. Mi pare che i locali cerchino di seguire
il gusto della gente, e quest’ultimo è.. diciamo così… mutevole. Forse è semplicemente
un’evoluzione del concetto di locale, ammesso che di evoluzione si possa parlare. Te
lo dico perché anche in molti posti fuori Genova in cui mi è capitato di suonare incastravano serate totalmente diverse senza alcuna
apparente coerenza. E’ anche un periodo in
cui gli stessi generi si amalgamano facilmente uno con l’altro, quindi probabilmente anche la programmazione degli eventi nei singoli locali ne viene influenzata. Forse in futuro
le cose cambieranno ancora e il concetto di
club tornerà in voga. Staremo a vedere.
Più info su Marcella Garuzzo
su http://www.myspace.com/
marcellagaruzzo
Columns
Indie Maphia For Dummies
di Daniele Guasco
Questa terza puntata di “Indie maphia for
dummies” è dedicata a quei musicisti legati
a una concezione più classica della musica
che hanno l’hobby di cercare tutti i difetti
possibili nel panorama indipendente cittadino (sfogliare il forum di genovatune per
maggiori informazioni), riuscendo immancabilmente a non centrarne mai mezzo. Se
la musica, chiamiamola alternativa anche
se è già sbagliato partire da questo, a Genova riesce ad avere i suoi spazi per quanto
spesso poco adeguati, se c’è non solo un
buon numero di persone che propone musica indie in città, ma anche un pubblico
che segue queste iniziative, non vedo cosa
ci sia di male. Quello che non riesco a spiegarmi è perché chi si dedica al rock classico
limitandosi ai classici vede sempre in cattiva
luce chi invece spinto spesso dalla curiosità (di quelli che lo fanno per seguire una
“moda indie” stavolta non ne parlo) vanno
a cercare nuove idee e spunti originali. In
pratica mi sembra che queste situazioni siano così descrivibili: un giocatore di bowling
che entra in un circolo degli scacchi urlando
“Questo gioco fa cagare! Perché esiste un
circolo simile a Genova? Non ne possiamo
più di voi e dei vostri alfieri, i birilli sono meglio!” tra gli sguardi dei giocatori divisi tra gli
allibiti e gli scocciati. Credete che Genova
dia più spazio alla musica alternativa o indie
o avanguardistica o quello che vi pare mentre il vostro rock classico o il vostro metal non
ne hanno? Svegliativi e createvelo voi, senza
andare a far le pulci a chi si impegna e a chi
si appassiona per altre cose. Comunque state tranquilli, in confronto ai quarantenni/cinquantenni che sparano sentenze sulla scena
musicale attuale quando sono decadi che
non fanno assolutamente nulla per Genova
(se mai l’han fatto) le vostre critiche sono
quasi costruttive. Sempre più spesso mi avvi-
cino alla convinzione che la libertà di parola
data da internet non sia poi questa grande
conquista.
Liberi Tutti
di Matteo Marsano
Ecco, l’estate. Parliamone.
L’estate sta finendo. O perlomeno stiamo
avanzando a grandi passi verso la seconda
metà della bella stagione. L’estate del musicofilo a spasso su Internet con la Coca-Cola
e il condizionatore. L’estate del milanese che
viene in vacanza a Bogliasco o a Loano,
l’estate del genovese che se ne va in Grecia
o a Madrid. Oppure che se ne sta a casa.
Sembra assurdo, ma nonostante dalla mia
finestra si veda il Monte di Portofino in tutto il
suo monolitico splendore, le occasioni in cui
mi sono recato in spiaggia si contano sulle
dita di una mano. Roba da voler tornare a 12
anni, quando si stava ammollo per ore e fino
a che la pelle delle dita in corrispondenza
delle falangi non si fosse ammorbidita nella
tipica “filettatura” sintomo di idrofilia acuta.
