MEJERCHOL’D, VSEVOLOD EMIL’EVIC (originariamente KARL THEODOR KASIMIR MEIERGOLD). Attore dramm. e cinem., regista dramm., cinem. e d’opera, teorico di teatro russo, nato a Penza il 28 gennaio 1874, morto il 17 marzo 1942. Il padre, un ebreo tedesco convertitosi al luteranesimo, s’era stabilito da giovane in Russia, sposandovi una ragazza di povera famiglia e fondandovi una fiorente distilleria d’acquavite. Sino alla morte era rimasto fedele alle sue origini tedesche. Fu la madre a infondere a M. l’amore per il teatro e a fargli studiare pianoforte e violino. Il giovane Vsevolod si appassionò dell’arte dei molti attori provinciali che passavano allora per Penza. Nel 1884-95 frequentò svogliatamente il ginnasio. Irrequieto e morboso, fin dalla giovinezza rivelò un pessimismo iperbolico, una tendenza a ingrandire i lati cupi e grotteschi delle cose, un’amarezza sarcastica che sarà il motivo dominante di tutta la sua vita. Gran presa ebbero su lui le correnti del decadentismo (suo autore preferito era Vsevolod Garsin). Benché la cultura tedesca fosse una componente fondamentale della sua formazione, a differenza del padre egli era radicato nell’ambiente russo. E perciò, il 24 giugno 1895 finito il ginnasio, prese la cittadinanza russa, si fece ortodosso e mutando Meiergold in Mejerchol’d, assunse, in onore di Garsin il nome di Vsevolod. Si recò quindi a Mosca, iscrivendosi alla Facoltà di giurisprudenza, ma frequentando piuttosto il Malyj T. e gli spett. di Stanislavskij all’Obcestvo iskusstva i literatury (Associazione d’arte e letteratura). Il 17 aprile 1896 sposò a Penza Ol’ga Michajlovna Munt. Nell’autunno di quell’anno fu ammesso ai corsi dramm. del Filarmoniceskoe obcestvo (Associazione filarmonica), dove fu allievo di Nemirovic Dancenko. Licenziatosi nel 1898 con un esame brillante, fu chiamato al nascente T. d’Arte. Ma frattanto, nelle estate 1897 e ‘98, egli aveva debuttatato come attore al Narodnyi T., organizzato da un gruppo di giovani a Penza, interpretando Kockarèv in Zenit’ba (Il matrimonio). Arkadij in Les (La foresta), Rispolozenskii in S’voi ljudi-sol témsja (Coi propri ci si arrangia) di Ostrovskii. Grande influssi esercitò su lui in quel torno lo scrittore Aleksej Remizov, esiliato a Penza per attività socialistica. Al T. d’Arte, già nella prima stagione, sostenne diverse parti (Vasilij Sujskij in Car Fèdor di Tolstoj; Treplev in Cajka [Il Gabbiano] di Cechov; il marchese di Forlipopoli nella Locandiera di Goldoni; il principe d’Aragona in The Merchant o! Venice di Shakespeare, ecc.), ma la critica scrisse negativamente delle sue interpretazioni. In realtà benché ricco di tecnica e di temperamento, M. era attore troppo aspro, scattante, angoloso, e tendeva a fare dei suoi personaggi parvenze malate, nevrasteniche, che sarebbero state più adatti a un teatro espressionistico. Gli erano di nocumento la figura sperticata, il naso troppo lungo, l’abitudine di tenere la testa all’indietro, la gracilità della voce. Vedendo scarse prospettive nella carriera d’attore, M. cominciò a pensare sin d’allora alla regia. Le sue interpr. si fecero sempre più rade nelle stagioni seguenti, ma il lavoro al T. d’Arte gli fu comunque prezioso, sia per il contatto con Stanislavskij, che non cessò mai di ammirarne l’intelligenza, che per l’amicizia con Cechov, che gli fu prodigo di consigli. Per districarsi da una situazione senza uscita, nel febbraio 1902 M. abbandonò la scena di Stanislavskij, formando con un altro attore transfuga, Koseverov, una compagnia che si prefisse di divulgare in provincia il repertorio e i principi del T. d’Arte. L’impresa ebbe successo, ma M. non si appagò di restare nei limiti del T. d’Arte e, ritiratosi Koseverov nella stagione 1903-04, diede un altro indirizzo alla compagnia., che assunse la denominazione di Tovariscestvo Novoj Dramy (Società del Nuovo Dramma) Questo complesso, di cui era consulente letterario Remizov rappresentò, accanto ai lavori del