Intro Redazione Matteo Casari Daniele Guasco Simone Madrau Matteo Marsano Giulio Olivieri Cesare Pezzoni Anna Positano Collaboratori El Pelandro Marco Giorcelli Grafica e Impaginazione Matteo Casari sito internet http://compost.disorderdrama.org email [email protected] snailmail Compost c/o Matteo Casari C.P.1009 16121 Genova Pubblicazione NON periodica, amatoriale, destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza. Questa pubblicazione è una produzione Disorder Drama. Un sincero ringraziamento al collettivo del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui. Se interessati a collaborare, con parole o disegni, scrivete a [email protected] Il prossimo numero lo troverete in giro a metà Settembre 2007 Arrivederci a CMPST #4 - [09.2007] 2 CMPST #3[07.2007] Il tre dovrebbe essere il numero perfetto, eppure questo numero di Compost ha avuto una gestazione a dir poco travagliata, e non solamente per il fatto che l’editoriale è affidato alle mie parole sconclusionate. Questa terza uscita sarebbe dovuta essere tra le vostre mani sull’erba del parco di villa Croce in occasione del Mù-mù, ma “Genova” ha deciso di rinunciare a uno degli eventi che rendevano più magica la sua estate musicale, e chi siamo noi per andare contro alle sue decisioni? Abbiamo un tale quantità di spazi a disposizione che ci siamo ridotti a organizzare e ascoltare concerti casalinghi per pochi intimi. L’allungarsi delle scadenze e il caldo di luglio hanno minato un po’ la nostra (forse dovrei parlare solo per me?) produttività, e infatti mentre scrivo queste righe non so ancora se Compost andrà in stampa in tempo. Genova comunque dimostra sempre di più di essere una di quelle stanze dei film d’avventura degli anni ‘80 e ‘90 in cui le pareti si chiudono sempre di più fino a stritolare il protagonista, un protagonista, la musica cittadina, che mentre la stanza si riduce ingrassa a vista d’occhio, andando così a bloccare l’avanzata omicida dei muri con la sua stazza. Per quanto uno si informi, vada ai concerti, di band emergenti genovesi ne nascono in continuazione, e se una di queste si perde negli ingranaggi di quei macchinari da tempio maledetto, ce ne sono sempre due o tre pronte e prenderne il posto. A Genova non si butta via niente, e succede così che anche i musicisti si riciclino in continuazione, tenendo il fermento artistico vivo, fresco, profumato. Mentre i vecchi dinosauri occupano le valli nel clamore della loro maestosità destinata al declino, una miriade di uomini aspetta il suo turno nelle caverne, caverne dallo sfratto facile però in questa strana città di mare. In queste righe dalla metafora facile e sul filo della retorica, dell’entusiasmo e del campanilismo voglio quindi rendere un piccolo omaggio alla Genova con lo strumento in mano che tra salette, piccoli palchi, macchine da caricare e scaricare, partecipazione al lavoro altrui, ore piccole e quant’altro, urla ai vicoli e ai palazzi della città la sua forza e la sua rabbia, la sua urgenza di essere protagonista in un dialogo che va avanti da anni e non ha intenzione di smettere nonostante tutti i bavagli. Daniele Guasco Smesciarsi “Qui il divertimento collettivo passa principalmente per le discoteche ed è un tipo di aggregazione che non è legato ai concerti, all’ascolto di musica dal vivo.” Cromatigullio Intervista con Nicola Cazzaniga di Daniele Guasco FERMENTI A LEVANTE Con l’estate Compost esce da Genova e va a scoprire una realtà del Tigullio, in una zona in cui, a parte qualche sporadico tentativo spesso poco seguito dai giovani rivieraschi, vede veramente poche occasioni, tra spiaggie e bagnanti, di ascoltare musica dal vivo: Cromatigullio, una compagnia d’arte che dal 2005 si impegna ad organizzare un ottimo festival di musica indipendente e a promuovere i gruppi locali che condividono e partecipano al loro progetto. Pur frequentando abbastanza assiduamente la vita musicale genovese, posso essere considerato un pendolare. Ogni concerto presuppone i suoi bei trenta chilometri di guida in autostrada che separano gli eventi della città della lanterna dalla “mia” Rapallo, città del Tigullio nella quale sono nato, cresciuto, e nella quale ancora vivo. A parte qualche sporadico caso (i concerti invernali di Mojotic a Sestri Levante, qualche gruppo al Jambalive di Rapallo) sono veramente poche, se non nulle, le possibilità di ascoltare un po’ di musica live vicina ai miei gusti da queste parti, e l’estate non fa che peggiorare la situazione. In questo panorama arido e scontroso si muove però una realtà piccola, ma ben orchestrata e interessante: la compagnia d’arte Cromatigullio che organizza ogni anno un bel festival all’aperto. Ho raggiunto Nicola al Binario Zero, più che una saletta una vera e propria base per questo collettivo di ragazzi situata nell’ex scalo merci della stazione ferroviaria di Lavagna, e tra un treno che partiva e uno che arrivava abbiamo fatto questa chiacchierata a proposito di questo progetto, ma anche sui giovani musicisti (e non solo) del Tigullio e della loro scarsa capacità di far uscire la loro musica dai confini del golfo. Partirei da Cromatigullio: come nasce il progetto? Quali sono i suoi obbiettivi? Citando l’home page del nostro sito siamo un’associazione di ingrati e di privilegiati, musicisti, poeti autoreferenziali, folli, frustrati e rabbrividiti che si sono dati una casa comune e qualche piccolo ricreativo sogno. Cromatigullio nasce dall’esperienza maturata da alcuni di noi nel Forum dei Giovani di Sestri Levante e da lì, raccogliendo altri pezzi per strada (tra cui io ad esempio) si è deciso di fare una cosa a sé stante con lo scopo di reperire spazi, strutture e collegamenti per promuovere musica e un certo tipo di cultura giovanile. Il festival annuale quindi è nato come qualcosa di automatico per testimoniare questa realtà? L’idea del festival nasce dai 2 anni di attività del Forum, da quell’esperienza si voleva poi fare un unico concerto come ultima fiammata per poi mollare tutto. Tant’è che dopo quel primo festival ci abbiamo preso gusto. Quell’anno fu un evento su più fronti, itinerante tra Chiavari, Sestri Levante e Lava3 CMPST #3[07.2007] Smesciarsi e dare spazio alle realtà creative della zona (band emergenti e collettivi di artisti locali). La cosa più difficile è trovare il referente in ambito comunale che abbia a cuore più o meno la stessa idea nostra di dare uno spazio ai giovani lasciandogliene anche in mano la gestione. Questo ovviamente oltre alle difficoltà economiche e burocratiche (siamo ancora un’associazione non riconosciuta!). I due primi anni siamo stati appoggiati dalla cooperativa sociale La Fattoria di Orero che ci ha dato una mano enorme per tirare su le cose. Quest’anno siamo stati aiutati dal comune di Lavagna, dall’assessorato alle politiche giovanili. La terza difficoltà sta nel trovare anche la collaborazione di altre persone, altre realtà; in questo senso bisogna partire con largo anticipo, cosa che non sempre è facile e si finisce sempre col ridursi agli ultimi due mesi. Nonostante il Tigullio si riveli una realtà un po’ chiusa, sulla base di un progetto ben strutturato è possibile comunque vincere la diffidenza altrui. gna. Vedemmo però che era un po’ troppo dispersivo. Essendo comunque non a fini di lucro, solamente per i volenterosi che son disposti a “sbattersi”, abbiam trovato un terreno fertile a Lavagna e siamo ripartiti da qua. Quali sono le difficoltà più grosse che avete incontrato nell’organizzazione di un evento come il Cromatigullio festival? Non è facile nel Tigullio proporre musica dal vivo invitando ospiti del circuito indipendente nazionale (Viclarsen, Blown Paper Bags, Banghra Beat, Julie’s Haircut, One Dimensional Man e quest’anno gli Ulan Bator) 4 CMPST #3[07.2007] Ecco, una cosa che ho sempre riscontrato nel Tigullio è una tendenza di coloro che provano a fare qualcosa per la musica a restarsene sempre per conto proprio, ad essere diffidente negando sia l’aiuto ad altri che eventuali aiuti per sè, mentre nel vostro caso ho notato, ad esempio, che seguite con particolare interesse l’attività dei ragazzi di Mojotic... Credo che le cose buone che ci sono da queste parti non dovrebbero né ignorarsi né tanto meno opporsi. Abbiamo già accennato prima al libro con la compilation uscito l’anno scorso (“Libere interpretazioni danno le vertigini”)... Il libro voleva essere una fotografia della scena musicale del Tigullio, è stata secondo me una cosa forse fatta un po’ troppo di fret- ta ma eravamo presi dall’entusiasmo della cosa, abbiamo gestito un po’ male le registrazioni dei gruppi e ci siamo un po’ persi in fase di promozione ciò non toglie che resta in ogni caso una preziosa raccolta di testi e testimonianze, aperta a chiunque volesse partecipare, messa insieme con il materiale che ogni gruppo ci ha fornito, senza chiusure né censure. Sarebbe stato bello andare a scavare ancora di più negli anni passati contando anche altri gruppi che non esistono più. Quindici anni fa il fermento musicale non mancava come tutt’oggi del resto. Su questo son d’accordo, ma allo stesso tempo è facile constatare una certa difficoltà dei gruppi del Tigullio a uscire da questo piccolo guscio sul mare, particolarmente secondo me a causa di una mancanza di partecipazione. I gruppi della zona sono secondo me troppo portati al cercare la “pappa pronta”, ad aspettare senza uscire dalle salette se non per muoversi di qualche centinaio di metri. Che ne pensi? Principalmente è un problema di pigrizia e mancanza di obbiettivi. Poi c’è da aggiungere il fatto che sono ancora veramente Smesciarsi “Nonostante il Tigullio si riveli una realtà un po’ chiusa, sulla base di un progetto ben strutturato è possibile comunque vincere la diffidenza altrui.” troppo pochi i locali o gli eventi dove poter suonare da queste parti, mancano così le esperienze e il relativo riscontro con il pubblico e con i cosiddetti addetti ai lavori. Credo che però alla fine dietro tutto questo ci deve essere da parte del gruppo la volontà di “uscire” e cercare visibilità essendo veramente convinti del proprio progetto artistico. Parlo principalmente per la mia esperienza col mio gruppo (i God’s Great Banana). I gruppi del Tigullio dovrebbero comunque partecipare maggiormente ed entrare in contatto con le altre realtà con umiltà, così a Genova come da altre parti. Una sera in un locale della zona ho sentito una critica a Cromatigullio che non è che mi sia piaciuta moltissimo, gente che si lamentava del fatto che voi non li aveste mai contattati. Secondo me i gruppi locali non dovrebbero chiedersi cosa può fare Cromatigullio per loro, piuttosto dovrebbero domandarsi cosa possono fare prima di tutto loro per Cromatigullio... In questi primi anni, partendo da zero, abbiamo puntato principalmente sui gruppi di cui facevamo parte noi stessi, o comunque gruppi collegati a noi. Poi abbiamo cercato degli aiuti, del sostegno, dato che tutta la nostra attività si basava solamente sulla nostra volontà di fare le cose. La mancanza di una risposta e di gratificazione diciamo che non ci è piaciuta molto. Abbiamo così mantenuto una forma maggiormente legata all’idea di consorzio, prendendo in considerazione quei gruppi e quei musicisti che si facevamo più vedere, che si impegnavano nelle nostre iniziative. C’è chi dice che i gruppi che partecipano al nostro festival sono “raccromanda- ti”. Cromatigullio non è che può far suonare in due giorni all’anno tutti i gruppi del Tigullio. Un po’ vediamo il festival più che altro come una nostra festa, non è quindi facile rinunciarci a suonare, ma alla fine, per come la vedo io, non è neanche giusto, anche perché non aprendosi ad altre realtà non ci si muove da qui. Intanto quest’anno proviamo ad aprirci anche verso Genova, invitando due gruppi del capoluogo a suonare. Quindi tentiamo di dare spazio ad altri gruppi della zona che non hanno mai partecipato. Il cartellone del nostro festival cambia durante gli anni, ma dovrebbe cambiare ancora di più cercando lo scambio e la collaborazione con altri appuntamenti simili sul territorio regionale e non. Parliamo invece del pubblico del Tigullio. Io lo trovo molto apatico, difficilmente va a sentire il gruppo che non conosce, o comunque di rado va a una serata se non c’è qualche suo amico sul palco. Quale potrebbe essere secondo te un modo per invogliare, incuriosire il pubblico del Tigullio verso musiche che normalmente non sono alla sua portata di mano? Questo secondo me si riallaccia al discorso di prima sulla mancanza di locali per la musica dal vivo, al di là dei generi o di proposte o del fatto che siamo liguri, chiusi di testa. Qui il divertimento collettivo passa principalmente per le discoteche ed è un tipo di aggregazione che non è legato ai concerti, all’ascolto di musica dal vivo. E poi è un fatto puramente culturale, emotivo, di passioni. I locali che fanno suonare cover-band in zona però sono sempre pieni, a differenza delle proposte che riguardano la musica originale... Non so, la musica originale presuppone una buona dose di attenzione e di dispo- nibilità all’ascolto, curiosità nello scoprire qualcosa di nuovo mentre in generale le cover-band hanno una più facile presa sul pubblico. E questo chi gestisce un locale lo sa perfettamente. Per quanto sia valida la proposta del festival, avete mai pensato di organizzare qualcosa anche negli altri periodi dell’anno? Per ora no. Quantificando l’impegno che richiedono certe cose, quantificando le persone che ci stanno dietro, che sono poche e con il tempo ridotto all’osso, abbiamo vi5 CMPST #3[07.2007] Smesciarsi Cosa potrebbero fare quindi, ricollegandoci al discorso di prima, i singoli gruppi della zona per Cromatigullio? Per ora abbiamo questa cerchia di gruppi ma con tutta la volontà di aprirci ad altri gruppi, altre realtà, altre persone. La cosa fondamentale rimane, al di là di Cromatigullio, il fatto di credere e di impegnarsi nei propri progetti musicali o artistici che siano! I sacrifici alla fine premiano, guarda l’esempio dei Ricochet che hanno recentemente vinto le finali e suoneranno a Italia Wave. Per quanto ci riguarda i gruppi possono sostenerci partecipando alle nostre iniziative, facendo girare la voce e venendo a trovarci nella saletta che abbiamo allestito a Lavagna. Il modo migliore è conoscersi direttamente. Julie’s Haircut al Festival 2006 - foto di Tangacci sto che per ora è appagante fare un festival estivo che è arrivato al terzo anno. Ed è una cosa secondo me dalle potenzialità enormi e di questo non abbiamo ancora piena coscienza. Partirei dal migliorare quest’appuntamento, magari farlo diventare di tre serate, coinvolgendo altre associazioni, altre realtà alternative presenti sul territorio, creando una cornice più appropriata in termini di bancarelle, persone e artisti coinvolti. Le faticate dietro al festival, dal montare il palco alle formalità burocratiche, dalla pubblicità alle grafiche, le facciamo volentieri, ma non avendo un riconoscimento ufficiale né uno scopo di lucro né possibilità di finanziamenti ci investiamo tantissimo umanamente, ora il nostro unico pensiero è arrivare contenti al 6 CMPST #3[07.2007] 29 luglio e che chi ci è venuto a trovare abbia apprezzato le nostre proposte. Il nostro zoccolo duro ce l’abbiamo, amici e gente che ci sostiene e che si è trovata bene ai nostri eventi, che si è accorta che le cose campate in aria non le facciamo e questo è già un bel successo! Magari, nel caso ci fosse uno spazio adatto e disponibile, si potrebbe collaborare con qualche locale, proponendo gruppi collegati a noi, o semplicemente dare una mano, facendo da mediatori, anche attraverso il nostro portale che è parte integrante della nostra attività. In generale diciamo che al momento non abbiamo ancora l’idea di avere anche altre cose da dire, da mettere in moto, ma per ora ci sembra che sia oltre le nostre possibilità Per finire, a parte il festival quali obbiettivi si pone Cromatigullio per il futuro? Aprile scorso abbiamo partecipato al bando del governo “Giovani idee cambiano l’Italia” con l’intento di far crescere il nostro progetto partendo dalla sede-saletta e dall’allestimento di una scuola di musica rock e corsi di musica d’insieme e automaticamente diventare un’associazione riconosciuta a tutti gli effetti. E da qui creare questa piattaforma per raccogliere anche altre cose. Ad esempio sono tre anni che invitiamo al festival artisti locali che ora son diventati collettivo Laulima (www.laulima.it), aprirci anche ad esperienze artistiche non necessariamente legate unicamente al mondo della musica. Ora il progetto è in fase di valutazione al Ministero, se dovesse andarci male proveremo altre strade. Ci piacerebbe riuscire a creare un vero e proprio centro artistico e musicale nel Tigullio, in poche parole. Più info suill’attività di Cromatigullio su http://www.cromatigullio.org Produzioni “ Non c’è niente di costruito negli Ex-Otago. Siamo arrivati con tanta gavetta in un momento in cui nella musica italiana forse non c’è tanto sfogo, e a Genova idem.