Un mesetto fa a Forte dei Marmi –di ritorno
dalla festa di Pisa e dopo una nottata insonne passata a bighellonare per la città- non
ho fatto altro che prendermi una piomba
clamorosa sulla sabbia fine che hanno lì,
alzare la testa di tanto in tanto quando il radar segnalava “curve pericolose in bikini” e
invidiare l’organizzazione dei pivelli milanesi
(tutti Vito e Calogero meneghini) davanti a
noi, armati di damigiana da 15 litri, chitarra acustica e sacchettone pieno zeppo di
erba verdognola. Infatti, dopo la promessa
di una primavera pimpante ed affaccendata, quest’estate si batte la fiacca. Si prende il
fresco sui monti, si suona e si registra con una
pacifica slakness che quasi verrebbe voglia
di avere dei nipotini per completare il clima
familiare di agreste convivialità. Mi sembra
naturale visto che l’estate scorsa, a fronte di
cambiamenti nella vita personale che allora
potevano sembrarmi quasi catastrofici, io e
la mia cricca di amici campagnoli abbiamo
letteralmente ricostruito, cazzuola in mano,
la baracca nella quale adesso suoniamo,
parliamo di musica e mangiamo le arselle
dei campi. Si legge –quello ognuno a casa
propria – si legge molto, come tutte le estati
tranne un paio. Si leggono e si comprano i
libri, quelli fatti di carta e non di kilobytes. Si
legge a letto con la luce notturna e non con
l’ausilio di Microsoft Reader. Si legge al mare,
ma quello lo fanno tutti tranne me. Si legge
Compost. Si legge di gruppi indipendenti genovesi sul quotidiano cittadino. Si legge sulla
posta elettronica di eventi luttuosi che hanno interessato amici che scrivono su queste
pagine, e verso i quali va tutta la mia comprensione e il mio affetto. Si rilegge Philip K.
Dick e ci si accorge di avere in molto più in
simpatia un loser talentuoso come lui piuttosto che un bravo e fortunato come Vonnegut. Si finisce a prendere in mano Lovecraft e
ad immaginarcelo come una versione riveduta e corretta del nostro “Kappler” al Liceo.
Si leggono per caso le boiate che titola Feltri.
Si leggono le previsioni del tempo. Si legge
a bomboletta rossa sopra un muro: Lib(e)ri.
Buone vacanze a tutti.
This Ain’t No BBQ
di Anna Positano
Momento di nostalgia, ho messo su un
mixtape ignorantissimo e vecchissimo che si
ascolta (non so perché) in mono, e con i volumi diversi tra una canzone e l’altra. Da perfetta imbecille continuo a cambiare il volume
dal pc... Tra un Even hitler had a girlfriend e Judy’s got a boyfriend capisco che i maschietti
punk-rockers hanno un cuoricino tenero(!).
Ora mi scende una lacrimuccia di sicuro!
Non ho ancora capito bene il funzionamento delle relazioni in ambito indipendente, ma penso che non ci sia poi tanta
differenza dal mondo normale. Del resto
un maschietto indie non abborderà la sua
preda durante una serata in “disco” [pro31 CMPST #3[07.2007]
Columns
nunciato = diiifco (“o” aperta)], oppure dedicandole su Radio Dimensione Suono una
fantastica canzone dei Negriamari; di sicuro non scriverà sui muri “kiara io e te 3msc”.
E non importa che l’indie maschietto metta
su un gruppo, ascolti musica praticamente
sconosciuta solo perché è praticamente
sconosciuta per poi registrare mixtapes | cd
| mp3 da regalare alle ragazzine, si pettini
col ciuffo (magari perché inizia a esser pelaticcio), indossi 1000 € tra scarpe | magliette
| pantaloni | giacchetta di marche approvate dagli amici (e che amici!)... In ogni caso
lo scopo rimane lo stesso, e cioè intraprendere una relazione seria e duratura con la preda(!). Che bello! Sciocchezze a parte, penso
che una delle cose più apprezzate e di sicuro successo sia una cenetta preparata con
le proprie mani*; magari insieme all’agognata preda, ovviamente senza destinarla al lavaggio dei piatti! Se non siete straightXedge,
il vino può anche fare la differenza, soprattutto in mancanza di doti culinarie. Certo è
che non potete cucinare tutto indiscriminatamente: tipo la puzza di un cavolo bollito
potrebbe rovinosamente invadere il vostro
nido d’amore... Blah! La cosa migliore è cucinare piatti di certa riuscita, per cui esercitatevi in precedenza per evitare brutte sorprese!
Quello che vi propongo è un piatto piuttosto
semplice e potete integrarlo con una pasta
al sugo, insalata e un dolce (cfr. cmpst01).