T. d’Arte, drammi di Schnitzler, Przybyszwvski, Maeterlinck, Ibsen, Hauptmann. Il pubblico della provincia (nella stag. 1904-05 il Tovariscestvo ebbe sede a Tiflis) non dimostrò molta comprensione per il repert. modernistico e per la regia antinaturalistica, ma in cambio il nome di M giungeva ai simbolisti delle due capitali come quello di un audace sperimentatore. Incuriosito da questi tentativi e desideroso di nuovi orientamenti, Stanislavskij affidò a M. nella primavera 1905 l’organizzazione d’un Teatro-Studio nell’ambito del T. d’Arte. Con l’ausilio degli scenografi Sapunov e Sudejkin, del musicista Il’ja Sac e del poeta Valerij Brjusov, che già nel 1902, nell’articolo Nenuznaja pravda (L’inutile verità) apparso sulla rivista Mir iskusstva, era insorto contro il naturalismo, M. venne elaborando i principi di quella stilizzazione che ebbe nome «uslovnyi teatr», ossia teatro convenzionale. Li sue idee maturarono nelle prove di La Mort de Tintagiles di Maeterlinck, con cui lo Studio doveva inaugurarsi. Egli cominciò col sostituire al modellino naturalistico il bozzetto, perché l’ambiente scenico fosse, non copia d’una realtà, ma trasposizione d’un fantasioso dipinto, e volle che gli attori, scandendo con freddo cesello le parole e accentuando la plasticità dei gesti, si movessero davanti a piatti fondali esornativi. Che egli non perdesse di vista la pantomima si comprende dal suo slogan «Le parole sono in teatro solo un arabesco sul canovaccio dei movimenti ». Ma Stanislavskij presto si deluse dell’esperimento e non lasciò che lo Studio si aprisse: d’altronde attori abituati a una recitazione psicologica difficilmente avrebbero corrisposto alle premesse del teatro «convenzionale ». Dopo una breve apparizione a Pietroburgo, M. tornò nel 1906 a Tiflis, mettendovi in scena Evrei (Gli Ebrei) di Cirikov, La Mort de Tintagiles di Maeterlinck, Hanneles Himmelfahrt di Hauptmann, Nora e Gengangere (Gli Spettri) di Ibsen ecc. Qui ricevette l’invito della Komissarzevskaja che lo chiamava a Pietroburgo nel suo Dramaticeskij Teatr. Quell’anno egli lesse Die Schaubuhne der Zukunft di Geor Fuchs, che esercitò su lui enorme influsso: da quel libro derivano le sue idee sulla meccanizzazione della scena, l’ingegneria teatrale, il proscenio come luogo principale d’azione, e soprattutto la.sua avversione. per la scatola panoramica, mondo di cartone e d’orpello. La sua prima regia al Teatro di Vera Komissarzevskaja fu Hedda Gabler (10 nov. 1906), raffinata composizione cromatica nello spirito dell’impressionismo. I colori dei. costumi erano stati scelti così da formare un Leitmotiv pittorico del personaggio: il verde per Hedda, il grigio-piombo per Tesman, il cannella per Lòvborg, il rosa per Tea, ecc. Hedda, personificazione dell’autunno dorato, assumeva una posa da regina sul suo trono bianco, e ogni figura aveva una sua impostazione plastica. Facevano da sfondo pannelli azzurri e oro-paglierino. I mobili e gli attrezzi (pianoforte, . pelli sul trono di Hedda, vasi di crisantemi) erano bianchi. La critica, ancora incline al teatro dell’attore e diffidente verso le novità registiche, si scatenò sin da questo primo spettacolo, sferrando attacchi che si fecero via via sempre più intensi. Seguirono Soeur Beatrice di Maeterlick, Odwieczna basn (La favola eterna) di Przybyszewski, Balagancik (Il piccolo baraccone) di Blok, Fruhlings Erwachen di Wedekind, Pellas et Mélisande di Maeterlinck. M. voleva che gli attori si muovessero con lentezza ritmica di manichini su fondali dipinti da scenografi stilizzatori come Sudejkin e Sapunov, senza turbare l’armonia delle linee, quasi appiattendosi i due dimensioni sullo spazio angusto del proscenio. Queste soluzioni sceniche e i personaggi dal «succo di mirtillo» come vennero chiamati da una battuta di Balaganck corrispondevano al gusto di un’epoca che amava, in pittura, in teatro, nel balletto, la stilizzazione e i pupazzi (epoca che culminerà col Pétrouchka di