“ Ex-Otago Intervista con Alberto Argentesi e Simone Fallani di Matteo Marsano e Simone Madrau IO MI VOGLIO DIVERTIRE Il 2007 per la scena genovese sarà probabilmente ricordato come l’anno degli Ex-Otago: un caso di popolarità e visibilità a livello mediatico che la città non raggiungeva dai tempi dei Meganoidi. Il merito va tanto a un disco come Tanti Saluti, capace di coniugare canzone pop e sonorità indie quel tanto che basta da accattivarsi un pubblico più vasto del solito, quanto all’indubbia presenza scenica del combo genovese. Ben due nomi di Compost, allora, per altrettanti Otaghi, ovvero Alberto e Simone, nel negozio di abiti in cui lavora quest’ultimo. Quasi all’ora di cena, saracinesca abbassata e una fame che non impedisce ai nostri di fare un esauriente punto sull’ottimo stato di salute del gruppo, senza lasciare da parte nemmeno per un attimo la città che ha dato loro i natali: un quadro, quello della loro Genova, che non smentisce affatto quanto appurato nei precedenti numeri di questa fanzine. Matteo: Ex-Otago sono ad oggi il gruppo genovese più in vista della scena indipendente italiana: avete perfino avuto un’intervista sul Secolo. Sotto certi aspetti si può dire che ce l’avete fatta o che ce la state facendo: complimenti davvero. Contenti? Avete qualche dichiarazione da fare ai microfoni di Compost? Insulti, ringraziamenti, vendette, frasi d’amore… Oppure potete dirmi perché il gruppo indie genovese di maggior successo è quello meno serioso e meno pretenzioso, e se non vi sentite un po’ un’anomalia in una scena cittadina che purtroppo o per fortuna non brilla per senso dell’umorismo e disimpegno. Alberto: Innanzitutto grazie per i complimenti. Che la scena genovese non ab- bia senso dell’umorismo è vero perché comunque rispecchia molto il carattere della città anche se stiamo mandando parecchi gruppi in trasferta in questo periodo, anche di generi molto diversi. Diciamo che ciò che preme a me come al resto del gruppo in questo momento è il bene degli stessi Ex-Otago e dire di avercela fatta è un po’una parola grossa, perché “indie” è una parola che vuole dire tutto e niente, ci sono tante sfaccettature di cui ti rendi conto quando vai a festival come Italia Wave o Mi Ami, dove la gente non sta a guardare molto al contenuto e molto più alla forma. Noi abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo per il nostro look anche in termini non sospetti: non lo facciamo perché “se ci vestiamo così andiamo in copertina”. E’ una cosa che ci viene spontanea. Lo facevamo quando suonavamo al Pinelli ai tempi in cui eravamo ancora in tre, o nei centri sociali. Non c’è niente di costruito negli Ex-Otago. Siamo arrivati con tanta gavetta in un momento in cui nella musica italiana forse non c’è tanto sfogo, e a Genova idem. So per certo che a tanta gente non siamo simpatici perché presi singolarmente nessuno di noi ha fatto il conservatorio, nessuno tecnicamente può vantare grande esperienza; senza contare che nessuno è al suo posto veramente negli Ex-Otago: Simone normalmente suona la chitarra, Maurizio 7 CMPST #3[07.2007] Produzioni Alberto - foto di Anna Positano era un dj, io ero un cantante, Simone era un bassista. Quindi molti gruppi che magari vanno in saletta nove volte a settimana, suonano la chitarra con la lingua e rifanno pari pari pezzi dei Kyuss a volte dicono: “guarda sti scemi che saltellano sul palco”. Quella è la tipica ignoranza che non c’è solo a Genova ma esiste anche qui, me ne sono accorto al Periferie o in occasione di altri eventi dove non ci avevano mai visti live: tanto pubblico entusiasta ma tanti che storcevano il naso 8 CMPST #3[07.2007] dicendo “belin ma questi cosa sono, dei giullari?” fermandosi all’apparenza. Vero che non avevamo ancora tante canzoni in scaletta, era uscito solo Chestnut Time. Però… Simone: Quello che può essere il nostro approccio live poi è anche qualcosa che ha un’attitudine dietro, ovvero il puro show. Sul palco devi tenere viva l’attenzione. Su disco invece puoi essere molto più serio: quello che esce da noi quattro può sembrarvi semplice ma non scherziamo affatto. A: Se uno vuole ascoltarsi la musica se la ascolta in salotto, sul computer, sull’iPod. Sul palco è un altro discorso. A me quei gruppi che rifanno pari pari il disco, asettici, freddi, non mi hanno mai entusiasmato. Per di più quando fai roba acustica tenere l’attenzione alta è più difficile di quando fai roba con distorsioni, ecc. Se suoni acustico, o sei… Tracy Chapman, o sei il più bravo chitarristafingerprintingporcozzio o non ti cagano neanche di striscio. Ho visto gente fischiare le performance di cantautori americani Pavement-style anche molto bravi solo perché erano lì da soli col pedalino. Simone: Avete detto che il vostro primo pensiero è verso gli Ex-Otago, come gruppo e come gruppo in crescita. A tal proposito non vi scazza un po’ il dover sempre ricorrere a strutture esterne, fuori da Genova, per avere una visibilità proporzionale al successo che state avendo? Non vi pesa, ad esempio, dover andare a Bologna per fare un mini-set in radio e non poterlo invece fare qui per la mancanza di tanta imprenditoria e di tante strutture? S: Questo è pesantissimo, eccome. A: Sì, però tengo a precisare che non credo sia colpa della scena indie genovese. Parlando di Bologna posso riallacciarmi alla tua intervista con Monica di Suiteside che è stata a Bologna una vita. Bologna probabilmente ha toccato l’apice quando la Homesleep ha cercato di mettere i tentacoli dappertutto. Quindi i vari Giardini di Mirò, o gli Yuppie Flu che non sono bolognesi ma essendo sotto Homesleep erano sempre al Covo. E poi lo stesso tizio della Homesleep che si infila sempre dappertutto. Ma anche, adesso, il ragazzo della Unhip senza il quale forse Bologna in tanti contesti sarebbe anche ferma: Unhip quindi Settlefish, Death Of Anna Karina.. Produzioni anche con l’estero.. A Bologna si salva il fatto che c’è la materia prima: da noi scarseggiano i giovani, siamo sempre gli stessi. Lì invece ci sono. E con i giovani si possono creare delle associazioni, con le associazioni si possono avere dei fondi. Anche se Cofferati non sta molto simpatico ai bolognesi sia il capoluogo che i comuni emiliani sono sempre stati molto attenti sotto questo profilo: se tu dimostri che la tua radio è fatta per fare cultura, ti arrivano dei fondi con cui puoi pagarti tutta un’altra serie di cose. E a Genova mancano queste strutture, e mancano perchè manca la cultura. Genova è una città dove tutti sanno tutto e nessuno sa niente. A Genova devi far così per campare: essere un mini-bignami. Se chiedi a qualcuno cosa sa, sa che c’è Babboleo ma non è una radio: è una farsa commerciale che sta in piedi da una vita ma che Produzioni “Il miglior complimento che ho ricevuto a riguardo è stato: Giorni Vacanzieri = L’Estate Sta Finendo del 2007.” non passerà mai gli Ex-Otago neanche se facessimo una canzone orecchiabile come una di Jovanotti. A Genova manca poi un giornale serio da questo punto di vista, nel senso che non ci sono quotidiani con un briciolo di inserti giovanili. A Bologna siamo andati una sola volta e avevamo già un trafiletto sul giornale. Era un trafiletto del cazzo, però intanto c’era. S: Quello che salva Bologna è che ha un casino di studenti: poi magari Bologna la lasciano anche, però ne arrivano altri. C’è un ricambio costante di volti tra i 18 e i 25. C’è sempre qualche nome nuovo. In più Bologna ha la fortuna geografica di essere abbastanza distante da Milano: il risultato è che ci passano un sacco di concerti grossi e questo crea attenzione. S: Probabilmente c’è più roba a Bologna che a Roma, che paradossalmente è la capitale. A: Roma è una città che anche lei non se la passa benissimo, ok. Però ha tre o quattro radio fighissime, poi ha le agenzie più grosse [DNA, Indipendente, Petrolio] quindi anche lì bene o male le serate non mancano. M: Anche se poi se le cucca tutte il Circolo degli Artisti… A: Bè sì, il Circolo è un po’ come il Covo a Bologna. E’ quello che anche per sfregio nei confronti di altri locali - c’è un po’ di campanilismo – piuttosto dà quei 100€ in più e paga quel gruppo che è hype in quel mese tanto per dire “oh però dal Circolo sono passati anche i taldeitali”. Comunque Genova da parte sua ha avuto quell’anno in cui il Milk andava forte: parlo di quando c’era ancora Matteo che collaborava. Tra le sue cose e il fatto che loro mantenevano ancora la gestione normale, sapevi che in una certa sera trovavi le cose più indie, in un’altra ecc. Non mischiavano le carte, non facevano dei polpettoni. Infatti poi sono andati in caduta libera, guardando alle ultime stagioni. Eppure il nome del Milk girava anche a Roma, anche nel sud Italia. Questo vuol dire che per un po’ di tempo i gruppi si sono trovati bene a suonare a Genova, e la città aveva la sua bandierina nel Risiko dell’indie. Invece ora ha perso di nuovo questo scettro. I Settlefish che secondo me sono un gruppo valido chiedono 300€ quando vogliono abbassarsi il cachet e ciò nonostante nessuno qui può garantirglieli. Che è una cosa incredibile, tanto più se pensi che c’è chi vorrebbe portarli. S: A proposito di date, come funziona Riotmaker in merito? A: Loro sono etichetta e basta quindi non ci procurano direttamente date. Noi però siamo stati avvantaggiati dal fatto che avevamo già i nostri fan prima di entrare in Riotmaker. Poi un po’ di fortuna con il video che gira in rotazione abbastanza elevata su AllMusic, e MTV che lo passava già da prima. Poi il passaparola della gente… Metti tutto insieme e capisci che abbiamo sempre avuto modo di suonare con date diciamo ‘freelance’ quindi Riotmaker non ha dovuto intervenire d’urgenza tappando buchi. In realtà loro sarebbero intervenuti con qualche Riotmaker Night. Ora invece le agenzie si stanno facendo avanti e Riotmaker ci aiuta a sceglierne una piuttosto che un’altra. S: Sì, avremo fatto due date organizzate da loro, a Milano e a Udine. Non fanno booking. Però il grosso merito di Riotmaker è che è stata una delle prime etichette indipendenti in Italia a prendere distribuzione Warner, secondo un sistema simile a quello americano. Perché in America tante etichette indipendenti creano attenzione così, e con loro i gruppi che ne fanno parte: tutto grazie alla grossa distribuzione. A: Ora se, per esempio a Cuneo, un ragazzo ha visto il nostro video su AllMusic e vuole il cd, può andare da un negoziante qualsiasi, richiederglielo, e il giorno dopo ce l’ha. Nell’ambiente indie non è poco per un cazzo. M: Parlando della presentazione del nuovo disco alla Rosa dei Venti: noi c’eravamo, e possiamo tranquillamente dire che si è trattato di un successo. In mezzo al tripudio e alla meritata esposizione ho pensato però una cosa, che è questa: una volta la proposta Otago, pur essendo a grandi linee easy-listening come adesso, era però più francamente legata a un certo approccio parodistico e sarcastico che presupponeva la conoscenza se non altro dei bersagli musicali del vostro cabaret, ovvero tutte le emobands. Adesso pensando anche al bello spettacolo e alle innumerevoli ragazze che ballavano i vostri pezzi, si può par9 CMPST #3[07.2007] Produzioni biamo sentito la necessità di ironizzare su entrambe le cose. In effetti a essere obiettivi le ultime canzoni arrangiate sono comunque pop: trasversale, sbagliato come dice Riotmaker, come dicono i giornalisti, ma indubbiamente pop. E questo ha giovato anche alla resa delle ultime date dal vivo, vedi Rosa dei Venti. Vorrei precisare che non è sempre facile riempire Genova, non è detto che anche se suoni in casa riempi. Tanta gente è presa bene dall’evento gratuito, dalla serata particolare. E’ venuta con lo spirito giusto, quindi ballava, ecc. S: E’ venuta gente anche da fuori. Poca, ma ne è venuta. Ex-Otago Live - foto di Anna Positano lare degli Ex-Otago come un gruppo più accessibile, senza bisogno di avere un certo tipo di conoscenze. Secondo voi quanto ha pesato poter contare su questo discorso della grossa distribuzione in questo senso? S: Secondo me in questo caso non tanto. A: Nella tua domanda c’è una provocazione che ci sta, nel senso che prima avevamo dei pezzi che erano molto più legati a un impianto acustico di un certo tipo, e nel farlo cercavamo di far capire che nelle nostre melodie ultra10 CMPST #3[07.2007] catchy non c’era voglia di essere catalogati sotto un certo tipo di emo. Ovvero quello che, prima delle varie derive My Chemical Romance, Simple Plan e quelle merdate lì, coincideva con i Dashboard Confessional… S: Sì, il peggio in quel momento era quello. A: …E tra l’altro i Dashboard Confessional facevano emo con una chitarra acustica. Quindi noi ci siamo ritrovati a suonare in un momento in cui eri etichettato o Kings Of Convenience o emo. Ab- S: Era anche sabato sera… A: E’ sabato seraaaah… io mi voglio… divertireeee… S: Comunque il posto è bello, se lo facevi al chiuso probabilmente non veniva altrettanto bene. A: E’ vero, anche se tanta gente non ha potuto godere fino in fondo lo show perché era già tutto pieno sotto. S: Comunque in questo caso più della distribuzione del disco conta secondo me il fatto che - per scelta - era da gennaio che non suonavamo. Non è poco, visto che qui a Genova riempivamo già prima. Si è creata un’attesa, poi il passaparola, il video che se non vedevi in tv, lo vedevi su QOOB o YouTube. La gente si è gasata tanto che Giorni Vacanzieri abbiamo dovuto inserirla: l’avete sentita, era totalmente improvvisata. Fortunatamente sta piacendo anche Amato, ed è un bene visto che sta per uscire il video. A: Ora c’è molta più improvvisazione Produzioni da parte nostra, molta più voglia di trovare un contatto forte con il pubblico, soprattutto quando quest’ultimo dimostra di conoscere le canzoni. Ci interessa più questo del cercare di far cogliere le citazioni: che comunque c’erano e ci