Sono pizzette di melanzana; se siete in 2 (se
siete di più, buon divertimento!), premunitevi
di:
1 melanzana piccola (di solito uso quelle
nere)
sale grosso
origano
poco stracchino (o mozzarella)
parmigiano
per il sugo:
1 latta di polpa di pomodoro
1/2 peperoncino fresco (a seconda di
quanto vi piace piccante)
32 CMPST #3[07.2007]
1 cipolla piccola
1 spicchio d’aglio
sale
olio
La cosa migliore è iniziare a preparare il
sugo, che potrete usare anche per condire
la pasta. Tritate finemente la cipolla e il peperoncino, avendo cura di eliminarne tutti i
semi (usate i guanti, è meglio! altrimenti andando a far pipì ve lo incendiate). Fate soffriggere il trito e l’aglio in una padella, con
un pizzico di sale; aggiungete il pomodoro,
stando attenti a non schizzare la vostra indie
- maglietta: una maglietta impataccata non
è per nulla sexy, anche se è degli Hot Gossip. Lasciate cuocere per un po’ a fuoco
moderato, aggiustando di sale e mescolando di tanto in tanto, poi coprite e continuate a cuocere per circa 20 min. Scaldate
una piastra e iniziate a tagliare la melanzana in fette tonde di circa 1 cm di spessore;
grigliate le melanzane e disponetele in una
teglia. Mettete il sugo, lo stracchino, il parmigiano e l’origano sopra le fette, come
se fossero pizzette e infornate per 15 min.
Consumatele tiepide o fredde, magari per
colazione la mattina dopo!
*leggere per credere: Isabel Allende,
Afrodita. Non tutto vegetariano, ma ci sono
spunti parecchio interessanti.
An inconvenient truth
ovvero anche COMPOST dà il suo contributo per rallentare il cambiamento
climatico
di Carlotta Queirazza
Una genovese trapiantata a Vicenza a
prevenire l’inquinamento... Ok, ok, mi arrendo. Non ho piu calze, ne mutande, ne magliette pulite. Nonostante la calura da pieno
agosto e la pressione sotto i piedi oggi mi
devo trascinare fino alla lavanderia. Spiccioli
in tasca, detersivo, zaino in spalle e giu in bici
attraverso il quartiere di San Marco (miracolosamente Vicenza, al contrario di Genova,
ha il dono delle sole discese e pianure..). Attacco la lavatrice, mi siedo davanti all’oblo e
la mente spazia cullata dal rumore costante,
tra le onde di acqua e schiuma.. a volte mi
capita di farmi i conti in tasca.. i conti intesi
come una sorta di quella che è chiamata
impronta ecologica, ovvero un calcolo statistico che si basa sul fatto che ogni bene o
attività umana comporta dei costi ambientali - cioè prelievi di risorse naturali - quantificabili in termini di metri quadri o ettari di
superficie terrestre. Confrontando l’impronta
ad esempio di me che vado al lavoro, a fare
la lavatrice, in vacanza, con la quantità di
terra disponibile pro-capite (cioè il rapporto
tra superficie totale e popolazione mondiale) si può capire se il livello dei mie consumi è
sostenibile o meno. Allora vediamo …bici ok,
sapone biodegradabile ok... energia elettrica per la lavatrice e poi asciugatrice…hum..
però questo mese quante lavatrici ho fatto?
Una..o forse anche meno..zio bon, ecologica ma un po sozzona. Comunque, andando
al sito http://ecofoot.org/ puoi calcolare la
tua impronta ecologica. Ecco il risultato del
calcolo della mia: 3 ettari di terra e risorse (30
000 m2). La media italiana è di 3.8 ettari a
persona. Beh, non malissimo alla fine.. anche se poi pensando in termini globali, se
tutti vivessero come me ci vorrebbero ben
1.7 pianeti terra.. Da qui, alcuni suggerimenti per risparmiare risorse e ridurre la propria
impronta ecologica, in particolare quando
si decide di fare una lavatrice:
fai sempre lavatrici a pieno carico
lava il più possibile a basse temperature
(30 °C), il processo di riscaldamento dell’acqua nella maggior parte delle lavatrici italiane avviene attraverso una resistenza elettrica che consuma grandi quantità di energia.
Un’alternativa potrebbe essere collegare il
tubo di ingresso dell’acqua della lavatrice
direttamente al rubinetto dell’acqua calda.
