Riferimenti bibliografici

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“Open source politics”. Comunità virtuali, blogs e mediattivisti
La democrazia dell’informazione tra tv e nuovi media
di Arturo Di Corinto
1. Internet e la comunicazione globale
Uno degli elementi che meglio caratterizza la “società dell’informazione” è certamente
il sapere comunicativo diffuso, messo in campo da singoli e movimenti nella
costruzione dei media indipendenti. Un fenomeno che è all’origine della diffusione di
fanzine elettroniche, siti di controniformazione, archivi di video digitali, reti di
filesharing, blog personali, web-radio e televisioni di strada.
Infatti, se la rivoluzione tecnologica ha messo nelle mani di ogni cittadino
strumenti di comunicazione personale, l’avvento di Internet, la digitalizzazione delle
reti e dei contenuti, la convergenza multimediale, gli consentono di rivolgersi a una
platea globale. Il risultato di questo processo è la crisi del ruolo mediatore dei
professionisti della comunicazione e la credibilità stessa dei media tradizionali che si
trovano a competere con un nuovo tipo di narrazione degli eventi, dove scompare il
confine fra attori, produttori e consumatori di informazione, in una dialettica che ha
visto nascere una nuova generazione di militanti della comunicazione: i mediattivisti.
In realtà i movimenti sociali, gli attivisti, hanno sempre avuto una gran mole di
attività correlate all’uso dei media. Una spinta potente a individuare forme di
comunicazione autogestite. Si pensi alle riviste ciclostilate come “Mondo Beat” o alle
radio libere e al ruolo che hanno avuto nel diffondere stili di vita e idee altre da quelle
dominanti. Non è pertanto casuale che a ogni innovazione tecnologica degli strumenti
del comunicare è stata sempre associata l’idea utopica di trasformazione della società e
della politica prefigurando nuovi spazi di democrazia. Ma questa promessa si è solo in
parte avverata con l’avvento dei media indipendenti. Tuttavia, come dice Meyrowitz: «I
media indipendenti e alternativi, dando vita ad ampi dibattiti democratici e rendendo
1
disponibili una gran quantità di informazioni, assistono i cittadini a decostruire le
mitologie»1.
L'affermarsi di Internet e del web come strumento di comunicazione di massa ha
determinato un cambiamento drastico nel modo in cui le informazioni sono prodotte e
scambiate nelle società tecnologicamente avanzate. E questo vale soprattutto per la
comunicazione di idee radicali, dissidenti e critiche. Se prima della diffusione di
Internet la critica allo status quo fatta da singoli, gruppi e associazioni, era affidata a
volantini, fanzine e comizi di piazza, e successivamente alle radio indipendenti, ai
BBS
(Bulletin Board System), oggi i movimenti sociali si rivolgono a Internet per
comunicare le proprie ragioni e raggiungere una platea virtualmente illimitata.
Negli ultimi anni l'uso creativo di Internet è diventato uno dei modi privilegiati
attraverso cui moderni attivisti e militanti tradizionali comunicano per scambiarsi
informazioni, elaborare progetti e discutere le proposte di uno sviluppo alternativo e una
pacifica convivenza dei popoli (www.peacelink.it). Ma Internet è anche lo strumento
con cui i media attivisti di tutto il mondo supportano le proteste di piazza che hanno
l'obiettivo di contrastare le politiche antisociali di governi e corporations
(www.adbusters.com).
L'idea portante di questa filosofia dell'azione diretta sulla rete è che, siccome il
potere diventa nomadico e globale, non essendo più legato né a un luogo fisico, né a un
solo centro di controllo, le manifestazioni di piazza, i picchetti, le petizioni e i
boicottaggi da soli non sono più sufficienti a contrastare le prevaricazioni di governi e
corporations. Poiché è sempre più importante globalizzare la contestazione, bisogna
adottare tecniche di guerriglia comunicativa su Internet - petizioni elettroniche, sit-in
virtuali, creazione di siti web a prova di censura, deturnamento del messaggio politico e
pubblicitario - sincronizzandole con le proteste di piazza e dare l'occasione anche a chi
non può essere fisicamente presente alle proteste di fare sentire la propria opposizione2.