sono, in Amato come altre tre o quattro canzoni del nuovo album, visto che alla fine tutti noi abbiamo i nostri ascolti e in qualche modo li inseriamo dentro le nostre cose in maniera ovviamente irriconoscibile. Sfido chiunque a dire che gli Ex-Otago somiglino a un gruppo in particolare. S: Ma più che fare un discorso di somigliare a questo o a quest’altro, direi che è proprio la chimica tra noi quattro a fare sì che il gruppo suoni in questo modo. A: Diciamo comunque che è ben lungi da noi voler passare per gli Elio E Le Storie Tese dell’indie. Ci piace, questo sì, ironizzare su noi stessi e su tante cose, ad esempio sull’incapacità tecnica di reggere un concerto in un certo modo, perché se cerchi di stare a contatto con la gente ogni tanto ti scappa una nota. Ad esempio sabato alla Rosa era impossibile suonare bene perché la gente ballava e la chiatta si muoveva e io avevo paura a usare gli strumenti-giocattolo per paura che finissero ai pesci. M: Sempre proposito di composizione e produzione, come la affrontate? E’ un affare più serio di quanto sembri o riuscite a mantenere l’approccio disimpegnato che vi caratterizza dal vivo? S: Quando sei in quattro teste non è facile fare le scelte di produzione che tutti vorrebbero; il risultato è quello che convince al 100% tutti, ma non i singoli secondo me. Bisogna trovare un compromesso. A: La gestazione del disco è stata piuttosto travagliata perché firmando un contratto con la Riotmaker hai dei canoni prestabiliti di estetica e di suono. Alla fine il risultato ci soddisfa, ma durante la gestazione il nervosismo è salito alle stelle anche per un gruppo come noi che sembra sempre che ridiamo. Ma è normale, sei dentro una stanza come un topo tipo cavia da laboratorio. S: Avevi delle date, dovevi stare in studio dodici ore al giorno, dal giorno tot al giorno tot, quindi dovevi fare più lavoro possibile in quell’arco di tempo. A: E’ uno studio che costa, considera che ci lavorano Subsonica, Negramaro, Frankie Hi-NRG, gente del giro dei Tiromancino. Riotmaker lo ottiene a prezzo ridotto perché dà delle edizioni a questo studio, ma diversamente è un posticino da 1000€ al giorno come minimo. Quindi a noi è andata bene, essendoci stati grazie a Riotmaker ben due settimane. S: Quanto alla composizione invece non c’è una formula fissa. Certe canzoni sono state scritte in 20 minuti [si intende la base, la linea importante], certe altre un paio di mesi. Tanti Saluti comunque è composto da canzoni che sono in giro da una vita. Luisa è il pezzo più vecchio, Cooking Ovation il più recente, ma dal primo all’ultimo c’è un percorso di almeno tre anni. C’è anche un paio di pezzi che abbiamo tenuto fuori, più per imposizioni che per nostra volontà. Noi li avremmo messi tutti. Abbiamo un tipo di produzione da cui per assurdo non esce mai un pezzo che non ci convinca, e questo perchè prima di finire un brano dobbiamo mettere tutti i puntini sulle i. M: Quindi siete piuttosto pignoli anche in fase di registrazione. S: Il problema è che noi sia in saletta che dal vivo siamo legati a un certo tipo di sound quindi ovviamente al momento di registrare vuoi sì mantenere una parte di lo-fi, una parte di questo o di quell’altro, ma al tempo stesso senti di voler puntare sulla forza “pop” delle canzoni. A: Con i mezzi che hai oggi hai la possibilità di fare un sacco di cose, nove giri di tastiera ecc., ma il rischio è quello di sovraccaricare tutto il suono. Ne paghi lo scotto dal vivo, dove la gente se ne accorge. Sente la differenza. S: Un po’ lo abbiamo sovraccaricato, in effetti. Comunque sfrutti il fatto di poter mettere quattro tastiere quando dal vivo ne hai due, nonché il fatto di poterle sovrapporre. A: Sono cose che fanno anche gruppi grossi di un certo calibro. I Bloc Party non credo abbiano mai realmente suonato una batteria vera in studio. Ma penso anche a gruppi, senza fare troppi nomi, che hanno quattromila cori in studio e poi dal vivo canta uno, per giunta stonato. M: Ma se voi aveste avuto il controllo completo anche del processo di registrazione, avreste fatto qualcosa che cattura di più lo spirito live, qualcosa di, diciamo, più analogico? S: Lo avremmo fatto, ma il problema è che se manteniamo quello spirito analogico ne viene meno anche la composizione. Su disco secondo me è importante che uno che non ci conosce si faccia 11 CMPST #3[07.2007] Produzioni un’idea il più possibile positiva, per poi venire a vederci dal vivo e rimanere piacevolmente sorpreso di come le canzoni con meno strumentazione possano in realtà rendere molto di più. In studio, suonando in acustico, è molto difficile rendere la stessa intensità che abbiamo dal vivo ed è per questo che è più prodotto del precedente, ma non iperprodotto. Meno lo-fi, questo sì: ma lontano da tante produzioni italiane, e parlo anche di produzioni indie. Quindi in studio è importante conservare la forza delle canzoni e dal vivo vanno amplificate in intensità. S: Io vi ho visto per la prima volta dal vivo alla Rosa Dei Venti però avevo già preso il disco. C’è un divario grosso, per quanto anche il disco sia più che gradevole: l’ho fatto girare a nastro per due settimane senza quasi ascoltare altro. Il rischio in quei casi è sempre che poi un disco lo molli per non riprenderlo più. A: Sì tipo rigetto, ma alla fine quello ci sta. A me casomai fa innervosire è che venga considerato semplicemente “il disco estivo”. S: Anche perché alla fine da September in poi ci siamo fatti portatori di una malinconia che ha ben poco di estivo. S: Già: alla fine, per quanto voi facciate i “cazzari” c’è sempre una sorta di malinconia. Certo: in Sasha è trasparente, in Giorni Vacanzieri molto meno. S: Considera poi che Giorni Vacanzieri è un pezzo nato quasi per scherzo che è stato anche remixato. E’ nato per essere un pezzo dance. A: Il miglior complimento che ho rice12 CMPST #3[07.2007] vuto a riguardo è stato: Giorni Vacanzieri = L’Estate Sta Finendo del 2007. E’ un pezzo che ha anche i suoi bravi tormentoni a livello di testo, come “ho 35 anni, non sono mica vecchio”. S: Io in effetti mi ritrovo spesso a citare pezzi di quel testo. Casomai è dall’altra parte che quasi sempre non viene colto. M: Una cosa che ho notato su disco è l’impianto Pernazza un po’ addomesticato, un po’ disciplinato. A: Me lo hanno detto tutti, però secondo me è giusto così. S: Ti rispondo io che la vedo da fuori. Pernazza più disciplinato, ok, ma molto più attivo anche dal lato compositivo e sotto il profilo degli stessi interventi rap [freestyle, nota bene] che nel primo disco non c’erano. Poi Albe ha un background hip hop importante e i grandi vecchi dell’hip hop di Genova lo sanno. A: Aggiungi che troppi interventi miei trasformerebbero il gruppo in una parodia: sia mia che del gruppo ed Ex-Otago è il gruppo di tutti e quattro, non solo mio. M: Io personalmente avrei preferito una cosa più sopra le righe, con qualche citazione emo-core, più urla, ecc. S: Sono rimaste, però dal vivo. La verità è che siamo anche stati presi alla sprovvista da tutta una serie di cose: non siamo abituati a uno studio importante, con un produttore che ti sta col fiato sul collo su tutto. Ci siamo ritrovati a litigare per dei giri di tastiera che secondo lui erano “sbagliati”. E questo perché è una persona che ha studiato e ragiona in termini diciamo matematici. “Questa nota dopo questa non ci può stare, suona male”. Ma scusa, se l’abbiamo sempre fatta così ed è il suono che vogliamo noi, non ti puoi permettere... Alla lunga, dopo dieci giorni passati così, può darsi che anche noi riascoltando il disco rifaremmo le canzoni in maniera diversa. Succede comunque a prescindere da queste cose: anche quando non le registri, suoni una canzone una volta così e poi risuonandola la cambi, la riarrangi, aggiungi o togli cose. Io credo che la musica sia arte, e l’arte è in continua evoluzione. S: Forse i produttori sono abituati a ragionare in termini più accademici. Poi magari sto generalizzando questo è stato il vostro caso, e c’è produttore e produttore. S: Non saprei, tieni però presente che comunque Riotmaker di libertà in questo senso ce ne ha anche date. Siamo il gruppo più lo-fi del loro roster, se vai a vedere. Siamo però costretti a trarre il massimo da una situazione che di base lo-fi non è. A: Gli Amari comunque in fase compositiva suonano in tre, dal vivo diventano cinque. Loro sono dell’idea di infarcire tanto, io invece sono per il less is more. S: Secondo me è un problema di buona parte del pop di questi anni, ovvero che è troppo, troppo carico. Ne perdi in spontaneità. S: Davanti alla possibilità di fare quello che vuoi è facile eccitarsi. Però spesso capita che alla fine il pezzo lo preferivi com’era prima, quando aveva centinaia di suoni in meno. E’ giusto che il disco suoni un po’ più squisitamente pop. Rimane Produzioni il fatto che siamo un gruppo genovese non friulano oltre che il più punk di casa Riotmaker. Speriamo di aver portato un po’ di rinnovamento nel loro catalogo. A: Ora andiamo a suonare in Friuli e in Veneto, vedremo un po’ come ci accolgono. S: Rimanendo invece su Genova: mi pare che nei confronti degli altri gruppi ci sia un buon attaccamento. Lo avete anche dimostrato portando con voi alla Rosa Dei Venti Japanese Gum, Rocktone Rebel ed En Roco. A fine concerto, parlando con lo stesso Teo, ho detto che alla fine è bene che in tutta questa gamma di generi diversi che offre Genova ci sia qualcuno di pop nel senso di popolare, che emerge, che arriva fuori come voi e trascina anche gli altri. La cosa sbagliata sarebbe uscire rimanendo però per i fatti propri, isolandosi dal resto della scena. A: Il problema di Genova è questo: se tu a Genova provi a chiedere 300€ a qualcuno per farti suonare, loro ti rispondono: “vabbè, ma siete di Genova”… Però perché quegli altri fuori i soldi me li devono dare e tu no? E così facendo con noi già parti con il piede sbagliato, perché è chiaro che non andiamo a chiedere 1000€ al Buridda, anzi, non per fare del libro Cuore, ma ci siamo ritrovati a dare dei soldi indietro ad alcuni centri sociali che ci volevano pagare di più di quanto chiedessimo. Detto questo, quando sono cinque anni che suoni e hai delle spese [perché comunque la Riotmaker ha pagato le registrazioni ma noi abbiamo comunque una quota importante da dare] ti aspetteresti un briciolo di equità da parte dei locali: in- Simone - foto di Anna Positano vece succede che tu sai che un locale lo puoi riempire, vedi che danno 500€ a [con tutto il rispetto] Giorgio Canali perché PGR e Paolo Benvegnù perché ah belin Scisma e a noi senti ancora dire “eh ma dai voi siete di Genova”. Questo è un approccio sbagliato che ti fa scappare dai locali. Per quanto riguarda i gruppi, noi abbiamo invitato tutti a rifare pezzi degli Ex-Otago e poi portarli con noi alla Rosa Dei Venti. Chiaro, alcuni erano totalmente fuori contesto, non c’era spazio per tutti per motivi di tempo e di logistica, e così abbiamo dovuto chiudere un attimo le frontiere però io comunque ho apprezzato lo spirito in cui certe persone hanno partecipato. E sono contento che uno come Amedeo [Rocktone Rebel], che si trova sempre a suonare con poca gente, abbia finalmente avuto occasione di misurarsi con il pubblico che merita. Alcuni sono scappati perché la sua è una proposta particolare e al Rosa Dei Venti c’era gente di tutti i tipi: altri però l’hanno scoperto e sono rimasti piacevolmente sorpresi. S: Ne parlavo con Cesare [Useless Idea] che mi diceva che in realtà ciò che fa non è così diverso, c’è una riga di gente anche solo in Italia che fa 8-bit… 13 CMPST #3[07.2007] Produzioni S: Vero, infatti è uscita anche la compilation [Bit Beat, per i tipi di To Lose La Track, NdSimo]… S: …Però il punto è che nella scena genovese, così come italiana e mondiale, Amedeo ha dei margini di miglioramento notevoli perchè è giovanissimo. Già rispetto ai suoi esordi ha avuto un’evoluzione incredibile e nel giro di pochissimi anni. A: Lui era partito con un Korg e l’idea di fare una sorta di Casiotone For The Painfully Alone genovese. Però, con tutto il bene che gli voglio, non è intonato come non lo sono io: e quindi ha ripiegato su questa cosa, e ha fatto bene. S: Per finire darei sfogo al mio lato eMpTV, chiedendovi sia di questa cosa del contest per il video di Amato su QOOB sia del vostro rapporto in generale con il media videoclip. A: I videoclip sono fondamentali: ora come ora, nello stato attuale della musica italiana, conta più il video che un cd fuori. Il cd lo puoi avere in più modi, magari lo scarichi, lo masterizzi da un amico, lo tiri giù dai vari blog. Il video è quello che ti fa il cachet. Se vuoi andare a suonare fuori, è il video che ti fa da curriculum. Anche se passano dieci giorni, basta che qualcuno lo abbia visto una volta sola e la voce in qualche modo si sparge. S: Per assurdo nel 2007 con il video hai più possibilità di raggiungere la grossa distribuzione piuttosto che con un passaggio su Radio DeeJay. Su MTV hanno iniziato a passarci di notte, alle 4 o alle 5 del mattino, e siamo arrivati alle 6 del pomeriggio su Our Noise. 14 CMPST #3[07.2007] S: Io vi ho visti su Brand:New, su Sky. S: Comunque sono tutti equivalenti di Radio DeeJay o di Radio Dimensione Suono, insomma: di mega-network cui normalmente è molto difficile avere accesso. A: Con la cosa dei media in generale comunque c’è sempre da stare attenti. QOOB però ci sembra un ottimo mezzo anche per uscire un po’ dagli standard del videoclip contemporaneo e ridare spazio alla creatività dei veri registi. S: Purtroppo non siamo gli unici coinvolti nella giuria, nella valutazione cioè dei lavori che stanno arrivando e arriveranno. Le votazioni saranno divise tra noi, Riotmaker e QOOB, Ed è ovvio, se la cosa fosse in mano solo a noi potremmo bossarcela in un sacco di modi e fare un sacco di mafie. Ad esempio io faccio fare il video a te, lo voto per amicizia anche se magari mi piace meno di altri e i 3000€ di premio vanno in tasca a te, o ce li dividiamo. Non sarebbe molto corretto. La speranza è che chi se li porterà a casa ne farà un uso costruttivo, preferibilmente legato a questo genere di cose. M: Rilancio con una domanda nella domanda e poi chiudiamo davvero: parlando di media più nuovi del videoclip, come gestite la questione MySpace? A: Leggevo proprio su Compost la column di Casari diceva di non perdersi troppo a pimpare MySpace e cose simili e farsi anche un sito. Sono d’accordo con Matte su certi aspetti. Noi ad esempio non mandiamo request a nessuno e guardiamo solo chi addare e chi no: diversamente dovremmo passarci sopra dieci ore al giorno e non ci sembra il caso. Poi leggiamo le mail e annunciamo le date. Stop. Rimane però che è un veicolo incredibile: è più colorato e più immediato di un sito ufficiale. E lo dico obiettivamente, non certo perché siamo un gruppo “della generazione MySpace” come altre nuove band tipo My Awesome Mixtape in cui il ragazzo ha 22 anni, ha tempo da perdere online e si è creato così il proprio successo [oltre che con le parentele che sappiamo]: procacciandosi date, commentando ovunque, ecc. S: Effettivamente è aumentata la semplicità nelle interazioni, del tipo che invece di mandare mail alle etichette sperando che abbiano tempo e modo di leggerle puoi mandare direttamente una request e questi, ciccando sul tuo profilo, possono sentire la tua musica direttamente e crearsi un’idea da subito. S: Queste sono cose che più o meno puoi fare anche con un sito, secondo me infatti non c’è grossa differenza tra un MySpace e un sito. Il punto però è che la creazione di un profilo su MySpace è sufficientemente immediata da consentire a tutti, anche a noi, di darci una visibilità in rete in pochissimo tempo. Se Internet in questo è già il veicolo per eccellenza, con MySpace hai la semplicità nella semplicità. Più info sulle attività degli Ex-Otago su http://www.myspace.com/exotago Fanzine “Essenzialmente lo facevo per me, poi le facevo leggere agli altri.