Fonagy offre food for thought ANNA FERRUTA Il lavoro che Fonagy propone per questo numero di Psiche sul tema «Attaccamenti» (una versione, in parte ridotta e in parte ampliata, del contributo scritto con Mary Target nel 2007) suscita una viva curiosità e sollecita il desiderio di sviluppare la ricerca nei territori del funzionamento della mente. Due diversi metodi di indagine, quello della teoria dell’attaccamento e quello psicoanalitico, vengono interrogati e messi a confronto. L’intento è quello di cogliere elementi per ulteriori conoscenze in questo campo, come Fonagy esplicita chiaramente nella chiosa finale, con modestia e orgoglio insieme: «Può darsi che la teoria dell’attaccamento, sotto l’influsso delle neuroscienze, si riaccosti a quel corpus teorico che la psicoanalisi non ha mai abbandonato. La teoria dell’attaccamento e la psicoanalisi potrebbero avvicinarsi sempre più tra loro e forse, nell’arco di qualche anno, la teoria dell’attaccamento rientrerà in seno alle idee psicoanalitiche, mano a mano che la psicoanalisi ristabilirà la propria posizione come la principale neuroscienza della soggettività. Ma questo è per il futuro. Il nostro modesto appello in questo scritto è che noi, scienziati e clinici, dovremmo conservare la consapevolezza del significato inconscio che attribuiamo al nostro modo di pensare, compreso quello di pensare alle nuove idee, tra cui naturalmente quelle presentate qui» (19-20) Embodied Thought La meta è ambiziosa: approfondire il significato inconscio del pensiero, di cui Fonagy indaga l’origine fisica, a partire dalla qualità corporea dei primi legami affettivi e relazionali. La questione dell’embodied thought è al centro del suo contributo, radicato nella tradizione psicoanalitica, dal Freud che afferma che l’Io è innanzitutto un Io corporeo (Freud, 1923), al classico scritto della Isaacs (1943) «Natura e funzione della fantasia». Il suo contributo è aperto a cogliere gli sviluppi provenienti da nuove acquisizioni emerse dalle neuroscienze e dalla clinica, specie dei bambini e adolescenti e dei borderline. Curiosità, profondità, articolazione riflessiva del discorso, ci permettono di provare piacere nel seguire nuove strade senza timore di perdere l’attaccamento alle conoscenze acquisite e al loro significato affettivo inconscio; anzi da questo emerge una spinta a andare avanti nella ricerca. Non è poco: i legami tra teoria dell’attaccamento e pensiero psicoanalitico proposti nel titolo sono veramente «New», aprono orizzonti di discussione, e rinunciano al facile desiderio di stupire con seduttive semplificazioni. Ogni ipotesi di causalità 1 lineare tra mente e cervello non viene presa in considerazione: la continuità tra corpo e mente riguarda il radicamento del simbolico nell’esperienza, sensoriale, emozionale e motoria, dei rapporti con i primi oggetti, che, diventando rappresentazioni, conservano traccia del significato inconscio e personale che il soggetto ha conferito a questa prima forma di legame. La forma inconscia assunta dai legami primari in parte viene evocata da ogni esperienza che rimette in gioco queste rappresentazioni inscindibilmente congiunte con il valore affettivo relazionale che esprimono. Ad esempio, «pertanto, “aggrapparsi a un’idea” può suggerire un’immagine della presa riflessiva del bambino che si aggrappa alla madre, pur non essendo consapevoli di alcun collegamento di questo genere» (13). Fonagy ritiene che tutti gli atti mentali abbiano un significato fisico e astratto, e si avventura a ricercarne, descrittivamente e strutturalmente, il nesso, allo scopo di cogliere nelle prime forme di pensiero la qualità inconscia simbolica, e in quelle più elaborate e successive la radice esperienziale fisica da cui sono emerse. Una specie di viaggio in Africa, per cogliere una qualità insieme astratta e corporea della mente, simile alla ricerca delle maschere delle tribù africane che influenzarono gli artisti del Primo Novecento (Modigliani, Picasso ecc.), alla ricerca del radicamento della mente nel corpo. Quello che trovo interessante nel suo lavoro è che non privilegia né l’astratto né il corporeo nella formazione del pensiero, ma ne vuole cogliere la complessità esperienziale dinamica, che riguarda non solo il momento originario da cui prese forma, ma il suo sviluppo lungo tutto il corso dell’esistenza, avendo nell’affetto un elemento chiave organizzatore delle relazioni interpersonali. Desidero evidenziare e commentare alcuni aspetti del discorso proposto. Cambiamenti nella teoria dell’attaccamento e in psicoanalisi: elementi comuni L’avvicinamento tra Attaccamento e Psicoanalisi per quanto riguarda la teoria di come funziona la mente è stato reso possibile da importanti cambiamenti e sviluppi nelle due discipline. Sappiamo che la metodologia seguita è molto diversa (osservativoempirica e clinica), ma da metodologie diverse possono emergere interessi e configurazioni convergenti. Per la teoria dell’attaccamento, il cambiamento è stato più radicale. L’attenzione, grazie anche allo sviluppo delle neuroscienze e agli strumenti del brain imaging, si è spostata dall’osservazione del comportamento nella relazione primaria madre-bambino, all’interesse per il mondo interno e per come mente e corpo danno forma a strutture mentali affettivo-cognitive embodied. L’attaccamento sicuro è diventato, da comportamento ottimale da seguire, il contesto nel quale si formano strutture affettivocognitive che permettono lo sviluppo di una vita mentale con significati personali. Non più quindi comportamenti, ma pattern che si strutturano sulla base di