1
J. Meyrovitz, Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici sul comportamento sociale,
Baskerville, 1995.
2
Insieme al Critical Art Ensemble, Ricardo Dominguez è stato fra i primi a teorizzare la disobbedienza
civile elettronica, una forma di azione diretta e non violenta sulla rete telematica, che ha come obiettivo
quello di intralciare e bloccare i flussi dell'informazione e del capitale finanziario. Azione che si
concretizza occupando "entrate, uscite, vie e altri spazi chiave della rete" per fare pressione sulle
istituzioni implicate in azioni immorali o criminali (http://www.thing.net/~rdom/).
2
Riconosciuta la comunicazione come terreno di conflitto tout court, gli attivisti
dell'informazione usano proprio la rete Internet per contrastare le strategie di
comunicazione orientate al consumo e al consenso, attaccando le politiche di branding e
il
marketing
delle
multinazionali
(www.nologo.org)
e
denunciando
l'uso
propagandistico che politici, governi e imprese fanno del web come vetrina delle
proprie attività (www.rtmark.com). Come? Decostruendone il messaggio, cambiandone
il senso e svelandone il carattere persuasivo e di controllo, opponendovi le proprie
interpretazioni e affidando alla rete la propria narrazione del mondo.
Internet è un mezzo di comunicazione globale e, di conseguenza, è lo strumento
per eccellenza scelto dai movimenti sociali per globalizzare rivendicazioni e proteste
secondo modalità tali che il loro agire comunicativo diventa immediatamente agire
politico. E lo fanno essenzialmente in due modi:
- producendo informazione indipendente, "dal basso"
- sabotando i flussi comunicativi di lobby, media e multinazionali.
Ma, come dicevamo, Internet è stata usata anche come mezzo per sé di
contestazione durante le proteste. Un aspetto quest’ultimo enfatizzato dai media
concorrenti, costretti a occuparsi di Internet come fenomeno di comunicazione sociale,
allo stesso tempo prendendone le distanze, criminalizzando il suo utilizzo con
argomentazioni roboanti, secondo cui la rete anarchica sarebbe luogo elettivo di
pedofili, hackers e pericolosi terroristi. Al contrario, gli attivisti dell’informazione
usano la rete per contrastare i piani di governi e multinazionali in maniera pacifica e per
intervenire sulle grandi questioni dello sviluppo economico, dell'ambiente, delle libertà
e dei diritti civili, con l'obiettivo di contrapporre alla sregolata globalizzazione dei
mercati e dei capitali la globalizzazione dei diritti e delle opportunità.
I cittadini, dal canto loro, usano la rete per avere un punto di vista altro e per
approfondire le proprie conoscenze. In tutto ciò favoriti dalle caratteristiche del mezzo
Internet che è e rimane, nonostante il digital divide3, un mezzo di comunicazione
globale, potenzialmente accessibile e utilizzabile da chiunque con poca spesa e
conoscenze di facile acquisizione.
Il digital divide, il “divario digitale”, si riferisce alla disparità di accesso alle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione determinato dall'assenza di infrastrutture, dal ritardo culturale e
da restrizioni politiche all'interno di uno stesso paese o di nazioni diverse. Poiché oggi le forme
dell'economia e quelle della democrazia sono sempre più collegate alla diffusione delle tecnologie, il
digital divide è riconosciuto come un problema di rilevanza mondiale.
3
3
2. Il conflitto con gli altri media
Certo, il protagonismo della rete come spazio di discussione, di denuncia e di progetto
si è imposto con forza nell’immaginario collettivo quando i gruppi no-global si sono
rivolti al digitale per l'organizzazione e il coordinamento delle manifestazioni di
protesta. Un mezzo talmente efficace che diventa difficile immaginare la massiccia
partecipazione ai controvertici senza l'uso di un mezzo di comunicazione come la rete
internet: globale, acentrico, multidirezionale, indifferente alle frontiere e alle
legislazioni degli Stati.