Columns
In questo modo l’acqua è scaldata prima
dell’ingresso in lavatrice attraverso la calderina del bagno o cucina che funziona a gas,
a meno che chiaramente non ci sia un boiler
elettrico che renderebbe il tutto abbastanza
inutile (magari prima di provare consulta anche un tecnico và..).
usa detersivo a basso impatto ambientale/biodegradabile (ad esempio la lisciva, un
prodotto naturale a base di acqua e cenere, decisamente economico)
idem per l’ammorbidente e magari, se
non ci tieni troppo, evitalo proprio
almeno in primavera ed estate evita
l’asciugatrice
Non Sono Un Poeta
di El Pelandro
El pelandro è già in vacanza. (NdR)
A Steady Diet Of Mat
di Matteo Casari
Quando abbiamo iniziato a progettare
Compost, una delle certezze era: evitiamo di
fare quelle porcate tipo “lettere alla fanzine”:
nessuno scrive mai niente e ci troviamo con
una pagina vuota e riempibile solo con false testimonianze di vita che non interessano
a nessuno. Fatta salva la column di Cesare,
costruita con la gag delle missive, abbiamo
mantenuto il nostro proponimento iniziale.
Eppure in questo numero, su gentile richiesta
dell’anonimo autore stesso, mi prendo la libertà di incentrare la mia column proprio
sulla mail arrivatami da tal Disraeli Gears.
Eccola:
Egregio Spettabile Signor Matteo Casari, mi scusi se La disturbo, ma purtroppo
mi vedo costretto a scriverLe per porre alla
Sua cortese attenzione un suo (come dire?)
“problemino” linguistico grammaticale.
Sono un molti anni che seguo i Suoi progetti
musicali e culturali, e da sempre ho notato
questa sua “defiance”, propria spesso del
Suo linguanggio scritto e talvolta di quello
orale. Vado ora ad esporLe la magagna. Lei
fa un uso un po’ troppo, secondo me, spropositato della parola <<realtà>>. Mi spiego:
Lei ne fa un uso abusato quando parla di
collettivi, circoli, associazioni, progetti, centri
sociali, luoghi da concerti, enti, ecc ecc.
Alcuni esempi di suoi tipici scritti:
- “Il Buridda è una realtà che dà la possibilita’ ad altre realtà d’esprimerli bla bla bla...”
- “Disorder Drama è una realtà che ha organizzato 1000 concerti bla bla bla...”
- “Marsiglia Records è una realtà discografica di Genova bla bla bla...”
Ed altri mille esempi.
Cioe’, sembra, a noi umili tifosi di Sua Illustrissima Altezza Matteo Casari, che l’Eletto non sappia usare altri vocaboli a parte
<<realtà>> per esprimere qualsiasi concetto
metafisico o materiale.
Le chiedo quindi, cortesemente, se non le
crea disturbo, d’usare altri sinonimi, come ad
esempio “progetto”, “idea”, “mercato ortofrutticolo”, che possano egualmente esprimere il Suo concetto.
Tanto Le dovevo. Scusi se l’ho disturbata. Spero davvero che questa
mia epistola elettronica sia pubblicata sul prossimo numero di Compost.
