Intro
Redazione
Matteo Casari
Daniele Guasco
Simone Madrau
Matteo Marsano
Giulio Olivieri
Cesare Pezzoni
Anna Positano
Collaboratori
El Pelandro
Marco Giorcelli
Davide Chicco
Alessandro Lentini
Carlotta Queirazza
Grafica e Impaginazione
Matteo Casari
Contatti
http://compost.disorderdrama.org
[email protected]
Compost
c/o Matteo Casari
C.P.1009
16121
Genova
Pubblicazione NON periodica, amatoriale,
destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza.
Questa pubblicazione è una produzione
Disorder Drama.
Un sincero ringraziamento al collettivo del
Laboratorio Sociale Occupato Autogestito
Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui.
Se interessati a collaborare, con parole o disegni, contattateci
Arrivederci a CMPST #7 - [03.2008]
2 CMPST #6[01.2008]
E così siamo arrivati al primo giro di boa
degli editoriali. Chi di noi ha voluto ha avuto
l’occasione di dire la sua su quel che ci succedeva intorno, con le ovvie differenze di
vedute e di punti focali. Nel giro di un paio
di mesi ci sarà una specie di compleanno:
365 giorni dalla progettazione del marzo
scorso. Un giro non da poco per un progetto
“che se dura veramente tre numeri è tanto”,
come ci dicemmo all’epoca. Abbiamo già
imbarcato altri passeggeri e marinai e ci stiamo traghettando nell’ultima parte di questo
decennio di cui sicuramente non mancheranno le tracce in futuro. Scampati al millennium bug i dati inseriti nei grandi database
del web ci ricorderanno sempre quello che
stiamo combinando. E non sarà forse poi
così dura rimettere insieme le testimonianze
su questo periodo, anche solo leggendo le
nostre interviste. Sarà sicuramente più facile di quanto sta toccando oggi a noi, vostri
umili ricercatori. Riuscire a mettere insieme
le nozioni sui due decenni precedenti a
questo sembra a volte impresa ardua. Nel
gro di sei numeri abbiamo certamente scoperchiato qualche sarcofago incustodito,
ma mai come in questo numero qualcuno
aveva aperto bocca e fatto nomi e cognomi. Il Carrarone era certa fonte di info, date
e nomi. Così è stato. Ce lo siamo cucinati a
fuoco lento, non sparandocelo subito, così
come il combattivo donchisciottesco Tristan,
memoria storica degli anni novanta, e la crociata di Zuffanti per unire suoni e generazioni.
Ancora non abbiamo approfittato, tanto
quanto vorrebbero loro, di molti illustri desaparecidos, che smaniano all’idea di essere
finalmente riconosciuti profeti in patria. Questi quasi nervosismi da prime donne mi hanno fatto fin qui formare un pensiero sul quale
mi prometto di arrovellarmi ancora su queste pagine: e se la colpa di tutti nostri guai,
delle lacune della scena, della carenza di
pubblico e spazi fosse solo e semplicemente
il risultato dei comportamenti della vecchia
scuola genovese? Il cronico disinteresse
verso il costruire insieme strutture utili a tutti, il
cinismo e l’egoismo, il narcisismo di chi ci ha
preceduti a volte mi scoraggia. Scrivo queste righe perchè, se fra dieci anni avrò occasione, prossimo ai quaranta come lo sono
ora ai trenta, di rileggerle io abbia il coraggio
di analizzare quello che starò facendo con
obiettività: se sarò ancora in questo campo non voglio che i ventenni di poi abbiano ancora le stesse nostre problematiche e
possano anche solo formulare dubbi su chi li
ha preceduti come sto facendo io ora. Non
è una questione di lasciare il mondo meglio
di come lo si è trovato (ah, il retaggio scout!)
ma una solida questione di principio atta a
costruire solide strutture comunitarie, utili a
tutti più che ai singoli. Più mi interfaccio con
“professionisti” della musica più leggo nelle
loro parole menefreghismo nei confronti
della città e delle sue sorti: musicisti pseudoindipendenti completamente digiuni di chi
fa cosa e dove; baroni che hanno ottenuto
il contrattino simbolico e che non mollano
il colpo e la poltrona. Noi continueremo a
scavare e a parlare anche con loro. Mi sono
ripromesso di dedurne un elenco delle cose
da non fare per non danneggiare le future
generazioni, non solo dal punto di vista ambientale ma anche musicale.
Matteo Casari
Le foto di copertina di questo numero
sono di Stefano Coviello - ENCORE GRPHCS
http://www.flickr.com/photos/encore_grphcs
Questo numero è stato reso possibile dai
contributi del Benefit del 24/01/08 al Laboratorio Buridda con Port-Royal, Contesti Scomodi
feat. Bobby Soul, Fabio Zuffanti e Hipurforderai,
oltrechè dalle offerte raccolte dalle seguenti
realtà:
DISORDERDRAMA
Le date del mese
Tutti i Giovedì al Laboratorio Sociale Buridda.
Dalle 2130 avrete la possibilità di vedere:
31/01 Dadamatto (ITA) + Pull (FRA) + :Self (ITA)
7/02 Dejligt (ITA) + Karmatest (ITA) + Acid Yellow Three (ITA)
14/02 I Camillas (ITA) + X-Mary (ITA) + Rocktone Rebel (ITA)
21/02 Kobenhavn Store (ITA) + Japanese
Gum (ITA) + Still Leven (ITA)
28/02 Valina (AUSTRIA) + 2novembre (ITA) +
Gandhi’s Gunn (ITA)
Inoltre in collaborazione con eMpTV ci
sono le eMpTV Nights al Checkmate, ingresso libero con tessera ARCI, Via Trebisonda 27r.
26/01 Sea Dweller (ROMA) + Japanese Gum
(GE)
23/02 Farmer Sea (TO) + Armstrong (TO)
29/03 Ten Thousand Bees (PD) tbc + MangeTout (GE) tbc
19/04 Arbdesastr (VR) + Fabio Zuffanti (GE)
Altre
date,
last
minute,
locandine, link, info, radio e altro li trovate su
http://www.disorderdrama.org
News
GRRRZETIC
Comunicazioni ed eventi
Giovedì 31 Gennaio 2008, dalle otto
a mezzanotte in Vico Valoria Quaranta Rosso, ci sarà Condometic second
chance,
Condominium
+
Grrrzetic.
Cristiano B. (già ospite di Compost!) + Paolo T. presenteranno il loro nuovo libro scritto e
illustrato, edito da Grrrzetic. Libro + Fotografie + Tavole Originali + Quadri + Aperitivo!
D.J.E.A.R. - sounds your eyes can follow i.d.m. electro minimal techno 4 art.
Video Set AKA B
News
E’ Pericoloso Sporgersi - Immagini di luoghi ed
architetture di Luigi Massolo e Roberto Saba
La mostra (terza della serie curata da Alberto
Terrile per il Centro Sivori) inaugurerà giovedì
24 Gennaio alle 18,30 e terminerà il 21 febbraio
2008 e sarà visitabile negli orari cinema dalle
15,30 alle 23.
Centro Polivalente Sivori – Salita Santa Caterina
12r – Genova - www.percorsimagici.net
Ancora uscite per Marsiglia Records, i genovesi
Rice On The Record, i veronesi Arbdesastr e i padovani Speedy Peones pubblicano in Creative
Commons le loro nuove fatiche, disponibili in
CDR ai concerti dDRAMA e/o scaricabili gratuitamente dal sito!
http://www.marsigliarecords.it
Le proprietà elastiche di Filippo.
Esce il disco di Q! Ex leader degli ormai discolti
indolenti indiepoppers Topi Muschiati, già in alcune formazioni dei Numero6 e remixer, a nome
suo o Tesla B, per altri progetti, Filippo Quaglia
aka Q è riuscito finalmente a pubblicare la sua
nuova opera. Le 10 tracce de “Le proprietà elastiche del vetro” sono edite da Micropop e le
potete trovare in tutti i negozi di dischi.
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Etichetta
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Studio di Registrazione
http://www.greenfogstudio.com
3 CMPST #6[01.2008]
Cronache Vere
“In genere non avevamo la
minima idea di cosa cazzo
fare, e così ogni settimana ci
mettevamo in saletta prove e
inventavamo un gruppo nuovo“
Supersonic Refrigerecords / Watergate Ind.
Intervista con Andrea Carraro
di Matteo Marsano
CARRARONEISMYCOPILOT
Andrea Carraro e la musica a Genova, ma non solo di Genova, a cavallo tra i primi anni novanta e gli albori del nuovo millennio. L’immediatezza del punk più melodico e festaiolo, l’amore per le classiche
vibrazioni del rock, i suoi articoli per il Rolling Stone Italia. L’esistenza di
una continuità, per quanto fortuita (ma sono anche le casualità a fare
la storia, no?), tra chi animava le serate di 10 e più anni fa e quelli che
lo fanno adesso. Le righe stampate qui sotto hanno il merito -qualcuno mi ha detto- di gettare una luce sugli anni bui della musica a Genova. Se anche voi come me ne eravate in parte all’oscuro continuate
a leggere. Perché spegnendo il registratore ho avuto la sensazione
che il mio colpo d’occhio sugli anni e i sui concerti della mia adolescenza ne uscisse arricchito; e ci auguriamo che attraverso le parole
e le rimembranze di Carraro Senior anche voi possiate fare lo stesso.
Per cominciare una piccola presentazione
a beneficio dei lettori. Ammetto che prima di
essere incaricato di quest’intervista non sapevo neppure chi fossi (è grave?), ma d’altronde
CMPST serve anche a noi che lo scriviamo e
che abbiamo qualche anno di meno. Matteo, nel metterti in lista tra i possibili per questo
numero, ti ha presentato come ‘collaboratore
di Rolling Stone Italia’. Gironzolando la rete
in cerca di info mi sono poi imbattuto nel tuo
website e nel tuo blog, ma al di là degli articoli
e di tutto il resto ciò che mi ha colpito di più è
stata la tua biografia. Nella quale si legge della BlackBird Productions, e di come abbia
4 CMPST #6[01.2008]
‘rivoluzionato la movida genovese’ a partire
dal 1992. Io all’epoca avevo 10 anni, eppure
pochi mesi dopo avrei comprato la mia prima
copia del Metal Shock della gestione Pascoletti. Troppo piccolo per andare ai concerti,
dunque, ma abbastanza grande per interessarmi di quella musica che faceva inorridire
la mia catechista al giovedì pomeriggio. Ti va
di parlare un po’ di quel periodo, dei concerti
che hai organizzato, dei locali, della scena e
delle persone? E perché il giovedì era un giorno buono per uscire, a Genova, come del resto sembra essere rimasto ancora oggi, a più
di dieci anni di distanza? E la BlackBird che
fine ha fatto, dopo la tua defezione?
Nel 1992 a Genova c’era una scena molto
più attiva di quella che c’è oggi. Questa è
l’impressione che ne ho, pur non frequentando più come in passato i club. Di certo forme
come quella dei concerti in casa, di cui ho
sentito parlare da Federico Tixi e dallo stesso
Matteo Casari, al tempo non erano contemplate. La scena era ugualmente molto bella,
con un sacco di gruppi validi come il Circo
della Fame, gli Eczema (il cui tizio adesso cura
il festival di poesia a Genova), c’erano anche
i tizi di Ondestorte, che avevano un altro gruppo… Era molto più divertente, e a mio parere c’era anche un ambiente molto più sano.
All’epoca eravamo io e altri quattro ragazzi:
Max Tedde, che adesso fa installazioni, Fabrizio Soletta, Enrico Penello che fa il desinger
per la Speedo e Checco Novella. C’eravamo conosciuti alle superiori: loro bazzicavano
intorno a vari gruppi, tra i quali i Funky Tranky
della loro scuola - il Paul Klee - gruppo dove
suonava Luca Pagnotta, adesso dei Marti; io
invece ero al King e suonavo con i Power Trip:
suonavamo in locali come il Quaalude, il Lucrezia, il Coccodrillo… Così, conoscendoci,
abbiamo deciso - nell’estate del 92, l’anno
della Festa nazionale dell’Unità a Genova - di
organizzare concerti. O meglio: decidemmo
che avremmo voluto farlo. Io sono poi andato
in America, dove ho visto come si muovevano
i ragazzi per la promozione della musica dal
vivo ad Hollywood: vere e proprie ‘battaglie
dei manifestini’, con gente che appiccicava
il proprio flyer sopra a quello di un altro, e che
Cronache Vere
quasi si menava in strada per questo – cose
che in seguito avrei visto anche a Genova durante gli anni successivi. I ragazzi di cui ti dicevo lavoravano per il service di impianti audio
di Walter Vasapollo, che doveva riscattare un
credito da Gimigniani, padrone dell’Agua
e del Makò, e così, sentendo che volevamo
organizzare concerti, lui ci ingaggiò tutti e cinque per gestire una serata all’Agua di Nervi
con la quale avrebbe recuperato il suo credito. Il discorso del giovedì sera nasce nel momento in cui siamo andati a prendere accordi
con Gimignani per avere la serata: noi avevamo chiesto il sabato, lui ci dette il giovedì.
Ricordo che lì per lì ci siamo un po’ cagati addosso, poi ci siamo detti: bene, arrangiamoci
con quello che abbiamo. Iniziammo perciò a
fare volantinaggio ‘pesante’, ed ingaggiammo Bob ‘Doc’ Quadrelli, Mister Puma e il Circo
della Fame, che allora era il gruppo più grosso che c’era a Genova, sia come qualità che
come interesse del pubblico. La prima serata
registrò 1.200 paganti. E da lì siamo andati
avanti. Abbastanza celebre divenne il nostro
slogan, nato a casa mia, dei ‘cinque sacchi
per entrare’: pur non essendoci nulla di realmente ‘politico’ dietro, il prezzo era un tentativo di avvicinare il costo d’ingresso dei nostri
live a quello dei centri sociali che frequentavamo allora, cioè l’Officina e il Lothlorien. Una
cosa curiosa è il timbro che usavamo per i ragazzi che uscivano dal locale: non avendone
uno, usammo un timbro commerciale con la
scritta ‘non trasferibile’. La sociologa genovese
Maria Teresa Torti, compianta autrice del libro
‘L’Officina dei Sogni’ sulla scena di Genova di
quegli anni, in seguito m’intervistò chiedendomi se quel timbro avesse un significato più
profondo – per come la leggeva lei, la scritta
‘non trasferibile’ avrebbe rappresentato una
nostra visione del pubblico, inteso non come
un mero oggetto o una merce anonima, bensì come parte integrante, unica ed irripetibile
dello spettacolo. Ovviamente le risposi di no:
era semplicemente il primo timbro che avevamo trovato per strada, senza alcun significato
‘occulto’ od ‘esoterico’ dietro. Io sono poi stato espulso dalla Blackbird nel settembre ’93,
dopo che avevamo lavorato anche al Nessundorma e alla Polveriera, per gravi problemi
interpersonali tra di noi: passammo un’estate
intera a litigare di brutto. Gli altri hanno continuato per un anno o due, e poi smesso per varie ragioni: professione, trasferimenti fuori Genova ecc. Un’altra cosa che ha influito è che,
quando i miei ex-soci hanno iniziato a perdere
colpi, Rufus, il proprietario del Nessundorma,
ha affiancato loro Paolo Ficai, che veniva dal
mondo delle discoteche e che è ancora, a
mio giudizio, il più grosso promoter di date in
clubs a Genova. E che in breve tempo li ha
soppiantati, grazie alla sua professionalità nel
campo.
Ok: dopo la Blackbird apri la Watergate
Ind., che, a tua detta, ti apre le porte dell’industria discografica statunitense. L’anno prima
negli U.S.A. eri già stato, esperienza che immagino sia stata parecchio formativa; in quelli
seguenti raccoglierai i frutti facendo da agente europeo, tra gli altri, per i Queers, e più là in
qualità di persona di riferimento per Lookout!
Records. Intanto avevi già aperto i battenti
della tua Supersonic RefrigeRecords, che
dal 1995 ad oggi ha pubblicato svariati singoli
e split in formato 7’’ di gruppi punk rock italiani,
statunitensi e canadesi. Ti va di parlare un po’
delle tue esperienze con la Watergate e con
la tua label?
La Watergate nasce come uno scherzo.
Quando sono stato fatto fuori dalla Blackbird
avevo un forte senso di rivalsa nei confronti
dei miei soci e, dato che loro erano orientati
prevalentemente sul reggae, ragamuffin e
ska, mentre io sono per natura più rockettaro
e punk, formai con mio fratello ed alcuni amici e compagni di scuola molto impallati con il
garage due gruppi beat, i Crockers (nei quali
militava Matteo Bocci) e i Meanbyrds, dove
suonavamo io, mio fratello Sandro e Marcello
Pastonesi – che adesso lavora come direttore
di produzione a TRL. Chiamavamo vari gruppi
garage ad esibirsi a Genova, organizzando
serate concomitanti a quelle della Blackbird,
ancora una volta all’Agua, nei giorni che il
locale dedicava al surf. Non sapendo come
chiamare la cosa, ed avendo tutti un senso
dell’umorismo abbastanza perverso e cinico,
optammo per ‘Watergate’: Il logo era Nixon
con la bandiera statunitense dietro. Non ave-
vamo contratto fisso con il locale, e andavamo avanti pian piano, con un paio di serate al
mese. Poi il Senhor do Bonfim ci chiese di lavorare con loro, dandoci un’altra volta il giovedì
sera. In genere non avevamo la minima idea
di cosa cazzo fare, e così ogni settimana ci
mettevamo in saletta prove e inventavamo un
gruppo nuovo – le persone erano sempre le
stesse, ma di volta in volta diventavano ‘Gli Immorali’ o chissà quale altro gruppo, decidendo via via un diverso repertorio e tutto il resto.
Una volta, con Annalisa dei Ramoni, formammo ‘Gli Iguanas’, ispirati appunto agli Stooges.
Ricordo che suonammo di supporto ai Sybil,
gruppo in cui suonava mio fratello, all’epoca
forte di un disco molto ben recensito anche
sul Mucchio Selvaggio, che veniva presentato
in quell’occasione. Salimmo sul palco: io vestito da nazista, con elmetto e frusta, alla Ron
Ashton, e Matteo Bocci a torso nudo e capelli
stirati stile Iggy Pop, riuscendo nell’impresa di
svuotare il Bonfim in 15 secondi netti. Avevamo
un approccio sicuramente molto punk (risate). E in quelle serate facevamo la cosiddetta
‘discomerda’, che era poi Silvia Barisione, ora
una delle curatrici della collezione Wolfson a
Genova, al tempo uno dei precursori al femminile della riscoperta della moda dei Sixties e
della grafica pop - al giorno d’oggi ormai trita
e ritrita, vedi Victoria su MTV- cosa che all’epoca non faceva veramente nessuno, almeno
a Genova. Era un pacchetto piuttosto anomalo per la città, ed infatti non riscosse molto
successo. Nei manifesti poi sfruttavamo tutta
l’iconografia del caso: dagli smiles alle grafiche naziste, a trovate veramente sessiste o a
qualsiasi altra cosa avesse a che fare con la
cultura pop degli anni 60. Il tutto ovviamente
a nostro rischio e pericolo. La svolta punk che
ha poi portato a Supersonic RefrigeRecords
nasce essenzialmente da due cose: da me
che avevo cominciato a lavorare, e da mio
fratello che aveva fondato i Beat-Offs, gruppo pop-punk della ‘nuova scena’ genovese
(parliamo del ‘94-’95). Al mio primo stipendio
producemmo uno split dei Deh Pills e The Chromosomes di Livorno, che andò piuttosto bene,
con una tiratura di mille copie. Da questo siamo entrati in contatto con la Lookout! Records, e facemmo per la prima volta a Genova
i Pansy Division, gruppo gay di S.Francisco:
concerto allo Zapata per il quale rischiammo
5 CMPST #6[01.2008]
Cronache Vere
“Ciò che manca sono appunto gli spazi per suonare e, di riflesso, la possibilità per i nuovi
gruppi di farsi un po’ le ossa.“
quasi il linciaggio, con gente di Forza Nuova
che ci cercava, anche per via dei manifesti
piuttosto ‘forti’ che avevamo fatto. Dopo i 400
paganti del lunedì sera con i Mr. T Experience al Nessundorma, Rufus ci diede l’ok per
andare avanti, fino ai Queers nell’ottobre del
’97, un successo allucinante (prima data del
tour in Italia, realizzata in collaborazione con
Ficai, tutto esaurito) che fece sì che io e Joe
King diventassimo molto amici. E da cosa nasce cosa: i gruppi americani hanno iniziato ad
incidere per noi, anche perché avevamo un
approccio diverso, da collezionista, con vinili colorati e copertine patinate, scelte che le
bands apprezzavano molto.
Come convivono e hanno convissuto la tua
anima punk e quella più classicamente rock
che si legge tra le righe per i tuoi articoli nel
Rolling Stone? E a proposito di questa storicissima testata, vera e propria icona culturale
(di cui ammetto di non aver letto nemmeno un
numero in vita mia): come sei diventato writer free-lance? La seguivi e/o ne apprezzavi
la linea anche prima? Che ne pensi di ‘Fear
And Loathing in Las Vegas’? Ti chiedo poi un
piccolo commento/interpretazione di questa
strofa di Lou Barlow in ‘Just Gimme Indie Rock’
dei Sebadoh: “Rock and roll genius / Ride the
middle of the road / Milk that sound / Blow your
load / Shoot it further than you ever said it go /
Four stars in the Rolling Stone”.
Diciamo che io ho sempre ascoltato un po’
di tutto. Quando ho iniziato a comprare dischi
a 13-14 anni, nell’86, ho iniziato, sarò sincero,
con l’heavy metal. Van Halen, ad esempio,
ma sopratutto Iron Maiden. Che sono stati il
mio gruppo preferito per anni, e del quale avevo una collezione sterminata -qualcosa come
400 dischi- venduta tutta l’indomani dell’uscita di “No Prayer For The Dying”. Il bello è che
quella collezione è adesso su un libro per collezionisti a cura di un giornalista italiano, per6 CMPST #6[01.2008]
ché era veramente completissima. Io ho avuto la fortuna di cominciare a skateare nell’86:
eravamo una decina a Genova. La roba che
si ascoltava non era quella che ascoltavo io
a casa. Ho scoperto i Suicidal Tendencies,
l’hip-hop, i Beastie Boys, gli Agent Orange…
La mia formazione si deve a tutte quelle forme musica ‘alternativa’ dell’epoca, incluso
l’heavy metal, che nell’86 era effettivamente
“alternativo”, piaccia o meno, al pari dell’hiphop. Ho sempre avuto perciò un approccio
”misto”. A me personalmente il rock classico
americano piace non solo per la musica ma
anche per tutta ciò che rappresenta, cioè
una certa cultura americana legata alla birra,
al baseball ecc. Per quanto riguarda Rolling
Stone, sono stato abbonato fin da quando
avevo 14 anni: ho imparato l’inglese leggendo un sacco. L’occasione di scrivere per loro
si è presentata nel 97 quando Carlo Antonelli,
adesso direttore di Rolling Stone Italia, e Fabio
De Luca, di Genova, che lavorava come writer per la testata ed è anche un dj piuttosto
famoso, mi fecero un’intervista per il libro “Fuori
Tutti” uscito per la Einaudi, che era dedicato
a quei ragazzi che nella loro stanza avevano
creato qualcosa di artistico. Ci siamo tenuti in
contatto finché un giorno, dall’ufficio, leggo
rockol.it che titola: “Carlo Antonelli designato
a direttore di Rolling Stone Italia”. Dopo giorni di telefonate e attraverso una riga di amici
miei che conoscevano personalmente Carlo,
ricevo una sua telefonata del tipo: “Carraro,
ma che cazzo vuoi? C’è mezza Milano che
dice che mi cerchi e che vuoi scrivere” (risate).