Nei fatti, durante la contestazione dei vertici del
WTO
o del G8 l’informazione
massmediale tradizionale ha proceduto al saccheggio di notizie da siti, newsgroups e
mailing list per raccontare gli antiglobalizzatori e le loro tesi, spesso in maniera
"conveniente" e folcloristica. Ma è stata l’iperfetazione delle opinioni dissidenti, l’uso
creativo della rete, la preferenza da molti accordata al web per informarsi, che hanno
“bucato” l’agenda mediatica e costretto i media tradizionali a occuparsi di come il
mezzo Internet viene usato per fare informazione non solo in concomitanza delle
proteste antiglobalizzazione.
È facile dire perché. Tanto per cominciare, la quantità di informazioni presenti
su Internet è stata di gran lunga superiore a quella veicolata da radio e televisioni.
Internet è un enorme “repositorio” di informazioni, indifferente ai tempi e agli spazi
tipici dell'informazione radiotelevisiva e cartacea; realizza l’indipendenza spaziotemporale dei contenuti e permette di accedere alle informazioni con dispositivi assai
diversi;
realizza
la
“multimedialità
nel
video”
e
stimola
un
“consumo”
dell’informazione attivo e multi-modale. Inoltre, la rete consente di creare un proprio
palinsesto informativo. L’antropologia del consumo di Internet ci dice che i suoi fruitori
ne fanno un “consumo ripetuto e frequente”, simile ai comportamenti favoriti dalla
“televisione di flusso”.
Per questo è uno strumento di democratizzazione nell’accesso all’informazione.
Non c'è un palinsesto da rispettare, non c'è una proprietà da blandire; sulle piattaforme
interattive non esiste una gerarchia di importanza delle notizie da dare. Lo scotto da
pagare è spesso la difficoltà per gli utenti di trovare subito le informazioni cercate e di
4
selezionare quelle pertinenti. Ma il tam tam della rete può ovviare anche a questo. I siti
informativi vengono segnalati sulle mailing list e i newsgroups, declamati in piazza,
irradiati via etere o stampati in calce ai volantini.
Se la rete viene usata dagli attivisti politici fin dalle sue origini per fare
informazione attraverso le campagne d’opinione, oggi succede qualcosa d’altro. Si
moltiplicano i siti che fanno meta-informazione, siti impegnati a spiegare il meccanismo
di costruzione della notizia e a prendersi gioco del modo di fare informazione dei media
tradizionali attraverso l'analisi e la decostruzione dei loro messaggi. Si pensi all’uso che
ne è stato fatto rielaborando la dinamica degli eventi che hanno portato all'assassinio del
giovane Carlo Giuliani (www.piazzacarlogiuliani.org).
D'altra parte, la scelta di molti di usare Internet come mezzo di informazione live
è spesso favorita non solo dalla diffidenza nei confronti dell'informazione
radiotelevisiva istituzionale, ma anche dal riconoscimento dell’impossibilità tecnica da
parte dei media tradizionali di seguire in tempo reale e da angolazioni diverse i fatti e
gli eventi in corso. La rete, invece, rende possibile la moltiplicazione dei punti di vista
proprio perché consente a chiunque di trasformarsi in “giornalista per caso”, di
raccontare quello che accade dalla proprio prospettiva e di riversare in rete ciò che è
stato catturato con macchine fotografiche, telecamere, portatili, palmari e cellulari;
direttamente sul luogo o una volta tornati a casa e a lavoro, a distanza di pochi minuti o
di poche ore.
Il conflitto mediatico in questo caso ha evidenziato nel tempo due modalità
differenti di fare informazione. Da una parte, quella delle televisioni e delle radio, di
Stato e commerciali, che realizzano una comunicazione verticale, monodirezionale, da
un centro di trasmissione a una periferia di spettatori, dall'altra, la rete Internet,
multidirezionale, perché consente una comunicazione da molti a molti, e orizzontale,
perché accessibile a chiunque allo stesso modo e con pari legittimità.
La diffusione di piattaforme interattive per la pubblicazione di documenti
digitali e l'attitudine culturale all'uso di strumenti di comunicazione "personali" ha così
avuto un effetto peculiare sulla narrazione degli eventi. Il massiccio utilizzo
"amatoriale" di strumenti di ripresa e di trasmissione dei dati ha annullato la distinzione
fra accadimento e osservatore e quindi la distanza ritualizzata tra il fatto e la sua
comunicazione.