spinte relazionali affettive che il caregiver accoglie e significa, e che diventano pattern che pavimentano l’organizzazione della vita psichica del soggetto. Il concetto centrale della teoria dell’attaccamento è costituito dagli Internal Working Models (IWM, una rappresentazione del Sé in metaforica conversazione sensomotoria ed emozionale con 2 l’altro): la ricerca attuale vede nei IWM una struttura rappresentazionale del mondo interno. Per quanto riguarda la psicoanalisi, che non aveva mai perso l’elemento che unisce inscindibilmente mente e corpo, ma aveva finito per privilegiare le acquisizioni simboliche come segno di raggiunta maturità, l’interesse per come si forma la mente si è enormemente allargato sulla base dello sviluppo della dimensione relazionale in seduta, che ha posto al centro dell’attenzione la qualità interpsichica della formazione del pensiero e non solo la descrizione di un apparato mentale organizzato secondo linee di struttura ottimali, come meta «matura» da raggiungere. I cambiamenti avvenuti in modo indipendente nelle due discipline forniscono un terreno comune di confronto su queste dimensioni: - Emozioni: si è ampliato l’interesse per le emozioni che muovono intrinsecamente legami relazionali e modificazioni fisiche, di cui danno riscontro numerosi psicoanalisti interessati alle comunicazioni non verbali, tra cui in Italia Mauro Mancia (2004) e Antonio Di Benedetto (2000) e Agostino Racalbuto (1994). Nella teoria dell’attaccamento il pensiero è internalizzazione di sequenze e analogie cognitivo-emozionali non consce. - Contenitori mentali: in psicoanalisi si è prestata attenzione allo sviluppo della funzione del contenitore più che ai contenuti, che, pure ripresentandosi simili in diversi soggetti, mantengono una specificità individuale, raggiungibile proprio attraverso l’espansione della funzione di contenitore svolta dal caregiver e dall’analista (Bion, 1965; Ferro, 2007; Ogden, 2009). Per la teoria dell’attaccamento la logica formale dei commenti del terapeuta riguarda i pattern delle prime esperienze relazionali corporee. - Relazione: al centro degli studi di entrambe le discipline ci sono i modi di relazione con l’altro, come regolazione degli stati emozionali, che segnalano l’interdipendenza della comprensione di sé e dell’altro. Il modo in cui si sperimentano le conoscenze è legato agli aspetti fisici della prima esperienza infantile. Si consolida l’interesse per gli inizi della vita psichica nella relazione con il caregiver, superando la contrapposizione tra importanza del trauma o del conflitto, a favore dell’interesse su come si sviluppa la mente nel corso di tutto l’arco dell’esistenza. Quindi una concezione della realtà psichica non come un dato ma come un’acquisizione evolutiva, darwinianamente. - Azione: si sviluppa un interesse nuovo per la dimensione dell’azione, nel senso della congiunzione tra aspetti motori e sensoriali delle vicissitudini psichiche: ne sono esempio gli studi sull’enactment, i neuroni mirror come espressione di un sentire che attiva anche innervazioni motorie, una dimensione quindi degli aspetti sensomotori dell’esperienza come matrice del pensiero. Si tratta di uno sviluppo di quanto già aveva teorizzato Gaddini nei suoi studi sul rapporto mente-corpo (1980) e sull’imitazione primitiva (1969) come manifestazione da parte del bambino della capacità di attivare funzionamenti nei quali imita aspetti sensomotori dell’esperienza di rapporto con l’altro: in certo senso «diventa l’altro», attribuendo a questi, attraverso la sua personale esperienza, un significato che interiorizza come mentale. Del resto non possiamo dimenticare che linguaggio e deambulazione si manifestano nella stessa fase evolutiva, come espressione di una raggiunta padronanza mentale-fisica della capacità soggettiva 3 di «andare» verso l’altro. Queste dimensioni di comune interesse che si sono sviluppate autonomamente nelle due discipline permettono di delineare aspetti del funzionamento mentale convergenti di reciproco vantaggio. Come funziona la mente Attaccamento o contesto relazionale necessario per lo sviluppo della mente? Gli sviluppi delle due discipline permettono di comprendere meglio il modo nel quale l’esperienza conoscitiva è legata ad aspetti fisici delle prime esperienze infantili. L’importanza delle varie zone erogene (orale, anale, fallica), indicate da Freud nello strutturare l’esperienza di sé e dell’altro, ritorna in primo piano, rispetto al rischio di diluire in un generico relazionale o in una categoria indefinita di attaccamento l’impatto del bambino con l’esperienza di sé e dell’altro. Fonagy parla di attaccamento sicuro come di «un gruppo di caratteristiche dell’esperienza». «La sicurezza dell’attaccamento potrebbe essere considerata non una “aspettativa” ma un gruppo di proprietà dell’esperienza (quali il sentimento di rassicurazione emotiva in presenza di un particolare individuo) che emergono dai bisogni di un individuo in un momento temporale, un luogo e un contesto sociale specifici e sono al loro servizio. Le aspettative, viceversa, sono astrazioni disincarnate (al pari degli algoritmi in un calcolatore digitale). Per contro, l’attaccamento in quanto “cognizione incarnata” si fonderebbe sui significati delle cose nell’ambiente, significati formati dalle esperienze dell’agire su di esse» (8-9). Anche l’attaccamento insicuro è una situazione che determina in ogni caso strutture psichiche personali relazionali, per esempio di evitamento. Ritengo che questa riflessione porti a sottolineare ulteriormente la centralità del relazionale nella