John Bowlby
Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’Attaccamento
In questo testo Bowlby, autore dei primi studi pionieristici sull’attaccamento, la separazione e la perdita, fa
il punto sulla ricerca. Partendo dallo studio socio-emotivo dei bambini piccoli e dei più grandi che crescono
nell’ambiente della famiglia, vengono descritte le evoluzioni dello sviluppo, fornendo la versione aggiornata
della teoria dell’attaccamento che è ormai considerata uno strumento fondamentale per l’organizzazione
dei dati che si possono rilevare con l’osservazione.
Nel primo capitolo del libro, intitolato “aver cura dei bambini”, dopo una breve introduzione sul ruolo
sociale e il duro lavoro che si ritrovano a fronteggiare i genitori nei primi mesi di vita del bambino, si passa
alla descrizione dell’approccio allo studi dell’attività di genitore che l’autore definisce di tipo etologico.
Successivamente si parla dell’interazione madre-bambino illustrando i progressi sulle conoscenze riguardo
le prime fasi di tale relazione. Vengono poi illustrate le ricerche riguardanti i ritmi che regolano la relazione
madre- bambino arrivando alla conclusione che una madre dotata di una sensibilità normale si accorda
velocemente con i ritmi naturali del proprio bambino, e nonostante inizialmente la capacità di adattamento
del bambino sia molto ridotta, l’ascolto attento della madre ai suoi bisogni porterà poi successivamente
frutti positivi. Infatti la Ainsworth e i suoi collaboratori hanno potuto notare che bambini che hanno avuto a
che fare con madri sensibili ai propri bisogni, nel secondo anno di vita piangono meno e sono più desiderosi
di accordarsi con i desideri della madre, rispetto a bambini che hanno avuto madri meno pronte alla
risposta.
Successivamente si parla del ruolo materno e paterno mettendone in evidenza le similarità e le differenze,
osservando, in base agli studi di Main e Weston, che gli schemi di attaccamento nei confronti del padre
erano molto simili agli schemi nei riguardi della madre. Ogni genitore sviluppa il proprio stile di
attaccamento, proprio per questo sia il padre che la madre si devono impegnare affinché si formino due
attaccamenti sicuri che portino il bambino ad essere più fiducioso in se stesso e più capace. Per fornire una
base sicura è quindi necessario che i genitori siano disponibili, incoraggino, diano assistenza, siano presenti
quando vengono chiamati in causa, intervenendo attivamente solo quando chiaramente necessario per
incoraggiare l’autonomia. Viene quindi sottolineato nel testo come, perché i genitori si comportino in
questa maniera, sia necessario oltre a una predisposizione propria, soprattutto un tempo adeguato e un
atmosfera rilassata dove il legame possa aver luogo. Il genitore quindi, e in particolar modo la madre, ha
bisogno di tutto l’aiuto possibile nei primi mesi e anni, ma non nelle cure del bambino, che è compito suo,
ma nelle faccende domestiche. Il primo capitolo si conclude con la presentazione di studi sull’importanza
delle esperienze personali e infantili dei genitori, in quanto lo schema comportamentale del ”prendersi cura
di” si sviluppa molto presto,dal secondo anno di vita. Risulta quindi molto importante assistere i genitori nel
loro compito perché possano far avere ai loro bambini uno sviluppo sano che produca a sua volta buoni
genitori.
Il secondo capitolo è “le origini della teoria dell’attaccamento”, un quadro sulla nascita e lo sviluppo degli
studi e i progressi che sono stati fatti sull’attaccamento e la perdita, che nasce dalla necessità di Bowlby di
rispondere all’invito dell’American Orthopsychiatric Association che invitò l’autore a New York per ricevere
il Fourth Blanche Ittleson Award e tenere una conferenza per i membri. Partendo dall’illustrazione delle
principali teorizzazioni, si sofferma sul legame del bambino con la madre, sull’angoscia di separazione, il
lutto, i processi difensivi, arrivando alla conclusine che l’ esperienze infantili negative hanno degli effetti
gravi sull’individuo, che lo portano ad essere più vulnerabile a esperienze avverse tardive, e a reiterare
questi comportamenti nel corso della vita, spesso a causa dei disturbi della personalità che si sono originati
a causa delle esperienze primitive.