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Perciò, anche se in Internet c’è lo stesso chi decide cosa va raccontato e come - è
il caso dei quotidiani e dei telegiornali on-line - la numerosità delle fonti informative è
tale che ciascuno può farne il confronto, oppure chiedere la verifica e la correzione di
una notizia, o fornire la propria diretta testimonianza, giacché con gli strumenti adeguati
tutti possono raccontare la propria versione dei fatti. “È l’interattività, bellezza”.
La rete è così diventata luogo di dibattito e di discussione di temi quasi ignorati
dai media mainstream, dal glocalismo alla Tobin tax all’uso delle biotecnologie, alle
nuove forme di sorveglianza elettronica e del controllo sociale, e dello sviluppo
compatibile fino al rapporto fra la comunicazione e le forme della democrazia, entrando
a far parte del background culturale delle nuove generazioni le quali sembrano aver
compreso che attraverso di essa possono fare informazione da soli, senza doverla
delegare ad altri.
Tra i trionfalismi tecnologici e il sensazionalismo sulle imprese degli hackers veri, presunti o inventati - probabilmente l'informazione paludata non si è accorta che la
rete Internet sta cambiando i connotati ai modelli della comunicazione sociale
contribuendo così alla sua crisi. Una crisi generalizzata, che tocca tutta l'industria del
consenso, perché rimette la distribuzione dell'informazione a chi concretamente la
produce: i gruppi e i movimenti sociali.
3. I blogs
All’interno di questo panorama, una particolare forma di comunicazione in rete sta
assumendo un carattere prevalente: sono i blogs, i diari on line.
Un weblog o blog - la crasi delle parole web e log - è un sistema di publishing
on-line sul world wide web. Evoluzione delle vecchie bacheche elettroniche, i
BBS
(Bulletin Board System), il blog è una sorta di forum che consente di pubblicare in
maniera facile e veloce (basta un “copia e incolla”) notizie, gossip e documenti,
visualizzandole come pagine web. A ogni messaggio è possibile aggiungere risposte e
commenti fino a generare veri e propri threads (filoni) di discussione. “Blogger” viene
chiamato chi gestisce un blog e i due nomi, blog e blogger, sono talvolta usati come
sinonimi, proprio a sottolineare la natura personale del weblog.
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Tuttavia dai primi weblogs - il famoso www.slashdot.org di Rob Malda del 1997
-, il loro utilizzo si è esteso da quello di diario personale a quello di collettore di
informazioni. Anche se nasce come diario elettronico in rete, facile da installare e usare,
il fatto che a ogni messaggio depositato sul weblog si può aggiungere un commento da
stampare o da inviare a un amico, lo ha trasformato nell’interfaccia comunicativa più
diffusa delle comunità virtuali on-line perché, attraverso quelle funzioni, consente di
sviluppare un discorso collettivo e, usato come archivio, la crescita cumulativa di
conoscenze su mille argomenti. Il tutto in tempo reale, anche senza possedere una
casella di posta, potendo scegliere di essere identificabili o anonimi, scrivendo
direttamente sul web.
Oltre alla facilità d’uso, i weblogs si sono presto diffusi perché i più noti e facili
da installare sono basati su software libero (www.softwarelibero.it) e quasi sempre
gratuito. Inoltre, essendo l’interfaccia privilegiata dalle comunità di programmatori,
cercando nel posto giusto, si trova sempre qualcuno pronto ad aiutarti a installarlo o a
risolverne i problemi di funzionamento.
Con i weblogs è possibile creare dei network di informazione, i Blogrolls, che
fanno apparire sulla pagina d’ingresso l’elenco dei messaggi di un altro blog che da lì
possono essere richiamati e diventare un’altra fonte di dibattito. In questo modo, da una
dimensione personale si sviluppa una fase collettiva di utilizzo delle informazioni, di
rielaborazione e poi di nuovo personale.