All’epoca io avevo scritto solo per una fanzine olandese. Buttai giù cinque idee come mi
aveva chiesto e ci incontrammo da Mangini
(pagai io) per discuterne. Appresi da Antonelli che delle cinque, quattro idee facevano
cagare ed una andava bene (risate), e fu da
quella che nacque l’articolo sull’hair metal,
pubblicato alla prima. E così andai avanti.
Adesso è un po’ che non scrivo per loro, un po’
per le mie vicende personali e un po’ perché
hanno cambiato capo redattore e di conseguenza linea editoriale: c’è meno rock adesso nel Rolling Stone. Su Hunter S. Thompson
c’è da dire che è stata una vera illuminazione
quando l’ho scoperto, perché lo conoscevo
da tantissimo e non sapevo che fosse lui. Io
sempre letto Doonesbury da piccolo, dove il
personagio di Uncle Duke è ispirato a lui. Io forse sono stato più influenzato da Andrew Loog
Oldham, il manager degli Stones, per come
scriveva i comunicati stampa; poi però, leggendo Thompson, ho trovato in lui il riferimento
perfetto. Thompson è figo per vari motivi: è un
americano del Sud, e perciò ha un approccio
piuttosto immorale al giornalismo – sul Rolling
Stone non ha scritto tanto di musica quanto
di cultura americana: i teenagers, la droga, il
Kentucky derby- e forse ha avuto un approccio alla vita, anche, molto più rock di tanti altri.
Venendo alla strofa di Lou Barlow, sebbene il
Rolling Stone americano sia stato per anni veicolo di un certo giornalismo illluminato, il tipo
di rock cui si fa riferimento in quella canzone
purtroppo non esiste più: Alice Cooper, Aerosmith, G’N’R, quell’approccio fiero, ingenuo
e senza compromessi. C’è qualcuno – come
Pierpaolo dei Lo-Fi Sucks - che per sfottermi
mi fa notare quanto la mia visione del rock
si avvicini ad una scena tipo “sere d’estate,
stereo, frullati alla vaniglia e pompini”, perché
ho un’idea gioiosa, libera e giovanilistica di
questa musica, lontana dalla tendenza alla
depressione di molto rock dei giorni nostri.
Parliamo degli Stati Uniti. Ho il letto il tuo l’articolo apparso sul Foglio di Giuliano Ferrara,
forse il più antipatico, insieme a Feltri, fra i sostenitori ad oltranza del modello americano.
Scrivi su una rivista storicamente liberal come il
Rolling Stone – ai suoi albori addirittura vicina
al movimento hippie. Tuttavia, in Italia e in altre
parti d’Europa, l’americanismo ha trovato radici nella destra conservatrice – per ovvie ragioni ideologiche, tra l’altro, visto che se parliamo
di americanismo dobbiamo parlare anche di
capitalismo. A mio parere, a fronte di numerose caratteristiche positive nella cultura civica,
quello statunitense mi pare un modello eccessivamente fagocitante, sia per chi decide di
risiedervi sia per chi vive da altre parti ma è
continuamente esposto a dei ‘residui’ culturali
che sanno, nella peggiore ipotesi, di colonialismo dei cervelli. Per non parlare del consumismo e degli angoli più oscuri dell’amercan
way of life. Che ne pensi? Avevi molti stereotipi
che ti sono stati disconfermati durante il tuo
Cronache Vere
soggiorno là? E gli shock culturali, se mi passi
il termine, sono stati tutti positivi o anche negativi?
E’ importante dire che la mia è una famiglia
che si è persa tutti gli anni del dopoguerra,
avendo vissuto in Africa dagli inizi del 20° secolo fino agli anni ’70 nel Congo Belga, che
era un paese di influenza americana durante
la guerra fredda. In casa mia non si è mai respirata perciò una cultura italiana, ma americana: mio nonno guidava una Oldsmobile,
suo fratello una Ford Thunderbid, mia madre
ascoltava rock’n’roll, in casa lo sport era il baseball e non il calcio e così via. Perciò fin da
piccolo non mi sono mai rapportato tanto
con l’Italia a livello di riferimenti culturali, pur
essendo nato qui e sentendomi completamente italiano. E’ ovvio che per buona parte
della mia adolescenza, giocando a baseball,
andando in skate ed ascoltando solo musica
americana, ho avuto un po’ il mito dell’America: non quello dell’Harley Davidson che ha
Ligabue, per dire (risate), ma piuttosto di quell’America che si vedeva anche al cinema,
quella di Rocky, dei Ramones, dei Guerrieri
della Notte, dei Beastie Boys, di Run DMC, di
Los Angeles. Compiuti 18 anni sono andato più
volte in America, e per quanto fossi imbevuto
di cultura americana – come sono tuttora, e
avendone anzi approfondito alcuni aspetti
che da ragazzino si fa fatica a comprendere
- mi sono reso conto che non avrei mai potuto
e mai potrei essere americano, mio malgrado.
Perché il loro sistema ha delle caratteristiche e
delle peculiarità del tutto diverse dal nostro: è
un sistema spietato, prima di tutto. Spietato ma
giusto. Per chi legge, due libri importanti che
ho letto quest’anno: la biografia di Rockfeller,
e una storia del Sud degli Stati Uniti. C’è da
dire che è insita nel DNA dell’americano medio una tendenza forte alla meritocrazia e la
volontà di essere utile ad una causa comune
– cose positive che in Italia suonano inaudite.
La mentalità americana premia innanzitutto
l’intraprendenza e la volontà di fare. Sull’altro
lato della bilancia, l’America è forse l’unica
nazione che, estremizzando il concetto tratto
dal puritanesimo per cui “se lavori vai in paradiso”, si fonda su un vero apparato teocratico:
l’unica insieme all’Iran, forse. “Dio è con noi”,
l’ideale americano si fonda proprio su que-
sta presunzione di rettitudine e conseguente
pretesa di redenzione del mondo intero. Sugli
shock culturali: io non sono rimasto particolarmente scioccato dagli USA, in parte perché
era un concetto che la mia famiglia aveva
già subito e metabolizzato, se pensi che mio
nonno, andando in Africa, ha dovuto pagare
una cauzione per entrare e dichiarare di non
essere mai stato iscritto al partito comunista.
Trovo che l’America per certi versi sia spietata,
ma che sia necessario approfondirne la conoscenza, rifuggendo certi stereotipi imperanti
su di essa. Pensa che gli stessi componenti
dei Queers affermano di essere orgogliosi di
essere americani, pur non condividendo le
scelte politiche dell’attuale amministrazione;
e quando chiesi agli MC5 perché nei live mettessero una bandiera americana sugli strumenti addirittura mi risposero: perché siamo
dei patrioti e vogliamo cambiare in meglio il
sistema americano!
Torniamo invece alla città di Cristoforo Colombo. Come vedi – se continui ad interessartene - la Genova musicale ‘sotterranea’ degli
ultimi anni? Genova può davvero stare al passo con altre città italiane da questo punto di
vista? Il problema degli spazi per suonare è la
prima cosa che mi viene in mente, seguito da
quello del pubblico, spesso vittima di un apatia mugugnona ma restio a partecipazione e
propositività. A tuo parere vale la pena inseguire una folla di fun-seekers più o meno acritici o conviene accontentarsi di guadagnare
un paio di persona al mese ma realmente interessate?
Non so cosa giri ora in città a livello di gruppi, ma ti posso dire questo: io ho smesso di
organizzare concerti il 12 febbraio 2001. Ero in
tour con i Queers in America e sono tornato
da Nashville a Genova per un concerto degli
Smugglers che avevo organizzato al Fitzcarraldo, gruppo che aveva fatto 1.000 paganti
la prima volta che era passato di qui. Quella
sera lì mi sono attraversato mezzo mondo per
venire, e al concerto c’erano 40 persone. E
quella sera ho veramente detto “vaffanculo”.
Sempre le solite facce, gente che stava fuori
con le mani conserte a fare il figo, scene che
mi aspetto di vedere –e ho visto- al CBGB’s di
Andrea - Foto di Anna Positano
NY, non a Genova dove ci sarebbe da baciare per terra se c’è qualcuno che sacrifica il suo
tempo per darti qualcosa da fare, da vedere
e da gustare. Ciò che manca sono appunto
gli spazi per suonare e, di riflesso, la possibilità
per i nuovi gruppi di farsi un po’ le ossa. D’altra parte capisco anche quelli che non se la
sentono di imbarcarsi nella gestione di un locale, vista la difficoltà e la poca ricettività del
pubblico.
Sempre a proposito di Genova e genovesità: Andrea Carraro è anche Dria Ramone,
voce dei riformati Ramoni, storica tribute band
del gruppo newyorkese in dialetto ligure. La
scelta di cantare in zeneize è, per un gruppo,
generalmente legata all’effetto goliardico e
7 CMPST #6[01.2008]
Cronache Vere
comico che questa garantisce. Personalmente, e pur non essendo poi così un cultore del
dialetto, sono incline a riconoscere un valore
culturale superiore al genovese di quanto non
si faccia in genere – penso al brutto esempio
dei miei concittadini Buio Pesto, il cui genovese è ridotto a mero viatico di scurrilità altrimenti
irripetibili. Prima di parlarci un po’ dei Ramoni, chiamiamoli così, 2.0 ti va di stemperare
questa mia catastrofica (e provocatoria) antiutopia: e se in un futuro più o meno remoto il
destino dell’italiano risultasse essere lo stesso
del genovese ai nostri giorni, quest’ultimo storicamente soppiantanto dalla lingua di Dante
e il primo, magari, dall’inglese?
Io sono sicuramente uno che parla molto, a
cui piace proprio ‘la parola’. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia in cui si parlava
italiano, francese e swahili, che è un dialetto
africano, e questo mi ha aiutato ad imparare
bene l’inglese, lingua che a me piace molto e
che trovo più calzante dell’italiano per molte
cose che mi interessano. Ovviamente l’italiano, se parlato bene, è una lingua bellissima
– m’infastidisce ad esempio il vizio genovese
di usare la preposizione ‘gli’ anche quando si
parla di una donna. Quindi sta anche un po’
a noi italiani avere la giusta padronanza della
lingua. Come pure mi incazzo quando sento
parlare male il dialetto genovese, pur non essendo certo il sottoscritto un’autorità in materia. Non vedo un pericolo dell’inglese che soppianti l’italiano in primo luogo perché la gente
in Italia l’inglese lo parla davvero male. Inglese che rimane una lingua molto immediata,
che ti permette l’espressione di certi concetti
in maniere impossibili da rendere nella nostra:
pensa alle prime canzoni che più o meno tutti
hanno scritto da pivelli, e alle facilità di scriverne i testi in inglese. Per il discorso sui Ramoni,
devo dire che non sono io il padre dell’idea,
che fu di Annalisa, Franco Zaio e Marco Menduni - responsabile della cronaca nera del Secolo XIX - perché io e mio fratello siamo entrati
più tardi. I primi Ramoni avevano alcuni testi
in genovese, ma spesso cantavano in italiano
e si rifacevano soprattutto ai primi due dischi:
io e Sandro abbiamo introdotto pezzi da altri
albums, come “Bonzo goes to Beatburg” o “I
8 CMPST #6[01.2008]
believe in miracles” – pezzi che avevano liriche più evolute già nella versione dei Ramones, e che perciò si prestavano meglio ad una
rivisitazione testuale. Io ero ispirato da certe
svolte nella mia vita privata, e provai a scrivere
testi che fossero sì buffi, ma che affrontassero anche argomenti seri, e che conservassero quel sano cinismo che contraddistingue
il nostro humour dialettale. I Buio Pesto sono
dei megalomani, se devo dirlo: è un gruppo
che fa della goliardia da quattro soldi e che
approccia la notizia in maniera sensazionalistica (vedi anche il pessimo film sugli Alieni in
liguria), e che ha anche un approccio malsano alla genovesità. Mi fanno un po’ pena. Se
penso che loro sono la massima espressione
culturale esportata da Genova negli ultimi 10
anni, beh, mi vengono i brividi.
Ho aperto alludendo al tuo sito e al tuo blog.
Qui a CMPST la domanda classica rimane la
polemica contro il cosiddetto Web 2.0, vale ad
dire la crescente popolarità dei social network
e dei siti contenitore come YouTube, che tendono ad accentrare in maniera massiva la fruizione del web. Memore del tuo interesse per il
web design di cui ho letto ancora una volta sul
tuo sito, ti voglio chiedere: come si figura una
persona di dieci anni più grande di me questa presunta nuova rivoluzione telematica? Se
internet era già quasi indispensabile alla fine
degli anni ’90 (sbaglio?), come pensi che la
sua diffusione ancora più spinta impatterà nel
futuro prossimo il modo di promovere e di fare
la musica? Si parla già di una tecnologia in
grado di emulare perfettamente un browser
da pc sui cellulari in programma per la seconda metà del 2008, con cui magari andare a
rovistare, paradossalmente, in un myspacetributo ad un gruppo degli anni ’70…
Da buon fanatico della Apple inizio dicendoti che il browser esiste già: sull’iPhone è
possibile utilizzare Safari, il browser che si trova
sui Machintosh. Detto questo devo però ammettere di non essermi accorto subito di questo nuovo approccio alla musica e ai gruppi.
Quando esordì MySpace, lo considerai come
un mezzo per ritrovare amici che avevo per-
“Io
sono
sicuramente
uno
che parla molto, a cui piace
proprio
‘la
parola’.“
so e che non vedevo da tempo. A me questo metodo non piace: il fatto che la musica
delle band sia disponibile su internet porta
a sclerotizzare il problema di cui parlavamo
prima, quello della fruizione dei concerti. Un
tempo per sentire un gruppo dovevi andarlo
a sentire suonare. Myspace è in fondo un po’
come MTV negli anni ‘80: adesso un gruppo lo
ascolti lì, scarichi quei pezzi dalla rete, magari
il gruppo diventa famoso ma non ha i mezzi.
Quando abbiamo iniziato a produrre dischi
non c’era nemmeno internet. Io l’ho usato
per la prima volta nell’87-88, perché alcuni
punk con cui giravamo erano già collegati al
mondo ‘cyber’; ma all’epoca era ovviamente molto diverso e più sotterraneo (c’erano
ancora i nodi e cose così). Il WWW l’ho usato
per la prima volta a Londra nel ’95 e in Italia
nel ’97. Una vera manna dal cielo. Potevamo
produrre dischi in un attimo, con le grafiche
che ci arrivavano da Sacramento come attachment invece di aspettare una settimana di
poste. Io sono un convinto sostenitore di internet, nel senso che è un mezzo di un’utilità estesissima, è sbagliato semmai limitare il campo
solo a quello. Il fatto di vedere, ultimamente,
concerti sponsorizzati da MySpace e gruppi
senza la minima esperienza dal vivo che diventano popolari grazie a produzioni da studio pubblicate in rete è illuminante in questo
senso. E’ perciò facile che i concerti si rivelino
fiaschi totali: io sono andato a vedere i Kaiser
Chief 2 anni fa, ed hanno suonato davvero di
merda, senza essere minimamente in grado
di tenere il palco. Anche questo è importante.
La musica rock deve avere una certa dose di
showmanship dal vivo, secondo me. Quando
la discrepanza tra produzione casalinga o
da studio e performance live è così ampia, è
davvero un disastro. Ed è una situazione che
vedo comunemente nella musica di oggi.
Spero ovviamente di essere contraddetto da
qualcuno.
Segui Andrea sul suo blog
http://andreacarraro.blogspot.com
http://www.myspace.com/dunhill_ge
Import
“Un mio amico piuttosto marcio dice che Genova è la droga
più forte che abbia mai provato:
comincio a capire il suo punto.“
Tristan
Intervista con Tristan
di Matteo Casari
NON FARE IL TRISTAN!
Presentarlo è una cosa che mi fa già ridere in partenza. Pensare di
dover introdurre a qualcuno quella specie di relitto ambulante colorato e chiassoso, impellicciato e stivalettato, figlio degli anni 70, mi fa
specie. Eppure pare che non tutti abbiano ancora avuto a sentire i suoi
sproloqui e molti non riescono più ad apprezzare le sue comparsate,
diradate negli ultimi anni. Ecco una buona occasione per seguirlo.
La storia degli ultimi 10/15 anni dell’underground a Genova si è confrontata spesso con un personaggio così genovese da
non esserlo. Tristan, parlaci di te: cosa facevi a Torino, cosa ti ha portato qui, cosa ti
ha trattenuto.
Bè, a torino facevo il giovane: mi sono
trasferito a genova a 23 anni, quindi prima
ho fatto tutte le cose che puoi aspettarti da
un giovanetristan; forse la cosa che mi ha
formato di più è stata l’esperienza di Radio
Blackout, la radio delle case occupate di torino, una cosa tipo microfono senza filtro. Leggevamo i necrologi dalla stampa del giorno
con sotto “Don’t worry be happy”, roba del
genere. Che poi se vai a vedere quelli pagavano per mettere il necrologio sul giornale e
noi gli rendevamo solo un servizio analogo,
per di più agratis. E con una base musicale,
che in radio ci può stare. Una volta ci ha telefonato un tipo incazzatissimo che voleva
ucciderci ed è ovviamente finito in diretta,
ma in diretta ci finivano sopratutto quelli che
si riunivano per ascoltare il programma, che
infatti a un certo punto era fatto da una sorta
di comunità telefonica. Siamo andati avanti
così per anni, completamente a vanvera, e
intanto ci improvvisavamo tutti digei nelle serate per sostenerne, della radio, i costi. Un tre
o quattro anni di estatedellamore torinese,
feste epiche con maratone digeistiche da
dodici ore, i primi rave illegali nei capannoni. A capodanno il rave della radio era ed
è un’istituzione a torino. Noi mescolavamo
i nostri dischi del cuore con quel che costa
meno alle bancarelle, dunque trash, ma anche tanta wave e vecchio rock. A Genova
ci sono venuto nei uichend in quegli stessi
anni (93-95), mi ero innamorato di una di qui,
e piano piano il virus dei caruggi mi dev’essere entrato. Mi piace questo centro storico
ad esempio perchè sono nato nella città a
misura d’automobile ma non ho la patente.
Perchè sono nato in una città basata su ortogonale romana pianta, e mi son perso negli
squarci escheriani di questo medioevo. E ho
scoperto che il vicolo può essere anche un
po’ ragnatela, quindi forse ora la sfida sta diventando fuggire da Genova. Un mio amico
piuttosto marcio dice che Genova è la droga più forte che abbia mai provato: comincio a capire il suo punto.
Partiamo da te, per poi spostarci a parlare del resto della città. Cosa sei? Dj? Musicista? Attore?
Ho fatto quelle tre cose, però quando
mamma mi chiedeva cosafaraidagrande
io rispondevo: “il tristan”, per cui non sono
l’attore che può interpretare la vecchina e il
dinosauro, so fare solo il tristan, e quando mi
viene bene funziona, su un palco. Quando
sono venuto a vivere a Genova ho dovuto
fare dei soldi, così mi è sembrato naturale
cercare di mettere dei dischi. E quell’anno
i giovedì del Quaalude (o come cazzo si
scrive)chi c’era se li ricorda. Ma tutta ‘sta storia del digei è decisamente sopravvalutata:
se hai un po’ di dischi, li conosci e sai contare fino a quattro sei un digei. Ah, anche la
9 CMPST #6[01.2008]
Import
faccia come il culo aiuta. Ho spiegato come
si accende un mixer a gente che due ore
dopo ha incendiato la pista, quindi direi che
digei tristan si può tradurre in tristan che cerca di fare soldi facili senza sbattersi troppo.
Sono un pigro, questo è certo, ma mettere
dischi è più semplice che essere un pianista
di alto livello, e soddisfa ugualmente il mio bisogno di palco. Perchè, questo è certo, sono
un egocentrico esibizionista.
Ricordiamo la comparsata a Capodanno
04/05 al Banano Tsunami dove hai irriso tutti
i dj e artisti ivi raccolti con più di mezzora
di genio assoluto nel bastard pop. Classe
tanto cristallina da far pensare che l’avessi
inventato tu il trucco di mixare dischi di generi tanto diversi da esaltare il cerebrale segaiolo collezionista tanto quanto il genuino
passante casuale. Lì ho veramente pensato
tu avessi tutte le potenzialità per salvarci.
Eh, anch’io pensavo di salvarvi, sono venuto a vivere qui con uno spirito molto positivo,
mi dicevo: anche Torino negli anni Ottanta
era eroina e bar chiusi all’ora di cena, poi
la città si è mossa, succederà anche qui.
Lo penso ancora, ma sto ancora aspettando... Pensa allo Tsunami che chiude d’in-
Tristan - foto di Anna Positano
10 CMPST #6[01.2008]
verno perchè “la gente quando fa freddo
non esce dai vicoli”: poi vedi foto di dehors
pieni di notte d’inverno in Svezia e pensi che
forse qui c’è davvero qualcosa che non va.
Quando abitavo insieme a Tommi (Calomito, Aparecidos, Stoni) e Fede (Vic Larsen,
dj Kata)abbiamo passato un anno molto
propositivo, avevamo preso in gestione gli
aperitivi del Fitzcarraldo, organizzavamo feste e cene per strada (sulla falsariga della
“bellavita” degli squatters), cercavamo nel
nostro piccolo di creare un po’ di movimento
in città. Poi ci siamo scoglionati, e ognuno è
andato un po’ per la sua strada... Ecco forse
il rischio più grande è proprio che, in un ambiente generalmente ostile come Genova,
le energie, all’ennesima facciata, vadano
perdute. Perchè le energie ci sono, e infatti
non stiamo qui a domandarci perchè non
ci siano gruppi, ma perchè non c’è un posto che li faccia suonare e un pubblico che li
voglia ascoltare. Il primo anno che ero qui mi
ricordo Praux che mi dice”se ce la fai qui, poi
puoi spaccare ovunque”, vorrei aggiungere
che se però ci resti il massacro quotidiano
dell’entusiasmo può anche essere deleterio.
Portiamo a conoscenza di tutti un altro
episodio tipico. Invitato a mettere i dischi,
presente sul volantino, addirittura con un
reminder, avvertiti TUTTI i tuoi conoscenti
di instradarti verso lo spazio ove si teneva
il concerto, nel caso ti avessero incontrato
quella sera per strada. Ovviamente non ti
sei presentato. Sei solo sbadato? Sei emotivo? Bisogna legarti e portati di forza davanti
alle consolle? O riesci a farlo solo da imbucato non invitato, a rischio insomma, tipo la
coppia italiana in “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete
mai avuto il coraggio di chiedere” Woody
Allen?
“Ecco forse il rischio più grande è proprio che, in un ambiente generalmente ostile come
Genova, le energie, all’ennesima facciata, vadano perdute.“
Avevo litigato con la tipa. Avrei ammorbato la vita a tutti con comportamenti antisociali e autodistruttivi o anche solo molesti e
patetici. Poi magari ne usciva un set di dolore
straziante, francamente ne dubito. Non sono
un cardiochirurgo, nessuno è morto perchè
non ho messo i dischi quella sera: credo che
sia meglio dare buca quando non ho voglia
di suonare piuttosto che suonare quando
sarebbe meglio di no. Tutto il discorso del
professionismo si basa sulla capacità di erogare una prestazione a comando, sempre.