Strawinsky). I critici sostennero che un simile marionettismo soffocava il talento degli attori, e soprattutto della Komissarzevskaja. E a mano a mano anche questa si venne convincendo di ciò e ruppe con M. Il giurì d’onore, voluto da M, fu favorevole all’attrice (20 dicembre 1907). Questa rottura mise a rumore il mondo artistico di Pietroburgo, e i giornali reazionari diedero sfogo al loro livore contro il modernismo. Quand’ecco il direttore dei teatri imperiali, V. Teljakovskij, suscitando scandalo, scrtturò M. come reg. dramm. e d’opera all’Aleksandrinskii e al Mariinskij. Così lo sperimentatore simbolista divenne come egli soleva poi definirsi, «regista di Sua Maestà l’imperatore ». Non fu facile impresa per M. lavorare in. Teatri dove dominavano incontrastati vecchi attori ottocenteschi. Alcuni di loro lo accolsero con fredda correttezza, altri con aperta avversione (e fra questi Davydov, che lo chiamò «canguro furioso fuggito da un giardino zoologico».) M. esordì il 30 sett. 1908 con la regia di Ved Rigets Port (Alle porte del Regno) di Hamsun, iniziando da questo spettacolo una stretta collab. con lo scenografo Golovin, che sarebbe durata sino alla Rivoluzione. Ma non altro diede di notevole nella prima stagione (la progettata Salomé di Wilde, con Ida Rubinistejn, fu vietata dalla censura). Contemporaneamente insegnò teoria dell’arte dramm. alla Scuola mus. di Daneman, organizzò uno Studio col compositore M. Gnesin, diresse uno spett. nell’effimero cabaret Lukomor’e (L’insenatura), scrisse il mélo Drama iz loti (La dama del palco), dal racc. di Herman Bang De fire Diavier (I quattro diavoli) che fu dato il 19 febb. 1909 al T. del Grand-Guignol di Kazanskij. La messinscena di Tristano e Isotta di Mariinskij, il 30 ott. 1909, gli diede modo di precisare le proprie vedute sull’opera. Egli si convinse che l’opera, se si tolgono le parole, si risolve in una sorta di pantomima; che il maggior difetto degli spett. d’opera è che i cantanti muovono non dalla mus., ma dal libretto; che il realismo contrasta con la sostanza stessa dell’opera, il cui fondamento è la « convenzionalità »; che l’attore mus. deve far corrispondere un linguaggio plastico alla partitura.. In questo periodo M. approfondisce la sua erudizione, studiando i procedimenti dei teatri giapponese e cinese, del teatro francese del Seicento e di quello spagnolo del “Siglo de oro” e soprattutto i canovacci della commedia dell’Arte. Il 19 apr. 1910, nella « torre», il famoso salotto del poeta Vjaceslav Ivanov, mise in scena La Devocion a la Cruz di Calderòn, e nella stag. 1910-11 diede vita, assieme a M. Bonc-Tomacevskij, al Don Intermedij (Casa degli intermezzi), teatrino-studio in cui con lo pseud. gozziano di Dottor Dappertutto, diresse il 9 ott. 1910 la pantomima Sarf Kolombiny (La sciarpa di Colombina), adatt. di Der Schleier der Pierrette di Schnitzler-Dohnanyi: spett. che ebbe uno straordinario influsso su Gadibuk e Turandot di Vachtangov. M. vi fondeva elementi della comm. dell’Arte con reminiscenze di Balagancik di Blok e con un grottesco hoffmanniano. Abolita la ribalta, gli attori, salivano in palcoscenico dalla platea e in certi momenti sedevano tra il pubblico. Scenachiave, quasi emblematica per l’arte di M, fu quella, allucinante, del ballo nuziale di Arlecchino e Colombina, in cui, al suono d’una polca eseguita da goffi musicisti diretti da un pianista diabolico, un vortice di maschere roteava intorno al maestro di danza Gigolo, dal ciuffo di galletto. Simili scene di balli, sponssali, cerimonie grottesche si ripeteranno con sempre maggiore frequenza e con ritmi convulsi negli spett. di M. Su Vachtangov influì anche l’arlecchinata Arlekin-chodataj svadeb (Arlecchino sensale di matrimonio) di V. Solov’ev, che M. diresse in una sala del Circolo dei nobili e in casa del poeta Sologub, dopo la chiusura del Don Intermedij: il travestimento degli attori al cospetto del pubblico, l’improvvisazione e la parata