Rivalta T.se, 18/02/2005: incontro con la dott.ssa Bozzolo (psicologa dei Servizi Sociali ASL n° 5) “I DISTURBI DELL’ATTACCAMENTO” All’inizio della sua vita il bambino non è in grado di riconoscere la mamma come figura a sé, ma si abitua solo alla voce, allo sguardo e alle braccia che lo prendono: perciò la interiorizza poco per volta attraverso le proprie sensazioni. Solo con il tempo comincia a riconoscerla come una persona “distinta”, riuscendo a differenziarla dalle altre figure della famiglia, come i nonni e il papà: infatti, attorno ai 6 mesi di vita realizza che quella “figura” è la mamma. Da quel momento comincia allora a sviluppare un modello di attaccamento particolare in funzione dell’atteggiamento della figura materna nei suoi confronti, e tale attaccamento costituisce la base di sicurezza da cui partire per esplorare l’ambiente circostante. Ecco che, quando il bambino dimostra un particolare attaccamento a un gioco o ad un oggetto, e lo porta sempre con sé, ciò significa che quel particolare oggetto rappresenta un surrogato della madre, un simbolo della presenza e delle caratteristiche materne; in altre parole, esso rappresenta affettivamente l’essere materno. Allo stesso modo, a 1-2 anni il bambino gioca spesso a nascondino e così facendo mima la mamma che va e che poi torna, preparandosi mentalmente al suo allontanamento e attenuando il timore della perdita. Questa esperienza è necessaria per instaurare una dipendenza sicura dai genitori, per cui successivamente il bambino potrà essere in grado di affrontare situazioni non familiari in cui deve agire da solo. I bambini “carenziati”, invece, hanno avuto una mamma presente fisicamente, ma non “mentalmente”, in quanto non era rispondente ai loro bisogni. E’ il caso di mamme definibili come “ambivalenti”, cioè che sono presenti fisicamente e spesso tengono il bambino molto vicino a sé, ma solo perché hanno bisogno loro di tenerselo accanto, mentre in altri momenti se ne disinteressano completamente. Ogni bambino ha bisogno della pappa quando ha fame, o di essere accudito quando non sta bene: ha cioè bisogno di una mamma che “pensa”, che risponde sensibilmente e in maniera appropriata alle sue richieste, fornendogli il conforto e la protezione necessari quando egli ne manifesta l’esigenza attraverso il pianto o altri segnali di richiamo. All’età di 2-3 anni il bambino ha emozioni molto forti e intense e non sa distinguere quello che prova da quello che significa, in quanto per lui l’emozione, la sensazione si traducono già in azione, e non sa differenziare il pensiero dall’azione. Se in queste situazioni il bambino risponde con rabbia, il genitore non deve restituire con altrettanta rabbia, ma deve cercare di contenere tali reazioni: in sostanza, il genitore deve prendere su di sé le reazioni (cioè emozioni) negative del bambino e dare una risposta contenitiva e costruttiva, che le restituisca depurate, dimostrando così che, se un adulto riesce a sopportare un’aggressività così alta, vuol dire che tale aggressività non è così distruttiva. Il contenimento si opera dando limiti e confini al bambino, facendogli imparare la differenza tra il bene e il male; può anche essere necessario ricorrere a regole “fisiche” (es.: tenerlo fermo con le braccia). Un bambino che non ha ricevuto tutto questo nei primi anni di vita, non ha gli strumenti per sapere ciò che è bene e ciò che è male, non ha un’idea di confine: pertanto, non svilupperà fiducia nel mondo, non acquisterà stima di sé e non riuscirà così ad affrontare nuove esperienze nell’ambiente che lo circonda. Possiamo affermare che tutto ciò è conseguenza dell’incapacità di stabilire un legame selettivo con una figura di attaccamento, un fattore decisivo che porta il bambino ad avere disturbi permanenti e difficilmente reversibili della socializzazione. Il bambino “carenziato”, per esempio, non sa giocare, non riesce a socializzare, non è in grado di costruire nuovi legami di attaccamento: al contrario, a poco a poco reinveste su di sé l’amore destinato alle figure parentali, come se avesse abbandonato l’idea che qualcuno possa dare una risposta ai suoi bisogni, e di conseguenza appare poco disposto ad amare e a lasciarsi amare. Tipicamente, se il bambino non ha costruito dentro di sé una figura “costante” di madre, non possiede un riferimento da cui dipendere: ciò comporta danni forse irreparabili già a 6 anni, e una possibilità di recupero tanto più limitata quanto maggiore è il periodo passato nella “carenza” di un legame di attaccamento. Se ad esempio il bambino affamato aspetta il latte per tanto tempo, a un certo punto passa dall’attesa quieta al pianto; quando poi il latte arriva, non lo considera più un cibo buono, perché a quel punto è talmente frustrato da considerare la mamma come persona “cattiva”, e si sente continuamente arrabbiato. Se il bambino è stato in un istituto, e uscendo da questo per entrare in un nuovo nucleo familiare mostra indifferenza all’allontanamento da quel luogo, ciò significa che non risente di una perdita, poiché probabilmente ha sofferto e non è stato accudito a livello affettivo dalle operatrici. Se invece ha attuato un minimo di attaccamento, su questo può costruire futuri rapporti sociali di fiducia. Nei paesi dell’Est gli istituti sono in genere meno accudenti che in altre nazioni: per questo, quando i bambini arrivano nella famiglia adottiva sono scatenati ed arrabbiati, e non riescono a soffermarsi neanche su un gioco. In Bulgaria, ad esempio, il rapporto operatore-bambino non consente l’instaurarsi di un legame di attaccamento, perchè in genere gli operatori sono infermieri che si preoccupano solo della salute dei bambini e il rapporto si ferma solo all’accudimento fisico; per il resto, i bambini sono lasciati soli a se stessi, e anche se nelle stanze vi sono giochi e attrezzature disponibili, di fatto non vengono lasciate utilizzare. Le gravi carenze vissute nei primi anni di vita da questi bambini determinano successivamente dei ritardi, con la comparsa di problemi relazionali che investono tutti gli aspetti del comportamento, sia a livello dello sviluppo motorio, sia a livello cognitivo e del linguaggio. In conclusione, si può affermare che i bambini “carenziati” non riusciranno ad avere uno sviluppo naturale se non vengono aiutati il prima possibile: esiste infatti uno stretto legame tra le prime esperienze relazionali del bambino e il suo successivo sviluppo psichico ed intellettivo, e ciò suggerisce l’importanza di un corretto e tempestivo inquadramento diagnostico dei disturbi del legame di attaccamento, al fine di limitare un’ulteriore compromissione psicopatologica negli anni successivi. Link utili sull’argomento: http://www.laprimogenita.it/Problematiche%20Adozione/Psicopatologia%20e%20disturbo%20dell'attaccamento_%20S tudio%20retrospettivo.htm http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=10215