Io sono un romantico, se vuoi un insicuro, ma
il diritto di non fare la cosa quando non è
cosa io me lo rivendico. non c’è niente di più
drammatico del clown triste, e un digei triste
non fa ballare.
La mia teoria? il tuo ego e il tuo talento
fanno costantemente la spola tra Genova
e Torino. Quando è via uno sei posseduto
dall’altro. Poi ci sono momenti in cui sei privo di entrambi. E altri, i più rari, in cui trovi la
quadratura del cerchio. In quei momenti sei
il più grosso cazzo di fottuto genio in questo
emisfero. La dolce euchessina per un po’ di
regolarità?
Sai quelli che non hanno voglia di studiare
lo strumento e dicono che la tecnica uccide la spontaneità? È quasi sempre vero, ma
ciò non toglie che siano dei pigri bastardi
che non hanno voglia di studiare. Non so se
questa è una risposta, ma so che mi sono
fatto una ragione del fatto che a volte sento
di avere il controllo, e altre volte proprio no.
Import
“Quante volte mi hai visto in piedi su
una macchina? Bè, quella volta invece di rischiare mazzate mi hanno
pagato per farlo, che è un po’ il discorso del fare “il tristan” per lavoro. “
Questo, se vogliamo guardare il lato positivo,
mi rende ingestibile, inaffidabile, in sostanza
mi impedisce di condurre uno show su Canale 5, che è già qualcosa. Non vorrei mai
dover scoprire che era il genio di un Fiorello,
non quello di un Barrett o d’un Beefheart, il
mio!
Tra i tuoi talenti quello di musicista. Con
tuo fratello Deian ne avrai combinate tante.
Ma ultimamente il cabaret tra Rino Gaetano, Bugo e spruzzate di Classic Rock de L’Orso Glabro pare aver finalmente trovato una
sua dimensione. Evoluzioni in vista?
Amo molto le canzoni di Deian. Intorno a
loro è cresciuta questa cosa chiamata lorsoglabro, e le abbiamo chiesto di poterla
registrare. Non c’è un intento revivalistico,
sono solo canzoni, se vestirle di semplici
panni, un pianoforte, una chitarra è classic
rock, allora mi va bene, ma non mi sento di
indossare una finta barba 1973 sulla mia vera
barba 2007 quando suono con l’orso. Ora
stiamo micsando il capolavoro con Cristiano Lo Mele (Perturbazione)nel suo studio a
Collegno, poi gli troveremo una casa e se
tutto va bene per la primavera dell’anno
prossimo sarà nei negozi. Dove, è ovvio, resterà. Dal vivo stiamo ancora cercando la
quadra, vorrei ottenere più spesso una paga
dignitosa per girare con la sezione fiati... Già
vedo lo spettro della E-Street Band sul tuo volto inorridito! Poi ci sono dei pezzi che hanno
preso un’altra direzione, per cui usciranno in
una cosa separata dal disco. Niente di noi-
Tristan - foto di Anna Positano
se-avant-art-attack, per carità, ma meno
legati alla strumentazione di “Harvest”.
Altro evento memorabile. La rinascita
della città di Genova nella sua intima immagine spiattellata tra cinema, televisione
e pubblicità. Non si può definirti protagonista
di tutto questo. Ma hai avuto un ruolo che,
ancora una volta, ti riconnette a Torino. Sei
l’arringatore di folle e predicatore della pubblicità della Fiat in Piazza De Ferrari. Un ruolo
che ti si addice?
Altrochè! Che c’è di più bello dell’arringar folle? Quante volte mi hai visto in piedi
su una macchina? Bè, quella volta invece di
rischiare mazzate mi hanno pagato per farlo,
che è un po’ il discorso del fare “il tristan” per
lavoro. Però dovevano lasciarmi il vestito. Ad
un certo punto ‘sti due registi continuavano
a dirmi di far muovere la gente ma la gente
ce ne aveva anche un po’ i coglioni pieni
di fingere street riot, non ho trovato niente di
meglio che farli inveire contro il fontanone
al grido di “fontana puttana ò-ò-ò”(sull’aria
di “No Tengo Dinero”). E ora ti ricordo che
per cotanto esprit d’altissimo intelletto hai
scomodato due domande più su il termine
“genio”! Certo che un po’ di conflitto c’è sta11 CMPST #6[01.2008]
Import
to, dopo tutte quelle manifestazioni anti-fiat
anti-petrolio anti-automobile, le biciclettate
nel centro di Torino... Però poi bisogna tirare
la fine del mese, la coerenza non si mangia,
eccetera, così mi sono detto che tanto quei
soldi li avrebbero dati a qualcun altro, e me li
sono messi in tasca. Per insultare della gente
dal tetto di una macchina.
Predica bene e razzola meglio. Cosa c’è
a Genova oltre l’immagine da cartolina, firmata Renzo Piano?
La focaccia col formaggio. La finestra della stanza del mio primo amore, da cui si vede
il mare(che, si sa, per noi che stiamo in fondo
alla campagna...). Le copertine dei Joy Division a Staglieno. il Quaalude (o come cazzo
si scrive). C’è un tessuto di solidarietà antica,
da paese, che lotta per resistere alla nuova
strada all’americana. Ci sono due bar con le
puttane e i vecchi che giocano a carte che
non hanno ancora milanesizzato. Si lo so che
questa è roba da cartolina, purtroppo non
riesco a darti risposte inerenti le tematiche
compostiane: locali, investimenti, coraggio,
quello non c’è.
Hai vissuto la Torino HC e, anche se lievemente da fuori, la Renaissance in salsa
Casa Sonica che ha portato al Traffic e a
tutti i connessi e annessi (scusa l’estrema
sintesi ma This Is Genova not Torino e, soprattutto, Torino Non è La Mia Città). Vedremo mai qualcosa di simile qui? O ci siamo
già passati e ce la siamo fumata per manifesta incapacità?
Alle feste puoi fare due cose divertenti:
portarti una tipa in qualche stanza appartata, o rovinare i tentativi di un tuo amico di
fare altrettanto. Che è un po’ il gioco che si
fa da queste parti. Non ci riuscirebbe nean12 CMPST #6[01.2008]
che la stampa inglese a creare una scena,
qui. Io quello che vedo è che ora c’è meno
di quel che c’era quando sono arrivato. Allora c’era un torpido fermento, ora è lo stagno:
chi dieci anni fa, anche per scombinare le
carte, faceva cultura è diventato una delle
carte. Non mi aspetto da Ficai e Miggiano
più sorprese che da Spera. Poi, intendiamoci, Mike Bongiorno vende prosciutti perchè
sa cosa vuole la gente. Se vogliamo ostinarci
a vendere indierock non è colpa sua.
Cosa manca in città?
Qualche nuova leva che torni a rimescolare le carte nel mazzo... Mascherona,
Madeleine, bye bye, è stato bello, ma dobbiamo rassegnarci al minestrone internazional-popolare che viene spacciato per dj-set
ovunque? Una tana, un covo, oggi manca,
e un posto fisico è fondamentale per incontrarsi, contarsi, tramare... Forse il problema è
che siamo così abituati ad incontrarci sotto
qualche palco a Milano o a Torino da non
pensare neanche più che, se Paolo Conte
riempie il Carlo Felice e Vasco Marassi, allora
Devendra Banhart potrebbe riempire il Milk.
Perchè no? Secondo me perchè non c’è
la voglia di creare un pubblico nuovo, visto
che c’è già quello vecchio che, quando si
tratta di pagare, è uguale. E poi tanto già lo
so dove vuoi andare a parare, quindi ti dico:
UNA RADIO!
Una radio? Nel caso tu riuscissi a trovare
continuità, quella che depennerebbe il termine sregolatezza dal tuo curriculum, saresti in grado di affrontarne la sfida?
Mah, visto che non mi hai fatto la solita domanda sul web 2.0 ti dirò che forse i tempi
sono maturi per la radio in streaming. Senza
stare per una volta a mugugnare che non ci
Ospite degli Ex-Otago - foto di Anna Positano
sono i soldi nè le frequenze, ti rimando questa palla, vediamo chi ci può stare. Anche
se vuoi mettere una radio vera... Però si può
fare, la gente la radio dal computer effettivamente l’ascolta. Ho avuto molto a cuore la
Radio pirata del Buridda, purtroppo è durata
poco. Forse una radio sul web, purchè in diretta potrebbe essere il centro che andiamo
cercando. E, già che ci siamo, il termine sregolatezza me lo depennerà la morte, mi sa.
Però per la radio ci sono.
Come promesso, fatti una domanda, datti una risposta e poi tutti a casa.
Q: digei tristan, ma se sei tanto bravo, com’è che non hai uno straccio di serata in città?
A: perchè sono un arrogante borioso cazzone, con marcata tendenza all’alcoolismo
e al consumo d’ogni genere di altre sostanze
intossicanti.
Più info sulle attività di Tristan
ht tp ://w w w.mys pace.
com/ninodangerous
http://www.myspace.com/deiansong
Produzioni
“Secondo me la prima fonte di
scambio dovrebbero essere i musicista a te affini che magari operano nella tua stessa zona per
avere informazioni, scambi di opinione, collaborazioni e quant’altro “
Finisterre - La Maschera di Cera - Spirals rec
Intervista con Fabio Zuffanti
di Cesare Pezzoni
ESEGENOVANONFOSSEMAI
STATATANTO“PROGRESSIVA”?
Valga anche come provocazione. Però a sentire le parole di Fabio
Zuffanti la “radice prog” della nostra città sta nelle riflessioni musicali (e non nelle seghe solistiche o negli intellettualismi) che trasversalmente dagli anni 70 sono giunte ad ora. E allora se c’è tanta riflessiva qualità nelle nostre produzioni (nostre: so che è un azzardo
ma sentiamole un po’ come opera collettiva, via…) forse il progressismo musicale sta passando da qui, come prima o magari di più.
Pensaci. Il prog genovese è stato genovese per davvero, con
band che abitavano vicine e si scambiavano lezioni. Quel tessuto sociale ora si è un po’disperso, l’era della cameretta ha portato nuove sensibilità espressive ma forse ci ha un po’ isolati, mettendoci di fronte ai nostri miti musicali. Mi sono detto che forse a
mancare è proprio questo, e mi sono chiesto un sacco di cose.
Poi le ho chieste a Fabio. Dopo magari chiedetele a voi stessi…
In 5 righe la tua storia musicale
Nasco nel 1968 a Genova, a 15 anni imparo il basso e a 17 inizio a suonare cover degli
U2 con i compagni di scuola. (ri)Scopro il cosiddetto progrock e sulle ceneri dei Calce &
Compasso, gruppo blues/cantautorale che
ebbe vita dal ‘90 al ’92, forniamo i Finisterre
nel 1993. Negli anni partecipo ad una miriade di progetti che spaziano dal prog all’elettronica, dal postrock al folk, etc…Suono in Italia, Europa e continente americano, scrivo un
musical e compongo jingles per pubblicità,
colonne sonore e altre cose del genere. Nel
2006 decido di diventare solista.
Il catalogo Marsiglia, pur nella sua varietà
di stili, è un catalogo di musicisti in gran parte
più giovani di te e con un chiaro riferimento
al retroterra “indie”: musicalmente parlando,
ma anche socialmente, a livello di ritualità
collettive, simbologie, immaginario comune,
culti e ambizioni, che immagino tu condivida
solo in parte. Ti trovi a tuo agio?
Sinceramente non mi sono posto il problema. Conosco Matteo Casari da qualche
anno e condivido con lui la passione per un
certo genere di musica, chiamiamolo indie
se vuoi, che dal mio punto di vista è sempre
andato di pari passo con l’amore verso altri
generi. In più, anche se ho quasi sempre suonato prog, non ho mai avuto l’atteggiamento da musicista virtuoso (anche perché non
lo sono) e mi sono sempre sentito più a mio
agio con una mentalità, tra vorgolette, punk,
diy, indie e chi più ne ha più ne metta, dove
13 CMPST #6[01.2008]
Produzioni
che fin’ora non hanno comunicato molto.
Fabio Zuffanti
viene prima di tutto la passione e la voglia
di comunicare qualcosa e solo dopo (ma
molto dopo) la tecnica. Combatto però da
anni una sorta di battaglia con la situazione
che ha portato a creare un grande muro tra
le tendenze prog (che per me, lo spiegherò
dopo, non rappresenta il genere scontato
che molti dipingono) e quelle indie, due generi che, secondo una mia personalissima
visione delle cose, hanno molte più cose in
comune di quello che si pensa e più passa
il tempo più queste somiglianze si fanno ma14 CMPST #6[01.2008]
nifeste. Non pensando ad età, simbologie e
ritualità ho accettato quindi con gioia la proposta di Matteo quando mi ha invitato a realizzare un ep per Marsiglia, in primis perché la
musica che faccio da solo mi sembra perfetta per tale etichetta e in secondo luogo
perché sono forse il primo proggarolo ‘doc’
a passare dall’altra parte della barricata per
vedere come si sta. Ed io ci sto decisamente
bene (meglio che in certi ambienti di musicisti pipparoli) e inoltre lo trovo un gesto importante per fare avvicinare, spero , due mondi
Cosa rimane in te e nella musica di oggi
del prog?
In me rimane una passione che mi ha
spinto e che mi spinge a suonarlo senza farmi troppe seghe mentali e senza farne una
questione di ‘o stai di qua o stai di là’. E comunque devo dire che credo di avere composto e suonato sempre prog in maniera
molto particolare, sia da solo sia in compagnia degli altri musicisti con cui ho collaborato. Mi spiego: sono a conoscenza del fatto
che esistono decine di gruppi Genesis-clone
piuttosto che Yes-clone o King Crimson-clone, etc etc... Ecco, io ho sempre cercato di
non cadere in questa trappola mortale. Con
i Finisterre abbiamo realizzato quattro cd in
cui il prog in senso stretto (cioè inteso, come
si fa comunemente, come rock sinfonico) è
solo una delle tante componenti; le restanti
sono classica contemporanea, minimalismo,
elettronica, certo cantautorato, jazz, etc… In
questo senso credo che i Finisterre siano stati
uno dei primi gruppi ad operare una sintesi
molto vicina al postrock in Italia già dal 1994.
Purtroppo però essendo catalogati ‘PROG’
(etichetta che porta assai sfiga a dire il vero)
molta gente non se n’è mai accorta o non
ha nemmeno provato a dare un’ascoltata ai
nostri dischi per sentire senza paraorecchie
cosa contenevano. Negli anni, con gli altri
progetti, ho e abbiamo mischiato il prog con
il folk, con la sperimentazione, fatto un ibrido
prog-post con laZona e un sacco d’altri esperimenti. Dico questo non per tirarmela o prendere le distanze dal mio passato ma semplicemente perché non basta dire ‘fai prog’ ed
essere etichettato, per me fare prog ha sempre significato esplorare mondi diversi, a volte
antitetici. L’unico progetto con cui ho fatto e
faccio prog nudo e crudo è La Maschera Di
Cera che prende spunto da gente tipo Van
Der Graaf Generator o Biglietto Per l’Inferno.
E ho detto tutto. Poi con la mia roba da solo
Produzioni
mi rifaccio a cose elettroniche attuali ma
anche al Battiato anni ‘70, a Sorrenti, Camisasca… Insomma sono un curioso e per me
prog è molte cose molto diverse da come le
si intende di solito. Per quello che riguarda la
musica di oggi penso che il prog sia presente
spesso e volentieri tutte le volte che gli artisti
decidono di far musica esplorando e contaminando e non per far saponette da supermercato. Il fascino del prog volente o nolente
lo subisce anche chi dice di odiarlo (i Giardini
Di Mirò, belli fieri, scrivono nel retro di un loro
cd ‘This is NOT Italian prog rock!’).
Pur essendo in sé un genere volto all’eterodossia, spesso si ha uno sguardo molto ristretto verso il genere, dall’esterno; tuttavia
anche la concezione e gli stilemi si sono fatti
nel prog a volte rigidi e, appunto, ortodossi.
E’ un po’ il problema delle definizioni che se
prese in senso troppo lato smettono di funzionare (non distinguono più) e se prese in
senso stretto creano vincoli e tensioni nocive
alla creatività. In questo senso nella tua musica sembra esserci un equilibrio, dove lo hai
trovato?
Se parli delle mie cose da solista lì di prog
come lo si intende comunemente ce n’è proprio poco, ma non perché abbia deciso di
voltar faccia al genere o di sputare nel piatto
in cui ho mangiato per anni ma semplicemente perché cercavo per il mio percorso
solista un mondo tutto mio, intimo e svincolato dalla roboante situazione di gruppo e
mi sono venute fuori delle cose così, fatte in
casa, tutte suonate da me e anche un po’
strampalate.
Il prog e la tecnica sembrano due concetti
inseparabili nella testa di molte persone. D’altra parte in una tua breve Bio ti definisci “nonmusicista”. Un altro muro abbattuto?
Belin! L’equazione di prog = tecnica è secondo me una grandissima cazzata! Ci sono
stati sicuramente dei gran masturbatori di
strumenti in questo genere che a volte hanno anche prodotto delle emerite boiate ma
ci sono stati anche dei musicisti calibrati e
raffinati oppure anche personaggi quasi a
digiuno di tecnica che però hanno spaccato. Il problema è che a causa di quattro giornalistucoli di rivistucole c’è stata una campagna mediatica contro il prog che è andata
avanti per anni - e che solo ora sembra stia
lentamente terminando - per cui prog = Rick
Wakeman col mantello, Peter Gabriel col fiore in testa e Keith Emerson col coltello. Punto. Un po’ riduttivo, no? Sarebbe come dire
che tutta la scena indie americana fa schifo
perché è fatta di buffoni vestiti come Bobby
Conn. Possibile che tutta sta gente non si sia
resa conto dell’ironia che stava dietro certi
atteggiamenti? Nel prog ci sono stati fior di
gruppi e di dischi che non c’entrano nulla
con mantelli, coltelli e fiori e sarebbe ora che
qualcuno lo dicesse chiaramente. Secondo
me inoltre si è fatta una gran confusione tra il
prog e la fusion, lì si che c’erano e ci sono dischi costruiti su assoli plastificati che secondo
me poco senso hanno, a meno che tu non
sia un chitarrista che vuole fare le scianche a
chi va più veloce. Io mi definisco molto candidamente ‘non-musicista’ perché è quello
che sono, non conosco la musica, non so
leggere uno spartito e non so nulla di teoria. Ho imparato tutto da solo, suono il basso
ad orecchio e so a malapena dove stanno
le note sul manico. Strimpello la chitarra e il
piano e so metter mano in maniera appena
sufficiente a programmi e software musicali
vari. Però mi industrio più che posso e cerco
di mettere tutta la passione pur di creare la
mia musica.
Quali sono i gruppi genovesi di oggi con
cui ti senti affine? E i classici?
Ultimamente ho gradito molto Japanese
Gum e Hermitage, spero che il loro cammino
sia solo all’inizio perché hanno molto fa dire.
In particolare di questi ultimi mi piace il fatto
che citino tra i vari Mogwai, Gy!be anche i
Genesis come loro influenza. E nella loro musica il prog si sente, un prog fatto in maniera
particolare, nuova se vuoi, ma fatto senza
vergogna. Da menti fresche e senza preconcetti. In generale penso che sia un ottimo
momento per i gruppi genovesi, c’è molta
creatività e la compilation LSOA Buridda! ha
messo alla luce secondo me tante positive
realtà come non accadeva da anni. Per i
gruppi del passato genovesi, boh…ci sono i
classiconi del prog (New Trolls, Delirium...) ma
non mi hanno mai fatto impazzire, a parte
rare cose. Uno forte che ho scoperto recentemente è tal Francesco Currà, calabrese
trapiantato a Genova e operaio dell’Italsider. ‘Rapsodia meccanica’ del 1976 è una
vera figata! Prog + cantautorato militante e
schizzato + rumori di fabbrica. Chi lo trova si fa
un gran regalo. La scuola cantautorale non
mi piace molto, non sono influenzato da De
Andrè e tutti i tributi lui dedicati mi hanno alquanto frantumato.
Sembra esserci un ottimo equilibrio nelle tue composizioni che permette di evitare
slanci di nuovismo preso e messo lì, ma anche (e soprattutto) le pesanti nostalgie del
passato. Come vivi il rapporto tra classici e
novità?
Faccio un mix, mi tengo molto aggiornato
su quello che esce, sopratutto a livello indie,
elettronica, postrock, etc…Tutto quello che
ascolto e mi piace entra nel mio dna, rielaboro e organizzo le mie cose. Adoro l’azzardo.
Ho ascoltato recentemente Fovea Hex (anche lei ex-proggettara), Supersilent e un bel
po’ di roba Jewelled Antler… Provo a mixarla
con Battiato anni ‘70 (la mia più grande influenza credo) e ci metto un mellotron alla
Rick Wakeman. Frullo tutto e ritorno ad una
sensazione tutta mia.
Se non sembra esserci nostalgia musicale,
possiamo invece dire che una forma di ma15 CMPST #6[01.2008]
Produzioni
“Per quello che riguarda la
musica di oggi penso che il prog sia
presente spesso e volentieri tutte le
volte che gli artisti decidono di far musicaesplorandoecontaminandoenon
per far saponette da supermercato. “
linconia è presente nelle tue composizioni.
Perché tra tutte questa rimane la più gettonata tra le emozioni proprie della musica “impagnata”?
Forse perché è più semplice tirarla fuori. E’
uno stato d’animo profondo ma anche molto
facile da elaborare in musica. Se hai una chitarra in mano e ti senti malinconico è facile
buttar fuori un paio di accordi tristi e crogiolarsi nella beatitudine del dolce struggimento. Molto più difficile tirare fuori qualcosa di
solare e non banale. Detto ciò anche se è più
semplice non mi importa, amo la malinconia
di certi paesaggi e giornate, di certa musica
e cinema e me ne sento attratto come se fosse un mondo ‘altro’ a cui vorrei tornare. Cerco
quindi di fare una musica che raccolga stati
d’animo particolari e che sia malinconicamente profonda, ma non solo. Amo anche le
storie paradossali e surreali e mi piace creare
una sorta di ‘malinconia metafisica’ .
Recentemente, gruppi come i Sigur Ròs
ma anche il post-rock da chitarra arpeggiata à la Mogwai che tanto si è andato diffondendo, hanno riportato l’attenzione di larghe
fascie ragazzi più o meno adolescenti sulla
musica ambientale, spesso strumentale,
genericamente messa a margine da sonorità più fisiche e irruente. Volendo leggerla in
chiave sociologica, che ruolo trova la musica
ambientale in questa società?