costruzione della mente (il termine attaccamento forse non è più adeguato), ma un relazionale che non necessariamente privilegia l’attività dell’oggetto, che metabolizza le emozioni proiettate in lui dal bambino, ma anche come situazione che consente al bambino di attivare il proprio pattern di esperienza emotivo-sensomotoria personale che necessita di essere colto e riconosciuto dal caregiver. Importanza quindi dei processi di soggettivazione dell’esperienza. La «verità» delle esperienze infantili si configura meno come un dato da raggiungere «archeologicamente» o «traumaticamente», in una presupposta dimensione o di deficit o di conflitto, ma piuttosto come impegno in una relazione intima che permette di soggettivizzare un’esperienza fisica. Qui vedo una chiave di volta da approfondire: come soggettivizzare un’esperienza fisica in una relazione intima. La qualità dell’esperienza psicoanalitica, come quella delle prime fasi di vita, è quella di essere intima, nel senso che propone un contesto di regressione che favorisce il riemergere e quindi anche la possibile modifica di pattern emotivo-sensomotori che significano prime esperienze insieme fisiche e astratte. È quanto Winnicott aveva già intuito nel suo splendido lavoro sulla regressione (1954), toccando la questione del concreto e dell’astratto: «La regressione di un 4 paziente è un ritorno organizzato alla dipendenza primitiva, o doppia dipendenza. Il paziente e la situazione si fondono nella felice situazione originaria del narcisismo primario. Dal narcisismo primario è possibile progredire di nuovo […] non si può alleviare la malattia psicotica che offrendo al paziente un ambiente specializzato in stretto rapporto con la sua regressione» (342). «Il divano e il cuscino sono lì perché il paziente se ne serva. Appariranno nelle idee e nei sogni e rappresenteranno allora il corpo dell’analista, i suoi seni, le sue braccia, le sue mani ecc., con infinite variazioni. Nella misura in cui il paziente è regredito (per un momento, per un’ora o per un lungo periodo di tempo), il divano è l’analista, i cuscini sono i seni, l’analista è la madre di una certa epoca del passato. All’estremo limite, non è più esatto dire che il divano rappresenta l’analista» (343). Da questo punto di vista, la psicoanalisi apre orizzonti alla teoria dell’attaccamento, radicata come è sempre stata nel terreno della regressione in seduta, nel quale i modi di relazione originari si esplicano e potenzialmente si possono modificare. Questo interesse per come si formano dalla matrice corporea le forme di pensiero nella relazione primaria rappresenta quindi un «ritorno all’ovile», osserva Fonagy, di una teoria che, nelle intenzioni di Bowlby (1969) era stata pensata come critica al comportamentismo cognitivista, ma che poi era stata sopraffatta dall’uso meccanicista del riferimento al modo di funzionare della mente come un computer in cui l’hardware è il cervello e il software la mente. Metafora come figura retorica o come pensiero incarnato? L’altro aspetto che emerge con maggiore forza esplicativa dall’articolo di Fonagy riguarda il valore metaforico del linguaggio: in questo campo la teoria dell’attaccamento apre approfondimenti alla psicoanalisi, che talvolta rischia di «nominare» costrutti psicodinamici (es. angoscia di frammentazione, di separazione, di castrazione ecc.) in modo didascalico, trascurandone la viva esperienza in seduta (niente può essere trasformato in absentia o in effigie, affermava Freud) e di usare le narrazioni in modo poco radicato nel corpo o nella storia del soggetto, ma, appunto, disincarnato o arbitrario («Does anything go?», Tuckett, 2005). In questo campo Fonagy apre strade nuove, a partire dall’osservazione che il modo nel quale sperimentiamo cognizioni è legato ad aspetti fisici delle prime esperienze infantili. Ritiene che il pensiero sia sempre metaforico, non nel senso astratto del termine, ma nel senso che emerge da un sistema unificato sottostante di immagini embodied, traccia di esperienze radicate nel corpo, una serie di gesti e azioni influenzati profondamente dalle originarie interazioni fisiche con l’oggetto primario. Attraverso il linguaggio gestuale della metafora possiamo attivare esperienze sepolte, non necessariamente connesse con il contenuto, ma appartenenti alla stessa mappa concettuale sequenziale. Queste metafore mostrano il radicamento fisico del pensiero, che esprime sempre dinamicamente idee inconsce. Le metafore possono essere intese dunque non solo come espressione linguistica, ma come mappa concettuale sottostante linguaggio, pensiero e relazione, che si basa su sequenze di esperienze fisiche che hanno preso significato simbolico e personale. Questo approfondimento del significato della metafora è interessante, per le 5 implicazioni teoriche e cliniche che apre. In parte descrive in modo più efficace quello che la teoria di Edelmann (1985), ripresa e acquisita anche da Green (2002), non a caso illustrava: una teoria del funzionamento neurofisiologico come rete di connessioni neurali mobile e dinamica, che predispone vie facilitate e preferenziali (in psicoanalisi paragonabili a strutture, ripetizioni, inibizioni) di immagini e azioni, che prevede cambiamenti continui (trasformazioni), basati sul meccanismo del re-entry. Ma qualifica la metafora anche come espressione di attività mentale inconscia relativa all’esperienza sensomotoria di sé e dell’altro da sé, che trova forme di manifestazione che conservano traccia di questo divenire da esperienza fisica a costruzione di significato da parte del soggetto