La saluto cordialmente,
Disraeli Gears
Come esimermi quindi dal proseguire questa corrispondenza con questo appassionato di classic rock, se non pubblicamente qui
su Compost? Tolto il fatto che, dei lavoretti
che faccio, scrivere, nonostante la logorrea
che mi affligge, non è certo il mio favorito e
che preferirei che dei comunicati di gruppi,
concerti, eventi e produzioni se ne occupasse qualcun’altro, l’epistola mi dona un dubbio vero e proprio, qualcosa, temo, di psicanalitico. Uso, forse, inconsciamente il termine
“realtà” perchè sento la necessità di giusti-
ficare l’aria fritta che vendo come oggetto
dotato di una sua valenza tangibile? O, invece, percependo io questa forza sensibile
nelle nostre produzioni, non la giustifico ma
tento, spero non invano, di rafforzarla nella
comunicazione? Ovvio che mi piace pensare che sia la seconda l’ipotesi più vicina alla
veridicità dei fatti. Ma lo spettro della prima
incombe. E, come tutte le estati che si rispettino, vessate dalla scansione lavoro relax
lavoro imposta dalle scuole alla pensione,
ecco arrivare, impietoso, il fantasma degli
anni futuri e quello di quelli passati. Una solfa
di auto-analisi critica che mi porta a domandarmi: ma cosa diavolo sto facendo? Forse
che me la stia raccontando da solo? Ci sta
e me ne sto, come si dice nel linguaggio
giovane che detta le mie parole e muove
le mie dita sulla tastiera. Critica si è detto e
critica sia. A volte credo proprio che questo
mestiere, se di lavoro si tratta, si basi proprio
tutto sul vendere fumo. E non quel tipo di
fumo. Solo per autofinanziarsi che cosa? Dei
capricci? In questi ultimi sette anni di lavoro
indipendente, in proprio o in cordata con altri, mi è capitato spesso di dover rinunciare
a portare gruppi dai quali, in quel determinato momento storico, non si poteva prescindere. I Rachel’s sette anni fa, i Deerhoof
cinque, e di nuovo qualche mese fa; ma la
lista è imponente a dir poco. Tutte rinunce
che, da un lato, erano dovute al fatto che
quest’aria fritta non la sappiamo vendere sul
serio, alienandoci il grosso delle istituzioni e
degli sponsor, dall’altro, sono ancora dovute alla coscienza di essere viziati e pensare
che ci siano dovuti, tutto e tutti, sempre e comunque. Queste due posizioni mi fanno rafforzare nella testa l’idea che, in effetti, tutte
queste necessarie “realtà” di cui abbisogna
la mia parlantina per costruire i propri castelli in aria (ma forse l’amante del classic rock
apprezzerà di più i Castles Made Of Sand di
Hendrixiana memoria) siano in effetti puntelli neanche troppo stabili. Per cui le varie
33 CMPST #3[07.2007]
Columns
provocazioni da bar, le incazzature fatte più
per presa di posizione e piedi puntati che per
effettiva giustificazione, le recriminazioni da
“una fetta di torta spetta anche a me”, “siamo qui a far del bene” (...) siano tutte poco
più che sparate per ottenere quel minimo di
attenzione, quello si dovuto, per la componente, quella si reale, delle nostre produzioni.
Concludo, quindi, concededendomi il lasciapassare per l’utilizzo futuro indiscriminato
del termine “realtà”: fino a quando in città
non avremo i giusti canali di comunicazione
e l’attenzione adeguata mi vedrò costretto
senza remore a iniettare ulteriormente forti
dosi di “realtà” nel nostro operato.
Valide Allternative al Bricolage Culturale DIYC 2.0
risponde il Dott. Cesare Pezzoni
Pur leggendovi dal primissimo numero, non
sono riuscito a capire quali sono i gruppi della
scena Genovese che aderiscono all’etica e alla
visione del no copy e del copyleft. Non è che
sei l’unico sfigato della terra a stare dietro a ‘ste
sciocchezze? Claudio (33, scorpione), Gorgonzola.
Passi per lo sfigato, ma sciocchezza lo dici a
tua madre. A dire il vero questo non lo so nemmeno io. I gruppi di Marsiglia usano licenze
Creative Commons per diffondere e promuovere la loro musica, ma non so se questo si può
considerare come un’adesione al modello
anche socio-culturale retrostante, o piuttosto
come la semplice osservazione della praticità
della cosa, che comunque è un aspetto significativo e fondante di tutta la faccenda, anche
per noi oltranzisti. Di certo non mi risulta ci siano
organi musicali impegnati nella promozione
del concetto e della cultura no copy. A parte
il mio gruppo. Però spero di sbagliarmi. Ehi…mi
sbaglio? In Italia fuori da Genova esiste una scena di net-label ormai folta che comprende etichette e progetti di diverso genere: Ogredung,
Selva Elettrica, Anomolo, Copyriot, S8 Radio,
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Ebria Records, Lepers e tante altre. Esiste anche
un raduno Left, la prima edizione (e unica per
ora) si è svolta due anni fa a Bologna (presso il
Cassero, l’XM24 e qualche locale da aperitivo
in centro), il progetto si è un po’ arenato ma più
per eccesso di vitalità che per il contrario: sono
partite da lì un sacco di cose e la scena si è così
rapidamente allargata che non c’è stato modo
di fermarla per fare un punto della situazione. Si
sono creati poi diversi Collettivi attenti alla visione sociale del no-copyright, ho avuto la fortuna
di parlare a conferenze organizzate da questi
ragazzi a Napoli (il Collettivo del centro sociale
Terra Terra, con lo pseudonimo di “Get Up Kids”)
e a Milano (presso il Cantiere), ma anche qui a
Genova niente meno che in una scuola (il mio
liceo!). Siamo poi venuti in contatto con gli organizzatori di un paio di festival in Toscana, uno
a Siena (Free Music Fest) e uno a Pisa (Una Due
Giorni di Sapere Liberato), e sono ragazzi che
lavorano bene, come sanno i Meganoidi, che
hanno suonato dopo di noi in quel di Pisa. A
Faenza, nella terra di Audiocoop e del MEI, c’è
il MAI organizzato dai collettivi dei centri sociali,
contromeeting delle etichette no copy. In Sicilia,
Catania, c’è un gruppo di gruppi chiamato Stonature, che ha prodotto materiale informativo
contro l’informazione pilotata che si riceve dalla
SIAE. Come vedete la scena è vitale anche solo
per esperienze che ho vissuto direttamente io, e
non ho la pretesa di averle rappresentate tutte.