La ascoltano gli animi un po’ più sensibili,
chi non si sente attratto dalla massa vociante ed è alla ricerca di cose più particolari. E
meno male che persone del genere e situazioni così ancora ci sono. Peccato però che
16 CMPST #6[01.2008]
a volte queste situazioni, che dorrebbero essere una sorta di trampolino di lancio verso la
scoperta di altri generi magari simili oppure
anche più particolari, diventino un muro e
non si esca da lì. Vedi il mio discorso su prog
e indie. Perché chi si appassiona ad architetture sghembe à la Battles non può godere
ascoltando i Gentle Giant che facevano le
medesime cose già nel 1973? Perché la tal
rivista gli ha dette che questi ultimi avevano il
cantante che si vestiva da fiore e allora fanno cacare. Sembra una cazzata ma è così
e quindi tanti potenziali ascoltatori di roba
particolare che potrebbe espandere il giro,
il mercato e la conoscenza restano lì, fermi ai
loro Battles (grandi! senza dubbio) e più in là
non vanno.
gruppi musicali con coordinate sonore affini
a questo paradigma: perché Genova? Ha a
che fare con qualche aspetto della città o di
come ci si vive? Non è strano che succeda
proprio qui, la Genova dei carruggi e delle
strade fitte, visto che di solito questa musica è
partorita dal Nord e dai suoi grandi spazi?
Sono paesaggi diversi ma con le stesse caratteristiche malinconiche. Al nord hanno la
pianura e la nebbia, noi abbiamo il mare e le
colline. E il porto che nelle giornate di pioggia
e quelle rarissime di neve con le gru sul mare
grigio non possono non evocare certi scenari
musicali molto molto post. No, non mi stupisce che a Genova si stia sviluppando questa
positiva scena e sono molto contento di farne parte, in qualche modo.
A un orecchio distratto, a volte, sentire della
musica ambientale come la tua o quella dei
gruppi citati, e paragonarla al corrispettivo
“funzionalizzato” New Age come quei dischi
tipo “musica per le cascate” o “il suono della
foresta”, può sembrare la stessa cosa (chiedete ai miei genitori…). C’è davvero qualcosa che secondo te accomuna le mode
dell’ “era dell’Acquario” al nuovo stimolo che
hanno ricevuto i generi d’atmosfera in questi
anni?
No, pietà! Spero che mai succeda, soprattutto nella mia musica. Secondo me si
tratta proprio di mondi molto distanti. Distanti
soprattutto come approccio e come sensibilità. La new age parte da una situazione di
stampo prettamente americano, tutta essenze profumate e case arredate col feng
shui. Tastierine di plastica e cinguettii. Per
quanto possa essere ambientale la musica
dei Sigur ros o altre formazioni ha finalità diverse e serve solo in parte a rilassare. In realtà
dà una carica pazzesca e fanno tutto meno
che ammosciarti.
Cos’è Genova oggi? Cos’era ieri, e come
la ricordi?
Quando ho cominciato a suonare seriamente (intorno al ‘90) per suonare c’erano un
po’ di locali carini (Panteka, Mister Do, Quaalude, Charlie Christian…), la Festa dell’Unità
e ‘Oltre il juke box’, il Circolo Arte e Musica e
robe del genere. E c’era una particolarità: si
suonava poco ma quando si suonava, qualunque cazzata si mettesse su, c’era sempre
molta gente, non solo amici e parenti. Certo,
all’epoca non potevo ritenermi soddisfatto di quello che facevo e vorrei oggi che ci
fosse ancora qual fermento, ora che avrei
molte più cose da dire nella mia città. Ma la
gente dorme. E’ la gente che non ne ha più
voglia. Relativamente poco tempo fa c’era
ancora una certa fame di musica, la voglia
di scoprire chi aveva talento e chi no, il fatto di uscire la sera e andare ad ascoltare un
gruppo che faceva roba propria per il gusto
di vedere e se era bravo o no. Penso fossero
gli ultimi retaggi di una certa cultura anni ‘70
che è ben presto finita. Ora sono solo gli irriducibili ad andare a vedere un concerto dal
vivo di un gruppo underground e di conseguenza i locali chiudono e tutti si lamentano.
Genova in particolare ha visto negli ultimi 5 anni la nascita e lo sviluppo di diversi
Produzioni
Dov’erano però tutti quelli che si lamentano
quando era il momento di andare nel tal locale ad ascoltare qualcuno e a sostenere la
causa? Boh..ma qui, si sa, siamo nella terra
del mugugno. I locali chiudono perché c’è
disinteresse, punto! Non perché siamo sfigati
o è cattivo il governo. E questo è molto triste
e non so come la situazione potrebbe cambiare. Chi c’è dentro però non deve darsi per
vinto e deve continuare, penso che certe
cose non bisogna farle per avere un riscontro
immediato, bisogna fare e basta, senza porsi
troppe domande se è giusto o meno perché
se crollano anche questi ultimi irriducibili saremo veramente nella bratta in questa città.
In questo momento a Genova c’è una scena
musicale che secondo me non ha paragoni in Italia a livello di qualità e inventiva, una
roba così non la vedo dai tempi che furono e
spero che se son rose fioriscano bene e che
non vada tutto a puttane.
Cosa pensi che ci manchi per avere la credibilità che la città aveva negli anni 70 con il
suo prog?
A noi niente, sono i tempi che sono cambiati in peggio, una cecità dilagante, la non
voglia di novità e tutto il resto. Ripeto la scena c’è, chi si sbatte c’è pure e pure i luoghi ci
sono. Ci vorrebbe solo una bella scrollata alla
gente. Se a quei tempi i musicisti scambiavano tra di loro informazione in maniera orizzontale i nuovi gruppi musicali di oggi sembrano,
anche grazie alla tecnologie, bypassare le
lezioni che possono ricevere dai gruppi più
o meno del loro livello, per andare a dialogare direttamente con la fonte straniera del
loro suono di riferimento. Quanto questo è un
bene e quanto questo è un limite?
C’è ancora spazio per un rapporto con il
territorio e la società di nascita, nella musica
per come si fa oggi?
Dipende dal singolo, secondo me la prima
fonte di scambio dovrebbero essere i musici-
sta a te affini che magari operano nella tua
stessa zona per avere informazioni, scambi di
opinione, collaborazioni e quant’altro. Così
cresce e si rafforza una scena altrimenti ci
sono tanti cani sciolti che guardano ognuno
da parti diverse.
E’ possibile secondo te che ci sia meno affezione verso l’underground locale da parte
del “(relativamente) grande pubblico”, proprio perché questo è più scisso dalla sua realtà territoriale?
Non so se dipenda da questo…ripeto, secondo me in giro c’è una gran noia e non
voglia di mettersi in gioco, scoprire cose nuove e quant’altro. Al ‘grande’ pubblico basta
la tv oppure la movida con tutti gli annessi
e connessi. Vuoi mettere lo sbattimento di
andare in un locale apposta per vedere un
gruppo che fa musica sua magari nemmeno
molto orecchiabile e che magari ti apre nuovi orizzonti? Sia mai! In questo senso ‘ai miei
tempi’ vedevo stimoli diversi (e che ancora
ritrovo quando suono all’estero). La movida
non era solo ‘andiamo a fare il giro dei locali
cercando il posto più fighetto del momento’
ma ‘andiamo alla ricerca di qualcosa, vediamo se in quel tal tugurio fanno musica interessante, se c’è roba nuova da scoprire.’ Poi non
credo tutti facessero così, c’era anche chi se
ne sbatteva bellamente e pensava bere e
stop però chi ci pensava era in numero molto
maggiore rispetto ad oggi, non c’è dubbio.
Ricordo seratine al Charlie Christian dove facevano jazz o venivano gruppi sperimentali
ed erano concerti interessanti senza puzza
sotto il naso con dentro un sacco di gente
che veniva incuriosita. O le sfide tra bands
al Mister Do, certe sere non si riusciva ad entrare dal casino. I tempi sono molto cambiati
a livello sociale, in molto peggio, e cosa ci
riserva in il futuro assolutamente io non sono
in grado di prevederlo. Un po’ di gente che
si muove ancora c’è (vedi le serate al Buridda), basandosi su queste bisogna costruire.
“In generale penso che sia un
ottimo momento per i gruppi
genovesi, c’è molta creatività.”
Sperando solo non sia l’ultima fiamma prima
dell’estinzione totale.
La tua attività comprende diversi progetti,
a cui ti interfacci sempre, mi sembra, come
“individuo”, portatore della tua visione della
musica. Il fatto che tu non abbia cercato un
nome accattivante per il tuo progetto solista
è in qualche modo in sottile controtendenza.
Quanto conta l’individualità nella musica di
oggi ?
Beh, ho già messo su o suonato in diversi
gruppi o progetti (Finisterre, la Maschera
Di Cera, Hostsonaten, Aries, laZona, Quadraphonic…) nella maggior parte dei casi in
compagnia di altri musicisti. Per quello che è
il mio lato solitario invece volevo uscire a mio
nome perché realmente le cose che faccio
da solo sono un qualcosa di così intimo da
tutti i punti di vista che mi sarebbe sembrato strano uscire con uno pseudonimo o con
un nome di gruppo. Sono io, nudo e crudo, e
quindi non posso che uscire a mio nome.
Cosa cerchi nei progetti a cui partecipi?
L’emozione di trovarmi ad affrontare prospettive diverse in musica. Ascolto molte
cose differenti, molte cose mi influenzano e
a livello compositivo mi piace spaziare. Se
ascolto un qualcosa che mi appassiona mi
viene il desiderio di provare a misurarmi anche io con un linguaggio del genere e allora
da lì nascono i progetti. Null’altro, semplice
curiosità e una gran voglia di provare e comunicare belle sensazioni.
Più
info
sulle
pubblicazioni di Fabio Zuffanti su
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com
17 CMPST #6[01.2008]
Sul Palco
“Oh anche io sono molto snob e
quando ero più giovane ero tremendo, se non condividevo gli altrui
gusti partivo con la mia stucchevole
prosopopea che infarcivo di informazioni approssimative e distorte. “
Bobby Soul
Intervista con Roberto De Benedetti
di Marco Giorcelli
MASCHIO NUMERO 1
Ammetto di essermici avvicinato quasi per caso. Nel modo più tipico poi: dal momento che qualcuno lo criticava, oltrettutto per il singolo del momento, immediatamente ha attirato la mia attenzione. Malcom Mc Laren si farebbe un mezzo sorriso. E francamente dopo tutta questa indie-noia fatta di forma, formine e formaggi, direi che un sano, anzi sanissimo, ritorno alla tradizione più classica e genuina delineata
dallo stesso hit single, è quanto di meglio auspicabile per la musica italiana. Bobby Soul quindi, genovese, genoano e con alle spalle un curriculum vitae di tutto rispetto infarcito di collaborazioni illustri: Sensasciou, Blindosbarra, Roy Paci, Voci Atroci e altri tra i più importanti rappresentanti del rock indipendente italiano. Sul singolo Maschio #1 cosa c’è da aggiungere? Un titolo che non scandalizza certamente nessuno e che, per quanto
mi riguarda, fa venir voglia di correre in edicola a comprare Men’s Health piuttosto che le solite riviste musicali.
Bobby Soul, ma chi è il Maschio #1 ? Esiste? E se esiste è rossoblu oppure blucerchiato?
Eluderò la prima domanda dicendo che ho
letto il blog a me relativo su Sodapop e la prima cosa che vorrei dire è che sono molto fiero
di essere stato paragonato al mago Perseo,
che al secolo fa Spagiari ed è stato mio compagno di giochi a San Giacomo di Roburent,
luogo di vacanza dove i miei genitori mi portavano da bambino. Dovrò comunque necessariamente deludere l’intervistatore dicendo
che il maschio numero uno è Genoano, non
solo, direi Genoano-Zoroastriano, cioè iscritto
al Genoa Club Zarathustra, i cui motti sono
“E’ la stella che vogliamo” e “Lottare su ogni
18 CMPST #6[01.2008]
pallone come fosse l’ultimo” (Sigh! La prima
picconata al mito N.d.R.).
E’ stato un caso che io sentissi il pezzo. E’
partito tutto da un post nel forum di Sodapop dove un amico esecrava te, il video e
il pezzo (almeno credo). Ma io, appena ho
visto il clip su You Tube me ne sono follemente innamorato. Non so perché mi piace così tanto: chissà, forse vorrei essere io il
maschio numero uno o forse ho scoperto il
funky (mai apprezzato prima) direttamente da te. Qual è il tuo percorso musicale, in
ambito funky e non?
Ho iniziato facendo lo speaker in piccole
radio rionali, poi il deejay nei club del centro
storico a fine anni ‘80 (Lucrezia, Do It etc.) infine reclutato nello sfavillante mondo della
musica underground genovese, Bob Quadrelli e Andrea Ceccon fra gli altri. L’amore
per la black music nasce però molto prima e
per cause che potrei spiegare così. Un giorno il mio professore di Italiano delle medie ci
spiegò tutta la storia degli schiavi e del blues
e io, che all’epoca ero molto sensibile, mi
identificai così tanto con la loro sofferenza da
diventare, prima un ascoltatore maniacale
di tutta la loro musica, a partire dal blues del
delta fino all’hip hop contemporaneo e, poi,
della loro letteratura (in particolare i libri di Toni
Morrison). Finchè qualcosa si è mosso in me e
Sul Palco
“Ho vissuto un intenso periodo lì
dentro, ero circondato da gruppi
metal, ci sono molti più gruppi metal di quanto uno si possa immaginare. La cosa strana è che io sono
stato cacciato e i gruppi metal no.“
ho cominciato a cantare le loro canzoni, facilitato dal mio timbro vocale che è in qualche
modo riconducibile a quello di un negro. Sono
molto contento che tramite me tu abbia scoperto il Funk (sostantivo, funky è un attributo
edulcorativo), una musica molto importante
per la cultura nera che negli anni ‘70 si liberava del vittimismo del Blues e del devozionalismo del Soul per approdare al malcolmiano
Black Is Beautiful creando così un esplosione
liberatoria e dionisiaca. Gli esponenti più importanti sono stati, oltre ovviamente a James
Brown, soprattutto Sly And The Family Stone, gli
psichedelici Funkadelic e il Curtis Mayfield di
Superfly.
Sul tuo sito, mi sono letto quello che chiami il bunker. Non sapevo della ragnatela di
corridoi sotto Piazza della Vittoria, a Genova. Mi sono immaginato un mondo sotterraneo di band (il vero underground) sotto
l’enorme piazza. Ma è davvero così?
E’ una bella immagine ma ti devo nuovamente deludere. E’ vero, ci sono molti bunker
dai muri molto spessi ma l’habitat decisamente borghese della piazza è assai diffidente nei
confronti dei musicisti e quindi ci saranno al
massimo tre-quattro sale prove. Io stesso, che
pure mi presento come affidabile, pur non essendolo, ultimamente sono stato allontanato
e ora ho trovato ospitalità presso i miei amici
di Oltreilsuono, nel Porto Antico. Ho vissuto un
intenso periodo lì dentro, ero circondato da
gruppi metal, ci sono molti più gruppi metal
di quanto uno si possa immaginare. La cosa
strana è che io sono stato cacciato e i gruppi metal no. (Giusto! Metal come gramigna!
N.d.R.)
Ma Bobby Soul ascolta solo soul? Questo
è un sito di indie rock. Hai band favorite in
questo ambito? Occhio a ciò che dici perchè ci sono un sacco di snob pronti a stoccarti.
Oh anche io sono molto snob e quando ero
più giovane ero tremendo, se non condividevo gli altrui gusti partivo con la mia stucchevole prosopopea che infarcivo di informazioni
approssimative e distorte. Io ascolto un po’ di
tutto, ultimamente soprattutto il primo blues,
Blind Lemon Jefferson e Robert Johnson, un
po’ di elettronica e molta roba sconosciuta
dai paesi più improbabili che trovo su Myspace (capisci quanto sono snob io, no?) Riguardo all’indie dirò due nomi molto banali (pronto ad essere nuovamente esecrato): Soulwax
(specialmente i remix) e Stereophonics (che
forse più che indie sono brit?).
Tre figli, due mogli. Un povero ricco o
un ricco povero? Io mi auguro con tutto il
cuore che Maschio #1 venda un milione di
copie e le possibilità ci sono. Come prevedi
e com’è l’impatto con il pubblico? Airplay
radiofonico ce n’è già su scala nazionale?
Ti ringrazio molto per l’augurio, spero mi porti
culo, ne ho bisogno. Preciso, una moglie dalla
quale sono separato e da cui ho avuto due figli ed una ex-compagna dalla quale ho avuto il mio terzo figlio. Non ho molti soldi, la mia
ex-compagna però ne ha, la prima moglie
è figlia di un minatore irlandese ed è quindi
povera. Io lavoro molto e in qualche maniera
me la cavo, ho mille risorse, sai… La canzone
Maschio #1 è un atto di auto-accusa per non
essere riuscito a tenere in piedi i miei rapporti
con le donne ed è un monito al mio comportamento futuro, così ti ho spiegato come è
nata… Poi le canzoni hanno una vita tutta loro
e ognuno può interpretarla come meglio crede, il video ne da’ una visione da commedia
all’italiana, io interpreto il ruolo di un impiegato
frustrato che a un certo punto prende la scossa e diventa quella specie di imbecille vestito
Con Bob Quadrelli - foto di A.Positano
color crema. Quando l’ho visto la prima volta
volevo denunciare il regista, Paolo Pisoni. Ho
messo un mese a digerirlo, poi l’ho sistemato in
rete e adesso mi piace molto, tanto più che ha
suscitato reazioni da una parte entusiastiche
e dall’altra indignate. Per quanto riguarda le
radio ho avuto durante tutto il 2007 un notevole riconoscimento dalle radio indipendenti,
dove sono stato nella top ten della IndieMusicLike, praticamente tutto l’anno con Dammi
Un Brivido, con Sull’Onda Buona che ha vinto
la classifica a Luglio e con Maschio #1 che è
appena entrato nell’ultima classifica.
19 CMPST #6[01.2008]
Sul Palco
Ma nessuno/a ti ha ancora accusato
apertamente di divulgare uno sfrenato inno
al maschilismo?
Sul mio sito qualcuno sostiene che sia la
canzone più femminista che sia stata mai scritta in Italia. Io spero vivamente che mi si accusi
di maschilismo, anzi forse pagherò qualcuno
per farlo, tipo sarebbe perfetto se lo facesse
Natalia Aspesi stimolata da una mia finta lettera sul Venerdì di Repubblica o la Pivetti in un
qualche orrendo talk show televisivo, potrei
sfruttare così l’onda montante contro il Political Correct (quest’onda è diventata ormai
puro mainstream), vendere qualche disco in
più e mantenere le mie famiglie con più agio,
oltre naturalmente a sfruttare la mia visibilità
con le donne.
Come vedi attualmente la scena indipendente genovese? Che ne pensi di band
ormai popolari nell’ambito come Ex-Otago, Port-Royal e En Roco?
Port-Royal hanno fatto un buon disco e li ho
visti dal vivo, anche gli En Roco mi piacciono,
loro trasudano Genova. Non so molto degli
Ex-Otago, anche se sono seguiti da Totò Miggiano che conosco bene. A me piacciono in
particolare Vanessa Van Basten (che antipatico però che è lui) e Cut Of Mica. Stimo il mio
amico Andrea Bruschi (vero Maschio #1) con
i suoi Marti, decadentoni romantici che non
sono altro, nell’elettronica occhio a Luca Tudisco e ai suoi moltelplici progetti e poi c’è tutto
il giro hip-hop ragga che ruota attorno a Nio
Siddharta, un tipo molto sveglio.
Tra le tue infinite collaborazioni (Roy
Paci, Bob Quadrelli, BlindoSbarra, Voci
Atroci) quale ti piacerebbe ancora realizzare in futuro?
“Io spero vivamente che mi si
accusi di maschilismo, anzi forse pagherò qualcuno per farlo“
20 CMPST #6[01.2008]
Alla presentazione di Zenatron 1 con Praux - foto di Anna Positano
Ultimamente ho collaborato anche con
Vedi io scrivo molto dei miei quattro peli per
Johnny dei Dirty Actions che, per chi non lo
non dire dei miei casini. Quando ho cominciasapesse, è stato il primo gruppo punk genove- to a concepire l’idea di fare un album mi trose e uno dei primi in Italia (impreparati di funk,
vavo veramente nella merda e scrivere canma sullo sterrato non ci insegni l’ABC, Bobby
zoni è stata l’unica cosa che mi ha veramente
caro N.d.R). Il mio sogno nel cassetto è fare
salvato dai miei fantasmi (questo fa molto
un duetto con quella splendida icona gay
iconografia rock’n’roll). Comunque, questi
palestrata che è Rais, l’ex cantante degli Al- fantasmi sono draghi rossi quando partono
maMegretta, un perfetto sequel di Maschio #1
dalla mia epidermide e vanno verso l’esterno
sarebbe una nostra versione, chessò, di Mala- e buchi neri quando dall’esterno vanno fino al
femmena, per esempio, no?
centro della mia psiche. Quindi in definitiva è
un album molto eterogeneo che descrive le
Cosa rappresentano i Draghi Rossi, ma
mie palesi contraddizioni. E’ un privilegio sasoprattutto i Buchi Neri? Non credi si possa
pere che c’è gente che si interessa di questo.
generare un equivoco (forse voluto) alla
La metafora sessuale capisco sia evidente per
Elio E Le Storie Tese?
Sul Palco
quanto non voluta, d’altra parte tutto, se vogliamo, può essere una metafora sessuale se si
ha una cultura materialista-freudiana come la
mia (con però contemporanee ansie metafisiche catto e quel che è peggio catto-comuniste e - come ulteriore elemento di destabilizzazione - si è in più fan sfegatati di Abel Ferrara).
Cosa ne pensi delle varie iniziative cittadine degli ultimi anni? Mi riferisco a Goa
Boa, MuMu, Disorderdrama, Milk e Buridda.
Conosco bene Totò Miggiano, dicevo, Genova è assai punitiva, ogni volta che ha tirato
fuori dal cilindro qualche nome difficile è andato a bagno, ma è un uomo che rischia e ha
tutto il mio sostegno. Quest’anno necessariamente il Goa Boa è stato molto soft (peraltro
c’ero anche io con il mio gruppo Les Gastones) e forse non potevano fare più di quello
che hanno fatto finora. Mumu ricordo di avere
visto gli Zu e i Port-Royal, bella location Villa
Croce, c’era anche il mio amico Deejay Capasoul e Howie B. Disorderdrama chi sono? Il
giro dei Blown Paper Bags? Bravi loro anche
se non so se gli sono simpatico. Milk è un bel
buco nero e Buridda poco lo frequento, chiaramente perché non mi interessa la politica,
essendo un piccolo borghese qualunquista e
narcisista. Sto scherzando dai, direi che si danno molto da fare al Buridda, ci credono, vedo
sempre programmazioni coraggiose. Io non
voglio fare il solito genovese che si lamenta. Ci
sono molte persone in città che fanno del loro
meglio e io penso di essere fra loro.
Un amico ha definito Maschio #1 come
un “instant classic”. Ti piace come definizione?
Non posso che ringraziare il tuo amico.
Ma tu ti senti un sex symbol?
Affatto. Direi che mi sento un filosofo, anzi
un teologo delle relazioni sessuali fra uomo e
donna e delle relazioni sessuali in genere…
Viste le tue evidenti doti vocali, non hai
mai pensato di abbbandonare definitivamente Genova, in virtù di qualche scalo,
magari internazionale, più ricettivo verso la
tua musica?
L’avrei fatto ma da quando sono felicemente diventato padre non posso permettermelo.
Vado spesso a Milano e a Torino e tutto sommato a Genova non sto male. Ti ringrazio per
l’apprezzamento per la mia voce, ci ho messo
anni io ad accettarla.
Non hai mai conosciuto Bobby Solo? Lui
sa che esisti come cantante?