“ La Repubblica Di Latta Intervista con Mauro Ghirlanda di Matteo Casari CARTA FORBICE E VIDEO Negli ormai lontani anni 90, quelli in cui non si riusciva ad uscire dal decennio precedente, prima della rivoluzione informatica e del tutto e subito, c’era, anche a Genova, una casta di piccoli artigiani che hanno miniato le loro storie per pochi fortunati. Uno di questi segreti fini incisori è Mauro, per tutti Momo, chitarrista, di giorno, con gli Heartside e i Sybil e, di notte, fanzinaro estremamente attento al contesto. Ha toccato vari stili e ha smosso le acque del decennio prima di ritirarsi a vita monogama e monacale. Non serve però pressarlo più di tanto per riportarlo ai vecchi entusiasmi e convincerlo ad esserci di nuovo. Speriamo che dai fortuiti incontri di quest’ultimo periodo e dalla nuova situazione locale si possa arrivare presto a rivederlo su un palco. Per ora, ecco la nostra chiacchierata. La Repubblica di Latta, Wait A Second, Broke, Buio Omega, Hidden Crimes... Quale impulso ti ha spinto a pubblicare così tante e così diverse fanzine negli anni ‘90 ? Erano gli anni novanta e a Genova c’era veramente poco: fra noi e la vecchia scena punk genovese c’era un gap generazionale e di contatto, bisognava ricreare tutto, dai concerti, ai gruppi e, ovviamente, anche tutta la scena che gravitava intorno. in quegli anni c’era solo Red House, dove si potevano comprare i dischi della media distribuzione, e c’era Blast: ma era tutto l ì. Ero entrato in quella sfera e dopo poco, come tutti gli altri, avevamo bisogno di qualcosa in piu’. Fuori c’erano le piccole etichette italiane dell’epoca che, oltre che pro durre (adesso rari) 7”, scambiavano con l’estero e davano vita all’anima del diy, oltre che funzionare da piccoli importatori. Fuori da Genova c’erano i concerti e c’erano anche le fanzine più o meno emo, più o meno musicali ecc. Con gli Heartside e la piccola distribuzione di Luca Brengio potevamo portare anche noi la nostra traccia fuori. Scrivere e fare fanzine in quegli anni era divertente e per certi versi fondamentale.... E poi mi piaceva da matti scrivere di quello che mi interessava Ti è servito stampare tutte quelle fanzine? Boh. É servito a raccontare stati d’animo e sensazioni. Essenzialmente lo facevo per me, poi le facevo legge re agli altri. Mi sono divertito un sacco, andavo in giro a fare foto e ritagliavo di tutto, dai giornali e dalle riviste; poi mi divertivo ad assemblarle ovviamente scopiazzando da quello che vedevo in giro: era bellissimo. 15 CMPST #3[07.2007] Fanzine Come le hai distribuite? Ho sfruttato la distro/banchetto di Luca e poi le ho scambiate con altre fanzine. Non che il mio materiale fosse questa grande merce di scambio... Però alla fine qualcuno interessato lo trovavo sempre. Quale importanza rivestiva il target nella loro composizione? Target? Non saprei, il mio approccio alla fanzine era veramente “punk”... Prendevo dei fogli A4 e ci incollavo le cose sopra, un po’ scritte a macchina un po’ a mano, e poi, con pazienza, fo tocopiavo il fotocopiabile. Non badavo a nulla, se non al risultato che alla fine doveva essere il più diretto possibile. Tutto qua. Quello che ne usciva alla fine era storto, non chiaro, scuro, ma alla fine genuino. trovato una pagina che mi ha fatto sobbalzare, c’è scritto: Non si butta via niente, proprio come nel sottotitolo di Compost. Vedi certe idee alla fine non cambiano; lo stile e’ sempre quello che sia il 1990 o il 20 07. Non si butta via niente no ! Perchè poi vai in soffitta e guardi quello che hai fatto e una fetta di ricordi che avevi inevitabilmente perso riaffiorano alla tua memoria. Ti sembra di rivivere certe situazione e certi momenti. Pare quasi che per ognuna ci sia un target ben diverso. Come parti diverse della scena in evoluzione che vengono raggiunte dalle tue parole e immagini. Mi spiego: Hidden Crimes, fanzine “Straight Edge Comunista”, le immagini di Broke, le storie di vita vera de La Repubblica di Latta, l’emo primitivo di Wait A Second, la tua passione per i Bmovies in Buio Omega... Beh, direi di si, questo è, in condensato, l’elenco delle cose che mi piace vano di piu’ e che volevo condividere con altri. E, ovviamente, a piccoli passi hanno seguito una specie di evoluzione. Tu hai fatto parte di due dei gruppi più importanti degli anni ‘90 genovesi : hardcore con gli Heartside e slowcore con i Sybil. Raccontaci qualcosa di queste due esperienze. É stato bello viverle entrambe, anche se completamente differenti, a Geno va una band hc non esisteva e, forse, fino agli Heartside non ne erano esistite (almeno di quel tipo e in quel contesto). É nata ed è cresciuta insieme a quello che in italia stava succedendo. É cresciuta insieme al nostro modo di pensare e di vivere; siamo riusciti a portare avanti un sacco di ideali ed idee che ancora sono parte viva della nostra vita. Per i Sybil, che sono venuti dopo e come si suol dire un po’ più maturi, sono stati momenti fantastici. Non ci capivamo un gran che, il progetto è nato, abbiamo goduto un poco del momento e poi è finito tutto. A posteriori avrei voluti rendermi conto meglio di quello che stava succedendo. In un numero di Wait A Second ho Oggi siamo in contatto con tutto il 16 CMPST #3[07.2007] mondo in pochi secondi via internet. Mi ha colpito non poco l’intervista con il tipo della scena di Singapore del terzo numero di Hidden Crimes. Come funzionava dieci anni fa uno scambio del genere? Funzionave scrivendosi lettere e scambiandosi flyers. Insieme alle lettere ci univi un folto numero flyers che pubblicizzavano un disco, una fanza ecc. Ci buttavi in mezzo quello che ti era arrivato a tua volta per posta. E tutto funzionava così. Lentissimo ma ine- Fanzine “Non mi interessava la qualita’ dell’immagine mi interessava l’immagine e quello che c’era dietro.“ sorabilmente palpabile. Da l ì partiva la base dei contatti che ognuno di noi teneva con le band, con gli amici, le etichette e via dicendo. Parallelamente ad un discorso di contenuti hai portato avanti una ricerca sulle immagini. Fai fotografie e le metti nelle tue zine: ma non le hai stampate, le hai fotocopiate. Come affronti e compensi la perdita di definizione e di fedeltà delle immagini? La perdita della definizione era la base di quello che facevo ! Non mi interessava la qualità dell’immagine, mi interessava l’immagine e quello che c’era dietro. Andavo in giro con la mia macchina e fotografavo; poi, alla fine, facevo una raccolta di immagini che mi interessava far conoscere. I mezzi erano sempre quelli: il foglio A4 e le fotocopie, quello non era null’altro che essere hardcore o punk. Quali sono i tuoi attuali progetti? Mamma mia mi piacerebbe fare un libro di testimonianze sul punk e HC della scena genovese dal 90 in poi. Quello si che è un sogno che continuo ad avere nel cassetto. E poi... Vorrei rimettermi a suonare ! Sono sincero però: il tempo rimasto lo dedico a mia moglie e alla mia futura famiglia. Come sei messo con internet? Myspace, Flickr... Un po’ maluccio ... É un mondo che mi interessa solo in parte, per certi versi sono legato ancora alla recensione letta su un giornale e, poi, all’acquisto in un negozio (ma ce ne sono ancora?) per altri vorrei farmi travolgere dal web, ma forse non ho il tempo per dedicarmici. Sono cresciuto così, il bello era la ricerca del disco, trovare il flyer, scrivere all’etichetta, aspettare la risposta e poi cambiare i dollari, metterli in busta e sperare che quel 7” arrivi non rotto. Era macchinoso e lento ma quello era proprio il bello di quei tempi. Qui non si butta via niente e io mi riciclo le domande. Per concludere, secondo te, nel 2007, ha ancora senso fare una fanzine? Assolutamente si, e, per certi versi, è fondamentale come lo era anni fa. Non è cambiato nulla, sono solo cambiati i mezzi. Comunque, grazie a te Matteo che mi stai facendo rivivere momenti e situazioni che ahimè sareb bero dimenticati. 17 CMPST #3[07.2007] Fanzine “Eppoi esce sempre fuori qualche cosa di cui viene voglia di parlare…” Sodapop Intervista con Emiliano Grigis di Marco Giorcelli DIECI ANNI 1997-2007. Decennale della web-zine più letta di Genova. Se una volta la Superba aveva lo Psycho o l’Albatros come punto di riferimento (leggi d’aggregazione), oggi ed anche ieri, Sodapop, spazio virtuale online, è stato ed è capace di coagulare le diverse realtà cittadine e non, tra le più disparate. L’Ingegner Grigis ama il rock n’roll. E questo basta, ma non quello mainstream bensì l’indie-rock, etichetta che oggi vuol dire tutto e niente. Emiliano è il webmaster, il redattore, insomma il deus ex-machina della fanza che, a dispetto di mode, tendenze e dissapori, continua a stare in piedi e a dir la sua praticamente ogni giorno. Perché ancora parlare di indie rock dopo dieci anni? Dove la trovi la voglia di metterti online, ogni santo giorno, dopo otto di ufficio? E dove la trovi la voglia tu, di intervistarmi ancora? E’ già la seconda volta! A parte gli scherzi, finché avrò voglia lo farò: dieci anni però non sono pochi… come dicono le nonne, il tempo vola. Però qualche cosa per resistere al tempo l’ho cambiata: con il restyling completo del sito fatto l’anno scorso la gestione è molto più facile, per cui c’è più tempo per ascoltare la musica e, se 18 CMPST #3[07.2007] avanza tempo, scriverne. In più ho tagliato la corrispondenza: c’è uno spazio F.A.Q. pieno delle solite domande a cui non rispondo più via e-mail, giusto per sopravvivere… Insomma ho ridotto il più possibile i tempi morti, cercando di razionalizzare dove potevo, dato che il lavoro e il resto della vita in generale portano via sempre più tempo: in fondo avevamo anche tutti quanti dieci anni di meno e molte cose erano diverse per tutti noi. Eppoi esce sempre fuori qualche cosa di cui viene voglia di parlare… Credi che Sodapop sia riuscita a contenere e soprattutto a mettere d’accordo realtà così disparate come quelle che si muovono in città? Non penso, Sodapop non si è mai interessata ad essere “genovese”, non abbiamo mai dato un taglio cittadino alle cose che abbiamo scritto in questi anni, forse per presunzione, o perché il titolo di fanzine genovese ci sta stretto, ci limita un po’: saremo anche bravi a Genova, ma quante cose belle escono in giro per l’Italia e soprattutto all’estero? Ecco, ci avete scoperto, siamo pure un po’ esterofili… ma forse per gli amanti delle musiche di matrice anglosassone credo sia quasi normale. Resta il fatto che cerchiamo di parlare delle cose belle che ci sono in città, naturalmente, e ne siamo molto contenti: siamo più un sito che ha connotazioni di genere più che geografiche, ma negli anni abbiamo cercato di promuovere anche le cosa di casa nostra, forse meno puntualmente di altri. Credi che la web-zine possa essere associata o accomunata ad altri media di settore specializzati proprio in rock indipendente? (Blow Up, Rumore o lo stesso Genovatune, in ambito cittadino). Fanzine “Stare a contatto con la musica indipendente porta senz’altro ad evolvere i propri gusti.“ Direi che siamo su un altro piano: mentre ci sono fanzine come Blow Up che si sono trasformate in rivista e siti musicali che ambiscono in modo più o meno velato a fare questo salto verso l’edicola, devo dire che il taglio che ho preferito dare a Sodapop è sempre stato quello più “basso”, da fanzine, anche perché preferisco che il mio impegno si concentri di più sulla musica stessa che sull’organizzazione e sulle pubbliche relazioni che inevitabilmente portano via molte risorse se si vuole fare un percorso verso “il professionismo”: per farti un esempio quando si sceglie la via del magazine occorre parlare di tutti i cosiddetti “fenomeni” dell’anno e non si può evitare di scrivere di TUTTI i dischi considerati in giro come “cool”… invece noi ci occupiamo solo di quello che ci pare, senza voler fornire una informazione apparentemente più “completa”, ma poi in realtà pure più omologa; non siamo alla ricerca del fenomeno per anticipare gli altri, non vogliamo essere gli iniziatori di qualche trend musicale… insomma restando al nostro livello non siamo interessati alla competizione, al completismo e ad altre faccende in cui altri sono molto più bravi di noi: semplicemente forse non è la nostra cosa. Discorso diverso poi per Genovatune che, come si capisce dal nome, si occu- pa al 100% di Genova, comprendo praticamente tutti i generi, cosa che per il nostro snobismo elitario non potremmo mai fare; ma in fondo anche qui si torna al discorso di prima: parliamo di musica (rock, punk, hardcore, metal, elettronica, jazz, sperimentazione) ma solo quando quello ascoltiamo ci interessa, ci dice qualche cosa, senza costrizioni di genere o luogo, forniamo solo alcuni consigli/opinioni/idee a chi ha voglia di leggerci. Dieci anni son lunghi. Come si sono evoluti i gusti degli utenti di Sodapop in tutto questo tempo? Stare a contatto con la musica indipendente porta senz’altro ad evolvere i propri gusti, trovandosi davanti questo calderone di musica sempre in movimento: nel ’97 eravamo all’inizio degli anni in cui usciva fuori il post rock, dopo la fine dell’ondata grunge e britpop, poi sono arrivati il revival anni ’80, l’hip-hop bianco, il glitch, il new folk e tante altre cose… Le riviste e i nomi più blasonati del giornalismo secondo me giocano un po’ a creare nuovi hype, c’è chi li segue e chi si mostra più critico cercando una propria strada: di certo ogni anno esce sempre buona musica in diversi ambiti e cercando con pazienza la si può trovare, più si desidera dare un taglio personale ai propri gusti musicali più occorre stare in ascolto con attenzione. Tu credi che ci siano band o musicisti che dovrebbero sentirsi in debito con Sodapop per la promozione ricevuta? Assolutamente no, siamo noi di Sodapop che saremo sempre in debito con chi ci ha inviato del materiale per un giudizio! Sia chi ha mandato dischi interessanti o meno, generi che ci piacevano oppure no, chi ha sopportato le critiche e chi si è offeso… tutti quanti; è soprattutto grazie a loro che abbiamo riempito il sito con circa 2500 recensioni. Già che siamo nei ringraziamenti c’è un posto importante per tutti quelli che hanno scritto qualche cosa per Sodapop (quindi anche a un aficionado come te caro Giorc) e poi “last but not least” tutti quelli che ci lasciano messaggi nei commenti agli articoli, nelle caselle di posta e soprattutto nel nostro Forum, da sempre crocevia di scazzi, risate, polemiche e cazzate. Quali sono le band cittadine che orbitano intorno a Sodapop? Intorno a Sodapop orbitano logicamente prima di tutto le band attorno alle persone che scrivono sul sito, principalmente quelle della Marsiglia di Matteo Casari (il papà di Disorderdrama e Compost); inoltre il contatto personale è molto importante e quindi tutte quelle persone con cui ci incontriamo ai concerti e che suonano di conseguenza prima o poi arrivano a Sodapop. Potrei fare dei nomi ma l’elenco è davvero troppo 19 CMPST #3[07.2007] Fanzine lungo… Pure tu se avessi un gruppo potresti essere recensito, ancora meglio se diventassi il bassista della band di Perseo Miranda o di Magross. Non hai mai pensato di mollare il lavoro e dedicarti alla fanzine a tempo pieno? Ci ho sempre pensato come ad un sogno, qui in Italia lo potrei fare solo se potessi vivere di rendita! Per dedicarmi alla fanzine a tempo pieno dovrei essere in un paese dove il mercato della musica avesse qualche zero in più nei propri conti, come nei paesi anglosassoni: da noi chi vuole vivere con lo scrivere di musica deve, tranne pochissimi casi, cominciare ad allargare le proprie vedute (o meglio restringerle) avvicinandosi al mainstream, in modo da poter arrivare alla fine del mese; preferisco stare con i piedi per terra, prenderlo come un hobby e potermi esprimere più autonomamente: niente pubblicità “dovute”, niente MTV. Senza contare poi che passando in un settore più professionale è inevitabile il dover garantire una maggiore qualità in quello che si produce (cosa più facile a dirsi che a farsi…) e acquisire prima o poi quel velo di “serietà” da precisini che non credo faccia per noi di Sodapop! Come si può interagire con la webzine? Esiste una forma di registrazione oppure “è un liberi tutti”? 