autore-attore del processo. Fonagy, ricorrendo agli studi di Lakoff (1999) e Ivan Fonagy (2000), evidenzia la doppia codificazione del linguaggio presente nella metafora, l’aspetto condiviso con gli altri e socialmente comunicativo, e l’aspetto creativo e personale che conserva traccia del modo nel quale il pensiero e il linguaggio hanno preso forma nel soggetto: «L’accumulazione dell’esperienza individuale, viceversa, si riflette nel senso di una parola – esperienza vissuta durante il corso della sua acquisizione e del suo impiego iniziale. Il senso non può essere codificato da una definizione del dizionario e rappresenta l’accumulazione delle esperienze fisiche (emotive, corporee) in associazione con un’idea o una parola specifica» (10). Le conseguenze importanti sono due: l’efficacia dell’interpretazione spesso dipende più dalla mappatura concettuale che esprime e attiva che dal contenuto manifesto che enuncia: «Indipendentemente dal contenuto della nostra interpretazione, la struttura logica formale delle nostre considerazioni sul pensiero dei pazienti si collega a significati profondamente sepolti che riguardano le loro esperienze corporee dei primi anni di vita, che precedono l’acquisizione del linguaggio di mesi e non di anni [….]La nostra ipotesi è che attraverso il linguaggio gestuale della cognizione metaforica possiamo attivare esperienze sepolte profondamente, non necessariamente legate strettamente al materiale che sembriamo discutere a livello di contenuto »(17) Anche qui lo studio conferma e amplia quanto intuito da Winnicott (1988): «In un trattamento analitico, un’interpretazione corretta e opportuna dà la sensazione di essere sostenuti fisicamente, e questa sensazione è più reale (per il non psicotico) di quanto non sarebbe se si fosse veramente sostenuti e accuditi. La comprensione va più in profondità e proprio tramite la comprensione, dimostrata dall’uso del linguaggio, l’analista sostiene fisicamente nel passato, cioè al tempo in cui si avvertiva il bisogno di essere contenuti, quando l’amore significava cure fisiche e adattamento» (67). Inoltre questa concettualizzazione riconosce un valore specificamente trasformativo all’importanza che tanta psicoanalisi ha conferito alle narrazioni, in particolare nella concettualizzazione proposta da Bion, Ferro e Ogden. Le narrazioni, in questa concezione, descrivono processi effettivamente avvenuti: descrivono il percorso (le trajet di Green, 2005) fatto dal soggetto per trasformare l’esperienza fisica in significato, pensiero e parola: la narrazione quindi non come una ermeneutica scissa dall’esperienza emotivo-sensomotoria, ma come processo fatto dal soggetto nei modi 6 strutturati e organizzati per significare la sua relazione con gli oggetti. L’aspetto interessante è che il processo vale anche in senso inverso, per descrivere come la parola psicoanalitica può avere valore trasformativo, attivando, attraverso la relazione con l’analista in condizioni di regressione, significati che corrispondono a mappature inconsce di esperienze di legame affettivo-sensomotorie. Questo approfondimento affronta le questioni poste dall’astrazione eccessiva a cui possono arrivare certe teorizzazioni cognitive e psicoanalitiche, che finiscono per attribuire valore curativo all’aspetto astratto della cognizione o dell’insight, lasciando in ombra il processo che ha visto funzionare in modo attivo e psicodinamico terapeuta e paziente. La proposta è di intendere la conquistata cognizione/insight come espressione di un embodied thought, cioè di un processo in divenire che attualizza e riattualizza continuamente nella relazione con l’altro significativo in condizioni di regressione la mappatura dell’esperienza primaria sensomotoria da cui il soggetto ha creato i significati personali e sociali del suo legame con gli oggetti non-sé. Dunque due grandi questioni vengono proposte alla discussione in modi potenzialmente nuovi: - il contenuto di verità delle narrazioni, che non si riferisce ad eventi esterni o interni, ma alla soggettivazione di processi fisici che sono avvenuti in modi specifici per quell’individuo. - come avvengono le trasformazioni nel trattamento di cura: se avvengono per comprensione intellettuale cosciente, per suggestione regrediente, o per esperienza nuova che si connette affettivamente e sensorialmente alle mappe di esperienze significative tracciate e le modifica. Esistono anche molti altri elementi di contraddizione e di poca chiarezza tra le due discipline, a cui faccio cenno. Elementi di criticità Importante, nella seconda stagione del cognitivismo, è stata l’apertura alle significazioni inconsce sottostanti i comportamenti così accuratamente osservati e descritti. Senza dubbio la teoria dell’attaccamento si è riavvicinata alla psicoanalisi proprio reincludendo il concetto di inconscio nelle proprie teorizzazioni relative ai pattern, gli Internal Working Models di Bowlby, espressione di gestualità sensomotorie significanti i vettori di relazionalità affettiva, non distanti dal concetto di fantasie inconsce. Resta indefinito invece il campo occupato dall’inconscio rimosso, come precipitato di forze dinamiche rimuoventi, e quindi sottoposto a un intreccio dinamico di movimenti pulsionali affettivi e strutturali, e dal non ancora conscio, cioè da ciò che non è ancora emerso alla coscienza e quindi, alla Bion, non alfabetizzato in elementi alfa che abbiano almeno preso la forma della figurabilità (Botella, 2001), e il nonconscio che rimane tale, come mappatura emotivo-sensomotoria sottostante le metafore personali che hanno dato origine