No, gli manderò una mail, chissà se fa come
tutte le star e non caga, lui era l’Elvis italiano…
Piuttosto esistono altri due Bobby Soul, uno è
l’ex cantante dei Platters (te li ricordi: Only You
e Smoke Gets In Your Eyes), l’altro è il tastierista di un gruppo ska italiano. Ho mandato
ad entrambi una mail proponendo di fare un
gruppo, THE BOBBYSOULS, ma non mi hanno
risposto, peccato… Se mai mi citassero per
utilizzare il nome altrui passerei al più raffinato
Luigi (o Louis) TeKno, una miscela di funK, esistenzialismo e minimal, che ne dici?
Riesci e vivere esclusivamente delle tua
musica?
No, riesco ancora a fare molta musica ma
lavoro anche come educatore, traduttore e
ho pure un part-time di 6 giorni al mese molto
figo in un call-center assai chic di Milano per
il 70% pieno di belle ragazze e per il restante
composto da gay dichiarati. Siamo solo due
eterosessuali, di cui uno felicemente sposato
e fedelissimo. Così chiudo in maniera direi discretamente paracula, sia per le ragazze del
call-center che saranno lusingate (o disgustate?) e quindi più disponibili (o assolutamente
inavvicinabili?) quando farò leggere loro questa intervista, sia per accreditarmi maggiormente come maschio #1 che, devo dire, ha i
suoi lati positivi. Continuate ad esecrarmi.
Ti auguro il meritato successo su scala
nazionale e spero di poterti vedere dal vivo
al più presto. Grazie Bobby!
E io ti ringrazio di cuore, spero di conoscerti
di persona!
Q u e s ta i nte r v i s ta è a p p a r s a o r i g i n a r i a m e nte s u ht t p ://w w w. s o d a p o p.i t
d a to i l c o nte n u to e l’a u to re c i è s ta to p e r m e s s o d i r i p u b b l i c a r l a q u i. R i n g ra z i a m o E m i l i a n o e M a rco.
Più
i n fo
sulla
co m p a gnia
di
B o b by
Soul
su
ht t p ://w w w. b o b by s o u l . i t
h t t p : / / w w w. m y s p a c e . c o m /
b o b by s o u l s
21 CMPST #6[01.2008]
Export
“ Si può dire che i miei contatti siano
ciò che ricostruisce e mantiene davvero vivo il legame con il mio passato.“
Stark Vision Of The Morning
Intervista con Simona Barbera
di Simone Madrau
VISIONI DEL MATTINO
Un percorso complesso ma deciso, fuori da etiche definite e luoghi
comuni, strettamente legato ad una contemporaneità che qui ancora
spesso coincide col futuro. Nata a Genova ma di base a Oslo, artista nel senso più autentico della parola, Simona Barbera, meglio nota
come Shocking Tools, racconta a Compost la sua storia e il suo neonato progetto Stark Vision Of The Morning. Un aka che involontariamente
definisce anche la vicenda artistica e la personalità della sua titolare.
Come di regola, quando devo intervistare
qualcuno che non conosco cerco quante più
informazioni possibili in merito. La cosa è tanto più
valida nel tuo caso, non essendo tu personaggio
troppo visibile qui a Genova. Il fatto è che cercando su Google salta fuori davvero pochissimo materiale: strano, vista la natura internazionale del
tuo progetto e il suo legame con la tecnologia.
Credo dipenda dal fatto che cambio molto
spesso il nome dei progetti, a seconda del contesto musicale in cui mi trovo. Questo apparentemente può essere un problema ma anche no nel
senso che, se la gente che mi contattava prima
mi ricontatta quando do vita a un progetto nuovo, significa che quest’ultima non mi ha davvero
perso di vista. Si può dire che i miei contatti siano
ciò che ricostruisce e mantiene davvero vivo il legame con il mio passato.
Tu stai tra Genova e Oslo, anzi più Oslo che Genova. Sei andata a Oslo per motivi vari e da lì hai
intrapreso il progetto Shocking Tools o viceversa il
22 CMPST #6[01.2008]
progetto è nato prima e in seguito, per ragioni che
puoi dirmi solo tu, hai deciso di esportarlo?
In realtà il mio recente progetto musicale,
Shocking Tools, non inizia né a Genova né a Oslo
ma a Milano, esattamente tre anni fa. Seguendo
un master di fine laurea e in quell’ambito ho iniziato a lavorare facendo progetti audiovisivi. La parte musicale era già in evoluzione ma non definita.
Già decisamente orientata verso l’elettronica, ovviamente, ma con un approccio supersperimentale. Questo mi ha condotto alla definizione del
nome Shocking Tools, che però in quel momento
era ancora esclusivamente legato al master. Per
finire quest’ultimo, grazie a una borsa di studio, mi
sono spostata in Norvegia, nell’unica scuola che
aveva un dipartimento legato alla musica elettronica: e da lì, parallelamente al ‘progetto-master’ ho iniziato a lavorare su un discorso musicale
vero e proprio. Nel tempo il percorso musicale e
scolastico si sono uniti, fino a prendere una forma
più nitida che è quella che sto portando avanti
ancora adesso.
Quale passione è nata prima in te: quella per le
arti visive o quella per la musica?
Non so cosa sia venuto prima perché da
sempre ho fatto tutte e due. Ho avuto un background musicale fatto di esperienze diverse e
ambiti completamente opposti a volte, coerente
con il percorso visivo. Mi piace mantenere questo rapporto sperimentale tra musica e arte visiva, anche se per un certo periodo ho avuto una
parentesi molto accademica soprattutto per
quanto riguarda la voce e il pianoforte. Ho studiato pianoforte classico. Nel tempo ho cercato
di mantenere il percorso classico come un’esperienza di studio formativa.
Quali persone, cose e situazioni sono state importanti all’inizio di questo percorso?
Riferimenti molto diversi. Quando ho iniziato ad
avvicinare la musica elettronica [un approccio
abbastanza punk], il primo musicista che mi ha
affascinato subito è stato Brian Eno. I miei studi
per quanto riguarda la voce sono stati invece
sia accademici, come ti dicevo prima, che sperimentali. Per moltissimo tempo ho studiato con
musicisti e cantanti orientali, studiando le tecniche estreme della voce, senza nessun tipo di
collocazione definita: né pop, né rock, né altro. Il
Export
risultato ora potrei vederlo così: ho un approccio
molto strumentale nei riguardi della voce, decisamente poco pop sotto questo punto di vista
perché.. non credo di riuscire a fare diversamente! [ride] Andando molto in là nel passato, prima
di incroci e progetti qua a Genova, mi ricordo di
molte intuizioni musicali finora mai sviluppate ma
molto vicine ad Antony And The Johnsons. Adoro
Bowie, ma anche Vincent Gallo e Paul Kalkbrenner… Per quanto riguarda le mie influenze attuali
Oslo ha un panorama ricchissimo per quanto riguarda musica noise, ambient e techno.
A proposito di Oslo: come è la situazione in termini di locali, etichette, spazi ecc.?
Oslo è una città dove la gente, soprattutto
giovani e giovanissimi, arriva per fare delle cose.
Non è una città con una storia e una tradizione
particolare quindi è continuamente invasa da influenze esterne. Inoltre la principale attività giovanile è la musica. Tutto quel che succede in città è
legato alla musica e al fashion.
E’ una città molto legata alla moda?
Sì, ma in un modo molto interessante e originale. I ragazzi sul piano estetico osano molto. In
particolare il contesto in cui vivo la musica a Oslo
è spesso legato alle gallerie d’arte, e situazioni
dove le esperienze visive e musicali si incrociano.
Molto spesso accadono ‘eventi’ appositamente
ideati e studiati per lungo tempo, oppure ‘rave’,
nelle gallerie. Ne ho organizzati due a Oslo all’interno di altrettante gallerie. E poi Oslo è comunque una città abbastanza piccola e tutti gli eventi sono piuttosto legati!
In realtà anche qui a Genova il giro è piccolo
e ci si conosce tutti. La differenza con Oslo, oltre a
quelle descritte da te, potrebbe essere l’attenzione da parte delle istituzioni. Riconoscono le cose
che fate, c’è tolleranza, vi danno spazi, o fanno di
tutto per chiudere locali..?
Penso che l’arte sia la risorsa principale in una
città come Oslo! Io sono riuscita a sviluppare gli
ultimi progetti proprio grazie alle istituzioni!
Scappiamo tutti a Oslo!
Sì forse Stoccolma è anche più interessante.
Penso di vivere qui e là per un po’. Dopo vediamo. Forse Parigi.
Per quello che fai anche Parigi potrebbe essere
un posto adatto. Anche lì si percepisce un forte
legame tra estetica e arte.
Assolutamente, sì.
Parliamo invece di Genova. All’interno della
cosiddetta scena hai legami almeno con chi fa
musica elettronica in città? Dai vari Port-Royal e
Japanese Gum a Flexible passando per Eves?
Prima di partire conoscevo tutti, ti parlo di duetre anni fa. Per il resto ho sempre vissuto molto più
a Milano che a Genova quindi le cose che sono
successe qui ultimamente sono state sporadiche.
Tre anni fa ad esempio lavoravo con i ragazzi de
La Madeleine. Ultimamente sono in contatto con
Mass_Prod, che tra l’altro verrà a suonare a Oslo
prossimamente. E poi con Matteo Casari. Alla
fine sì, conosco più o meno tutti.
cinico, un po’ freddo. Ecco, una cosa che non
rifarei è questa. E’ stato un percorso per certi versi
molto semplice, fatto cioè da studente. E’ importante avere invece un certo tipo di scena alle
spalle, mi interessa.
Prima mi hai citato Brian Eno, David Bowie ed
Antony. E passi. Ma ti dicevo della scarsità di informazioni sul tuo conto, che mi ha portato a visitare
certe pagine come una sorta di ‘ultima spiaggia’.
Addirittura sono finito dal tuo MySpace al tuo last.
fm. Qui tra i tuoi artisti più ascoltati ho trovato Elliott
Smith. Ora: è vero che i musicisti elettronici vantano ascolti imprevedibili e molto disparati, ma
tu non hai nemmeno un artista elettronico tra la
musica che ascolti! Ti ho beccato nella settimana
sbagliata oppure..?
[ride] Non dovrei mettere certi link su MySpace, è un po’ un’arma a doppio taglio! Ci sono
musicisti che ascolto in vinile, in cd, e ‘anche’ su
computer. Su last.fm ci capita di tutto, anche se
alla fine anche quella è davvero musica che mi
piace molto e che in molti casi mi influenza. Cat
Power e Vincent Gallo ad esempio sono tra i miei
ascolti su last.fm. Poi comunque ci sono artisti
che devo necessariamente ascoltare in vinile,
tipo Paul Kalkbrenner. Non riesco ad ascoltarlo su
computer o su cd.
Dal momento che ci hai lavorato, è inevitabile
chiedertelo: commenti sulla chiusura de La Madeleine? Puoi non rispondere se vuoi!
No comment! [risate amare] E’ una cosa che..
non capisco..
Quanto è importante secondo te l’esistenza di
una scena per la realizzazione di un artista? Te lo
chiedo perché effettivamente, conoscenze o no,
sei un personaggio che si è ‘fatto da sé’ in termini
artistici e di esportazione della sua proposta.
La risposta è duplice. Nel senso che, sì, è vero
che quel tipo di discorso... Solitario [ride] è un po’
Simona a Crossover07 - foto A.Positano
23 CMPST #6[01.2008]
Export
Il vinile ti piace, come formato. Lo stesso The
Shivering Cold Continues [ultimo lavoro a firma
Shocking Tools, NdSimo] esce come 12”.
Sì mi piace molto. E’ il formato che ascolto di
più.
Metti anche dischi? E solo vinili o anche cd?
Sì, metto anche dischi e uso entrambi i formati.
Possiamo azzardare legami tra la tua musica
e il jazz o è questa cosa del cantato femminile su
musica elettronica ad essere fuorviante?
Bè direi che legami col jazz ce ne sono pochi
per non dire nessuno.
La componente dark invece è una cosa legata
solo all’estetica di cui parlavamo prima o vieni effettivamente da ascolti di quel tipo? E nel secondo caso, parliamo di classici tipo i soliti Siouxsie,
Bauhaus ecc. o anche cose più di culto?
Sicuramente ho ascolti di quel tipo, classici e
non. L’influenza più forte in questo senso credo sia
Diamanda Galas. Ma non solo in questo senso,
penso anche all’utilizzo strumentale della voce
di cui ti dicevo. E’ una figura interessantissima.
Nei live è potente, aggressiva, fredda. Una vera
performer.
Sì, direi che incarna molto bene il tuo immaginario così fortemente legato a estetica, immagine
e via dicendo. A proposito: il prossimo 24 gennaio
parteciperai a Netmage…
Sì, Netmage è questo festival audiovisivo a
Bologna cui prenderò parte con un progetto audio/video che è stato selezionato, e a cui ho lavorato insieme a Jade Boyd, videoartista australiana, trasferitasi a Oslo e ora di nuovo in Australia.
Tornerà appunto in occasione di Netmage. Le
musiche sono i nuovi pezzi cui ho appena finito
di lavorare. Io e Jade abbiamo fatto altri lavori
con un taglio anche pop. Sempre per quanto
24 CMPST #6[01.2008]
riguarda le mie influenze visive citerei anche un
filmmaker oggi scomparso, Derek Jarman, il cui
‘giardino sensuale’ è stata la prima fonte di ispirazione per ‘The Shivering Cold Continues’.
Al di fuori di Oslo hai facilità a trovare date?
Hai contatti, conoscenze, ecc.? O sei sempre lì a
smanettare per trovare spazi e occasioni?
No, non è un grosso problema. Come ti dicevo
però sono attratta da situazioni in cui è possibile
estendere l’esperienza musicale il più possibile.
Non è difficile trovare date in generale, ma è
ancora più interessante trovare un contesto o un
progetto a cui dedicare molto e sperimentare altrettanto. Per esempio l’album ‘The shivering cold
continues’ è nato così! Concentro le mie giornate
su progetti precisi e con persone spesso legate ad
esperienze disparate. Concretizzati questi ultimi in
qualche modo le ‘occasioni’ arrivano sempre. A
parte Netmage ho in ballo un progetto con un
musicista norvegese che ha influenzato moltissimo il mio percorso attuale, Stian Skagen. L’anno
scorso ho fatto pochi concerti appositamente
per rodare i brani di ‘The Shivering Cold Continues’ mentre l’anno prima non mi preoccupavo
di queste cose, ho suonato molto di più in giro.
Dal vivo come funzioni? I pezzi sono coerenti
con le relative versioni in studio o sei una maniaca
dell’improvvisazione?
Improvvisatrice, decisamente.
Shocking Tools sul piano estetico non è poi
così cupo come sembra. Ricordo un paio di foto
sul tuo MySpace che, tra il tuo abbigliamento e
la pulizia delle immagini, non avevano davvero
niente di così oscuro.
Vero. In realtà si tratta per lo più di immagini o
poster di eventi e progetti cui ho partecipato in
cui è presente anche una componente ironica,
pop. E’ una cosa che cerco volontariamente, per
sdrammatizzare un po’ insomma. La parte ‘scura’
del mio progetto musicale è solo un’ atmosfera.
Qui a Genova, in occasione di Crossover, ti
esibirai [al futuro nel momento di questa intervista,
lo scorso 1 dicembre per chi legge, NdSimo] non
con il nome Shocking Tools ma con un progetto
tutto nuovo…
Sì, si tratta ancora di elettronica ma il suono
stavolta è molto più aggressivo, ritmico, quasi
techno. E’ un progetto che anticiperà la mia collaborazione con questo musicista noise di cui ti
dicevo. Stark Vision Of The Morning è il nome del
progetto, arrivato dopo alcuni scatti fotografici
alle 6 del mattino nelle gallerie, dopo i rave. Con
Jade abbiamo cercato di definire questi scatti, ci
veniva in mente una cosa tipo Flat Vision, un po’
ruvida. Alla fine è venuto fuori Stark Vision Of The
Morning, nella descrizione di quel tipo particolare
di luce.
E’ un nome paradossalmente quasi solare.
Sì anche se poi l’avatar sul MySpace del progetto è un corvo, quindi in realtà non si scappa
nemmeno stavolta! [ride]
Esaurite le domande sulla Simona-artista mi
faccio i cavoli tuoi fino in fondo indagando sulla
Simona-persona e ti chiedo: ma tu con questo
ambaradan di roba che porti avanti riesci a viverci? E se non riesci, cosa fai per tirare avanti?
Si abbastanza, come ti dicevo in questo periodo ho avuto un supporto scolastico piuttosto forte. In questo momento insegno in una scuola che
anticipa le varie accademie d’arte, con un corso
sulla ‘sound art’. E poi ho uno spazio, in una Galleria Cafè, dove espongo e vendo abiti vintage!
Più
info
su
Simona
su
h t t p : // w w w. m y s p a c e . c o m /
starkvisionofthemorning
http://www.myspace.com/shockingtools
Ospiti
“Sono in gran parte i centri sociali
che hanno permesso che l’Italia non morisse culturalmente.”
L’Enfance Rouge
Intervista con Francois Cambuzat e
Chiara Locardi
di Davide Chicco
AVANT ROUGE
Eccoci qui con gli Enfance Rouge, il nome d’un affascinante trio dentro
il quale lavorano Francois Cambuzat (voce, chitarra), Chiara Locardi
(voce, basso) e Jacopo Andreini (batteria, ottoni). Scambiamo quattro
battute con Chiara e Francois nell’attesa di vederli nuovamente a Genova.
Raccontateci qualcosa di voi. Come vi
siete conosciuti Chiara e Francois? Come
avete iniziato a suonare insieme?
Ci siamo incontrati nel 1989 ad Ackerstrasse,
Berlino-est. Poi la voglia di viaggiare, di imparare e siamo andati a vivere in Tunisia. Prima
avevamo abitato a Londra, New York, Berlino,
Amsterdam, Roma, Amburgo, etc. Le nostre
basi durano da 1 a 3 anni. Quello che ci interessa e’ vivere con le persone, imparare la loro
lingua…abbiamo mangiato di tutto, bevuto di
tutto, ascoltato e suonato di tutto dappertutto. La musica e’ legata a questa inquietudine
geografica e non sapremmo fare a meno di
entrambe.
La vostra esperienza e’ partita nell’ormai
lontano 1993. Quattordici anni dopo cos’e’
cambiato rispetto agli inizi? Avete conservato lo stesso entusiasmo degli inizi? Com’e’ cambiata la scena indie intorno a voi
invece?
L’Enfance Rouge e’ un gruppo di cosi detto
“avant-rock”, una definizione che non vuol
dire altro che un spiccato piacere per la sperimentazione, dalla composizione all’improvvisazione. I nostri concerti sono fisici e rischiosi,
composti come selvaggi. Abbiamo, rispetto
all’inizio, sviluppato un certo senso della trance
che scorre lungo i pezzi... Quello che ci piace
moltissimo del rock e’ l’aspetto shamanico
del concerto, del tipo “siamo noi a condurre
la danza”. E’ fondamentalmente una musica
semplice con un fascino estremamente forte.
Dall’inizio, siamo quel che si dice in francese
“des enculeurs de mouches” (trad: inculatori di
mosche, ndr) , e non abbiamo bisogno di pubblicare qualsiasi cosa per organizzare le nostre
tournee o soddisfare il nostro ego. Viviamo totalmente della nostra musica, rimanendo liberi
e totalmente padroni delle nostre produzioni.
Vendiamo o accordiamo delle licenze, in Italia e all’estero, senza firmare nessun contratto
che ci lega a lungo termine senza garanzie.
Confessiamo di non comprare più dischi rock
da almeno sette anni, anzi l’ultimo e’ forse stato
“Spiderland” degli Slint. E questo per vari motivi: o i nostri vari amici europei ci masterizzanno
tutto quello che può interessarci, o da musicisti
siamo diventati veramente troppo analitici. Per
farti capire, ascoltare ora i Sonic Youth e’ per
noi come essere fan dei Beatles negli anni 80,
ovvero vent’anni dopo. Si può essere affezionati, ma e’ difficile riconoscere loro freschezza
e modernità. Gli unici dischi che compriamo
sono quelli difficilmente reperibili, soprattutto in
Italia. Hamza el Din, Munir Bachir, Abd el Wahab,
Mokhtar al Saïd, Abd el Gadir Salim, Sheikh Ahmad al-Tûni, come la Rembetika o l’incredibile
serie “Les Ethiopiques”. Insomma ascoltiamo
soprattutto musica che non ha niente a che
vedere con quello che suoniamo.
Dopo la classica gavetta, il salto di qualità e’ arrivato nel 1998 con l’album Taurisano-Cajarc, uscito per la serie “Taccuini”
dei Csi. Com’e’ nata questa collaborazione
con il Consorzio Suonatori Indipendenti?
Siete ancora in contatto con alcuni di loro?
Abbiamo per loro una totale disistima. E’
stata l’esperienza più deprimente, professionalmente parlando, della nostra vita. Ci chiesero
di partecipare alla collana, tennero bloccato
il disco per un anno, le copie furono vendute
in un attimo e si rifiutarono di ristamparle. I Csi,
ad esempio, suonavano negli stadi ma non
pagarono mai una lira al gruppo spalla che
avevano scelto. In compenso promossero i loro
gruppi a prezzi esorbitanti e falsarono completamente il mercato “live” in Italia. Potremmo
sfornare esempi per ore. Abbiamo per fortuna
di meglio da fare.
Dopo il primo album di La Republique
du Sauvage che avete realizzato con Hurlements d’Leo, su cosa state lavorando in
questo periodo? Avete un nuovo album nel
cassetto? Qualche anticipazione?
Abbiamo appena finito un disco registrato
in Tunisia , con musicisti del Conservatorio di
Tunisi e con gli arrangiamenti scritti dal grande
25 CMPST #6[01.2008]
Ospiti
Mohamed Abid. Niente ethno-minchia, o velleita’ sentimental-turistico-orientali, ma questa
vecchia voglia nostra di mescolare la nostra
elettricita’ malata occidentale con i quarti di
tono della musica orientale. E’ un’ esperienza
che ci e’ assai cara. Feedback, larsen e violini
maghrebini: un vecchio sogno.
Nelle vostre canzoni e nei vostri album e’
sempre evidente la vostra inclinazione verso la multiculturalita’, il multilinguismo ed
un vero senso di fratellanza tra i popoli. Una
scelta sociale e politica, prima ancora che
musicale. Da cosa nasce questa vostra attitudine? E’ solo una naturale predisposizione oppure si tratta d’una conseguenza nata
da svariate esperienze d’incontri, viaggi e
relazioni con persone incontrate durante la
vostra vita?
Il Mediterraneo e’ sempre stato una zona
che ci ha attratti, per questa formidabile mescolanza e questo largo scambio di idee. Nessuno di noi ha delle radici ben definite, o una
famiglia che ci aspetta in un posto preciso se
mai volessimo ripararci dai guai. Le cosiddette
culture mediterranee di questo lato del Mare
Nostrum sono quasi morte o definitivamente
travolte (vedi quest’orrore che e’ la pizzica)
e l’Occidente europeo e’ troppo arrogante,
ignorante e pigro per potere soltanto riflettere
oltre il Buddha Bar o Khaled, più lontano da
questa visione edonistico-turistica della cultura
mediterranea. Per quello che ci riguarda, chiediamo al sud del mondo di salvarci.