20 CMPST #3[07.2007] Come ho già detto prima, un elemento molto importante per noi è la relazione con l’esterno. I metodi per comunicare con noi attraverso il sito sono principalmente tre: la email con cui si può scrivere ad ognuno di noi, i commenti agli articoli (consentiti solo a chi si registra) e il nostro Forum. Quest’ultimo è il nostro spazio aperto e libero, perché in questo mondo di registrazioni e avatar consente ancora di scrivere mantenendo l’anonimato (come nelle vecchie messageboard che c’erano prima del web 2.0), in modo da avere la massima libertà: come potrebbe sennò un addetto ai lavori commentare come gli pare e gli piace qualche cosa relativo al mondo dell’italietta indierock e poi sopravvivere? La verità è che in questo piccolo mondo di ripicche e critiche striscianti, il “volemose bene” è solo una facciata sotto la quale spesso si replicano le dinamiche del mondo mainstream, solo ripetute in piccolo e “tra poveri”, il che rende il tutto anche un po’ patetico. Qui qualcuno può arrivare, scrivere e andare via… naturalmente se si iscrive e mette in chiaro la propria identità il suo parere è di un altro spessore, ma sul nostro Forum c’è posto per entrambe queste persone. Mai pensato ad un formato cartaceo? Magari con sponsor paganti. Se ne parla ogni tanto, ma in prima persona non mi sento di affrontare questa avventura, per ora: magari in futuro Emiliano - foto di Anna Positano con la collaborazione di qualcheduno. Come ripeto spesso però, quello che non abbiamo ancora fatto a Sodapop non è detto che non ci vada a genio farlo, più che altro se qualcuno è disposto a prendere in carico un aspetto che al momento non abbiamo ancora curato basta che lo dica… e possiamo metterci d’accordo. Quello che mi farebbe piacere dopo dieci anni è avere qualche Fanzine “Sulla rete scriviamo tutti di fretta due parole e una faccina, si può facilmente assumere un carattere che poi non corrisponde a quello che realmente si ha nella vita vera.” collaboratore dal punto di vista organizzativo: chessò qualcheduno che si occupi della promozione oppure di altre iniziative… speriamo. Credi che tra vent’anni qualcuno si ricorderà di Sodapop, come oggi rievocano il Concerto Grosso dei Trolls? Non siamo così importanti, dai! Le cose si fanno sempre sperando che qualcheduno le apprezzi, poi quello che verrà verrà… Però per essere celebrati alla stesso modo dei New Trolls dovremmo anche noi avere la nostra fase più “melodica”, e non so se saremmo in grado di tirare fuori qualche pezzone come: “Quella carezza della sera o quella voglia di avventuraaaaaa…”! Chi meriterebbe una recensione tra i blasonati di ieri? New Trolls, Matia Bazar oppure Delirium? A differenza di molti non abbiamo ancora dedicato uno spazio ai dischi del passato: mescoliamo articoli sulla musica di ieri e di oggi senza soluzione di continuità, per cui magari prima o poi capiterà qualche cosa, anche se non siamo proprio orientati verso quel tipo di suoni… Forse sarà più facile che tu faccia una recensione dei Sadist. Chi sono gli utenti di Sodapop? Risposta molto difficile… con il tempo abbiamo raggruppato una serie di persone interessate alla musica che piace a noi, coinvolte o meno nel mondo musicale indipendente italiano: alcuni sono genovesi, altri no, ma nel complesso sono nati dei buoni rapporti con molti di loro, che studiano oppure lavorano e hanno diverse età. Io però non considero la comunicazione attraverso Internet alla stessa stregua dei rapporti che si possono avere incontrando le persone o anche solo avendo un contatto telefonico: sulla rete scriviamo tutti di fretta due parole e una faccina, si può facilmente assumere un carattere che poi non corrisponde a quello che realmente si ha nella vita vera: nonostante usi la rete da ormai dodici anni non sono un fan della Second Life e quando è possibile preferisco sempre incontrare gli utenti di Sodapop “dal vivo”, magari in occasione di un bel concerto. Se la Sony ti mandasse qualche cd dei suoi artisti, verrebbe recensito oppure ignorato? In dieci anni una sola volta ci è arrivato del materiale da una major, ed è stato recensito come il resto, né più né meno… Dopo il restyling estetico, informatico ed organizzativo dell’anno scorso, ci siamo dati una nuova politica riguardo al materiale ricevuto: non scriviamo più di tutto al 100% come facevamo prima, ma selezioniamo e ci occupiamo solo di quello che riteniamo interessante, ovviamente major comprese. Ma insomma, c’è speranza per Genova? Oppure era meglio affondare davvero nell’eroina e nel brigatismo? A livello generale, penso che Genova senz’altro sopravviverà, attenta come è sempre stata alle sue risorse se la caverà anche questa volta: certo la sua proverbiale chiusura continua ad esserci e non penso che le cose cambieranno tanto facilmente. In un certo ambito musicale indipendente c’è un po’ di ricambio generazionale, ma i numeri sono sempre più o meno quelli: più che altro è una carenza di interesse da parte dei genovesi, da sempre molto compartimentati nelle loro frequentazioni e particolarmente pigri nel frequentare nuove persone o ambienti diversi (salvo poi rivelarsi abitudinari fino alla morte una volta “preso il giro”), unita anche ad una cronica incapacità di promuovere per bene le cose che si fanno, magari con un maggiore supporto dei media che ci sono a disposizione. Leggete Sodapop http://www.sodapop.it su 21 CMPST #3[07.2007] Export “Ci sono sempre state amicizie, persone che si rispettano e si vogliono bene, ma ho sempre pensato al concetto di scena come roba molto di diversa.” K.C.Milian / Cragstan Astronaut Intervista con Guglielmo Rossi di Matteo Marsano DAL NOSTRO INVIATO Guglielmo Rossi. K.C. Milian. Due nomi fino a pochi anni fa indissolubilmente legati a Genova e a quella ristretta cerchia di gruppi e musicisti che siamo soliti, fatecene o meno torto, chiamare “scena”. I K.C. Milian (Kids Claiming Milian – Thomas, quello dell’ispettore Nico Girardi alias Er Monnezza) sono stati, per chi scrive, una delle realtà musicali della città il cui output più felicemente si sposava con i nostri padiglioni auricolari, fautori di una raffinata mistura di emo a tinte kinselliane (chi se li ricorda gli American Football?) e di un certo post-rock intricato, geometrico e ritmicamente dinamico (soprattutto nell’ultimo periodo di attività, in cui il gruppo era ridotto a trio). Ma i K.C. Milian, nelle parole di Guglielmo Rossi, chitarra e anima del gruppo, sono “morti e sepolti”, e il loro ricordo più recente è quell’ultimo, emozionante concerto al Lab. Buridda ormai due anni or sono. Quello che molti non sanno è che Guglielmo è stato uno dei “padri fondatori” della nostra fanzine, uno di quelli che c’era dall’inizio e che la musica non si accontenta di suonarla, ma anche di promuoverla e coccolarla, nel più puro 22 CMPST #3[07.2007] spirito DIY. Un emigrante d’eccezione per Compost, un interlocutore obbligato, inviato ad honorem dalla Londra un po’ malinconica che ci tratteggia, città nella quale all’oggi vive e studia. Una chiacchierata telematica che, ol- tre a farci rimembrare i vecchi tempi, quando erano gli “orsetti gommosi” a girare sui nostri impianti, ci informa del presente e futuro, artistico e lavorativo, di uno dei musicisti genovesi che più ci spiacerebbe apprendere di aver perso, oltre a gettare una luce su come le cose cambino aspetto se viste dalla più ampia prospettiva dell’altra sponda dell’English Channel. Iniziamo dalla rivista. Indiscrezioni vogliono che tu sia stato uno dei proponitori originali dell’idea di una fanzine cartacea che trattasse la “scena” genovese. Addirittura parrebbe che sul nome stesso “Compost “ pesi la tua influenza avuta in fase di concertazione, e ammirando ora il logo che avevi a suo tempo proposto, le voci di cui sopra fanno presto a trasformarsi altrettanti cori da stadio. Scherzi a parte, che ne pensi del lavoro fatto sinora (ho amici brutti e cattivi nell’East End, quindi sii sincero)? Ammettendo che al terzo numero una fanzine è ancora, freudianamente, in piena fase orale, ritieni che ci sia speranza, con le premesse di questi tre vagiti, che il virgulto d’inchiostro si trasformi in una realtà cazzuta? E infine: sei andato a Londra per scamparti un posto in redazione, o hanno aspettato che te ne andassi da Genova per iniziare a stampare? Ciao Marso, iniziamo dalla fanza, perfetto. A dire la verità, la fanzine di per se è sempre stata una di quelle cose che mi sono frullate in testa per anni, ne parli con gli amici, decidi dieci nomi diversi, tutti fighissimi, poi tempo che arrivi a casa ti metti a fare dell’altro e buonanotte… Credo di aver fatto e disfatto almeno una quarantina di gruppi (come tutti quanti voi, ne sono sicuro) in questo modo. La verità è che di cose da dire ce ne sono sempre state a pacchi, io purtroppo ho le mie tempistiche, che non sono quelle svizzere, ma quelle tipiche del DIY, inoltre sono pure contorto, le cose le devo partorire. Ultimamente inoltre, la gente mi deve prendere per le orecchie e rompermi le scatole per fare un qualcosa, per un po’ ha funzionato che ero io a rompere le scatole agli altri, ora non sono più così volenteroso. Come attenuante posso alludere al fatto che a Genova c’è troppo sole, il mare, troppi amici e distrazioni. Fossi cresciuto in qualche postaccio grigio, probabilmente avrei scritto quintali di fanze. Tutte fotocopiate, tagliate e cucite, ovviamente non tirate a più di 20/30 copie. Ecco, si, infatti, anche in questo caso è colpa di Genova… Ora che sto a Londra e piove e tutto costa, magari, invece di uscire la sera, mi metto a fare una fanza. Di blog e porcherie del genere proprio non ne voglio sentir parlare, la fanza potrebbe essere un buon compromesso. Per quanto riguarda Compost: magari mi sbaglio, ma non credevo che il primo fine fosse testimoniare la scena genovese, quanto parlare in generale di quello che succede nella nostra città, non mi piace fare il puntiglioso e il catastrofico, ma a meno che le cose non siano cambiate negli ultimi mesi, a Genova io non mai avuto modo di vedere, negli ultimi anni, quella che chiami scena... Ci sono sempre state amicizie, persone che si rispettano e si vogliono bene, ma ho sempre pensato al concetto di scena come roba molto di diversa. Matteo sa che mi è sempre stata simpatica la frase: “A Genova non si butta via niente”, avevo anche disegnato un logo per Compost. Tuttora ritengo sia incredibilmente meglio di quello fatto da Matteo, ma essendo io emigrato all’estero sul più bello, non è il caso di farglielo pesare. Cari ragazzi, mi sembra stiate facendo un Export “Per come la sto vivendo io, a Londra bisogna semplicemente adattarsi e stare alle regole del gioco, se ci riesci è fatta. “ ottimo lavoro, ve lo dice un fanzinaro di vecchia data, che nemmeno è riuscito a scrivere il numero zero della sua, continuate così! Per quanto riguarda la fine della domanda, mi fai sorgere il dubbio, forse è la seconda che hai detto. Prometto di preparare una fanza entro la fine dell’estate, giunti a questo punto. Londra e Genova sono due realtà che appaiono distantissime. Della prima, si dice un gran bene per quello che riguarda il fermento culturale e creativo, male per aspetti come la vivibilità, il costo della vita, l’accoglienza riservata a quelli che vengono da fuori. Sembra che la proverbiale torta di riso (che da loro/voi equivarrà, chessò, all’arrosto della domenica o agli scones al burro) sia “finita” anche al di là dello stretto di Dover, con una scarsa propensione all’ospitalità come unico denominatore culturale comune tra metropoli e “provincia”. Fatte le debite proporzioni (il paragone con Londra sarebbe più calzante – e avrebbe esiti sicuramente diversi – se fatto con una città come Roma), trovo si possa comunque trarre un’analogia tra la “nostra” chiusura mentale, modesta e provincialissima, e quell’isolazionismo geografico e culturale d’oltremanica, isolazionismo che – tra l’altro, e a differenza del genovesato - denota fra i sintomi una certa autoreferenzialità musicale, con i gruppi non in23 CMPST #3[07.2007] Export “Locali che chiudono: Madeleine e Mascherona erano posti dove si faceva musica e ci si andava con piacere. È capitato più volte di suonare in entrambi, ne sentirò la mancanza.