ai legami con gli oggetti e al pensiero. Fonagy osserva che, dato che il linguaggio gestuale è procedurale, è inevitabilmente nonconscio: ciò che è descrittivamente inconscio può diventarlo dinamicamente quando viene caricato del compito di convogliare idee che sono consciamente inaccettabili in un 7 certo contesto. «Tale sistema non conscio, le cui radici affondano nell’esperienza sensoriale infantile ha, un profondo potenziale per essere utilizzato proprio a tal fine» (14). In parte si tratta di una distinzione tra inconscio rimosso e non rimosso ormai ampiamente accettata nella comunità psicoanalitica (come è emerso nelle relazioni di Bohleber, Civitarese, Krauze, Maldonado, del Major Panel sull’inconscio nell’ultimo IPA Congress di Mexico City 2011), ma in parte no. Un aspetto comune alle teorie dell’attaccamento e agli sviluppi della psicoanalisi relazionale riguarda il fatto che le forze dinamiche che contribuiscono a costruire il mondo inconscio non riguardano soltanto la dimensione del conflitto che attiva forze rimuoventi, ma anche la questione di ambito bioniano di ciò che diventa parte dell’inconscio perché viene «sognato» e quindi acquista figurabilità e possibilità di alfabetizzazione. Il contributo dell’altro, nella funzione di rêverie, provvede anche ad attivare un mondo inconscio di elementi che sono in attesa di diventare rappresentabili. Quindi il ruolo dell’altro consiste anche nella sua funzione di raggiungere un mondo inconscio che se non riconosciuto nel rispecchiamento e non nominato resta inesistente. Riolo (2010) ha illustrato aspetti oggetto del meccanismo di rigetto, confinati nella non esistenza psichica: «E però né prescrizione, né preclusione, rendono adeguatamente il significato di Verwerfung, la cui radice semantica contiene il riferimento all’azione di scagliare via, disperdere, espellere da sé (Ausstossung aus dem Ich, dice Freud); e dunque non tanto di interdire o precludere l’accesso a un contenuto psichico; ma di espellerlo dal luogo in cui era o avrebbe dovuto essere. E questo luogo non è il registro simbolico o il significante di Lacan; ma la “realtà psichica” di Freud, che in quanto somatica e rappresentazionale, è al tempo stesso simbolica, immaginativa e reale» (6). Bollas (2000) ha osservato che restano in una condizione di non esistenza per la psiche del bambino aspetti della sessualità che il caregiver non nomina e non rende oggetto di cure e piacere in quelle nuove forme di isteria che vengono descritte come patologie borderline. E qui veniamo al grande tema della sessualità: proprio Fonagy (2008) in un altro lavoro apre la discussione sulla sessualità e la vita mentale: se è il percorso di attaccamento, se è la relazione che crea la base per la mentalizzazione, che fare con la sessualità infantile, così trascurata e non nominata nella psicoanalisi attuale, a favore invece della valorizzazione degli aspetti affettivi e del trattare in modo simbolico gli aspetti sessuali delle relazioni, lasciandone da parte la specificità differenziale rispetto alle altre manifestazioni emotivo-sensomotorie che contribuiscono alla creazione dei significati e dei pensieri? (pensiamo a come spesso vengono trattati i movimenti di «accoppiamento» in seduta). Afferma Fonagy (2008): «Dato che la regolazione emozionale scaturisce dal rispecchiamento affettivo di un caregiver primario e i sentimenti sessuali sono gli unici che sono sistematicamente ignorati e lasciati senza rispecchiamento da parte dei caregiver, i sentimenti sessuali rimangono fondamentalmente non regolati in tutti noi» (12, traduzione mia). Fonagy osserva che oggi la teoria delle pulsioni rischia di trascurare l’aspetto del desiderio, riferendosi ad aspetti più prossimi al biologico, e che quella delle relazioni, almeno nella versione più 8 radicale di Mitchell (2002), finisce per trattare la sessualità come una funzione sociale. Invece, in quanto parte della embodiness of mental life, anche la psicosessualità è radicata nell’esperienza corporea emotivo-sensomotoria. Fonagy condivide l’ipotesi freudiana sulla presenza specifica della sessualità sin dall’infanzia, e osserva che tuttavia, di fronte alle manifestazioni evidenti di questa, le madri tendono a ignorarla, a fare come se non esistesse. Questa mancanza di mirroring delle esperienze di eccitazione sessuale infantile non favorisce la coerenza del Sé, che resta privo dei processi di mentalizzazione di esperienze così centrali della persona. La concentrazione sugli aspetti interpersonali dell’Attachment e della Psicoanalisi finisce similmente per evitare le questioni poste dall’eccitazione sessuale. Fonagy pensa che il problema sia complesso, perché la sessualità non può essere ridotta solo a relazione interpersonale. D’altra parte, osserva che, essendo la sessualità una dimensione che trascende l’individuo, e avendo al centro il piacere di essere immersi in un’altra persona che sperimenta aspetti di sé che diventano godibili solo se sentiti da un altro, si può comprendere che madri e analisti limitino il rispecchiamento dell’eccitazione sessuale per timore di produrre un’esagerata amplificazione in quella dell’altro. «The sexual is a part of our mind that is felt to be simultaneously owned and not owned. This offers a unique strategy for the defensive sexualization of conflict. Thus, problems of many kinds involving disavowal may come to be experienced as sexual. Of course, this might lead us to conclude mistakenly that psychosexuality itself generates problems. Splitting is inherent to the psychosexual. Yet sexuality is not at root