Oltre all’attivita’ discografica, gli Enfance
Rouge organizzano un importante festival, il
Trasporti Marittimi Festival, giunto, se non
sbaglio, alla sua quarta edizione. L’edizione
2007 si terra’ dal 22 dicembre al 31 dicembre in giro per la Puglia. Com’e’ nata l’idea
di questo festival?
Ecco una frase che ci piace: « Mettez les arts
dans la main du peuple, ils deviendront l’epouvantail des tyrans. » Jules Michelet /// 1848
26 CMPST #6[01.2008]
(Mettete le arti in mano al popolo: diventeranno lo spaventapasseri dei tiranni). Insomma
questa Europa e’ l’autostrada dei soldi, ma l’Europa sociale e’ morta e sotterrata. E’ sufficiente
dare un’occhiata alle bozze della Costituzione
europea : un inno al capitalismo più sordido e
selvaggio. Muovere degli artisti da un paese all’altro, rinnovare questi legami, senza superstar.
E’ stata questa la sfida dei Trasporti Marittimi. Ed
e’ un lusso che paghiamo al nostro idealismo.
Nessuno di noi riceve dei soldi dal festival .
Quest’anno il festival si terra’ in forte collaborazione con alcune associazioni giovanili bosniache. Come mai questa scelta?
In Europa nessuno conosce gli artisti del paese accanto. Individuare quelli che chiamiamo
centri di resistenza culturale, fa parte degli scopi che ci siamo dati. Ci sono forse solo 5 club
italiani all’altezza dell’ Abrasevic di Mostar, in
un paese 50 volte più povero. Condotto da
persone massacrate dalla storia che sanno
che l’arte serve a vivere bene. Una serata del
festival si svolgera’ li’.
Gli Enfance Rouge s’esibiranno a Genova
giovedi’ 13 dicembre al Laboratorio Buridda
(l’intervista è stata fatta ai primi di dicembre
ndr). Ho saputo che non si tratta della vostra
prima volta a Genova; avevate gia’ suonato da noi una decina d’anni fa. Raccontateci qualcosa di quella volta. Quand’e’ stato?
Come ando’ il concerto?’
Abbiamo suonato altre volte a Genova negli
ultimi 15 anni. In situazioni sempre diverse. Siamo molto contenti dell’invito del Buridda. Sono
in gran parte i centri sociali che hanno permesso che l’Italia non morisse culturalmente.
Sul vostro Myspace si possono vedere
chiarissimi messaggi anti-Myspace ed antiMurdoch. Perche’ questa scelta? Qual e’ il
vostro punto di vista su servizi web 2.0 come
Myspace? Un danno alla musica oppure
un’opportunita’ in piu’?
“Quello che ci piace moltissimo
del rock e’ l’aspetto shamanico
del concerto, del tipo “siamo noi a
condurre la danza”. E’ fondamentalmente una musica semplice con
un fascino estremamente forte. ”
Nel 2005 Rupert Murdoch ha comprato My
Space. Negli USA Murdoch sostiene attivamente il partito Repubblicano e attraverso i
175 giornali di cui e’ proprietario ha difeso e incoraggiato l’invasione dell’Iraq da parte degli
Stati Uniti. Ci sembrano ragioni sufficienti per
boicottarlo. Manteniamo, ancora per poco,
il nostro sito su My Space per lanciare la campagna e suggerire un’alternativa: http://www.
virb.com/enfancerouge
Ultimissima: girovagando per l’Europa e
per il mondo, avrete sicuramente conosciuto e incontrato un numero svariato di band
e musicisti indipendenti. Tra le varie scene
nazionali (italiana, francese, spagnola,
ecc), quale scena secondo voi e’ la piu’
sottovalutata di tutte?
Questa e’ una domanda che chiamerebbe
una risposta chilometrica. Per sintetizzare possiamo dire che diversamente dal resto d’Europa, l’Italia e’ il paese dove l’arte non conta.
Figuriamoci la musica. Fare il musicista non e’
mai stato considerato un mestiere, ne’ dalla
tua nonna ne’ dal governo. I mezzi messi a disposizione negli altri paesi sono enormi in confronto. Ed essere indipendente non si traduce in
una vocazione al martirio. L’Italia ha una scena
indipendente vivida e disperata, a tratti eroica
che vive in un paese governato da spacciatori
che si pensa senza futuro.
Più info le trovate su http://www.
virb.com/enfancerouge
altri link li trovate nelle column in fondo a questo numero.
Fanzine
“Le fanzine, come le case
discografiche indipendenti, eran
qualcosa che dovevi costruirti
sennò non avevi la tua musica.”
Rumore di Carta
Intervista con Diego Curcio
di Giulio Olivieri
PASSIONI FOTOCOPIATE
Diego Curcio, classe 1982. Giornalista (sul “Mercantile” per lavoro, su qualche webzine per passione), blogger (www.husker.splinder.com), punk.
Questo è il resoconto più o meno fedele (i poco potenti mezzi a disposizione
non han filtrato un bel pò di rumori) di quattro chiacchere in macchina sul suo
libro “Rumore di carta - Storia delle fanzine punk e hardcore italiane dal 1977
al 2007” (su Red@zione) e su un mucchio di altre cose... salti logici, contraddizioni, botta e risposta, dubbi sono rimasti, mi sembrava giusto restasse così...
Da cosa è partito il tutto?
E’ partito dalla tesi di laurea: volevo fare
una tesi che parlasse della musica punk, volevo infilarcela a tutti i costi, e poi che parlasse di giornalismo...ho continuato a pensare a
“giornalismo e punk”...”giornalismo e punk”...
minchia le fanzine! Ho chiesto al relatore se
andava bene e lui era contentissimo. inizialmente doveva essere sulle fanzine punk
in generale, poi ci siamo resi conto che era
un’assurdità di lavoro e siamo rimasti sulle fanzine punk italiane. Da allora è nata la tesi, e
mentre stavo finendo il relatore mi ha detto
“ho una casa editrice, potremmo farne un
libro”. Io ho accettato contentissimo, l’ho un
pò cambiata perchè prima aveva un’impostazione da tesi, ho aggiunto e tolto qualcosa, nella tesi dovevo spiegare la materia a
della gente che non sapeva neanche cosa
volesse dire fanzine o punk, avevo a che fare
con professori di sessanta o settanta anni
(com’era la commissione di laurea), dovevo
spiegare chi fossero i Sex Pistols o i Ramones,
cosa che dal libro ho tolto, spero che chi si
avvicini al libro sappia già chi sono.
Probabilmente chi si avvicina a un libro sulle fanzine ha già un’idea ben precisa di quello che va ad affrontare.
Anche secondo me.
Qual’è stata la prima su cui hai messo
mano?
Diciamo che ci sono arrivato tardi, la maggior parte le sfogliavo...”Kriminal Class” di
Marco Balestrino. Per la tesi “Le Silure d’Europe”: aver visto la mostra poco prima di far la
tesi - su cui avevo già una mezza idea - dove
l’ho vista originale... La gran roba degli anni
‘70 e ‘80 non l’ho toccata con mano, ho trovato estratti su internet mi son fatto spedire
dei file dai fanzinari d’epoca (come Johnson
Righeira che mi ha spedito zippata tutta la
sua collezione di “Sewer”). Ho scritto anche
un pò per me: era il lato del punk che avevo
conosciuto meno...
Alla fine si scrive sempre per se stessi
Si, ho veramente unito l’utile al dilettevole, alla fine avevo tutte le autorizzazioni per
comprarmi libri e perdere le mie giornate su
‘sta roba qua, e son riuscito a colmare dei
buchi, con questa scusa a contattare delle
gente che mi ha spiegato questo mondo.
Su cui son stato un pò ritardatario, la prima
fanzine vera me la sono portata a casa solo
sei o sette anni dopo che mi ero messo ad
ascoltare questa roba, è grave...
Forse no, ho notato che via via quelle cartacee sparivano dai concerti, prima non era
difficile trovare una distro allo Zapata, quello vecchio e quello nuovo (magari quella di
Luca 010), in cui trovare delle fanze, ora no...
Ma adesso son tornate, secondo me
Forse è sparito il canale distributivo
Si, o te le andavi a cercare o era sparito.
Felipe Records (e Winona Records) ne aveva alcune. Io seguivo tanto le webzine, da
quando ho avuto internet (96/97).
Forse stanno tornando perchè prima internet era un mezzo che ti permetteva di farti
leggere spendendo poco, ora invece con
una spesa non eccessiva puoi pubblicare...
Se ci pensi stanno ritornando i vinili, nel
punk e nell’hardcore non sono mai spariti,
ma tra un pò li fanno pure dei Tokyo Hotel...
27 CMPST #6[01.2008]
Fanzine
Forse perchè chi segue certa musica ha
voglia di qualcosa di più di un semplice file
nel p.c.
Si, si
Forse sia musicalmente che dal punto di
vista delle foto, della roba da leggere
Su questi argomenti sfondi una porta aperta... comunque c’è un ritorno, ma perchè si
possono coniugare entrambe, la fanzine
con una webzine d’appoggio. Poi puoi usare i programmi di grafica per fare delle belle
fanzine, non è che devi per forza farle con la
cartaccia, l’inchiostro che sbava...
Beh, fa un pò parte del loro fascino...
Si, si, però io letto delle fanzine tipo (non
me ne vogliano) “LaReMi” di Miccetta degli
Stinking Polecats che era simpatica ma belin
c’eran delle pagine che sbavavano via, facevo fatica a leggere, quella poi era scritta
a macchina, mi ricordo che era una di quelle
fanzine su cui ho perso qualche diottria...
C’era però quel fascino del volutamente
grezzo, di rozzo...se c’era una cosa che mi rimase impressa era che se le fanzine hardcore erano serissime, in quelle punk c’era una
dose di goliardia incredibile, le recensione
stesse...non avevano freni, qualunque cosa
passasse per l’anticamera del cervello veniva scritta...
È una delle tante differenze tra punk e hardcore, l’hardcore ti fa pensare a gente “che
ci crede”, il punk a gente che è più “sporca”,
che fa casino... l’hardcore ha meno il gusto
del provocare, ha più voglia di spiegare...
Beh, c’era stata un eccezione come
“T.V.O.R.”
“T.V.O.R.” è unica, seconde me, era una
fanzine fatta con spirito punk da gente hardcore...era rispettata dal giro del “Virus” di
Milano, che erano - come si legge e si sente
28 CMPST #6[01.2008]
dire - un po’ dei rompipalle... Erano veramente troppo seri...
Forse dopo tutti quegli anni di integralismo
era destino che spuntassero i Fichissimi...
Fanzine come “Parco Dio”...
Ma certo...
Rivendico il fatto che c’è una terza differenza: dopo il punk e l’hardcore è arrivato il
punk degli anni ‘90, che è un’altra cosa...
Prendi ad esempio la Lookout, se negli anni
80 la S.S.T. o la Alternative Tentacles avessero avuto un look fumettoso come quello
della Lookout li avrebbero linciati
È una reazione: prima i punk, che erano
troppo eccessivi, poi gli hardcore, che erano
troppi seri, poi dopo basta con questa serietà, ci avete rotto il cazzo, adesso comunque
sembra che un pò di serietà stia tornando, un
prendersi più sul serio...
Una cosa che notavo su fanzine come
“Abbestia” è che quando recensivano fanze
estere, specie dall’America, recensivano parecchie fanzine personali: forse solo “Abbestia” negli ultimi numeri è stato qualcosa del
genere, in Italia non si sono sviluppate...
...anche quella di Andrea Valentini, metteva pure i suoi collocqui di lavoro!
“Abbestia” era quasi un proto-blog...
“Blog ante litteram”, l’ho definita, perchè
aveva tutte le caratteristiche del blog, parlava di qualcosa che andava al di là della
musica, specie sugli ultimi due numeri...
Forse perché la fanzine è sempre stata vista
come una cosa corale, fatta da tanta gente
assieme, tanti collaboratori... Pomini, con rispetto parlando, era una “primadonna”, uno
che aveva tantissimo da dire.
Alla fine gli unici collaboratori eran quelli
che gli davano una mano con le recensioni
Nell’intervista che gli avevo fatto mi disse
che fondamentalmente la scriveva lui, ed
era il suo pensiero, e infatti ci metteva tanto
a scriverla...”T.V.O.R.” sembrava fatta da due
persone ma erano molte di più.
[nel frattempo - tra un disturbo sonoro e l’altro, che fa si che il dialogo a tratti non sia più
udibile - il discorso si sposta sulla qualità della
scrittura, specie in quelle anni ‘90]
...il contenuto era importante e bello, ma
ho notato una maggiore attenzione al lessico, anche nelle webzine: leggi Monnezza
(ora Dedication), per esempio, ti rendi conto
che a tutti i collaboratori facciano un minimo
di prova...
Beh, succede anche in quelle extra-punk,
come Rockit...
...come Sodapop, cioè è gente che scrive molto bene, oltre ad avere delle idee, in
modo coinvolgente, in modo “rock”, ben
fatto.
...che puntavano soprattutto sullo scritto...
...lui (Andrea Pomini, musicista e giornalista
musicale n.d.r.) li ritiene i migliori, è un misto tra
un blog, un libro, una rivista, un racconto...
Però - su internet - con le webzine e le blogzine è emerso un pò di pressapochismo, nel
senso che in tanti han provato a scrivere...
Ma anche con le fanzine succedeva, se
pensi che tra l’82 e l’85 che ne erano censite
400 fanzine, la quantità è tanta e la qualità
ne risente... nelle webzine... ho trovato anche
quelle scritte non alla grande... ma le webzine... possono permettersi di esser scritte meno
bene... la fanzine è approfondimento
Comunque il fenomeno delle “personal
zine” cartacee non è mai esploso
Ma infatti! In un certo senso ci mettevi talmente tanto a scriverle, a prepararle, eccete-
Fanzine
ra che l’argomento ormai era stato mangiato,
digerito e a quel punto è parte di te. La webzine invece...
...è l’immediato...
...parla di quello che accade in giornata...
...è la news! Qualcuno però prova a trattare degli approfondimenti, Dedication ma
anche Troublezine provano a fare degli approfondimenti, però sono diversi. Il web è l’immediatezza, l’urgenza... l’urgenza c’è anche
sulla carta, ma la webzine è meno pensata...
Nella fanzine c’è anche meno la possibilità di prendere degli abbagli clamorosi, c’è
meno il rischio di entusiasmarsi alla follia per
un gruppo e per una scena ci meditavi
Un aspetto sia negativo che positivo del
web è che davvero si concentrano troppo
sulle news, che è bello, perchè con mezzora al giorno sai tutto quello che accade; alla
fanzine non interessava essere sulla notizia,
interessava approfondire le cose, dare una
visione, parlare di qualcosa...
Sai qual’è una cosa che si è persa? La territorialità. A parte rarissimi casi (ovviamente
“Compost”, e sul web Genovatune, a Genova) c’è più la tendenza a parlare di quello
che accade musicalmente -chessò- in Canada piuttosto che quello che accade sotto
casa tua.
Secondo me la territorialità si è persa anche... Prima tu leggevi una fanza di Torino e
capivi che era di Torino, perchè partiva dal
contesto..
Prendi il caso di “Granducato Hardcore”:
è vero che aveva dietro una scena enorme,
leggendaria, ma ne era la voce a tutti gli effetti.
Esatto, dicevano “noi siamo questi” e testimoniavano se stessi e altre cose. La webzine ha la base a Milano, il collaboratore a
Genova, l’altro in Sicilia...ognuno poi porta
un pezzo, ma diventa più spuria, più vasta. La
webzine finisce per ricalcare un pò la rivista,
e prende il posta della rivista, la fanzine era...
una volta si diceva “le riviste non ci cagano,
allora ci facciamo noi la rivista”, adesso che
le riviste ci cagano, persino il defunto “Tutto
Musica” parlava di punk, “XL”...
...dove si raggiunge il caso limite, con la
pagine dei fumetti che pubblicano autori
che ai tempi sarebbero mai uscite dalle fanzine. Professor Bad Trip ci ha passato gli anni
confinato in quel mondo, mentre oggi farebbe le copertine di “XL”.
Beh, le webzine han rovinato la vita alle riviste, sono apparse “vecchie”, esattamente
come i giornali dopo il telegiornale e internet
Beh, però una certa estetica ha vinto
Perchè molti fanzinari son diventati giornalisti, o comunque tanti giornalisti han capito
che i fanzinari dettavano tendenza, come
accadde negli anni ‘50 quando i fanzinari
di fantascienza e pulp magazine dettavano
legge, perchè alla fine gli addetti ai lavori le
leggono, le guardano, cioè non sono estranei a questo mondo: o ne provengono o sanno che le devono utilizzare.
Però nel momento stesso in cui vincono
imponendo un’estetica perdono, perchè si
ritrovano senza più quella specificità che le
rendevano diverse...insomma, le varie Rockerilla/MucchioSelvaggio/Buscadero degli
anni d’oro avevano anche ottimi articoli ma
c’era un mondo tra loro e una fanzine, c’erano interi generi musicali, un’intera estetica
grafica
Se tu scrivi su una fanzine tu usi il linguaggio che vuoi, perchè non hai schemi. Se tu
leggi le riviste musicali leggi recensioni tutte
uguali, ti dicono cosa fanno, la canzone più
bella è questa e il voto è questo (e le fanzine
comunque stan rischiando quella fine li perchè vogliono emulare le riviste), però la fan-
Storia delle Fanzine
zine invece ha sempre avuto un linguaggio
più brioso, la recensione poteva essere di tre
parole (“è un gran bel disco, compratevelo e
andate affanculo”)...
...o magari la recensione era incorporata
in una column, che diventava una cosa tipo
“oggi ho letto un bel libro che mi ha fatto pensare a questo disco”, alla fine sapevi che il disco era bello perchè era citato da un column
che ti piaceva...
Ti invogliava veramente! anch’io ho fatto
delle recensioni sulle webzine(quando ho
tempo e volentieri) e mi sono accorto che
anch’io ero canonizzato. Dopo aver letto il
libro di Lester Bangs, che per fare la recensio29 CMPST #6[01.2008]
Fanzine
ne di “Funhouse” degli Stooges ci ha messo
due puntate su “Creem” e venti pagine, ho
capito che tu in una recensione puoi parlare
dei cazzi tuoi (“quel giorni lì ho comprato quel
disco... ho fatto quella cosa...”), la recensione
può andare un pò oltre, alla fine c’è anche
il piacere della lettura, non solo l’informazione...
film, recensivano pure i porno.
E qui si rientra di nuovo nella differenza tra
fanzine hardcore e punk: in quelle hardcore
c’era sempre un certo tentativo di inserire il
disco nel messaggio che cercava di dare,
di mettere forse magari esagerando, il messaggio davanti al disco, in quelle punk c’era
anche il gusto dell’insulto gratuito, il “niente
assoli da froci”, lo stile “aggressivo” alla Luca
Goti...
Anche ad esempio quelle fanzine che recensivano i dischi senza sentirli (come faceva
- poi ammettendolo - “Sewer”) , quelle cose
erano assurde, mentre la fanzine hardcore ti
metteva sempre i testi del gruppo, e metteva
il tutto in un ottica politica... c’erano alcune
fanzine che ti dicevano “è uscito questo e
quest’altro e va bene” ma dicevano poi se
il gruppo era vegetariano, se aveva un certo
tipo di etica...
...di rottura...
...si, son riusciti a prendere un suono (Screeching Weasel, Ramones, Queers) a italianizzarlo, con dei testi ben fatti, e in più son riusciti
nel ‘95 a far da spartiacque tra gli ‘80 -che
forse non erano ancora finiti- e il punk dei ‘90,
che poi è sfociato nel “flower punk rock” e in
tutto il resto...c’eran già i Senzabenza, ma i Fichissimi lo facevano in italiano...
...cioè, era un classico leggere sulla fanzine
hardcore la domanda “siete vegani?”...
Si! Un po come dicevano Pandin e Giaccone nel libro “Nel Cuore Della Bestia”!
A proposito delle fanzine punk: furono un
pò precursori - nel lato più goliardico - del recupero dell’estetica trash musicale, estetica,
del cinema di serie-b alla Tarantino.
In quelle anni 90, però. Prima se c’era era
involontario, erano contemporanee
Invece nel punk revival c’era.
Li c’era propio, c’eran delle fanzine specializzate su questo, addirittura “Blast” e “Dynamo” (riviste da edicola fatte praticamente
da fanzinari. n.d.r.) avevano rubriche su quei
30 CMPST #6[01.2008]
In quelle degli anni ‘90 c’era anche la gioia
di dire “siamo cresciuti guardando Bombolo”
Beh, pensa ai Fichissimi! Beh, alla fine si torna sempre su di loro; al di là di tutto son stati
un gruppo simbolo...
...diciamo che i Senzabenza erano gli
Hard-Ons italiani, ma non un gruppo “italiano”...
Si, i Senzabenza erano un’isola, mentre i Fichissimi hanno aperto molte più strade: è più
facile che un gruppo sia stato più influenzato
da loro che non dai Senzabenza, che pure
han fatto molti più dischi e qualitativamente
più belli da un certo punto di vista... mentre
quel fottutissimo 7” - farà inorridire molti - ma
è uno dei dischi più importanti del punk italiano, o almeno del revival punk italiano...
Un pò come i Negazione: nessuno avrebbe mai detto che erano i Black Flag italiani,
erano un gruppo italiano che suonava anche
come i Black Flag... qualcosa di diverso dal
resto del mondo...
[segue discorso sulla scena italica anni ‘90
sommerso dal rumore del traffico, che prosegue così:]
Negli anni ‘90 c’è stata un pò tabula rasa,
il punk, gli anni ‘70 sembravano lontani anni
luce, adesso sembrano molto più vicini, c’è
più revival, allora invece c’era tutto da reinventare, i gruppi (tranne i Kina) si erano tutti
sciolti, c’erano meno ristampe, mentre ora
ritornano con le ristampe i gruppi degli anni
‘70, ritornano con le ristampe i gruppi degli
anni ‘80, addirittura ritornano con le ristampe
i gruppi degli anni ‘90, è un gran calderone,
allora invece bisognava rifare tutto.
Per concludere, tra tutte le evoluzioni del
punk/hardocre, l’ultima dei ‘90 è stata il mondo emo: è strano che non si sia formato un
circuito di fanzine legato a quel mondo...ovviamente emo non inteso come i Finley
Si certo! Diciamo emo più come gli Affranti. Ho questa idea qua (e già il germe nasce
nei ‘90): alla fine quello dei ragazzi di adesso
o della mia età partono da un discorso musicale, non politico, ed è quello politico che
ti spinge a scrivere: tu sei nella “scena”, devi
dare il tuo contributo alla “scena”, devi divulgare. Adesso innanzi tutti hai tutto a portata
di mano, hai internet, scarichi, ma affronti il
discorso da un punto di vista musicale, ed è
vero che c’è la fanzine del fan musicale che
diffonde, ma hai meno stimoli a fare qualcosa, sei uno che compra della gran quantità di
musica dai megastore, ma non ti frega tanto di costruire qualcosa. Le fanzine, come le
case discografiche indipendenti, eran qualcosa che dovevi costruirti sennò non avevi la
tua musica.
In quel giro però sono emersi dei gran fumetti, Tuono Pettinato dei Laghetto, le cose
del tipo degli Altro...
Si, è vero, però li ha pesato di più la questione webzine, più pratiche...
Tralaltro quella è la generazione che avrebbe dovuto buttarsi sulle fanzine personali di
cui parlavamo prima...