Nel terzo e nel quarto capitolo vengono presentate due conferenze che l’autore tiene sulla psicoanalisi. La
prima risale al 1978 quando Bowlby fu invitato dalla società psicoanalitica canadese. Prendendo come tema
la “psicoanalisi come arte e scienza” l’autore pone l’attenzione su due aspetti molto diversi della disciplina,
ovvero l’arte della terapia psicoanalitica e la scienza della psicologia psicoanalitica, cercando di
sottolinearne sia il valore di ciascuna che la loro grande differenza. All’interno di questo capitolo vengono
quindi affrontati i temi del campo di studio, metodi per acquisire informazioni, scetticismo e fede. La
seconda conferenza si intitola “la psicoanalisi come scienza naturale” e risale al 1980 quando l’autore viene
nominato Freud Memorial Visiting Professor in psicoanalisi presso l’University College di Londra. Bowlby
torna a ritrattare il tema svolto nella conferenza del ’78, convinto del fatto che la psicoanalisi dovesse
diventare parte delle scienze naturali. L’autore sottolinea le molteplici opposizioni che incontrò e il suo non
essere d’accordo con chi sosteneva la necessità di considerare la psicoanalisi una disciplina ermeneutica in
cui non esistono criteri in base ai quali si possono risolvere i disaccordi. Tale critica, come sottolinea
l’autore, parte da come viene definita la psicoanalisi. Sotto l’etichetta psicoanalisi coesistono infatti,
secondo l’autore, due discipline complementari che si oppongono. Quando cerchiamo di spiegare i principi
generali che spiegano lo sviluppo e la psicopatologia della personalità, adottiamo i criteri della scienze
naturali, quando invece ci occupiamo di comprendere i problemi personali di un individuo e capire quali
eventi possano aver contribuito a determinare un dato sviluppo adottiamo i criteri delle scienze storiche.
Sottolineando quindi che entrambi gli approcci contribuiscono alla conoscenza, l’autore conclude che solo
se abbiamo ben chiaro cosa è pertinenza dell’uno e cosa dell’altro approccio potremo fare progressi.
Il quinto capitolo affronta il tema della violenza nella famiglia, tema che l’autore ha presentato alla
conferenza del 1983 per la trentunesima Karen Horney Lecture, durante l’incontro annuale che si teneva a
New York, organizzato dall’Association for the Advancement of Psychoanalysis. Iniziando con una breve
introduzione sul tema della violenza familiare sulla quale cominciava a farsi luce la conoscenza proprio in
quegli anni, l’autore affronta il quadro teorico, partendo dall’analisi dei casi più usuali di espressione di
collera tra familiari, per poi passare ai casi limite. Successivamente vengono illustrati i risultati delle
ricerche arrivando alla conclusione che i genitori che utilizzavano minacce di abbandono e maltrattamenti
verso i figli erano stati a loro volta figli maltrattati e minacciati, sottolineando così l’aspetto patogeno di
questi comportamenti. Questi meccanismi stanno a dimostrare come sia profondamente radicata nella
natura umana la tendenza a trattare gli altri nello stesso modo in cui siamo stati trattati. Il capitolo si
conclude con una proposta di misure preventive che andrebbero adottate per evitare la reiterazione dei
comportamenti aggressivi dei genitori maltrattati con i propri figli, ovvero una rete di sostegno costituita da
donne già mamme che vengono messe in contatto con donne che devono diventarlo, garantendo a
quest’ultime un sostegno pratico e psicologico nei momenti di difficoltà da parte di chi, le stesse difficoltà,
le ha già superate.