Certamente non si può parlare di un mercato
parallelo, ci si muove con i canali e le modalità
di sempre, ma c’è questo collante culturale che
ha dato nuovo vigore al clima a volte stagnante
che c’era per esempio in certi centri sociali, da
10 anni a questa parte.
Screamazenica
di Simone Madrau
Screamazenica is sponsored by: Cynarotto.
Cynarotto, la bevanda ufficiale dell’estate
2007.
Era bello il Fitz perché, quando ti cadeva
un piatto o ti si sganciava il cavo, erano in 5 a
non pensarci un attimo per venire a dare una
mano. Questo ci ha reso migliori. [nostalgia canaglia? Il nostro Cesare Cartavetro la butta lì.]
Falle venire tutte, Jago! [il pubblico del Goa
Boa fomenta l’ingresso sul palco di The Banshee]
Se non la pianti vengo lì e ti ciocco una testata. [scherzosamente - ma nemmeno troppo Enrique Balbontin di Colorado Cafè al bassista
di The Banshee, intento a provare lo strumento
coprendo così lo show del comico in corso in
quel preciso momento]
Cosa c’è laggiù? Le bestie di Satana? [anche senza riuscire a vedere il palco, il pubblico
sul fondo di un Rosa Dei Venti affollatissimo in vista dello show degli Ex-Otago riesce a cogliere
bene lo spirito del nostro Rocktone Rebel, chiamato ad aprire la serata]
Bar-za! Bar-za! [hipurforderai, dalle transenne
del Periferie, chiede a gran voce un extra alla
pur ottima performance che il nostro beneamato Mr Blue sta concedendo al microfono]
Ti sei appena giocato la Suiteside. [il sottoscritto – piegato in due - a Marco dei Dresda,
la cui lattina di birra appena esplosagli tra le
mani è andata a schizzare proprio Monica Melissano]
Pronto? [in un auto lanciata nella notte del
Periferie, Marco dei Dresda [alla guida del
mezzo] così esordisce portando all’orecchio
una ciabatta gentilmente fornita dal compare
Ivan, chiuso in un portabagagli ricco di sfiziosi
oggetti]
Il concerto di Zuffanti è in odorama. [inevitabile commento di hipurforderai in reazione
all’intensissimo aroma che di colpo attacca le
narici di ogni presente nel danceflooooor del
Periferie]
....E tu sei molto brava ...oltre che molto carina, per non dire figa che magari è volgare.
Baci. [per finire: Mangoni ci insegna il galateo
sul MySpace di Ceanne [aka Chiara di Genovatune]. Questo si chiama scoop. Cucuzza vai
a casa]
Arte
Nato a Genova nel 1975, con alle spalle studi
artistici e architettonici, Daniele De Battè si occupa di vari aspetti del visual design, cercando
di creare uno stile unico per diverse soluzioni.
Le sue illustrazioni sono, di solito, in bianco e
nero, legate al mondo della fantasia infantile.
Più info su Daniele De Battè su
http://www.danieledebatte.it
http://www.artiva.it
http://www.takeshape.it
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