“ glesi di successo ad essere quelli (e solo quelli) la cui musica è ascrivibile, guarda caso, ad una desinenza del “brit”. Ti va perciò di raccontarci un po’ la “scena”, le persone, i luoghi, la vita che fai? Entusiasmi, lamentazioni, miti (anche quelli di cui sopra) da sfatare…? Sappi che per rispondere a questo servirebbero tre protocolli. Facciamo che se vuoi ti racconto come me la passo qui, provando a essere il meno noioso possibile... Londra e Genova sono diversissime, dici bene. Sono appena tornato da una due giorni genovese, pomeriggio sugli scogli a Pieve, mare, non una nuvola in cielo, focaccia con formaggio a Recco, gelato in Piazza delle Erbe. Sono stati due giorni orgasmici, e io non sono mai stato né un mangione né un patito del mare… Inizio così perché insomma, a Londra queste cose non ci sono, e quelli che tu chiami provincialismi, hanno dei punti a favore che possono provocare astinenza, soprattutto durante la bella stagione. Per come la sto vivendo io, a Londra bisogna semplicemente adattarsi e stare alle regole del gioco, se ci riesci è fatta. Faccio qualche rapido esempio: in casa mia abitiamo in nove, gli affitti costano tanto e i giornali dicono che aumentano del 20 % l’anno (per questo siamo in nove). I trasporti costano tantissimo, quindi vado in giro in bici, anche se è buio, fa freddo 24 CMPST #3[07.2007] e piove. Infine, ovunque debba andare, so già che ci metterò minimo 40 minuti. Fondamentalmente si tratta di riuscire a prendersi bene, nessuna cattiva accoglienza perché sei “straniero”. Io non l’ho mai vissuta così, abito nella contea di Hackney, qui sono tutti stranieri, e in generale, di londinesi ne ho conosciuti proprio pochi in questi 10 mesi… Mi rendo conto che come premessa d’accoglienza non sia delle migliori, ma sull’altro piatto della bilancia, Londra offre tanto. Diciamo che Londra è un’esperienza, che la differenza sostanziale col passato, posso riassumerla nel fatto che per la prima volta mi sento non cittadino genovese, ma parte del “fottuto mondo globale”. Probabilmente la nostra (io ho 24 anni) è la prima generazione a vivere questo clima. Ho parlato di ciò più volte con un amico italiano che vive a Londra, io non mi sento migrante. Non ho un passaporto, ma la mia carta d’identità italiana. Probabilmente per i più Londra è una città di passaggio, si viene per pochi mesi, qualche anno, poi si torna a casa o si va altrove. Questo mio amico ha definito Londra un insieme di spazi e traiettorie in cui la gente transita. Come immaginario funziona molto bene, secondo me. Sorprendente è la leggerezza e le modalità con cui ci muoviamo in questi ambienti e in questi spazi. In passato non funzionava così. Ed è curioso provare a pensare che cosa potrà accomunare, in futuro, persone che hanno queste “traiettorie” in comune, ma non una vera e propria locazione. Ok, meglio che mi fermi, non vorrei finire fuori tema… Chiudo dicendo che io mi sento tra quelli in transito anche se, avendo iniziato l’Università, la mia permanenza sarà molto più lunga di altre. Okay, sarò di parte ma a me i K.C. Milian sono sempre piaciuti moltissimo. Se poi penso alle ultime evoluzioni pre-scioglimento, quando alla batteria sedeva Nicola, la tua affermazione “i K.C. Milian sono morti e sepolti” letta nell’e-mail continua a sapere pesantemente di amaro in bocca. Cosa ha portato allo scioglimento di una delle band a mio parere più dotate della Superba? Export Cos’ha significato per te la militanza nel gruppo, quali obiettivi pensi che abbiate raggiunto, e che cosa avreste potuto fare, secondo te, se la cosa fosse continuata? Vi hanno sfrattato perché “rubavate la scena” alle altre bands? Che fine ha fatto la tua etichetta, la Cragstan Astronaut? E infine, per ridere: ma i K.C. Milian erano “emo” o “post-rock” ? Il post-rock è fuori moda, e l’emo troppo per fighetti, i K.C.Milian erano segretamente un gruppo punk, in verità. Basti dire che Nico non ha nemmeno mai avuto una custodia per i piatti della batteria. Probabilmente ora avrà provveduto, visto che suona con gente seria. Grazie per le belle parole, diciamo che i K.C.M. sono morti e sepolti da più di due anni, l’ultimo concerto è stato al Buridda il giorno del primo Illegal Arts, con Ex Otago e Blown Paper Bags, Mae Shi e Rapider Than Horsepower. E’ stato uno dei concerti più belli. Abbiamo combinato poco, almeno io la penso così, di tangibile resta un cdr su Marsiglia rec, l’Ep di 5 pezzi su Holidays records, un 7” split con i La quiete prodotto da Cragstan Astronaut (sto parlando di realtà piccole piccole, non è strano che nessuno le conosca) e un paio di compilation… Le nostre apparizioni live erano rare e discontinue, abbiamo sempre suonato poco dal vivo. Sull’andare in giro a suonare la si pensava in modo diverso, e mettersi tutti d’accordo è sempre stato un casino. L’ultimo periodo, quello con Nico, è stato sicuramente quello dei K.C.M più “raffinati”, si suonava con costanza, i pezzi erano molto più arrangiati e matematici, ricordo che mi piaceva K.C.Milian - foto di Federico Tixi moltissimo la piega che stavamo prendendo. Tempi dispari e incalzanti, lento e veloce, forte e piano, stavamo imparando a fare i pezzi insieme tutti e quattro in saletta. Era figo. Il primo periodo, quello a 5 con Gerri alla batteria e Alberto Figgeu tromba e voce, è l’unico di cui esistono i pezzi registrati e i dischi. La fase “emo e post rock”, direi: arpeggioni e intrecci di chitarre, pezzi molto più lineari e melodici, la tromba e la voce che strilla in sottofondo. Sono pessimo a fare recensioni anche se devo parlare del mio vecchio gruppo. Ovviamente a quel periodo sono legati gli entusiasmi di quando si ha 19/20 anni, se a suonare facevamo dei gran pasticci, poco ci importava. Io e Nico abbiamo continuato a suonare insieme fino al giorno prima della mia partenza lo scorso settembre, con Matteo, un amico di Arenzano, al basso, senza aver mai deciso un nome per la nuova banda. Direi che come minimo i K.C.M avrebbero dovuto fini25 CMPST #3[07.2007] Export Guglielmo - foto di Anna Positano re di registrare il loro disco. Quello con Nico, con tutti i pezzi più belli. Ci sono 7 canzoni, 40 minuti di musica registrati a metà. La cosa divertente è che ho un paio di amici in giro per l’Europa, che mi scrivono ancora per sapere se abbiamo finito e dicendo che loro sarebbero interessati a co-produrre il nostro disco. Magari un giorno almeno lo finiremo; mi sarebbe piaciuto fare anche un tour, ma per quello la vedo molto più difficile… Per quanto riguarda l’esperienza, suo26 CMPST #3[07.2007] nare in un gruppo è una figata, Marso, anche tu suoni e anche tu lo sai. Potessi tornare a 14 anni cercherei di fare altri cento gruppi. Se stai leggendo, piantala qui, prendi in mano la chitarra e metti su una band, mannaggia a te! Cragstan Astronaut (per chi non lo sapesse è un’etichetta discografica piccina piccina) resiste. Abbiamo (io, Albi Otago e Michele, il nostro amico nerd) stampato da poco il 7” split tra i locals Blown Paper Bags e gli Experimental Dental School, da Oakland, California. Il dischetto spacca, compratelo, e se non avete il giradischi, comprate anche quello. Ci manca il sito internet e siamo pronti a ripartire. Dopo lo split 7” La Quiete / K.C. Milian, la prima fortunata uscita, oramai di 3 anni fa, andata fuori stampa in tempo record (se ne possedete una copia, sappiate che raggiunge cifre notevoli su ebay), ci eravamo un po’ impantanati… In teoria ci sarebbero un po’ di robe in programma per il futuro. Un libercolo raccolta delle migliori foto scattate da Federico Tixi ai concerti in giro per l’Europa (sarebbe dovuto uscire due anni fa, prima o poi ce la faremo). E poi con Albi si è parlato in lungo e in largo di ristampare il primo disco degli Ex-Otago. Vedremo quel che sarà, ma sicuro non resteremo fermi altri tre anni… Qui a Genova la scena musicale ha recentemente visto una rifioritura del post-rock, con gruppi molto validi come gli Hermitage, che stanno peraltro godendo di apprezzamenti anche al di fuori dei confini nazionali; oppure riletture del canone in chiave metallica “evolu- ta”, come quella dei Vanessa Van Basten. Realtà più radicate come gli ExOtago sono poi arrivate, dopo anni di concerti in giro per l’Italia, al sospirato successo - se così si può chiamare - con un disco uscito per Riotmaker/Warner e una popolarità in crescita. Continui a seguire la scena genovese? Se sì, ti va di spendere qualche parola sui tuoi exconcittadini musicisti, quelli “nuovi” e quelli con cui dividevi il palco qualche anno fa? E come si vive la chiusura di locali genovesi “storici” come La Madeleine e il Mascherona, a fronte peraltro di un certo ricambio della scena musicale cittadina e della ripresa delle attività da parte di realtà che operano “dal basso” come Marsiglia Rec., dalla prospettiva sicuramente più ampia e cosmopolita in cui ti trovi adesso? So poco di quel che si muove a Genova, ma da come ne parli, sembra che ci sia grande fermento. Vivendo a Londra la mia prospettiva è sicuramente cambiata, è tutto piuttosto strano. Se le cose le vivi in prima persona l’impatto è più forte, la distanza smorza i toni. Di solito mi arrivano tante notizie tutte assieme e quando ci sono tante informazioni, è difficile infervorarsi per ognuna. In generale diciamo che Genova ha sempre sfornato gruppi fighi, cosa che può sembrare difficile a credersi, visto che parliamo delle “solite” persone, alcuni oramai eroi metropolitani del genovesato. Per coincidenze temporali, i K.C.M suonavano in contemporanea ad ExOtago, i Cary Quant e poi i Blown Paper Bags, gli En Roco, i Port-Royal, i Cut of Mica. Nelle serate più punk, i Kafka Export e i Never Was e Downright. Sicuramente scordo qualcuno. Tutti gruppi notevoli, e non pochi nomi, se pensiamo ad una Genova con poca scena e con spesso troppa poca gente ai concerti. Suona molto strano, ma Genova ha le sue stranezze ed è bella anche per questo. Sarò sincero, non ho mai visto né sentito gli Hermitage, rimedierò presto. Ho invece ascoltato alcune cose dei Vanessa Van Basten e devo dire che mi piacciono un casino. Molti miei ascolti si avvicinano a quelle cose. Sono poi curiosissimo di vedere e sentire come suona il progetto post-Kafka, gli Stalker. Ho letto l’intervista a Luca nel numero scorso, so già che potrebbero piacermi parecchio, e non vedo Albi strillare nel microfono dai tempi degli A New Angel Fade… Per quanto riguarda gli Ex-Otago, io non faccio testo, sono spudoratamente di parte. Tanti Saluti è il mio disco dell’estate, continuo a riguardare il video di Giorni Vacanzieri, non riesco a smettere. I ragazzi stanno diventando famosi e spaccheranno tutto, non ce n’è. Locali che chiudono: Madeleine e Mascherona erano posti dove si faceva musica e ci si andava con piacere. E’ capitato più volte di suonare in entrambi, ne sentirò la mancanza. Spero solo che al loro posto non aprano altri posti leccati, con le pareti bianche e l’arredamento firmato; dove la gente va a fare le chiacchiere e a pagare l’aperitivo cifre senza senso. Genova è piena di posti dove fare le chiacchiere, diciamo che non ce ne servono altri. So che parlare della tua “attività di illustratore” ti suona già come titolo immeritato, ma credo che chi avrà modo di sbirciare le riproduzioni in b/n dei tuoi lavori su queste pagine si renderà conto della tua bravura. Per concludere l’intervista, ti va di lasciar perdere per un attimo la musica e dirci qualche cosa in merito alle tue creazioni grafiche? Ci tengo a precisare che “immeritato” è una parola sbagliatissima. Il fatto è che non credo sarò mai un illustratore. Mi impegno a disegnare (ci provo), a volte faccio illustrazioni, ma non sono un illustratore né un artista. Diciamo che ho una grande passione per la grafica, e studiare grafica è la ragione del mio trasferimento a Londra. Parte dei miei lavori è illustrativa, ma si tratta di “esercizi”, diciamo che ultimamente sto cercando di provare a fare dell’altro, e che il disegno sarà portato avanti solo come un “arma”, una delle tante, per fare grafica. Ho imparato molto da quando sono qui, sono soddisfatto di quel che sto facendo al momento e inizio a capire su cosa insistere e cosa approfondire in futuro. E’ incredibile quante siano le cose da imparare. Ho da poco on line una versione beta del mio sito, fateci un giro: http://gr.notnot.org Li troverete più o meno le cose fatte nell’ultimo anno, se le riproduzioni in b/w in queste pagine non sono chiare e volete di più, scrivete qui: guglielmo.rossi@gmail. com e vi mando un pdf con i miei lavori, insomma, ci tengo che questo materiale giri, quindi fatevi sentire. Tra le opere più memorabili del sottoscritto, ricordo il poster del concerto degli Evens e Geoff Farina, e la grafica del Goa Boa Festival 2006. Questi e i vecchi lavori non sono sul sito, perché ho deciso di farlo partire dalla mia nuova vita, quella oltremanica. Non mi dilungo troppo parlando di “creazioni grafiche”, guardatele (voi di Compost mettetele grandi a sufficienza perché possano essere guardate) e fatevi una vostra idea, i link ci sono. Buona visione. Ciao e grazie. Più info e immagini sul lavoro di Guglielmo su http://gr.notnot.org 27 CMPST #3[07.2007] Smesciarsi “Ho scelto di compiere un percorso musicale da solista e devo ammettere che questo sul piano pratico mi facilita molto la vita. “ Marcella Intervista con Marcella Garuzzo di Simone Madrau LINEA DI CONFINE Dalle collaborazioni in città fino ai tour improvvisati in giro per lo stivale. Genova, l’Italia, la musica vissute da chi di storie ne ha ascoltate e ora ama raccontarle, nella maniera più tradizionale di sempre: una voce, una chitarra. Marcella Garuzzo. L’idea che mi sono creato girando sul tuo e su altri MySpace è che, accanto ai nomi che più ricorrono su Compost, ci sia un preciso filone di artisti – giovani e non, maschietti e femminucce -che hanno in comune la passione per il cantautorato. E non si tratta propriamente di quattro gatti. Che ne dici, possiamo parlare di “scena nella scena”? Non so se si possa dire che esista una “scena”, io personalmente conosco pochissime persone che fanno quello che faccio io. Anche se alcuni di essi effettivamente collaborano tra loro. E io per prima, del resto. In questo periodo sono in ottimi rapporti con Mauro Cipri: ci siamo conosciuti poco tempo fa, tramite MySpace, lui è venuto una volta a un concerto e siamo diventati amici. Anche con Davide Geddo suoniamo insieme spesso, proprio di recente al Punto G. Fuori da Genova poi ho instaurato un buon rapporto con Veronica Marchi, questa ragazza di Verona di cui è appena uscito un secondo cd: ci siamo conosciute a un concorso, io ho aperto un suo concerto a Verona e lei ha partecipato a una serata qui a Genova. My28 CMPST #3[07.2007] Space da questo punto di vista è fantastico. Inoltre collaboro molto con cantautori un po’ più ‘grandi’ come Claudia Pastorino e Paolo Agnello. La prima in particolare è stata mia insegnante di canto e mi ha introdotto presso tutta una cerchia di persone che a suo tempo collaborarono con De Andrè. Sempre lei mi fa partecipare a questo progetto chiamato La Compagnia Dei Cantautori, uno spettacolo-concerto con 6-7 cantautori che si avvicendano sul palco e che stiamo cercando di portare un po’ in giro. Abbiamo esordito al Teatro Govi ad aprile e lo porteremo a Villa Imperiale il mese prossimo. Come è strutturato questo spettacolo? Suonate insieme, cose tipo jam session oppure vi alternate sul palco? No, ognuno ha un suo spazio. Al Teatro Govi abbiamo fatto in questo modo: ciascuno portava due pezzi suoi e un omaggio a un cantautore genovese, per cui c’era l’omaggio a De Andrè, a Bindi, a Gino Paoli… Tu cosa hai portato? Io ho portato La Gatta di Gino Paoli, ovviamente un po’ riarrangiata… Per non dire stravolta… Comunque è stata una cosa carina, si rifarà. La prossima volta sarà un omaggio a Tenco, come dicevo il 26 agosto a Villa Imperiale. A proposito di stravolgimenti: tu sei un’artista accessibile e no. La tua poetica è piuttosto immediata, essendo legata a questioni prettamente umane. Eppure musicalmente tendi a ricorrere a soluzioni piuttosto inusuali, fai cioè un grosso lavoro di arrangiamento sui tuoi brani. Per questo motivo potresti essere legata in qualche modo all’ambito della musica indipendente, però forse questa mia osservazione è influenzata dal fatto che sei in buoni rapporti con un gruppo che poco ha a che fare con il genere che suoni, ovvero i Dresda. Cosa ascolti al di fuori di quelle che possono essere le tue influenze? I Take That! Dei quali propongo anche la cover di Back For Good. Scherzi a parte: sì, apprezzo cose anche più.. pesanti di ciò che suono. I miei ascolti principali comunque vanno sempre a parare su sonorità più intimiste. E non è nemmeno un genere di intimismo preciso, non è una devozione verso il genere, casomai verso i singoli autori, verso le cose che mi somigliano di più. Ti cito Cat Power Smesciarsi tra le cantautrici di ultima generazione. Kaki King, anche se non canta. Joanna Newsom, con quest’ultimo album così… strano. Ray La Montagne, che credo conoscano in pochissimi. Chris Brokaw, che ho visto qui a Genova al Milk. I Kings Of Convenience li adoro. E ovviamente Joni Mitchell. Però come vedi siamo sempre in quei paraggi. Ecco, se vuoi la cosa davvero strana è che sono cresciuta ascoltando gli Smashing Pumpkins. Bè, però Billy Corgan