conflictual; rather, conflicts come to be expressed via the sexual metaphor. It is this psychic flypaper quality that makes psychosexuality such a key part of understanding our patients. Many truly painful conflicts are sexual, not because they are rooted there but because the otherness quality of sexuality frames the conflict as being external. As the psychosexual expresses, and does not disguise, the relational, frequently the only genuine route to understanding relational issues is through psychosexual experience» (Fonagy,2008,28). Infine, un altro elemento di criticità riguarda la funzione della parola e il suo legame con la pulsione e l’iscrizione nelle mappe procedurali di funzionamento. L’Attaccamento mette in evidenza che la parola non è costituita soltanto dal suo aspetto semantico, ma anche dalla qualità sonora e dalla ritmicità prosodica, che evoca le mappe processuali sottostanti secondo le quali si sono svolti i processi di soggettivizzazione e di acquisizione dei significati. La psicoanalisi attribuisce un valore specifico al contenuto della parola, come acquisizione-insight di vicende appartenenti alla storia inconscia infantile che prendono forma e figura nel dialogo analitico. Ma forse tale divaricazione tra contenuto semantico e qualità musicale della parola è destinata a restringersi progressivamente. Gli scritti di Mancia sulla musica (2002) e di Di Benedetto «Oltre la parola» (2000) hanno già messo a disposizione della tecnica analitica la strumentazione legata alla musica delle parole dell’analista come elemento mutativo, relativamente indipendente dal contenuto manifesto. 9 In sintesi Complessivamente, tra attaccamento e psicoanalisi esiste una limitata possibilità di confronto diretto, a causa delle diverse metodologie impiegate nell’accedere ai funzionamenti mentali, che quindi risultano modellati dai presupposti concettuali di ogni specifico metodo. Tuttavia l’arroccamento di ciascuna disciplina nell’autoreferenzialità della propria metodologia e nelle scoperte emerse dalla propria pratica sarebbe un errore e una perdita. Il rigore metodologico va perseguito perché è tutt’uno con le eventuali scoperte individuate. Alcuni elementi che poi ne risultano possono diventare relativamente indipendenti e finire per rappresentare acquisizioni sul funzionamento della mente che hanno una loro vita indipendente e trasversale. Cogliere i modi nei quali la mente emerge dal corpo e viceversa, come osservava Gaddini (1980), è impresa ardua, nella quale si cimentano studiosi di diversa origine, metodologia, strumentazione. Nella ricerca, come squadre che operano da versanti diversi per scavare una galleria, si possono verificare punti di incontro significativi, che non validano né l’una né l’altra disciplina, ma che costituiscono una base comune per ulteriori ricerche, pur con metodologie differenti. I punti di incontro riguardano snodi legati all’aspetto che da sempre ha caratterizzato la psicoanalisi come disciplina che appartiene al campo delle scienze: l’inscindibile legame tra mente e corpo, nella teoria come nella cura. La questione della nascita della mente dalle esperienze fisiche vissute in un contesto relazionale costituisce senza dubbio una base acquisita comune. L’Attaccamento è andato sempre più perdendo le caratteristiche di indicazione comportamentale e si è avvicinato a tutto quello che si intende per approccio relazionale nella formazione delle rappresentazioni: più che attaccamento, indica un contesto relazionale sufficientemente sicuro che offre quell’holding che consente alle prime esperienze relazionali di attivare una funzione mentale sulla base delle esperienze fisiche. Gli Internal Working Models hanno acquisito sempre più importanza, e sono apparsi rientrare in quei pattern attivati dalla funzione simbolizzante del caregiver che trasforma con la sua rêverie le esperienze sensoriali grezze del bambino in esperienze dotate di senso e interiorizzabili come significati che entrano a fare parte della sua soggettività. Il concetto di inconscio di matrice psicoanalitica si è allargato a comprendere una dimensione permanente della mente umana che sottende come una mappatura implicita ogni attività di pensiero, collegata attraverso trame multiple e complesse alla radice affettivo-sensomotoria, che necessita comunque di una forza dinamica per accedere alla coscienza, forza che può essere o rimuovente o richiamante alla vita della parola e della figura e della coscienza. Le questioni dell’origine della patologia dall’attaccamento insicuro o dal trauma sfumano in una possibilità di concettualizzare la formazione di procedure inconsce di pensiero e di legame, che la relazione analitica riattiva nel transfert e rende trasformabili, proprio in ragione della dinamica corpo-mente nella quale si sono inscritte e che la parola incarnata, evocata in contesti di regressione in seduta, riattiva. Tutto questo tuttavia potrebbe avere limitate ricadute per la clinica, che si occupa del prendersi cura della sofferenza psichica di un soggetto da parte di un’altra 10 mente dotata di capacità ricettiva, di sintonizzazione, di simbolizzazione. Certo, percorrendo le stesse strade di Ferro che portano in cucina, potremmo dire che la capacità di cucinare un buon piatto di pasta dipende poco da quanto il cuoco conosce sulla natura dei processi fisici e chimici che stanno alla base della cottura della pasta. L’esperienza pratica sopperisce ad alcune incongruità: se l’acqua bolle a 100 gradi perché in montagna il bollore si forma a una temperatura diversa? E il sale va aggiunto prima o dopo? Alcuni