Nel sesto capitolo, viene presentata la versione ampliata di un articolo dal titolo “Sul sapere ciò che si
suppone non si debba sapere” che l’autore fu invitato a scrivere nel 1979 per contribuire a un numero
speciale del Canadian Journal of Psychiatry. Nell’articolo si illustra il modo di procedere del terapeuta,
facendo proprio l’assunto che l’esperienze sfavorevoli subite nel corso dell’infanzia nel rapporto con i
genitori, svolgono un ruolo importante nel determinare i disturbi cognitivi come i casi in cui le percezioni e
le attribuzioni sono distorte, alcuni casi di amnesia, così come i casi di personalità multipla. Prendendo in
esame gli antecedenti infantili si pone l’attenzione sulle amnesie che riguardano le esperienze negative,
divisibili in tre categorie: quelle di cui i genitori desiderano che i figli non sappiano niente, quelle in cui i
genitori hanno trattato i figli in modi che i figli trovano intollerabili, quelle in cui i figli hanno fatto o solo
pensato delle cose per cui si sentono colpevoli o si vergognano. Compito del terapeuta è quello di aiutare il
paziente a scoprire quali sono stati questi eventi, così che i comportamenti e le emozioni negative che
ostacolano il vivere adulto possano essere ricollegate alle situazioni di origine. Quindi, visto che tale
valutazione e ricostruzione può essere intrapresa solo dal paziente, il compito primario del terapeuta è
assisterlo in questa ricerca, per poi, in un secondo tempo, analizzare come tali esperienze abbiano
continuato ad influenzarlo.
Il settimo capitolo prende in esame “il ruolo dell’attaccamento nello sviluppo della personalità”. Le
documentazioni riguardo questo argomento hanno inizio attorno agli anni ottanta, con il progredire e
l’affinarsi delle ricerche a riguardo è stato sottolineato che il ruolo di una buona comunicazione biunivoca
tra genitori e figli favorisce lo sviluppo emotivo sano. Sulla base di questo assunto l’obbiettivo di questo
capitolo è quello di fornire, a chi lavora nel campo della salute mentale e agli psicoterapeuti, la rassegna di
questi nuovi dati che, secondo l’autore, hanno implicazioni cliniche di vasto raggio. Vengono quindi illustrati
gli aspetti caratteristici della teoria dell’attaccamento sostenendo la differenziale posizione rispetto alle
teorie psicoanalitiche tradizionali, che vedeva lo sviluppo come il passaggio attraverso stadi in ciascuno dei
quali il bambino può fissarsi o regredire. La teoria dell’attaccamento sostiene invece un modello in cui si
teorizza che l’individuo abbia a disposizione molteplici percorsi su cui potersi sviluppare, in base
all’interazione dell’individuo stesso con l’ambiente che lo circonda e dal modo in cui i suoi genitori lo
tratteranno. Questo modello apre la strada alla possibilità del cambiamento anche in età adulta. Infatti,
sebbene la capacità di mutare il corso dello sviluppo diminuisca con l’età i cambiamenti continuano per
tutta la vita, sottolineando che le persone in nessuna età della vita sono invulnerabili alle avversità ma
anche alle possibili influenze positive, ed è proprio grazie a questo che si possono fare terapie efficaci.
L’ottavo e ultimo capitolo è da considerarsi come ampliamento del precedente in quanto l’autore sostiene
che molte delle sue teorie sull’implicazioni terapeutiche della teoria dell’attaccamento siano state poi
rinforzate dalle molte cose che sono state scoperte negli anni successivi. L’autore pone particolare
attenzione ai modi in cui le prime esperienze di un paziente influiscono sulla relazione di transfer,
sottolineando gli obbiettivi del terapeuta, ovvero di rendere il paziente in grado di costruire i modelli
operanti di sé e della/e sua/e figura/e di attaccamento, così da subire meno l’influenza dei dolori passati e
per valutare meglio i compagni del tempo presente per quello che sono in realtà.
Il libro infine si conclude con un a riflessione molto interessante, sottolineando l’importanza delle
espressioni emotive come informazioni vitali per la costruzione e la ricostruzione di modelli operanti del sé
e degli altri, esprimendo quello che ciascuno sente dell’altro. Non a caso infatti nei primi anni di vita
l’espressione emotiva e la sua ricezioni sono gli unici mezzi di comunicazione, basandoci per la costruzione
delle figure di attaccamento e dei modelli operanti del sé su questa unica fonte. Ne consegue quindi che
nella relazione paziente-terapeuta le comunicazioni emotive svolgono un ruolo cruciale, quando,
soprattutto, si vanno a ripercorrere le relazioni di attaccamento e la strutturazione dei modelli operanti
della vita.