a suo tempo azzeccava anche delle signore ballate. Verissimo, e infatti il loro disco che ho amato di più rimane Adore. Quindi una sorta di coerenza con ciò che suono se vuoi c’è. Tuttavia ho ascoltato tantissimo anche Mellon Collie And The Infinite Sadness che invece mediamente era molto più rumoroso. Anche lì c’era comunque qualcosa di riconducibile alla tua musica: Stumbeleine, per dire, la vedo molto bene nel tuo repertorio di cover. E’ sempre stata la mia preferita infatti. Accidenti, sto diventando prevedibile. Allora ti faccio un altro nome, forse meno sospettabile, ossia quello dei Current 93, gruppo che sono andata anche a vedere a Torino. Loro mi piacciono davvero molto, pur avendo ben poco a che fare con me sul piano artistico. Ah, e poi i Dresden Dolls. Mi piace lei, così secca nel modo di porsi e di cantare. E gli Smiths che vabbè, sono supergettonati… nomi di culto, sia classici che moderni. Come dicevo prima tu stessa ti muovi su una linea di confine molto sottile. Per questo motivo ti chiedo quale sia la tua posizione in merito a questa sorta di divisione etica mainstream/indie tanto in voga ai giorni nostri. Secondo me le cose tendono troppo spesso a mescolarsi per avere un’idea precisa. Uno stesso artista nell’arco di una carriera può attraversare fasi diverse e fare una serie di dischi in un certo modo, poi un disco nuovo in un altro. Perfino le singole canzoni all’interno di uno stesso album possono avere impatti molto diversi. Non sono mai andata molto d’accordo con queste distinzioni. Credo siano cose che servono più agli addetti ai lavori, e che in generale un musicista avverta molto meno la questione. Sta diventando però un discorso di credibilità anche tra chi ascolta, e questo sta raggiungendo livelli anche molto stupidi. C’è gente che racconta che a tredici anni ascoltava, che ne so, i Sonic Youth. Ho difficoltà a crederlo. Credo, forse ingenuamente, che chi ascoltava davvero i Sonic Youth a tredici anni tenda a non farne vanto. E, se anche li ascoltavano, non credo potessero apprezzarli davvero o parlarne con un briciolo di senso critico. Secondo me ascoltavano gli 883, come li ascoltavo io, come li ascoltavano tutti. E poi è arrivata una.. diciamo.. maturazione. Mmm… io a tredici anni…ascoltavo… Tornando a quelle che sono le tue influenze sbucano fuori tanto sia nomi stranoti che Bè, tra le tue influenze di quel periodo ricordo di aver letto i Cranberries. Nooo, magari avessi ascoltato i Cranberries già a tredici anni! “I miei ascolti principali comunque vanno sempre a parare su sonorità più intimiste.“ Ok però diciamo che essendo un gruppo di quel periodo probabilmente te li porti dietro dagli anni 90. Sì ma li ho scoperti dopo, credo nel ’96. Li Marcella - foto di Sissi Magnani sentivo già ma non ero ancora minimamente influenzata, anche perché mi sono avvicinata alla musica più tardi. A tredici anni invece ascoltavo… bah, Mango, Enrico Ruggeri… Ruggeri in verità scriveva ottimi testi - a suo tempo, si intende. Altre prime influenze, beh, la Consoli, i già citati Smashing Pumpkins. Frank Black. Il primo disco di Noa, che avevo consumato. E Prince, perché avevo un fidanzato che adorava Prince. Mi bombardava, letteralmente, con Prince. E qualcosa deve essermi rimasto. Poi c’è un altro gruppo, davvero poco conosciuto, chiamato Frente!, con il punto esclamativo. Australiani, mi pare, facevano una sorta di pop acustico molto particolare, molto ritmico. Mi ero fatta arrivare 29 CMPST #3[07.2007] Smesciarsi “Mi pare che i locali cerchino di seguire il gusto della gente, e quest’ultimo è, diciamo così, mutevole.“ dall’Inghilterra entrambi i loro dischi perché in Italia non credo siano mai arrivati ufficialmente. Avevano questa cantante che si chiamava Angie Hart, mooolto simile come voce alla Joanna Newsom del primo disco: sussurrata, da bambina. Dopo lo scioglimento del gruppo, se non ricordo male, aveva tentato anche una carriera solista - evidentemente non molto proficua, dato che è sparita nel nulla. Cambiando discorso: tu segui una linea promozionale esclusivamente tua. Sembri indipendente in tutto e per tutto, a cominciare dal discorso date in giro. Mi spieghi un po’ come funziona la Marcella promotrice di se stessa? La Marcella promotrice di se stessa funziona in maniera molto semplice: vado a visitare pagine di paesi e città in tutta Italia che presuppongo includano i contatti di molti locali [ad esempio ultimamente vado spesso sui siti dei Comuni] e tiro giù i relativi numeri di telefono; dopodichè li chiamo, tutti. Capita che tra questi qualcuno mi dica di sì. E ti dirò che paradossalmente per lo più si tratta di locali che non sono abituati a fare musica. Non l’hanno mai fatta, e vogliono provare. Ecco perché chiamo anche ristoranti, bar. Non si sa mai che a volte anche loro vogliano buttarsi. Dalla mia ho anche il vantaggio di essermi messa in condizione di essere autosufficiente. Certo, alla fine essendo da sola hai una strumentazione molto esigua: hai già con te tutta l’attrezzatura necessaria, per loro si tratta di spostare tre tavoli. Esatto, e questo è fondamentale: se non mi muovessi così credo non riuscirei a fare il 90% 30 CMPST #3[07.2007] delle date che faccio. Inoltre in termini di soldi il fatto di essere da sola conviene a entrambe le parti: chi gestisce i locali può pagarmi anche molto meno di quanto farebbe con un gruppo [che ovviamente dovrebbe dividersi le spese]; mentre io posso permettermi viaggi anche piuttosto lunghi per suonare anche molto fuori da Genova. Ho scelto di compiere un percorso musicale da solista e devo ammettere che questo sul piano pratico mi facilita molto la vita. Non hai mai avuto gruppi? Sì, in verità fino a ventidue-ventitre anni ho sempre suonato con gruppi. Facevamo cose più rock, più pop anche. Sono cose che oggi non faccio più. Erano cose più o meno sulla scia dei Cranberries. Tutta questa polemica sulla mancanza di spazi a Genova ti sembra fondata o credi che comunque anche i gruppi potrebbero osare, sbattersi di più, per trovare delle date? Secondo me ogni gruppo, così come ogni persona al suo interno, ha un suo percorso: non mi sento di giudicare. Japanese Gum sono diversi da Dresda che sono diversi da Hermitage che sono diversi da En Roco. Quanto al resto: fino al duo, al trio, il posto c’è. I locali ci sono, forse nascosti, ma ci sono. Mancano spazi un po’ più grossi, questo sì, e questo inevitabilmente penalizza i gruppi che ti ho citato. Aggiungi che Genova è tutta stretta e sicuramente questo ha influito sulla costruzione degli spazi. Non credi che manchino anche locali più, diciamo, settoriali, che si rivolgano cioè in maniera esclusiva a quella che è la scena indipendente genovese alimentandone l’importanza ad occhi esterni? Prendi il Bana- no, che ultimamente ospita anche molti dei gruppi che seguiamo noi ma in cui trovi anche il tipo qualunque che è lì semplicemente a bersi qualcosa e la cui ultima preoccupazione è sapere chi sta suonando e cosa. E questo perché, se è vero che la sera prima ci trovi gli Hermitage, la sera dopo trovi il gruppo jazz o il dj. Lo stesso Buridda, per quanto sia un po’ la roccaforte di Disorder Drama, rimane un centro sociale e pertanto è tradizionalmente incline al reggae, al punk ecc. – il che è sacrosanto, intendiamoci. Solo che bisogna sempre fare compromessi con il tipo di spazio e viceversa i locali scendere a compromessi con la nostra proposta. Mah, il Milk forse è l’unico posto che si differenzia in quel senso lì a Genova, l’unico cioè con un tipo di programmazione piuttosto ben definita - ma non posso dirtelo con certezza, essendoci stata personalmente giusto due o tre volte. Il Milk e La Madeleine, anche. Ma il discorso non vale solo in quell’ambito, ad esempio a Genova manca anche un jazz club. Mi pare che i locali cerchino di seguire il gusto della gente, e quest’ultimo è.. diciamo così… mutevole. Forse è semplicemente un’evoluzione del concetto di locale, ammesso che di evoluzione si possa parlare. Te lo dico perché anche in molti posti fuori Genova in cui mi è capitato di suonare incastravano serate totalmente diverse senza alcuna apparente coerenza. E’ anche un periodo in cui gli stessi generi si amalgamano facilmente uno con l’altro, quindi probabilmente anche la programmazione degli eventi nei singoli locali ne viene influenzata. Forse in futuro le cose cambieranno ancora e il concetto di club tornerà in voga. Staremo a vedere. Più info su Marcella Garuzzo su http://www.myspace.com/ marcellagaruzzo Columns Indie Maphia For Dummies di Daniele Guasco Questa terza puntata di “Indie maphia for dummies” è dedicata a quei musicisti legati a una concezione più classica della musica che hanno l’hobby di cercare tutti i difetti possibili nel panorama indipendente cittadino (sfogliare il forum di genovatune per maggiori informazioni), riuscendo immancabilmente a non centrarne mai mezzo. Se la musica, chiamiamola alternativa anche se è già sbagliato partire da questo, a Genova riesce ad avere i suoi spazi per quanto spesso poco adeguati, se c’è non solo un buon numero di persone che propone musica indie in città, ma anche un pubblico che segue queste iniziative, non vedo cosa ci sia di male. Quello che non riesco a spiegarmi è perché chi si dedica al rock classico limitandosi ai classici vede sempre in cattiva luce chi invece spinto spesso dalla curiosità (di quelli che lo fanno per seguire una “moda indie” stavolta non ne parlo) vanno a cercare nuove idee e spunti originali. In pratica mi sembra che queste situazioni siano così descrivibili: un giocatore di bowling che entra in un circolo degli scacchi urlando “Questo gioco fa cagare! Perché esiste un circolo simile a Genova? Non ne possiamo più di voi e dei vostri alfieri, i birilli sono meglio!” tra gli sguardi dei giocatori divisi tra gli allibiti e gli scocciati. Credete che Genova dia più spazio alla musica alternativa o indie o avanguardistica o quello che vi pare mentre il vostro rock classico o il vostro metal non ne hanno? Svegliativi e createvelo voi, senza andare a far le pulci a chi si impegna e a chi si appassiona per altre cose. Comunque state tranquilli, in confronto ai quarantenni/cinquantenni che sparano sentenze sulla scena musicale attuale quando sono decadi che non fanno assolutamente nulla per Genova (se mai l’han fatto) le vostre critiche sono quasi costruttive. Sempre più spesso mi avvi- cino alla convinzione che la libertà di parola data da internet non sia poi questa grande conquista. Liberi Tutti di Matteo Marsano Ecco, l’estate. Parliamone. L’estate sta finendo. O perlomeno stiamo avanzando a grandi passi verso la seconda metà della bella stagione. L’estate del musicofilo a spasso su Internet con la Coca-Cola e il condizionatore. L’estate del milanese che viene in vacanza a Bogliasco o a Loano, l’estate del genovese che se ne va in Grecia o a Madrid. Oppure che se ne sta a casa. Sembra assurdo, ma nonostante dalla mia finestra si veda il Monte di Portofino in tutto il suo monolitico splendore, le occasioni in cui mi sono recato in spiaggia si contano sulle dita di una mano. Roba da voler tornare a 12 anni, quando si stava ammollo per ore e fino a che la pelle delle dita in corrispondenza delle falangi non si fosse ammorbidita nella tipica “filettatura” sintomo di idrofilia acuta. Un mesetto fa a Forte dei Marmi –di ritorno dalla festa di Pisa e dopo una nottata insonne passata a bighellonare per la città- non ho fatto altro che prendermi una piomba clamorosa sulla sabbia fine che hanno lì, alzare la testa di tanto in tanto quando il radar segnalava “curve pericolose in bikini” e invidiare l’organizzazione dei pivelli milanesi (tutti Vito e Calogero meneghini) davanti a noi, armati di damigiana da 15 litri, chitarra acustica e sacchettone pieno zeppo di erba verdognola. Infatti, dopo la promessa di una primavera pimpante ed affaccendata, quest’estate si batte la fiacca. Si prende il fresco sui monti, si suona e si registra con una pacifica slakness che quasi verrebbe voglia di avere dei nipotini per completare il clima familiare di agreste convivialità. Mi sembra naturale visto che l’estate scorsa, a fronte di cambiamenti nella vita personale che allora potevano sembrarmi quasi catastrofici, io e la mia cricca di amici campagnoli abbiamo letteralmente ricostruito, cazzuola in mano, la baracca nella quale adesso suoniamo, parliamo di musica e mangiamo le arselle dei campi. Si legge –quello ognuno a casa propria – si legge molto, come tutte le estati tranne un paio. Si leggono e si comprano i libri, quelli fatti di carta e non di kilobytes. Si legge a letto con la luce notturna e non con l’ausilio di Microsoft Reader. Si legge al mare, ma quello lo fanno tutti tranne me. Si legge Compost. Si legge di gruppi indipendenti genovesi sul quotidiano cittadino. Si legge sulla posta elettronica di eventi luttuosi che hanno interessato amici che scrivono su queste pagine, e verso i quali va tutta la mia comprensione e il mio affetto. Si rilegge Philip K. Dick e ci si accorge di avere in molto più in simpatia un loser talentuoso come lui piuttosto che un bravo e fortunato come Vonnegut. Si finisce a prendere in mano Lovecraft e ad immaginarcelo come una versione riveduta e corretta del nostro “Kappler” al Liceo. Si leggono per caso le boiate che titola Feltri. Si leggono le previsioni del tempo. Si legge a bomboletta rossa sopra un muro: Lib(e)ri. Buone vacanze a tutti. This Ain’t No BBQ di Anna Positano Momento di nostalgia, ho messo su un mixtape ignorantissimo e vecchissimo che si ascolta (non so perché) in mono, e con i volumi diversi tra una canzone e l’altra. Da perfetta imbecille continuo a cambiare il volume dal pc... Tra un Even hitler had a girlfriend e Judy’s got a boyfriend capisco che i maschietti punk-rockers hanno un cuoricino tenero(!). Ora mi scende una lacrimuccia di sicuro! Non ho ancora capito bene il funzionamento delle relazioni in ambito indipendente, ma penso che non ci sia poi tanta differenza dal mondo normale. Del resto un maschietto indie non abborderà la sua preda durante una serata in “disco” [pro31 CMPST #3[07.2007] Columns nunciato = diiifco (“o” aperta)], oppure dedicandole su Radio Dimensione Suono una fantastica canzone dei Negriamari; di sicuro non scriverà sui muri “kiara io e te 3msc”. E non importa che l’indie maschietto metta su un gruppo, ascolti musica praticamente sconosciuta solo perché è praticamente sconosciuta per poi registrare mixtapes | cd | mp3 da regalare alle ragazzine, si pettini col ciuffo (magari perché inizia a esser pelaticcio), indossi 1000 € tra scarpe | magliette | pantaloni | giacchetta di marche approvate dagli amici (e che amici!)