Ma forse dicendo una banalità è la gente
che poi si è buttata sui blog...
...le foto di Flicker...
...Myspace...è brutto dirlo, ma forse Myspace potrebbe essere quasi la loro fanzine, in
fondo lo scopo è comunicare...
Fanzine
...però il problema è che quando hai così
tanta roba a tua disposizione...
...non scegli più...
...preferisci farti una bella estetica di contorno...
...ora puoi farti la fanzine con pochi soldi ,
puoi produrti un disco con pochi soldi, puoi
fare una webzine, ma non fanno niente, prima invece, che non potevi fare niente, cercavi di fare il più possibile e qualcosa saltava
fuori, adesso fai ben poco...è tutto più professionale ma paradossalmente c’è meno
voglia di fare le cose, forse perchè c’è qualcuno che fa per te, forse perchè ti accontenti
di quello che c’è, ti accontenti delle riviste, ti
accontenti di MTV che bene o male può passare qualcosa che sia vicina alle tue corde...
non lo so. Li vedo più gente che va a suonare,
suona e poi basta...mi da un’idea di una scena che non c’è, di gruppi singoli molto validi,
di gruppi singoli che fanno...non individualisti
ma quasi, gente che si organizza i tour, che
va, ma che non condivide troppe le cose...
Non parlo dei casi specifici, mi da un’idea
così generale...ma comunque è una scena
che conosco e frequento poco...
[seguono discorsi su dischi dell’anno, su
ristampe che finiscono - per entrambi, peraltro - per essere i “veri” dischi dell’anno e
così via...andate pure a vedere i suoi sul sito
di Metrodora!!!]
Tu hai dedicato il libro alle fanzine punk
e hardcore: hai dedicato un pò di tempo a
quelle di altri generi? e che impressione ti
hanno fatto?
Poco. Per gli anni ‘70 ho dato un’occhiata
a qualche “Re Nudo” e cose così...
Nooooooooooo, mi riferivo più a cose
come “Amen”(fanzine del giro goth milanese. n.d.r.)
“Amen” l’ho inserita nel libro, perchè era
del giro del cosiddetto “collettivo creature
affini” (i fiancheggiatori del giro h.c. Milanese
del “Virus”)...
Beh, anche nel giro goth era diffusa la cultura della fanzine, mi ricordo che fino a metà
dei ‘90 se ne vedevano ancora due o tre che
circolavano...
Io avevo letto un paio di fanzine di quel periodo, ma non ricordo il nome...
“Petali Viola”? Ricordo che doveva esserci
una fanza con un nome simile... Andrò a ricontrollare a casa sugli annunci dei primi numeri di “Rumore”... Ah, ecco: una cosa che
ha un pò fregato le fanzine, mi ricordo che
una volta su “Rumore” e su “Dynamo” c’erano i “piccoli annunci” dove potevi pubblicizzare la tua fanzine (anzi, metà eran del proprio “è uscito il nuovo numero di...”), quando
è sparito quello è crollato un altro canale di
distribuzione...
Un pò l’aveva fatto Rocksound con i primi
numeri di “Speciale Punk”, poi anche loro
avevano mollato... paradossalmente le uniche a farlo sono le Webzine: su “Punkadeca”
puntualmente appaiono post sulle fanze con
le info su come reperirle, su Troublezine c’è
“God save the fanza”, curato da Max Rozzo,
che analizza le fanzine più interessanti...però
il fatto che prima apparisse su una rivista da
edicola era una cosa che dava un senso
di rispetto verso quel mondo. Se ne vedono
molte meno di fanzine, nonostante siano una
cosa della madonna...”Bam Bam Magazine”
è quasi una rivista, ha il cd, interviste a gente
da tutto il mondo...poi esce quando cacchio
vuole, ma è più una rivista, denominarla fanzine è quasi riduttivo...
Diciamo che è più vicina a certe fanze
americane “storiche” tipo “Gearhead”...
...si, quasi alla “Flipside” anche...”Maximum
Rock’n’Roll” invece è sempre rimasta la stessa...
La copertina di Felipe Got Shot zine
È sempre rimasta la stessa, rozza e con l’inchiostro che ti rimane sulle dita...
Invece “Flipside” è cambiata, e diventata
più patinata...
Basta così?
Basta così!
Il libro è reperibile da
http://www.e-redazione.it
Husker, il blog di Diego
http://husker.splinder.com
31 CMPST #6[01.2008]
Fanzine
“È come se Genova dicesse “Mamma chissà come sono ansiosi tutti di
venire a Genova”, si siede e aspetta.”
Blow-Up
Intervista con Marco Sideri
di Daniele Guasco
SCRIVERE COI PUGNI
Sono sempre stato molto curioso di scoprire, da debole recensore
internettiano, le dinamiche e le storie che stanno dietro al giornalismo musicale su carta, quello che possiamo trovare nelle nostre edicole. L’occasione per colmare queste mie domande mi arriva da
un genovese in prestito a Milano ma già profondamente colpito nel
suo accento: Marco Sideri, una delle prolifiche penne di Blow-Up.
Si possono dire tante cose di Genova nel
periodo natalizio, normalmente la regina delle lamentele riguarda la marea di gente che
investe i negozi in cerca dell’inarrivabile santo
graal del regalo perfetto; a me quello che colpisce di più è il freddo siderale mentre aspetto
Marco in pieno centro. Ringrazio più divinità
per la sua puntualità, ci infiliamo subito nel bar
più vicino e possiamo iniziare la nostra chiacchierata.
Partirei da “Blow-Up”. Sei una delle colonne
della redazione di una delle più note riviste
musicali italiane. Venendo da una webzine
peraltro dall’organizzazione molto anarchica
mi han sempre incuriosito le dinamiche con
cui si muove una rivista simile. Cosa puoi raccontare al riguardo?
Il funzionamento di “Blow-Up” passa sostanzialmente attraverso le scadenze, sarebbe
bellissimo avere una redazione fisica dove
incontrarsi, invece il tutto si muove grazie a email e a telefonate. Con il tempo, almeno a
me è successo così, riesci a gestirti con più efficacia: ti arrivano i dischi, selezioni quelli buoni,
pensi su quali potresti scrivere un articolo, man32 CMPST #6[01.2008]
di una mail al direttore e se va bene contatti
il distributore e gli dici “vorrei fare un articolo
su...”, e fai l’intervista o la non-intervista o la monografia. La cosa che tiene su il tutto, è brutto
da dire, ma è geometricamente la scadenza,
sai che un giorno devi consegnare gli articoli
un altro le recensioni e trovi il modo di organizzarti. Parlandoti della mia esperienza, noi
troviamo a volte problemi nel non avere una
vera e propria linea editoriale, sono curioso di
sapere come cambia il metodo di lavoro a un
livello come quello di “Blow-Up”. Conosco solo
“Blow-Up” dal di dentro, non posso parlare di
altri giornali, e posso come funziona per noi. I
gusti musicali stanno al fondo di quello di cui
ti occupi, devi conoscere quello di cui scrivi.
A me magari può anche piacere un disco di
elettronica, ma conoscendo poco il genere il
primo lettore che invece ne capisce può scrivermi dandomi del cretino. La prima grossa
scrematura avviene prima di iniziare a scrivere,
è la musica che scegli per te stesso. Mano a
mano crei il tuo “settore”. Poi è ovvio si arriva
anche a scavalcare queste barriere, sarebbe
una palla terrificante scrivere sempre di cose
simili, al decimo disco affine che ascolti rischi di
odiarlo anche nel caso fosse un capolavoro.
Mi succede la stessa identica cosa.
Esattamente, più vai avanti più diversifichi,
ma l’importante resta sapere quello di cui stai
scrivendo. Questo discorso lo conoscerai anche tu, la gran parte delle webzine sono fatte molto bene; la sfida per una rivista è saper
dare qualcosa in più.
Infatti volevo anche chiederti del confronto
tra stampa e rete, sulle differenze nelle loro logiche.
Le logiche della stampa sono diverse nel
senso che c’è sempre chi bene o male legge
articoli e recensioni e vaglia la qualità. Scrivere
in rete di fatto è come incidersi il proprio disco:
uno può essere il nuovo Nick Drake quanto un
incompetente assoluto, allo stesso modo le
webzine hanno talenti pazzeschi che scrivono
benissimo e hanno culture musicali mastodontiche così come altri più scarsi. Nelle riviste c’è
sicuramente più controllo, anche se questo
non vuol dire che se scrivi su una rivista sei per
forza bravo. Le riviste son tante e ognuna con
le sue caratteristiche, io personalmente leggo
ancora ma il pubblico si restringe. Molte persone abbandonano la carta stampata perché
dicono che in rete possono trovare tutto quello
che gli serve.
Così come per la stampa anche per i dischi
secondo me la rete ha avuto tanti lati positivi
ma anche tanti effetti negativi, sulle column di
Fanzine
“Compost” sto insistendo molto sul fatto che la
gente ricorrendo ai peer to peer non ascolta
più gli album con la cura che magari meriterebbero, sta venendo a mancare quell’attaccamento all’album che ti sei scelto e comprato, come se si andasse verso una musica usa
e getta.
Sono vere due cose, prima di tutto che certi dischi non meritano anche se magari li hai
comprati. Si vuole trattare come fenomeno sociologico una cosa personale, ad esempio io
non ho mai scaricato canzoni da internet e anche masterizzare un disco mi scoccia ma non
per ragioni etiche, se vuoi venire a casa mia
domani e copiarti tutti i miei dischi, vieni pure,
ma poi son fatti tuoi, secondo me non ne avrai
nessun godimento. È chiaro che il ventenne di
oggi, magari nato con questo modo di ascolto, non ha quello che per me è il piacere del LP,
e per come la vedo io ci perde.
Anche da un punto di vista artistico per questo sistema vanno anche a crearsi i fin troppi
nuovi “fenomeni musicali”. La persona che si
legge tre recensioni positive, si scarica il disco,
lo ascolta una volta e pensa subito che è un
capolavoro ma poi lo abbandona per passare
al “fenomeno” successivo.
Son d’accordo ma è il mega-dilemma del
“capolavoro” che, diciamolo, un po’ ci caschiamo tutti. Ad esempio mi compro “Mojo”
o “Uncut”, leggo del super-discone, mi viene
quel prurito e me lo prendo subito, poi magari
dopo dieci giorni in casa smetto totalmente di
ascoltarlo. D’altro canto però i dischi non vendono più, creare fenomeni è l’unico modo per
provare a vendere e quindi sia chi li fa che chi
li commenta è interessato a giocare a questo
gioco; un disco ormai sta sugli scaffali un mese,
poi non se ne parla più.
Infatti secondo me si sta perdendo anche la
longevità dei dischi.
Si, poi magari riscopri dischi che non ascolti
da anni, hai una quantità enorme di plastica
orrenda in casa e può succedere che ti svegli
una mattina d’estate in mutande metti uno di
“Creare fenomeni è l’unico modo
per provare a vendere e quindi
sia chi li fa che chi li commenta è
interessato a giocare a questo gioco.“
questi capolavori dimenticati nello stereo, ed è
un’epifania quando sa ridarti certe sensazioni.
Tornando al tuo lavoro qual’è secondo te
una buona recensione? Io sono sempre stato
nella mia confutabile posizione in cui preferisco recensioni più personali che tecniche o
eccessivamente per generi.
Non sono molto d’accordo: o meglio, la recensione “personale” è il massimo, ma devi
essere veramente bravo, e non capita spesso.
Io non so suonare niente quindi e non posso
parlare di tecnica in senso stretto. La prima
cosa importante è pensare sempre che hai un
lettore davanti e devi metterti anche nei suoi
panni, poi devi scrivere bene e li è un casino,
parlando di me tante volte non scrivo bene,
non come vorrei, e invece una recensione la
devi saper scrivere. L’inquadramento in genere per me è importantissimo, se è fatto bene,
ma si torna sul discorso dello scrivere. Quello
che importa è il punto d’arrivo, il far trasparire
il punto tecnico dalla recensione personale
parlando in via generale. Anche il fare i nomi
di altri artisti in una recensione per me è importante, se ad esempio ascolto un disco che si
rifà tantissimo ai Jam lo scrivo, magari trovo il
lettore che non conosce i Jam e va a scoprirli.
Si corre poi un grosso rischio: magari scrivendo
trovi la giusta metafora e solo su quella riesci a
fare la recensione, ma poi può succedere che
quanto hai scritto faccia la fine di troppi, che
la recensione duri un minuto. Se una persona
è brava realmente a scrivere però non recensisce dischi fa ben altro.
Restando su “Blow-Up” la sua notorietà la
rende anche molto discussa, cosa pensi delle
critiche spesso feroci al vostro lavoro?
Alla faccia. Le critiche da un lato sono molto
divertenti perché opposte e contrarie, “BlowUp” o lo scavalchi a destra o lo scavalchi a sinistra, bene non va mai: o trovi chi dice “si sono
sputtanati, sono commercialissimi, mamma
mia un tempo si che erano pazzeschi (oltretutto quando non ci scrivevo io erano i tempi
d’oro)” oppure dall’altra parte le accuse sono
“mamma mia come scrivono, non si capisce
niente di quel che scrivono, tutto complicatissimo, questi dischi non li ascolta mai nessuno,
figurati dieci pagine sull’avanguardia” che
rottura di palle. Il pubblico da coccolare per
noi è quello specialistico perché son quelli
che gliene importa, magari se vuoi leggerti la
non-intervista a Bruce Springsteen non vai sicuramente a comprarti “Blow-Up”, però secondo me è una rivista onesta fatta da persone
oneste ognuna coi suoi gusti, ti affezioni alle
penne, o almeno io da lettore funziono così
“Blow-Up” compreso, ma non solo parlando di
musica. Per me “Blow-Up” il suo lavoro ancora
lo fa, non vedo questo crollo qualitativo pazzesco. Capita di trovare sia il gruppo o l’artista
famosissimo o comunque ben noto quanto in
copertina il musicista che nemmeno io che
ci scrivo ho idea di chi sia. La rivista è fatta da
gente che secondo me ha provato sulla sua
pelle cosa vuol dire amare quel gruppo o quel
disco, e è questo l’importante.
Per chiudere il discorso “Blow-Up” ho visto
che da un paio di mesi la redazione si è messa
a fare dei podcast ma per ora te non sei ancora presente in questa iniziativa.
Guarda, ho anche fatto un numero zero. Io
so spedire e-mail velocissimo e cavalco world
come una tigre ma ho un handicap tecnico
grandissimo, da solo non sono in grado. Mi
sono appoggiato a un amico, Giovannino,
ma lui è di Genova e quindi salta fuori il problema del tempo. Potessi farei podcast tutto il
giorno, lo farei ma per ora non sono riuscito a
finire neanche il numero zero, mi piacerebbe
farli e mi piace l’idea, ma non ce la faccio.
Andiamo su territori più locali, te vieni da
Genova ma ormai vivi a Milano, quali sono le
differenze principali dal punto di vista della vita
di tutti i giorni e anche da quello musicale tra le
due città secondo te?
Intanto a Milano la vita di tutti i giorni si riassume così: c’è più lavoro per tanti lavori e in tanti
ci vanno, ci sono così finito anch’io da un anno
proprio per questo e non per quello di giornalista musicale ma per quell’altro. Sulla musica è
una questione dimensionale e di pubblico, a
Milano c’è tantissima roba, sempre, chi passa
dall’Italia a suonare passa a Milano, i gruppi
italiani passano a Milano, questo anche perché c’è un pubblico determinato per ogni
cosa, quindi se tu fai la serata gothic con solo
revival di un gruppo che ha fatto un 45 giri nel
1983 a Bristol ci sono trenta persone che ci vanno, questo a Genova è già più difficile.
33 CMPST #6[01.2008]
Fanzine
“Se ai primi tre concerti non viene
nessuno si rinuncia alla continuità.“
Secondo te cosa manca a Genova per diventare anch’essa un centro importante per la
musica in Italia?
A me Genova piace tantissimo come città
e di sicuro esteticamente è più bella di Milano.
Genova però ha un po’ un’opinione che tutto
le sia dovuto perché è una strafiga, cosa non
vera perché le cose devi andartele a cercare
e non solo in musica, guarda l’aeroporto che
perde voli tutti i giorni mentre Pisa ti collega
con Osaka in Giappone, questa mentalità si
applica anche alla musica, soprattutto a livelli
più mainstream, è come se Genova dicesse
“Mamma chissà come sono ansiosi tutti di venire a Genova”, si siede e aspetta. Oltretutto
ogni cosa che fa è sempre importantissima,
deve diventare invece prima di tutto normale,
non importante. Certamente c’è un problema
di pubblico.
Ancora più che di pubblico per me e anche
per tanti altri il problema risiede in una mancanza di coraggio sia istituzionale che imprenditoriale.
Beh ma a Nonantola io non credo che
quando aprì il Vox ci andasse tutta sta gente,
col passare degli anni è successo spesso anche a me di prendere la macchina e andare
li a un concerto, a Genova questa cosa non si
fa. Se ai primi tre concerti non viene nessuno si
rinuncia alla continuità.
Del panorama musicale genovese invece
cosa ne pensi?
Mi piace, anche se devo ammettere che
lo conosco solo mediamente, conosco tante
persone, ottime persone, che sono bravissime.
Io la conoscevo più dall’interno alcuni anni fa
quando pur non sapendo suonare mi attaccavo agli amici che suonavano per far parte
della cosiddetta scena.
Per come la conosci ti sembra sia cambiato
qualcosa da quegli anni?
Secondo me no, i problemi sono sempre
gli stessi, anche se appunto non sono proprio
dentro i meccanismi del panorama adesso. Ci
34 CMPST #6[01.2008]
sono comunque anche ora tante persone in
gamba che si impegnano, gente che suona
molto bene così come dei cagnacci che però
convivono. Purtroppo molti locali han chiuso, il
Lucrezia, il Fitzcarraldo, ma io dico questa cosa
e molti potrebbero rispondermi che non è che
mi si veda tanto nei locali, e avrebbero ragione. Io sono piuttosto pigro e mi prendo le mie
buone colpe ma vedo che comunque oggi
ci sono cose molto belle, basta pensare al Buridda.
Secondo te i gruppi genovesi hanno difficoltà a uscire dai confini cittadini?
Tutti han difficoltà ad uscire anche fuori Genova, al di là della collocazione geografica.
Se guardi c’è stato un momento che il Veneto
sembrava la New York degli anni settanta, ne
saran rimasti tre gruppi. È una questione di investimenti che non ci sono, né a Genova né
altrove.
Restando su Genova collabori attivamente
con il negozio Disco club, come nasce questo
sodalizio?
Ecco, come sono pigro per i locali non lo
sono assolutamente per i negozi di dischi. Ci
sono cresciuto, prima da Pink Moon poi da
Disco club, mi trovo benissimo e i dischi me li
continuo a comprare se mi piacciono e umanamente la collaborazione è solo un’estrinsecazione pratica, quindi si arriva alla pagina sul
“Corriere mercantile”. È una cosa importante
così come le amicizie, o come chi va assieme
allo stadio o come cose che non ho mai capito cosa ci provi la gente come il nuoto, io vado
nel negozio di dischi dove ci si incontra, certo
ora la collaborazione stando a Milano è principalmente telematica, però secondo me è
importante che ci siano esercizi simili e anche il
collaborare per me è importante. In quell’ambito sono molto più attivo. Poi di fatto i negozi
di dischi così a Genova vanno esaurendosi,
Pink Moon, riposi in pace, è chiuso da tantissimi
anni, Felipe ha chiuso, ne restano pochissimi e
quindi mi piace l’idea che sia come in quei film
inglesi in cui si difende il mercato di quartiere.
Quand’è che ti troveremo a scrivere sulle
pagine di “Compost”?
Quando mi farete entrare nella crew. Esigo
“È una questione di investimenti che
non ci sono, né a Genova né altrove.“
di entrare nella crew come precondizione.
Beh prendi questa domanda come invito ufficiale a far parte della cricca.
Comunque “Compost” mi piace molto, oltre che per i contenuti anche per il fatto che è
difficile trovare oggi qualcuno che si prenda il
disturbo di fare una fanzine cartacea, è come
per il discorso sui dischi che facevamo prima,
per me è un merito gigante se poi vedi anche
la gente che risponde è ancora meglio.
Cercando notizie su di te mi ha incuriosito
molto la tua partecipazione alle manifestazioni
di “Pugilato Letterario”, mi sembra un’iniziativa splendida.
Una cosa bellissima, io l’ho fatto come “pugile”, non come organizzatore. L’ha inventato
una persona che lavora nel sistema bibliotecario di Vimercate e dintorni e con la scuola
Holden di Torino. Consiste in questa formula
inventata per i libri, c’è un attore che fa l’arbitro
e intrattiene, vestito letteralmente da arbitro
da pugilato, e due sfidanti che difendono e
attaccano una cosa, normalmente un mostro
sacro.
Mi ha fatto un effetto strano leggere di un genovese che attacca De Andrè infatti.
Quando ho fatto “pro e contro i Beatles”
sono stato ancora più agguerrito, De Andrè mi
piace moltissimo ma al cuore non si comanda
quindi stavo dalla parte di Guccini. Comunque è una iniziativa veramente molto bella, oltretutto funziona benissimo, viene tanta gente
e si diverte tantissimo. La formula è mettere un
nome famoso e uno meno noto come pugili, io ovviamente faccio sempre quello non
famoso, il tutto poi si svolge in sei round. Una
domanda che mi sono fatto è stata proprio “A
Genova funzionerebbe una cosa simile”? Non
lo so ma per ora nei due incontri che ho fatto
mi sono divertito tantissimo e lo rifarei subito.
Leggi le recensioni di Marco su
http://www.discoclub65.it/
Columns
Indie Maphia For Dummies
di Daniele Guasco
Una delle caratteristiche ricorrenti nel mondo
indie più modaiolo, una delle sue sfaccettature
più criticate, è sicuramente il puntare sulla nostalgia degli ascoltatori andando a toccare idoli dell’infanzia, status symbol del periodo pre-adolescenziale, canzoni e colori che erano ormai quasi
dimenticati, e più si cala sul trash più si va a vincere
la diffidenza del pubblico. Inutile prendersi in giro
e girarci attorno, in questo trabocchetto artistico
ci caschiamo tutti, volenti o nolenti. Io immune?