delle maschere passeranno di qui nella regia vachtangoviana di Turandot. Il 9 novembre 1910 all’Aleksandrinskij andò in scena Don Juan di Molière, in cui M. aveva contaminato elementi del teatro giapponese con lo stile degli spett. dell’epoca di Luigi XIV. La sfarzosa scenografia di Golovin armonizzava con platea dove, durante la rappr., le luci non si spegnevano ma univano la loro fiamma a quella dei candelabri d’argento che sfavillavano sul palcoscenico. Lo spettatore doveva avere l’illusione di trovarsi a Versailles, al tempo del Re Sole. L’azione si svolgeva su un proscenio allungato e aveva un ritmo raffinato di danza. Piccoli negri in camiciole rosse ricamate accendevano candele, portavano spade, mantelli, cappelli, incensieri, annunziavano gli intervalli, mutavano i gobelins. Degli altri spett. diretti da M. nel periodo 1911- 16 ricorderemo le opere Boris Godunov (con Chaliapine), Orfeo di Glùck (con Sobinov), Elektra di Strauss, e le commedie Zelenoe Kol’co (L’anello verde) di Z. Gippius, El Principe Constante di Calderòn, Grata (L’uragano) di Ostrovskij, resa in toni funesti e febbrili. Contemporaneamente lavora in un nuovo Studio a Troickaja ulica, utilizzandovi le esperienze del suo primo studio ( 1908-09) e del Dom Intermedij, nello spirito della comm. dell’Arte: in quello spirito rappresentò alla Sala Tenisev’ con gli attori dello Studio, il 7 apr. 1914, Balagancik e Nezdakomka (La sconosciuta) di Blok, e cominciò a pubblicare nel 1914 la rivista Ljubov’ ktrem apel’sinam (L’amore delle tre melarance). Nella primavera 1913 M. mise in scena a Parigi La Pisanella di D’Annunzio con la Rubinstejn, e in quell’occasione si legò di grande amicizia con Apòllinaire. Nel 1915 girò il film Portret Doriana Greja (Il ritratto di Dòrian Gray) da Wilde, sovraccarico di manierismo estetizzante (egli vi interpretava Henry Wotton) e nel 1916 Sil’nyj celovek (L’uomo forte) da un dramma di Przybyszewski. Nel 1913 aveva riassunto il suo credo nel vol. O teatre (Sul teatro): ricusando lo psicologismo del T. d’Arte, egli vagheggiava un attore che possedesse particolari doti fisiche e un’immediata plasticità di movimenti. Come nella commedia dell’Arte e nel baraccone - modelli costanti di M. - l’attore doveva essere clown, giocoliere, ginnasta, ballerino; e lo spettacolo, non imitare la vita, ma avere una propria vita autonoma a dar largo risalto al grottesco. M. parla dell’importanza dello spettatore come componente dello spettacolo, dell’articolazione del piano scenico, del significato della musica nella rappresentazione, con una novità di vedute che giustifica le parole di Vachtangov: «M. ha dato le radici ai teatri del futuro, il futuro gliene darà merito ». Le ultime regie di M. prima della rivoluzione di Febbraio furono l’opera Kamennyj gost’ (Il Convitato di pietra) di Dargomyskij e Maskarad (Un ballo in maschera) di Lermontov. M., Golovin e il compositore Glazunov avevano lavorato sei anni alla preparazione di Maskarad,: e infatti lo spett. finì col prendere la rigidezza delle cose troppo curate. Per lo sfarzo di costumi sontuosi, mobili, velari multicolori con emblemi dipinti, la profusione di oro, veli, tulle, questa rappresentazione fosca e enigmatica (25 febb. 1917) fu come un’allegoria della Russia imperiale che se ne andava. Dopo la rivoluzione di Febbraio egli mise ancora in scena all’Aleksandrinskij Delo (Un affare giudiziario) e Smert’ Tarelkina (La morte di Tarelkin) di Suchovo-Kobylin, come un’esasperata fantasmagoria hoffmanniana. Dopo quella di Ottobre, fu uno dei pochi intellettuali (con Blok, Majakovskij e qualche altro) che si presentarono all’invito del Commissario del popolo per l’istruzione Lunacarskij. Venne nominato direttore del TEO (Teatral’nyj ‘Otdel [Sezione teatrale]) di Pietrogrado. L’insoddisfazione dell’artista innovatore nelle angustie della vecchia Russi, la fede nel parallelismo della rivolta sociale e di quella artistica, nonché l’odio per i critici