... In ogni caso lo scopo rimane lo stesso, e cioè intraprendere una relazione seria e duratura con la preda(!). Che bello! Sciocchezze a parte, penso che una delle cose più apprezzate e di sicuro successo sia una cenetta preparata con le proprie mani*; magari insieme all’agognata preda, ovviamente senza destinarla al lavaggio dei piatti! Se non siete straightXedge, il vino può anche fare la differenza, soprattutto in mancanza di doti culinarie. Certo è che non potete cucinare tutto indiscriminatamente: tipo la puzza di un cavolo bollito potrebbe rovinosamente invadere il vostro nido d’amore... Blah! La cosa migliore è cucinare piatti di certa riuscita, per cui esercitatevi in precedenza per evitare brutte sorprese! Quello che vi propongo è un piatto piuttosto semplice e potete integrarlo con una pasta al sugo, insalata e un dolce (cfr. cmpst01). Sono pizzette di melanzana; se siete in 2 (se siete di più, buon divertimento!), premunitevi di: 1 melanzana piccola (di solito uso quelle nere) sale grosso origano poco stracchino (o mozzarella) parmigiano per il sugo: 1 latta di polpa di pomodoro 1/2 peperoncino fresco (a seconda di quanto vi piace piccante) 32 CMPST #3[07.2007] 1 cipolla piccola 1 spicchio d’aglio sale olio La cosa migliore è iniziare a preparare il sugo, che potrete usare anche per condire la pasta. Tritate finemente la cipolla e il peperoncino, avendo cura di eliminarne tutti i semi (usate i guanti, è meglio! altrimenti andando a far pipì ve lo incendiate). Fate soffriggere il trito e l’aglio in una padella, con un pizzico di sale; aggiungete il pomodoro, stando attenti a non schizzare la vostra indie - maglietta: una maglietta impataccata non è per nulla sexy, anche se è degli Hot Gossip. Lasciate cuocere per un po’ a fuoco moderato, aggiustando di sale e mescolando di tanto in tanto, poi coprite e continuate a cuocere per circa 20 min. Scaldate una piastra e iniziate a tagliare la melanzana in fette tonde di circa 1 cm di spessore; grigliate le melanzane e disponetele in una teglia. Mettete il sugo, lo stracchino, il parmigiano e l’origano sopra le fette, come se fossero pizzette e infornate per 15 min. Consumatele tiepide o fredde, magari per colazione la mattina dopo! *leggere per credere: Isabel Allende, Afrodita. Non tutto vegetariano, ma ci sono spunti parecchio interessanti. An inconvenient truth ovvero anche COMPOST dà il suo contributo per rallentare il cambiamento climatico di Carlotta Queirazza Una genovese trapiantata a Vicenza a prevenire l’inquinamento... Ok, ok, mi arrendo. Non ho piu calze, ne mutande, ne magliette pulite. Nonostante la calura da pieno agosto e la pressione sotto i piedi oggi mi devo trascinare fino alla lavanderia. Spiccioli in tasca, detersivo, zaino in spalle e giu in bici attraverso il quartiere di San Marco (miracolosamente Vicenza, al contrario di Genova, ha il dono delle sole discese e pianure..). Attacco la lavatrice, mi siedo davanti all’oblo e la mente spazia cullata dal rumore costante, tra le onde di acqua e schiuma.. a volte mi capita di farmi i conti in tasca.. i conti intesi come una sorta di quella che è chiamata impronta ecologica, ovvero un calcolo statistico che si basa sul fatto che ogni bene o attività umana comporta dei costi ambientali - cioè prelievi di risorse naturali - quantificabili in termini di metri quadri o ettari di superficie terrestre. Confrontando l’impronta ad esempio di me che vado al lavoro, a fare la lavatrice, in vacanza, con la quantità di terra disponibile pro-capite (cioè il rapporto tra superficie totale e popolazione mondiale) si può capire se il livello dei mie consumi è sostenibile o meno. Allora vediamo …bici ok, sapone biodegradabile ok... energia elettrica per la lavatrice e poi asciugatrice…hum.. però questo mese quante lavatrici ho fatto? Una..o forse anche meno..zio bon, ecologica ma un po sozzona. Comunque, andando al sito http://ecofoot.org/ puoi calcolare la tua impronta ecologica. Ecco il risultato del calcolo della mia: 3 ettari di terra e risorse (30 000 m2). La media italiana è di 3.8 ettari a persona. Beh, non malissimo alla fine.. anche se poi pensando in termini globali, se tutti vivessero come me ci vorrebbero ben 1.7 pianeti terra.. Da qui, alcuni suggerimenti per risparmiare risorse e ridurre la propria impronta ecologica, in particolare quando si decide di fare una lavatrice: fai sempre lavatrici a pieno carico lava il più possibile a basse temperature (30 °C), il processo di riscaldamento dell’acqua nella maggior parte delle lavatrici italiane avviene attraverso una resistenza elettrica che consuma grandi quantità di energia. Un’alternativa potrebbe essere collegare il tubo di ingresso dell’acqua della lavatrice direttamente al rubinetto dell’acqua calda. Columns In questo modo l’acqua è scaldata prima dell’ingresso in lavatrice attraverso la calderina del bagno o cucina che funziona a gas, a meno che chiaramente non ci sia un boiler elettrico che renderebbe il tutto abbastanza inutile (magari prima di provare consulta anche un tecnico và..). usa detersivo a basso impatto ambientale/biodegradabile (ad esempio la lisciva, un prodotto naturale a base di acqua e cenere, decisamente economico) idem per l’ammorbidente e magari, se non ci tieni troppo, evitalo proprio almeno in primavera ed estate evita l’asciugatrice Non Sono Un Poeta di El Pelandro El pelandro è già in vacanza. (NdR) A Steady Diet Of Mat di Matteo Casari Quando abbiamo iniziato a progettare Compost, una delle certezze era: evitiamo di fare quelle porcate tipo “lettere alla fanzine”: nessuno scrive mai niente e ci troviamo con una pagina vuota e riempibile solo con false testimonianze di vita che non interessano a nessuno. Fatta salva la column di Cesare, costruita con la gag delle missive, abbiamo mantenuto il nostro proponimento iniziale. Eppure in questo numero, su gentile richiesta dell’anonimo autore stesso, mi prendo la libertà di incentrare la mia column proprio sulla mail arrivatami da tal Disraeli Gears. Eccola: Egregio Spettabile Signor Matteo Casari, mi scusi se La disturbo, ma purtroppo mi vedo costretto a scriverLe per porre alla Sua cortese attenzione un suo (come dire?) “problemino” linguistico grammaticale. Sono un molti anni che seguo i Suoi progetti musicali e culturali, e da sempre ho notato questa sua “defiance”, propria spesso del Suo linguanggio scritto e talvolta di quello orale. Vado ora ad esporLe la magagna. Lei fa un uso un po’ troppo, secondo me, spropositato della parola <<realtà>>. Mi spiego: Lei ne fa un uso abusato quando parla di collettivi, circoli, associazioni, progetti, centri sociali, luoghi da concerti, enti, ecc ecc. Alcuni esempi di suoi tipici scritti: - “Il Buridda è una realtà che dà la possibilita’ ad altre realtà d’esprimerli bla bla bla...” - “Disorder Drama è una realtà che ha organizzato 1000 concerti bla bla bla...” - “Marsiglia Records è una realtà discografica di Genova bla bla bla...” Ed altri mille esempi. Cioe’, sembra, a noi umili tifosi di Sua Illustrissima Altezza Matteo Casari, che l’Eletto non sappia usare altri vocaboli a parte <<realtà>> per esprimere qualsiasi concetto metafisico o materiale. Le chiedo quindi, cortesemente, se non le crea disturbo, d’usare altri sinonimi, come ad esempio “progetto”, “idea”, “mercato ortofrutticolo”, che possano egualmente esprimere il Suo concetto. Tanto Le dovevo. Scusi se l’ho disturbata. Spero davvero che questa mia epistola elettronica sia pubblicata sul prossimo numero di Compost. La saluto cordialmente, Disraeli Gears Come esimermi quindi dal proseguire questa corrispondenza con questo appassionato di classic rock, se non pubblicamente qui su Compost? Tolto il fatto che, dei lavoretti che faccio, scrivere, nonostante la logorrea che mi affligge, non è certo il mio favorito e che preferirei che dei comunicati di gruppi, concerti, eventi e produzioni se ne occupasse qualcun’altro, l’epistola mi dona un dubbio vero e proprio, qualcosa, temo, di psicanalitico. Uso, forse, inconsciamente il termine “realtà” perchè sento la necessità di giusti- ficare l’aria fritta che vendo come oggetto dotato di una sua valenza tangibile? O, invece, percependo io questa forza sensibile nelle nostre produzioni, non la giustifico ma tento, spero non invano, di rafforzarla nella comunicazione? Ovvio che mi piace pensare che sia la seconda l’ipotesi più vicina alla veridicità dei fatti. Ma lo spettro della prima incombe. E, come tutte le estati che si rispettino, vessate dalla scansione lavoro relax lavoro imposta dalle scuole alla pensione, ecco arrivare, impietoso, il fantasma degli anni futuri e quello di quelli passati. Una solfa di auto-analisi critica che mi porta a domandarmi: ma cosa diavolo sto facendo? Forse che me la stia raccontando da solo? Ci sta e me ne sto, come si dice nel linguaggio giovane che detta le mie parole e muove le mie dita sulla tastiera. Critica si è detto e critica sia. A volte credo proprio che questo mestiere, se di lavoro si tratta, si basi proprio tutto sul vendere fumo. E non quel tipo di fumo. Solo per autofinanziarsi che cosa? Dei capricci? In questi ultimi sette anni di lavoro indipendente, in proprio o in cordata con altri, mi è capitato spesso di dover rinunciare a portare gruppi dai quali, in quel determinato momento storico, non si poteva prescindere. I Rachel’s sette anni fa, i Deerhoof cinque, e di nuovo qualche mese fa; ma la lista è imponente a dir poco. Tutte rinunce che, da un lato, erano dovute al fatto che quest’aria fritta non la sappiamo vendere sul serio, alienandoci il grosso delle istituzioni e degli sponsor, dall’altro, sono ancora dovute alla coscienza di essere viziati e pensare che ci siano dovuti, tutto e tutti, sempre e comunque. Queste due posizioni mi fanno rafforzare nella testa l’idea che, in effetti, tutte queste necessarie “realtà” di cui abbisogna la mia parlantina per costruire i propri castelli in aria (ma forse l’amante del classic rock apprezzerà di più i Castles Made Of Sand di Hendrixiana memoria) siano in effetti puntelli neanche troppo stabili. Per cui le varie 33 CMPST #3[07.2007] Columns provocazioni da bar, le incazzature fatte più per presa di posizione e piedi puntati che per effettiva giustificazione, le recriminazioni da “una fetta di torta spetta anche a me”, “siamo qui a far del bene” (...) siano tutte poco più che sparate per ottenere quel minimo di attenzione, quello si dovuto, per la componente, quella si reale, delle nostre produzioni. Concludo, quindi, concededendomi il lasciapassare per l’utilizzo futuro indiscriminato del termine “realtà”: fino a quando in città non avremo i giusti canali di comunicazione e l’attenzione adeguata mi vedrò costretto senza remore a iniettare ulteriormente forti dosi di “realtà” nel nostro operato. Valide Allternative al Bricolage Culturale DIYC 2.0 risponde il Dott. Cesare Pezzoni Pur leggendovi dal primissimo numero, non sono riuscito a capire quali sono i gruppi della scena Genovese che aderiscono all’etica e alla visione del no copy e del copyleft. Non è che sei l’unico sfigato della terra a stare dietro a ‘ste sciocchezze? Claudio (33, scorpione), Gorgonzola. Passi per lo sfigato, ma sciocchezza lo dici a tua madre. A dire il vero questo non lo so nemmeno io. I gruppi di Marsiglia usano licenze Creative Commons per diffondere e promuovere la loro musica, ma non so se questo si può considerare come un’adesione al modello anche socio-culturale retrostante, o piuttosto come la semplice osservazione della praticità della cosa, che comunque è un aspetto significativo e fondante di tutta la faccenda, anche per noi oltranzisti. Di certo non mi risulta ci siano organi musicali impegnati nella promozione del concetto e della cultura no copy. A parte il mio gruppo. Però spero di sbagliarmi. Ehi…mi sbaglio? In Italia fuori da Genova esiste una scena di net-label ormai folta che comprende etichette e progetti di diverso genere: Ogredung, Selva Elettrica, Anomolo, Copyriot, S8 Radio, 34 CMPST #3[07.2007] Ebria Records, Lepers e tante altre. Esiste anche un raduno Left, la prima edizione (e unica per ora) si è svolta due anni fa a Bologna (presso il Cassero, l’XM24 e qualche locale da aperitivo in centro), il progetto si è un po’ arenato ma più per eccesso di vitalità che per il contrario: sono partite da lì un sacco di cose e la scena si è così rapidamente allargata che non c’è stato modo di fermarla per fare un punto della situazione. Si sono creati poi diversi Collettivi attenti alla visione sociale del no-copyright, ho avuto la fortuna di parlare a conferenze organizzate da questi ragazzi a Napoli (il Collettivo del centro sociale Terra Terra, con lo pseudonimo di “Get Up Kids”) e a Milano (presso il Cantiere), ma anche qui a Genova niente meno che in una scuola (il mio liceo!). Siamo poi venuti in contatto con gli organizzatori di un paio di festival in Toscana, uno a Siena (Free Music Fest) e uno a Pisa (Una Due Giorni di Sapere Liberato), e sono ragazzi che lavorano bene, come sanno i Meganoidi, che hanno suonato dopo di noi in quel di Pisa. A Faenza, nella terra di Audiocoop e del MEI, c’è il MAI organizzato dai collettivi dei centri sociali, contromeeting delle etichette no copy. In Sicilia, Catania, c’è un gruppo di gruppi chiamato Stonature, che ha prodotto materiale informativo contro l’informazione pilotata che si riceve dalla SIAE. Come vedete la scena è vitale anche solo per esperienze che ho vissuto direttamente io, e non ho la pretesa di averle rappresentate tutte. Certamente non si può parlare di un mercato parallelo, ci si muove con i canali e le modalità di sempre, ma c’è questo collante culturale che ha dato nuovo vigore al clima a volte stagnante che c’era per esempio in certi centri sociali, da 10 anni a questa parte. Screamazenica di Simone Madrau Screamazenica is sponsored by: Cynarotto. Cynarotto, la bevanda ufficiale dell’estate 2007. Era bello il Fitz perché, quando ti cadeva un piatto o ti si sganciava il cavo, erano in 5 a non pensarci un attimo per venire a dare una mano. Questo ci ha reso migliori. [nostalgia canaglia? Il nostro Cesare Cartavetro la butta lì.] Falle venire tutte, Jago! [il pubblico del Goa Boa fomenta l’ingresso sul palco di The Banshee] Se non la pianti vengo lì e ti ciocco una testata. [scherzosamente - ma nemmeno troppo Enrique Balbontin di Colorado Cafè al bassista di The Banshee, intento a provare lo strumento coprendo così lo show del comico in corso in quel preciso momento] Cosa c’è laggiù? Le bestie di Satana? [anche senza riuscire a vedere il palco, il pubblico sul fondo di un Rosa Dei Venti affollatissimo in vista dello show degli Ex-Otago riesce a cogliere bene lo spirito del nostro Rocktone Rebel, chiamato ad aprire la serata] Bar-za! Bar-za! [hipurforderai, dalle transenne del Periferie, chiede a gran voce un extra alla pur ottima performance che il nostro beneamato Mr Blue sta concedendo al microfono] Ti sei appena giocato la Suiteside. [il sottoscritto – piegato in due - a Marco dei Dresda, la cui lattina di birra appena esplosagli tra le mani è andata a schizzare proprio Monica Melissano] Pronto? [in un auto lanciata nella notte del Periferie, Marco dei Dresda [alla guida del mezzo] così esordisce portando all’orecchio una ciabatta gentilmente fornita dal compare Ivan, chiuso in un portabagagli ricco di sfiziosi oggetti] Il concerto di Zuffanti è in odorama. [inevitabile commento di hipurforderai in reazione all’intensissimo aroma che di colpo attacca le narici di ogni presente nel danceflooooor del Periferie] ....E tu sei molto brava ...oltre che molto carina, per non dire figa che magari è volgare. Baci. [per finire: Mangoni ci insegna il galateo sul MySpace di Ceanne [aka Chiara di Genovatune]. Questo si chiama scoop. Cucuzza vai a casa] Arte Nato a Genova nel 1975, con alle spalle studi artistici e architettonici, Daniele De Battè si occupa di vari aspetti del visual design, cercando di creare uno stile unico per diverse soluzioni. Le sue illustrazioni sono, di solito, in bianco e nero, legate al mondo della fantasia infantile. Più info su Daniele De Battè su http://www.danieledebatte.it http://www.artiva.it http://www.takeshape.it 35 CMPST #3[07.2007]