sostengono che va aggiunto dopo, per non rallentare il processo di ebollizione. Se chiamiamo il fisico ci dirà che in montagna la pressione è più bassa e anticipa il grado di temperatura richiesto per il bollore; per il sale, come spesso accade, si tratta di una disputa vana, perché, se è vero che l’aggiunta di sale aumenta il punto di ebollizione, è anche vero che la minima quantità aggiunta per la pasta non modifica significativamente tale temperatura. Certo, in una terapia ci si può muovere basandosi su alcuni grandi parametri e sugli elementi derivanti da esperienza intuizione e personale sentire. Tuttavia approfondire le conoscenze su come funziona la mente permette di non perdere tempo in inutili dispute (come per esempio quella sul sale), evita di assumere posizioni dogmatiche basate su un sentire personale posto come indiscutibile («le cose stanno così perché io sento così»: si può procedere in un certo modo perché così si sente, ma con l’umiltà e la modestia di sapere che questo è solo uno degli elementi della conoscenza del mondo della mente e non può essere assunto a dogma arbitrario, ma usato come elemento utile a procedere oltre); non scoraggiarsi per difficoltà che fenomenicamente appaiono inspiegabili e che possono non dipendere da proprie carenze (il diverso grado a cui l’acqua bolle in montagna); provare piacere nel capire qualcosa di più in sé e per sé, come osserva Gabbard (2000), piacere che si aggiunge a quello di gustare un buon piatto cucinato gettando la pasta nell’acqua che bolle a 100° a livello del mare. Un piatto che mi sembra di avere cucinato abbastanza bene nel corso della mia esperienza psicoanalitica (Ferruta, 1997 e 2005), fruendo nell’esperienza clinica dei contributi di Freud (1937), di Winnicott su holding (1941), di Bion (1965) sulla funzione del contenitore, prende il nome di Grasping: un pattern clinico incontrato in molti pazienti che presentano sintomi di angoscia da attacchi di panico e sintomi psicosomatici di dolori di testa e di schiena da contratture spastiche della muscolatura. La cura di questi pazienti e la riflessione clinico-teorica mi hanno portata a individuare un pattern di funzionamento mentale costituito dalla necessità inconscia di tenersi su da soli (Grasping). L’esperienza psicosomatica vissuta nella relazione primaria sembra potere essere stata quella di organizzarsi con la fantasia di tenersi su da soli, in quanto non hanno potuto fruire per un tempo sufficientemente prolungato di un holding che permettesse loro di sentirsi tenuti in modo sicuro dal caregiver, allo scopo di potere fare esperienza di emozioni e sensazioni personali spontanee, senza la preoccupazione di tenersi su e di tenersi insieme, il che comporta l’evitamento di ogni esperienza instabile distraente. Sono casi descritti in due lavori (Ferruta, 1997 e 2005): la ragazza che non riesce a stare sul lettino, perché si sente precipitare nel vuoto, e deve aggrapparsi al mio sguardo attivamente nella posizione faccia a faccia per tenersi insieme, sogna di salire scale aggrappandosi ai pioli che spariscono man mano che li percorre; il professionista che sta sveglio tutta la notte per tenere su la barca nella navigazione trova accogliente 11 sedersi sulla panca nella chiesa deserta o sui gradini della scala del mio studio; la giovane donna, che deve ricorrere all’alcol o al fumo per disinnescare artificialmente un pattern di contrattura spastica che si attiva ogni volta che è con qualcun altro, non può fluttuare liberamente nei pensieri e nelle emozioni. Dopo avere letto questo articolo di Fonagy mi rendo conto che le stesse esperienze cliniche avrebbero potuto essere descritte anche come esperienze di attaccamento insicuro, nel quale i soggetti avevano attivato IWM ripetitivi ed evitanti ogni esperienza che evocasse quelle situazioni emotivo-sensomotorie sperimentate nella relazione primaria. «L’azione del pensiero reca in sé un significato metaforico inconscio. Quando “cogliamo un’idea” potremmo provare un sentimento di benessere o di “bontà” perché inconsciamente ci riuniamo all’oggetto primario» (13). Il contributo specifico dell’Attaccamento mi sembra, in questo caso del Grasping, essere la chiarezza con la quale una procedura di rapporto sensoriale, emotivo, cognitivo, viene descritta, e segnala quanto profonda sia la necessità, in terapia, di riconoscere e trasformare tale procedura, per permettere l’attivazione di nuove forme di comunicazione più atte a un funzionamento in libere associazioni invece che in pattern ripetitivi e coatti. Nel Grasping abbiamo un esempio raffigurato in molte vivide immagini di una forma di pensiero visivo che potrebbe essere il residuo di un linguaggio gestuale, quindi di un significato metaforico attribuito a atti cognitivi, percepiti non consciamente a livello del corpo. Il confronto tra le due discipline contribuisce da entrambi i versanti a mettere in luce la necessità di districare e ritessere continuamente il groviglio dell’embodied thought, rifuggendo dalle semplificazioni astratte, sia comportamentali di matrice computeristica (la mente come software), sia solo superficialmente psicoanalitiche, quelle che trasformano in normatività da raggiungere l’interpretazione di esperienze di soggettivazione delle relazioni primarie. Come osserva Fonagy, siamo attaccati alle idee perché rispecchiano qualità corporee dei primi legami. Ognuno di noi nelle vicende dei suoi legami primari ha conosciuto momenti di Grasping, come la frequenza di questa immagine nei film e nei racconti dimostra: una persona è aggrappata a qualcosa e ha sotto il