Una recente stima di Technorati, il motore di ricerca leader nella categoria blog
(http://www.technorati.com) calcola che il numero di blogs arrivi a 20 milioni e il fatto
eccezionale è che, aggirando i limiti della censura, ce ne sono decine di migliaia in paesi
come l’Iran o la Cina, dove sono spesso gli unici strumenti di informazione non
controllati dai governi. Per questo Reporters senza frontiere (http://www.rsf.org),
l’associazione di giornalisti che da anni si batte per la libertà d’informazione e
d’espressione, ha appena dato alle stampe un Manuale per blogger e cyber-dissidenti4,
un insieme di “tips & tricks”, cioè di “trucchi”, tecnologici e legali, per garantire la
libertà d’espressione a chi ogni giorno rischia di perderla. Secondo RSF, i blogger sono i
nuovi “araldi della democrazia” perché permettono alla gente comune di esprimersi su
temi talvolta futili e autoreferenziali, ma più spesso di grande rilevanza sociale. Un
4
La versione online del libro si trova: http://www.rsf.org/IMG/pdf/handbook_bloggers_cyberdissidentsGB.pdf
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fenomeno che ha acquisito nel tempo il nome di Open Source Politics, considerando che
i bloggers spesso sono gli unici “giornalisti” in paesi dove anche i media mainstream
sono sotto il tallone della censura, perché forniscono contenuti liberi per la cui
diffusione sono spesso sotto la minaccia di arresto, e consentono alla persone di
confrontarsi sui grandi temi della politica.
Perciò, se la forza propulsiva di Internet è stata dalle origini la possibilità di
discutere di tutto con chiunque e, al tempo stesso, di diventare editori di se stessi
pubblicando le proprie storie personali come pagine web, con i weblogs è possibile fare
entrambe le cose. È difficile dire se si possa parlare di giornalismo, ma quello che conta
è che, al contrario dei media tradizionali che informano il pubblico in maniera
unidirezionale, spesso per slogan, senza produrre le informazioni di contesto, i blogs
favoriscono la trasformazione delle notizie in conoscenza, facendo l’opposto, cioè
consentendo ai lettori di interagire, aggiungere, integrare le informazioni, e sviluppare
in questo modo nuova conoscenza, organizzandola attraverso un raffinamento continuo
e la segnalazione delle fonti con l’uso estensivo dei link. D’altra parte, hanno anche
dato prova di “stare sulla palla” – come si dice in gergo giornalistico - meglio dei media
mainstream, offrendo informazioni subitanee nel caso degli attentati di Londra, e della
tragedia dello tsunami, e prima ancora, durante la guerra in Iraq i cui casi esemplari
sono stati i blogs di Enzo Baldoni, Blogdad e quello di Salam Pax5.
I blogs sono forse il migliore esempio della forza della comunicazione
autoprodotta, di quel giornalismo civico in grado di interferire con le dinamiche del
potere mediatico. Basti ricordare che furono proprio i blogs conservatori nordamericani
a denunciare l’inattendibilità dei documenti che il giornalista Dan Rather portava a
prova dei favoritismi ottenuti dalla recluta George W. Bush, ma anche di portare
5 Il weblog più noto è probabilmente quello di Indymedia, il circuito di attivisti dell’informazione
indipendente nato a Seattle il 30 novembre del 1999. La sua facilità d’uso ha generato circa 200 siti
territoriali di Indymedia sparsi in tutto il globo. Il weblog di Indymedia è distinto in tre aree, una di
servizio, la colonna centrale degli articoli redazionali e quella di destra dove ciascuno può inserire le
proprie notizie (www.indymedia.org.). In Italia un blog interessante è quello di Rekombinant
(www.rekombinant.org) che, a differenza di molti altri che hanno una estetica spartana sui toni
grigio/nero/bianco, è stato personalizzato nella grafica e nelle funzioni. Nei “log” di questo aggregatore di
comunità si parla di postfordismo e pubblicità etica, di TV indipendenti e media attivismo, scienza ed
epistemologia. Dei weblog si parla nel libro Media Activism. Strategie e pratiche della comunicazione
indipendente (DeriveApprodi, Milano pp. 234).
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all’attenzione dell’opinione pubblica gli abusi e le torture perpetrate dagli occupanti
americani e inglesi in Iraq.
Perciò, parafrasando Debord quando parla della televisione come elemento
cardine della Società dello Spettacolo6, potremmo dire che: «Non tutto ciò che è buono
va in televisione, non tutto ciò che va in televisione è buono».
L’informazione al tempo di Internet ci ha insegnato innanzitutto questo.
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