Mi fai vedere qualche puttanata da cartoni animati anni ottanta o due spari a “Duck hunt” e non
capisco più niente, gongolo come un bambino
a Gardaland. Difficile che cammini per la mia città, Rapallo, al di là di quelle solite tre o quattro vie,
ma qualche giorno fa mi sono ritrovato nella zona
in cui mia madre aveva in suo negozio di lane e filati quando ero piccolo e vi posso assicurare che
ne sono cambiate a bizzeffe di cose da quando
ha cessato l’attività più di dieci anni fa. Al posto
dell’occorrente per la maglieria ben disposto in
vetrina oggi ci sono le enigmatiche tavole di un
progettista di interni, o almeno credo, vedere
quei vetri un tempo simbolo di caldo e colore
ridotte così mi avrebbe fatto malissimo, meno
male che a qualche decina di metri di distanza
resiste come un dinosauro distratto l’elettrauto di
Italo. Andando avanti però ho ritrovate altre sorprese più o meno spiacevoli. Il bar di Ennio avrebbe fatto impazzire Stefano Benni, e con le monetine spese giocando a “Capitan commando”
oggi probabilmente potrei comprarmi uno yacht,
maledizione alla Capcom, al suo posto però ora
c’è una asettica agenzia immobiliare, un incubo
bianco in uno spazio sproporzionato per tre seggiole e una scrivania. Dove un tempo trovavo il
negozio di animali dove andare a guardare le
bestiole nelle gabbie oggi potrei telefonare a
tutto il mondo a prezzi convenienti in mezzo a un
minestrone etnico. In mezzo a questa overdose
di mutazioni commerciali e sociali quello che mi
ha colpito di più era uno spazio vuoto, un fondo
inutilizzato, e proprio li in tempi non sospetti risiedeva il maggior colpevole della mia passione per la
musica: il noleggio dei cd. Non so quanto fosse
legale già all’epoca, ma per poco più di un anno
sono andati avanti. Una coppia di ragazzi aveva
messo in piedi questa attività dove per un paio
di mille lire potevi affittarti un cd per tre giorni, e
io dodicenne passavo intere giornate a scegliere
cosa avrei ascoltato nella settimana che veniva,
se poi il cd mi piaceva facevo finta di niente e
prima di rendere il cd me lo mettevo su musicassetta. La cosa che mi ha fatto riflettere è che quei
cd li consumavo letteralmente quando arrivavo
a caso e li mettevo nello stereo, ormai satollo da
vere e proprie indigestioni di grunge, saturo della
malinconia dei cantautori italiani e stanco di sbelicarsi con i primi album degli Elio e le storie tese (il
gestore del negozio era un loro fan della prima
ora). Tornare in quella zona della città mai presa
in considerazione per molti anni mi ha messo addosso molta malinconia, ma allo stesso tempo mi
ha ricordato un posto che avevo praticamente
rimosso dalla mia memoria e che invece è stato
relativamente importante per me, un posto che
mi ha dato tanta musica e che rimpiango, alla
faccia dei mezzi di internet e di tutte le chiacchiere che si fanno e che faccio oggi, alla facciaccia
dell’indie e della nostalgia pilotata.
Valutazioni Di Impatto Ambientale
di Alessandro Lentini
Il 18 ottobre del 2006 con una affollatissima
assemblea nella palestra del dopolavoro ferroviario di via porro (sampierdarena) nasce il comitato spontaneo antigronda valpolcevera.“gli
appartenenti al nostro comitato non sono né
politici di professione né barricaderi per vocazione, ma persone normali che hanno sentito
l’esigenza di unirsi per difendere le proprie case
e le proprie radici cercando di proporre soluzioni
alternative a un opera fortemente penalizzante,
difendendo beni primari come la casa e la salute”; cosi si autodefiniscono in una lettera inviata
qualche mese fa al secolo xix. Questo comitato
è sorto spontaneamente dalle preoccupazioni
dei cittadini sulla sorte delle proprie abitazioni
che dovranno essere demolite nell’ambito del
progetto della gronda di ponente, che prevede
la costruzione di un nuovo ponte sul polcevera
ed il successivo abbattimento del Ponte Morandi. Per semplicità quello che molti chiamano
di brooklin. La gronda è una mega-opera che
starà tutta sul territorio del comune di Genova
e non è altro che un’altra autostrada a pedaggio, che andrà ad affiancarsi e non a sostituirsi
a quella attuale, che rimarrà anch’essa a pedaggio. La costruzione di questa mostruosità
richiederà anni durante i quali da Voltri a Sampierdarena migliaia di persone vedranno transitare sotto le loro finestre centinaia di camion
pieni di terra, betoniere, mezzi di sollevamento,
ecc., che si sommeranno al traffico cittadino e
ai TIR che già ci sono e che diventeranno sempre di più. Alla fine di questo calvario troveremo
una città più inquinata, un ambiente più devastato e forse avremo la soddisfazione di vedere
sul nuovo Ponte una coda di mezzi su quattro
corsie anzichè su due!!! Nella zona della bassa
valpolcevera (via fillak, via porro, campasso)
e nelle vallate voltresi prevede la demolizione
di molte abitazioni e il conseguente allontanamento di centinaia e centinaia di famiglie. Sono
proprio loro i protagonisti e gli animatori di questi
comitati riuniti in un coordinamento trasversale.
Certo molti posono pensare chesia l’ennesimo
comitato in una città come Genova, che soprattutto nel suo ponente, ha la più alta concentrazione di comitati spontanei di tutta italia,
ma qualcosa vorrà dire? La voglia di partecipazione della gente ormai ha fatto si che questo
comitato diventasse un vero interlocutore per
movimenti partiti e istituzioni. ciò avviene perchè
il progetto gronda e strategico per l’idea di città
che hanno lobbies economiche e politiche del
capoluogo ligure. senza lo smarino della gronda
come si potrebbe riempire il mare per ospitare
milioni di container, senza questi come sarebbe
giustificabile l’altra inutile opera: il terzo valico?
per info: antigronda.splinder.com
sampierdarena.splinder.com
35 CMPST #6[01.2008]
Columns
An inconvenient truth
ovvero anche COMPOST dà il suo contributo per rallentare il cambiamento
climatico
di Carlotta Queirazza
Rock verde e compost da appartamento
Durante uno dei mille tragitti in treno leggevo
un articolo di Internazionale sul rock verde, ovvero le iniziative a tutela dell’ambiente dei festival musicali e dei gruppi. Sembra che le iniziative si stiano moltiplicando come funghi. Anche
nella scena iniziale del film dei Simpson i Green
Day cercano di sensibilizzare il pubblico sul lago
inquinato di Springfield (tentativo che fallisce
miseramente). Quindi cd biodegradabili, copertine di carta riciclata. ..la copertina del cd
come ‘vuoto a rendere’, porti la custodia vuota
e ti viene scalato un euro sull’acquisto del cd
nuovo.. oppure locandine e flyer di carta riciclata.. loghi stampati su magliette e cappellini
usati.. e eco-mascotte.. A proposito (o quasi) di
eco-mascotte.. i lombrichi.. la scorsa settimana
sono andata a trovare la mia amica esperta
di compost da appartamento e ho provato
a farlo anch’io. Il compost da appartamento
si distingue da quello tradizionale innanzitutto
per le dimensioni poi per la presenza appunto
di simpatici lombrichi rosso/bianchi. Se decideste di cimentarvi in questa magica esperienza,
ecco alcune indicazioni su come procedere:
fornitevi di un contenitore in legno o plastica le cui dimensioni saranno proporzionali
alla quantità di rifiuti organici che producete.
Potete raccoglierli per una settimana, pesarli e
poi scegliere un contenitore di circa 20 per 30
centimetri (alto circa 15) per ogni mezzo chilo
di rifiuti organici prodotti. A questo punto forate
il coperchio e il fondo in più punti per ventilare
e drenare il vostro compost e ponetevi sotto
una bacinella nella quale il contenitore dovrà
essere posto leggermente sollevato, magari
utilizzando dei piedini, per permettere il drenaggio (la parte liquida che verrà prodotta
sarà una vera manna per le vostre piante!). Po36 CMPST #6[01.2008]
nete alcune strisce di giornale accartocciate e
delle foglie secche mischiate ai rifiuti organici
che formeranno le condizioni ottimali per i lombrichi. Questi utilissimi esserini possono essere
trovati nel terreno dei parchi, in primavera ed
estate anche a piccole profondità, in inverno
però si rifugiamo nelle parti più riparate e quindi
più profonde del suolo. In alternativa possono
essere acquistati nei negozi di materiale da
pesca, occhio che il negoziante non ve li dia
dal frigo perché in questo caso sarà facile che
i poverelli siano già morti e stecchiti. I lombrichi
si moltiplicheranno poi piuttosto velocemente (tranquilli, non abbastanza da invadere la
casa) e saranno quindi sufficienti circa 6 o 7 per
iniziare. Bucce di frutta, gusci d’uovo, bustine
di tè o caffé sono tra i rifiuti organici più adatti
(sconsiglio di mettere avanzi di carne e rifiuti eccessivamente oleosi). Quando i rifiuti saranno
sostituiti da un terriccio marrone che occuperà
meno spazio dei materiali di partenza, questo
potrà essere prelevato e diventare ottimo nutrimento per le vostre piante. A questo punto
sarà necessario ricreare il substrato di partenza
(giornale+foglie+rifiuiti organici) per evitare la
morte dei vostri ormai amici lombrichi. Il modo
migliore è accumulare su un lato del contenitore il terriccio che si è formato, ricreare il substrato
dal lato opposto ed aspettare che i lombrichi
migrino dal terriccio al substrato. Nelle prime
settimane il mio compost mi ha fatto un effetto estremamente salutare, molto simile ad un
acquario che cattura l’attenzione per ore e allontana dalla mente stress e preoccupazioni..
insomma, non siate schizzinosi e provate.
This Ain’t No BBQ
di Anna Positano
Per prima cosa questa volta voglio ringraziare Ivan dei Dresda, per tutto l’aiuto che mi dà in
cucina, un po’ in stile Cenerentola. Si, perché si
trova a compiere le mansioni più noiose (non
che il resto risulti particolarmente entusiasmante!), e nonostante tutto non si è mai lamentato:
si mette lì in compagnia di una birretta e lava
insalata, pentole, verdure, taglia le cipolle con
conseguenti lacrime, porta la spesa pesante...
Però a casa sua, a quanto emerge da fonti
piuttosto sicure, risulta essere un po’ meno volenteroso, ed è la sua coinquilina a rivestire il
ruolo di Cenerentola. Ora, questa non è una
rubrica di economia domestica, e non sono
nemmeno la nonnetta del settimanale tv che
dà consigli su come pulire la macchia di sugo
dalla camicia di vostro marito, utilizzando un kit
da Macgyver. Quindi non è questa la sede idonea per spiegarvi che ogni tanto bisogna pulire il pavimento e lavare i piatti di tre giorni fa.
Passo subito alla ricetta, perché ho pochissimo
tempo. Questa è una specie di insalata piuttosto facile e veloce, da fare d’inverno.
un pezzo di cavolo viola (va bene anche
bianco)
un po’ di sedano-rapa (il fruttivendolo sa cos’è, non preoccupatevi)
parmigiano (non grattuggiato)
aceto
olio
sale
Affettate molto sottili le verdure e il parmigiano e conditele in un piatto con aceto, olio e
sale. il cavolo viola farà diventare rosa il sedano-rapa e il parmigiano. è normale, non preoccupatevi!
A Steady Diet Of Mat
di Matteo Casari
Che poi se Compost ce l’ha su col web 2.0
è un po’ colpa mia. È giusto che me la pigli in
toto. E poi sono il primo che ci è cascato come
una pera cotta. Ora. Myspace sucks, facile dirlo, leggete l’intervista e i link suggeriti da Francois Cambuzat per rendervi conto di un po’ di
cose. Ma tant’è avere tanti amici ti dà quell’aria
di esserti occupato a modino dei tuoi fantastici rapporti interpersonali e di aver adempiuto
a tutte le necessità ed esigenze di un gruppo.
E proprio ora se ne spunta fuori questo virb.
com. Ammetto che devo ancora provarlo, se
non erro Fabio Zuffanti, attento conoscitore dei
Columns
trend, ci è già dentro fino al collo. Poi grazie a
Stumble e al suo plugin su Firefox riesco a cazzeggiare amabilmente con il solo scotto di un
click col mouse. E mi vengono propinati decine
e decine di social engines atti a unire i peggio
reconditi desideri dei peggio emarginati. Già
si fa fatica a mettere su e tenere in piedi un
gruppo, ora puoi scambiarti in real time materiale musicale, lavorare sulle basi fatte da altri
e collaborare e addirittura fare uscire un disco.
Mi sento vecchio. E, non me ne voglia. lo dica
nell’accezione migliore del termine, uno dei
miei più vecchi amici che mi indirizza su Anobii.
com. Social networking basato sulla biblioteca
personale. Ordine ed export file in csv e excel
della lista dei libri, suggerimenti e un’utile funzione di lista dei desiderata. I libri fanno vecchio
non fanno punk, i consigli degli amici però si.
E seguire i consigli di Intortetor ti mette voglia
di leggere ancora di più. E a quel punto, mentre smanetti i codici ISBN dei tuoi tanto sudati
libri, vuoi perder tempo a scegliere i cd? Dai
oh, che scemo sei? Fatti una radio personalizzata! C’è anche quella di Marsiglia e quella di
Disorder Drama, su last.fm che ti monitora ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette.
Dai tuoi gusti. Risale al tuo umore. Dai tuoi gusti
risale al tuo umore. Dai tuoi gusti. Dai tuoi gusti.
Gusti. De Gustibus. Che tutto ciò sia fatto solo e
unicamente per saggiare, pubblicitariamente
parlando, i tuoi gusti e per plagiarteli violentemente neanche ti balza all’orecchio? Qui è
dove mi piglia peggio. Dove tutto questo suona male, stonato. Ho recentemente accettato
di farmi scandagliare i gusti e farmi suggerire
gli amici su molti dei detti portali. Fin qui tutto
bene, ma si sa che il problema non sta nella
caduta ma nell’atterraggio.
Non Sono Un Poeta
di El Pelandro
Soggettivo e opinabile quanto si vuole, ma
ritengo sia molto meglio avere una botta di
culo che una botta nel culo.
Link consigliati
da Francois Cambuzat
Per chi volesse saperne di più ecco qualche
sito per informarsi:
ht tp://w w w.sourcewatch.org/index.
php?title=Rupert_Murdoch
http://en.wikipedia.org/wiki/Rupert_Murdoch
http://www.davduf.net/rupert-murdoch-ometre-news-corp-a.html?var_recherche=rup
ert%20murdoch
http://www.monde-diplomatique.fr/recher
che?s=rupert+murdoch
ht tp://w w w.acrimed.org/recherche.
php3?recherche=murdoch
http://www.economist.com/search/search.
cfm?area=5&cb=46&qr=Rupert%20Murdoc
h&rv=2&keywords=1
http://www.transnationale.org/companies/
murdoch_kenneth_rupert.php
http://www.opensecrets.org/
http://www.local.attac.org/paris11/groupe/
medias/articles/article8.htm
http://www.newscorp.com
Valide Allternative al Bricolage Culturale DIYC 2.0
risponde il Dott. Cesare Pezzoni
Caro Dottore, sono spaventato a morte. Ho
speso una vita a studiare regolette di marketing culturale, ho fatto due master di specializzazione in discografia e ho svolto la mansione
di carta igienica per un importante impresario
libico per 3 anni. Ora lei mi dice che ci sono dei
musicisti che si mettono all’esterno del mercato
discografico, che ci sono etichette non-profit e
che la curva della domanda e dell’offerta ha
una coda lunghissima. Tutta la mia vita è stata
inutile? Cosa devo fare? Quale è il ruolo dell’etichetta oggi? Dobbiamo rinunciare a vivere di
questo settore?
Ogni qual volta la musica sia in crisi la risposta è sempre la stessa: fantasia. Vale anche
per tutto ciò che fa da contorno alla musica in
senso stretto perché manager e impresari pur
con i loro Bignami dell’economia quantitativa
sempre sotto braccio, lavorano a contatto
con una materia e un ambiente che è fatto
di fantasia stessa. Quindi, così come dalla calma piatta ogni tanto nascono fermenti e poi
capolavori, allo stesso modo in questo mondo
di immateriale che rompe le regole tradizionali, c’è sempre spazio per chi ha coraggio e
idee…e sa come realizzarle. Il marketing poi è
una delle cose più elastiche che esistano e state sicuri che in quel campo si casca sempre in
piedi. Ogni battaglia fa i suoi morti e i suoi eroi,
ma i dopoguerra si assomigliano un po’ tutti.
E’ importante avere le idee chiare su come le
cose stanno cambiando per affrontare questo
cambiamento utilizzando le categorie giuste.
Cercate di ascoltare il cambiamento. Il marketing in Italia ha sempre questa reputazione terribile come se fosse l’arma del nemico. Quello
che spesso dimentichiamo è che è l’unica tra
le scienze che ascolta i desideri e i bisogni della
gente nell’ottica di risolverli. Se l’azione sul mercato è peculiare a ogni pratica economica,
solo il marketing include forme di ascolto preventivo. Chiaramente può essere usato male o
bene come succederebbe per un machete o
un martello, ma dove c’è un mercato, c’è bisogno di marketing. Non solo nel mercato dei
grandi capitali, ma anche nel piccolo mercato
di sussistenza della musica indipendente. Quindi ascolto e fantasia come strumenti: cercare
nuovi formati e chiedersi cosa la gente è ancora disposta a pagare, con quei soldi che ha
risparmiato scaricando mp3 a costo 0. Ibridare le esperienze per creare nuovi contenuti, e
“piazzare” contenuti più o meno nuovi a un
pubblico decisamente nuovo, per anagrafe,
interessi ed esigenze. In un’industria che ha visto calare le sue vendite sensibilmente, rompere il monopolio delle radio e tv commerciali per
promuovere la musica, che ha visto crescere
37 CMPST #6[01.2008]
Columns
il numero di download di brani musicali anno
per anno nonostante in quasi tutti i paesi sia un
atto notoriamente illegale, che ha visto nascere sempre più alla svelta e morire sempre più
alla svelta piccole stelle, a volte di nicchia, che
ha visto decollare il mercato dei lettori mp3 e
che ha visto il sorpasso da parte delle suonerie
polifoniche a danno dei dischi…l’unica cosa
che davvero non possiamo pretendere è che
il modo di fare soldi rimanga lo stesso. Non
sono io che posso dire quale sarà il ruolo delle
etichette domani, certo non possiamo pretendere che sia lo stesso di ieri, né di stabilirlo ora,
e a tavolino. Le net-label, ad esempio, sono in
larga crescita e rappresentano un tentativo di
prendere atto di questi cambiamenti. Quando
ho avuto i primi approcci con Anomolo non si
parlava molto del fenomeno e anzi eravamo
un po’ considerati dei pionieri, cosa di cui ci siamo beati fino a che non ci siamo resi conto che
attorno a noi era cresciuta una vasta fauna di
etichette basate sulla sola rete. Se tutto questo
basti io non lo posso sapere: penso, a naso, che
forse le net-label siano state più un’evoluzione
delle etichette amatoriali, che un ripensamento di un ruolo dell’etichetta. Meglio: che l’occasione di internet sia stata interpretata come
un modo per abbattere i costi e migliorare le
prestazioni, in etichette che comunque non sarebbero state capaci di produrre reddito. Ma si
sa che a volte è così che nascono le rivoluzioni,
da nuove soluzioni a vecchi problemi. In ogni
caso il problema dell’approvigionamento economico dei giovani artisti resta tutt’altro che
secondario, e forse oggi più che mai servono
competenze visto che serve destrezza per
muoversi. E’ vero che tecnicamente si può fare
a meno di quasi tutte le figure di mediazione,
però proprio perché tutti si possono muovere
nell’ambiente musicale, è importante sapersi
muovere bene.La gente non ci pensa mai ma
lo spostamento del settore verso la necessità di
“soft skills” non diventa un lasciapassare per chi
si improvvisa. “Soft skills”, non “no skills”. E in oltre
permane una buona quantità di sapere tecni38 CMPST #6[01.2008]
co, nemmeno tanto soft. In fin dei conti, poi, se
è vero che è più facile improvvisarsi vuole dire
che è ancora più necessario distinguersi da
quelli che semplicemente si improvvisano. Per
studio e per vocazione mi trovo a trattare con
la comunicazione, materia di uso comune,
e non immaginate quanto sia difficile levare
dalla testa della gente l’idea comune che, in
fondo in fondo, siamo tutti degli scienziati della
comunicazione. Se tutti fossimo davvero scienziati della comunicazione, questa diminuzione
delle barriere d’accesso al settore musicale sarebbe probabilmente il tramonto dell’era musicale come la conosciamo: niente etichette,
niente informazione mediata, niente booking,
niente agenzie, niente di niente. Solo musicisti
e il loro pubblico. Però non è così. Non è così
che è andata…e dove va così si recuperano
intermediari in altri settori, pensate al ruolo che
la grafica ha oggi come non mai, o a quanto
gli eventi siano diventati entità complesse più
di un semplice concerto. La differenza l’hanno
fatta quelli che hanno fatto il mio lavoro prima
e meglio di me, progettando nuovi percorsi nella musica e nell’arte. Serve ascolto e coraggio,
oggi come non mai, e serve professionalità,
oggi come ieri. Una professionalità più aperta
e meno tecnica rispetto al passato, ma sempre
più indispensabile. La tua vita non è stata inutile, caro lettore, ora però non lagnarti e dacci
dentro.
Screamazenica
di Simone Madrau
(Screamazenica omaggia la next big
thing dell’elettronica genovese coverizzando
Madonna.
Canta anche tu con Screamazenica.
‘Hey DJ Itler
Put the west coast on
I wanna dance with my baby
And when the cassa starts
I’m never gonna stop
It’s gonna drive me crazy
Itler
makes the people
come together.’)
The Bob Quadrelli Show
1.
Cena al Buridda.
Qualcuno: ‘Bob, dai, mangia la pasta.’
Bob: ‘Io non vivo di pasta, vivo di idee.’
2.
Buridda, concerto di Q, featuring: Q.
Q [al microfono]: ‘buonasera a tutti, io sono
Q..’
Bob: ‘Q sono io! Ladro!’
Q: ‘O_O’
Io: ‘Ivan tu non hai un blog?’
Ivan: ‘Il mio blog è la strada.’
(I Dresda sono tornati. E si vede.)
‘L’altro giorno ho cercato su Google ‘allungamento del pene’’ (Le scottanti dichiarazioni
di Rocktone Rebel durante la cena pre-eMpTV
Night al Checkmate.)
‘Bellissima questa, chi sono? Gli Hives?’
(Anonima al nostro Giulio durante un dj set di
quest’ultimo. La canzone era ‘Raw Power’ degli
Stooges. Buon per te che non sappiamo come
ti chiami.)
‘Il calco del tuo pene!’
‘Le stigmate del tuo pene!’
(Soddisfatti apprezzamenti del pubblico genovese all’indirizzo di Les Enfance Rouge, titolari
di un’evidentemente buona performance in
quel del Buridda.)
Rocktone Rebel: ‘Il mio disco lo produrrà Timbaland’.
Mat: ‘Sì, vabbè. Se vuoi te lo produciamo io e
Martino con le Timberland.’
(thanks to: Matteo Casari, Giulio Olivieri.)
Arte
Mario Benvenuto
Nel 1961 nasce a Genova, il primo di maggio. Dopo un’infanzia trascorsa in
riva al mare (a Recco), frequenta il liceo artistico, dopodiche’ l’Accademia Ligustica di Belle Arti a Genova. Nel 1979/80 canta in un gruppo surreal-punk, i
Dirty Actions. Nel 1983 tiene la sua prima personale di pittura. Nel 1984/85 collabora con la rivista di fumetti ed altro “Frigidaire”. Dal 1986 e’ a Milano dove lavora
come illustratore e grafico freelance. Dopo una (terribile) parentesi in un’agenzia di pubblicita’ in qualita’ di art director, nel 1993 si rimette in gioco e ritorna alla
libera professione. Fa nascere e pubblica Fausto Bambino sul Mensile “Il Clandestino”, una strip comica. Nel 2003 si riavvicina all’arte, creando questi grandi
quadri colorati dagli strani titoli. Ora, tra le altre cose, è lieto di esser docente di
Grafica all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova.
http://www.myspace.com/benve_
39 CMPST #6[01.2008]