vuoto nel quale sta per precipitare e non sa se desiderare che arrivi qualcuno a tenderle la mano o temere che qualcuno arrivi a calpestare la propria mano disperatamente aggrappata all’unico appiglio che ha trovato. Nella scena finale del film North by Northwest, 1959 (Intrigo internazionale) di Hitchcock il protagonista (Cary Grant), per cercare di salvare la donna (Eve Marie Saint), aggrappata alla sua mano sull’orlo del precipizio del monte Rushmore, chiede aiuto al nemico, che invece interviene a calpestarne l’unica mano libera con cui si ancora al terreno. Allora si rivolge alla donna aggrappata, che sta per precipitare, chiamandola col proprio cognome (un’implicita domanda di matrimonio in condizioni estreme), affidandosi all’elemento affettivo per trovare la forza di afferrare la mano tesa, in una riorganizzazione soggettiva delle emozioni. Talvolta la soluzione è, invece, di restare spasmodicamente attaccati al già noto, provare a fluttuare, nel sogno, o nella vicenda analitica, o nella ricerca, con un gruppo di colleghi. 12 SINTESI Il testo di Fonagy descrive i cambiamenti avvenuti nella teoria dell’attaccamento e in psicoanalisi. le due discipline sviluppano indipendentemente un approfondimento dell’embodied thought: la nascita del pensiero da esperienze affettivo-sensomotorie delle prime vicende relazionali. ne deriva un progressivo distanziarsi della teoria dell’attaccamento dal comportamentismo e un andare verso lo studio del mondo interno, e un interesse della psicoanalisi per i modi nei quali il pensiero conserva traccia della matrice fisica da cui emerge, nella qualità del gesto visuale che sottende la metafora, caratteristica del pensiero e del linguaggio. Le divergenze riguardano le declinazioni dei fenomeni inconsci e i fattori mutativi nella cura. ma la convergenza verso l’individuazione di una mappa affettivo-sensomotoria che sottende l’acquisizione delle conoscenze apre orizzonti di ricerca comuni. PAROLE CHIAVE: La metafora come pensiero fisico inconscio, legami tra teoria dell’attaccamento e psicoanalisi, pensiero incarnato. BIBLIOGRAFIA Bion W.R. (1965). Trasformazioni. Roma, Armando, 1973. Bohleber W. (2011). Alcune considerazioni sul concetto di inconscio. Riv. Psicoanal., 57, 389.394. Bollas C. (2000). Isteria. Milano, Cortina, 2001. Botella C., Botella S. (2001). La raffigurabilità psichica. Roma, Borla, 2004. Bowlby J. (1969). Attaccamento e perdita. Torino, Bollati Boringhieri,1976. Civitarese G. (2011), L’in/conscio come una funzione psicoanalitica della personalità. Riv. Psicoanal., 57, 401-405. Di Benedetto A. (2000). Prima della parola. Milano, Angeli. Edelmann G.M. (1985). Darwinismo neurale. La teoria della selezione dei gruppi neuronali. Torino, Einaudi, 1995. Ferro A. (2007). Evitare le emozioni, vivere le emozioni. Milano, Raffaello Cortina Editore. Ferruta A. (1997). Grasping. In A.A.V.V., Lo psiche-soma. Dalla Pediatria alla psicoanalisi. Padova, Istituto Cortivo. Ferruta A. (2003). La terza area - resting place of illusion. Psiche, 2, 31-41. Ferruta A. (2005). Pensare per immagini. Roma, Borla. Fonagy I. (2000). Language within language: An evolutive approach. Amsterdam, John Beniamins. Fonagy P., Target M. (2007). The Rooting of the Mind in the Body: New Links between Attachment Theory and Psychoanalytic Thought. J. Am. Psychoanal. Assoc., 55, 411-456. Fonagy P. (2008). Implications for Psychoanalytic Technique. A Genuinely Developmental Theory of Sexual Enjoyment and Its Implications for Psychoanalytic Technique. J. Am. Psychoanal. Assoc., 56, 1136. Freud S. (1922) . L’Io e l’Es. O.S.F., 9. Freud S. (1937). Costruzioni nell’analisi. O.S.F., 11. Gabbard G. O. ( 2000). On gratitude and gratification. J. Am. Psychoanal. Assoc., 48, 697-718. Gaddini E. (1969) Sulla imitazione. In Scritti. Milano, Cortina, 1989. Gaddini E. (1980). Note sul problema mente-corpo. In Scritti. Milano, Cortina, 1989. Green A. (2002). Idee per una psicoanalisi contemporanea. Milano, Cortina, 2004. Green A. (2005). Jouer avec Winnicott. Paris, PUF. Krauze M.K. (2011). Esiste un inconscio, o molti?. Riv. Psicoanal., 57, 413-416. Isaacs S. (1943). Fantasia inconscia (a cura di Petrelli D.). Roma, Il Pensiero Scientifico, 2007. Lakoff, G., Johnson M. (1999). Philosophy in the Flesh: The Embodied Mind and Its Challenge to Western Thought. New York, Basic Books. Mancia M. (2004). Sentire le parole. Archivi sonori della memoria implicita e musicalità del transfert. Torino, Bollati Boringhieri. Maldonado J.L. (2011). L’inconscio dinamico nella relazione analitica. Riv. Psicoanal., 57, 421-425. Mitchell S.A. (2002). Can Love Last? The Fate of Romance over Time. New York, Norton. Ogden T. H. (2009). Riscoprire la psicoanalisi. Milano, CIS. Racalbuto A. (1994). Tra il fare e il dire: l’esperienza dell’inconscio e del non verbale in psicoanalisi. Milano, Cortina. 13 Riolo F. (2010). Trasformazioni in allucinosi. Relazione al XV Congresso nazionale della S.P.I. «Esplorazioni dell’inconscio», Taormina 27-30 maggio 2010. Tuckett D. (2005). Does anything go? Towards a framework for the more transparent assessment of psychoanalytic competence. Int. J. Psycho-Analysis, 86, 31-49. Winnicott D.W. (1941 ). L’osservazione dei bambini piccoli in una situazione prefissata. In (1958) Dalla pediatria alla psicoanalisi. Firenze, Martinelli, 1975. Winnicott D.W. (1954). Gli aspetti metapsicologici e clinici della regressione nell’ambito della situazione analitica. In (1958) Dalla pediatria alla psicoanalisi. Firenze, Martinelli, 1975. Winnicott D.W. (1988). Sulla natura umana. Milano, Cortina, 1989. 14