conservatori lo spinsero ad abbracciare la causa del comunismo. In realtà egli era allora più vicino ai socialisti rivoluzionari del gruppo del giornale Znamja truda (La bandiera del lavoro) diretto da R. Ivanov Razumnik (e di cui era segretaria di redazione Zinaida Rajch), ma contava molte amicizie tra i bolscevichi (Trockij, Zinov’ev, Lunacarskij, ecc.), e ciò spiega perché, quando i socialisti rivoluzionari furono liquidati, egli poté aiutare molti di loro. Accostatosi ai futuristi e soprattutto a Majakovskij M. mise in scena nel nov. 1918, per il primo anniversario della Rivoluzione, Misterja-buff di quest’ultimo al T. Muzykal’noj Dramy di Pietrogrado. Quando nella prima 1919, sospinti dalla carestia e dalla guerra civile, molti intellettuali lasciarono Pietrogrado per il Sud, M. si recò con la moglie e le tre figlie in Crimea. Passata la Crimea nelle mani dei bianchi, egli rischiò d’essere arrestato dal controspionaggio bianco per essersi espresso in manie elogiativa dei sovietici, ma Sobinov intercedette per lui ed egli poté raggiungere. con la famiglia una tenuta di amici a 12 verste da Novorossijsk, sempre in territorio dei bianchi. Quando vide che questi si ritiravano, decise di non attendere più a lungo e di recarsi incontro all’esercito rosso, ma fu catturato e sarebbe stato fucilato come i suoi compagni di fuga, se non fossero intervenuti per lui artisti e ufficiali memori della sua fama di regista. Per reazione, all’arrivo delle truppe rivoluzionarie, si iscrisse al partito e si arruolò nell’Armata Rossa come commissario politico. Nell’ag. 1920 Lunacarskij lo chiamò a Mosca, affidandogli dal 16 sett. la dir. del TEO. Convinto che bisognasse mutare il teatro in tribuna del comunismo, M. proclamò l’Ottobre Teatrale (Teatral’nyj Oktjabr’) e, con Valerij Bebutov, mise in scena l’8 novembre 1920 nell’ex teatro Zon, muffito e cadente edificio dalle porte sgangherate (ribattezzato Teatr RSFSR 1°) Les Aubes di Verhaeren. Sul palcoscenico nudo (lo scenografo era adesso il futurista Dmitriev) stavano cubi rivestiti di tela grigio argentea e nell’aria una raggiera di fumi e alcuni « controrilievi » alla Tatlin: un pezzo di latta e due cerchi di piallaccio, uno rosso e uno d’oro. Gli attori recitavano immoti dall’alto dei cubi, e in orchestra un coro salmodiava slogan d’agitazione. Così elementi da tragedia greca si fondevano col futurismo pittorico e con una recitazione arieggiante i moduli del teatro «convenzionale ». Per ravvicinare lo spett. a un comizio, M. fece a volte salire sul palcoscenico reparti di soldati e marinai rossi con armi e fanfare; e ogni sera inseriva nel testo le notizie dai fronti della guerra civile. Sin da questo spett. cominciarono gli attacchi dei politici e dei gretti funzionari contro M. Il 20 febb. 1921 egli lasciò il TEO. Il 21 mag. dello stesso anno riprese al Teatr RSFS 1° Misterja-buff di Majakovskij. Subito dopo il teatro si chiuse, e con esso il periodo d’agitazione dell’arte di M. Frattanto egli aveva stretto legami coi gruppi d’avanguardia che propugnavano il costruttivismo. La sua scuola prese nome di GVYRM (Gosudarstvennye Vyssie Rezisserskie Masterskie: Laboratori registici statali superiori): gli allievi (ve n’erano alcuni che si sarebbero fatti nome, come Ejzenstejn, Aleksandrov, Ochlopkov, Il’inskij, Babanova, Rajch Zajcikov, Martinson, ecc.) si esercitavano alla biomeccanica: un sistema di salti, flessioni, finte, schermaglie, escogitato da M. Egli si invaghì allora di Zinaida Rajch, che aveva conosciuta a Pietrogrado nel I 917 e aveva da poco divorziato da Sergej Esenin. Biomeccanica e costruttivismo furono i motivi dominanti della regia di Le Cocu magnifique di Crommelynck, messo in scena il 25 apr. 1922. Sul palcoscenico denudato sino ai mattoni del muro, senza sipario nè ribalta né quinte, era un’impalcatura di scale, porte, piattaforme, declivi arieggiante un mulino, una sorta di macchina progettata da Ljubov’ Popova. Questa impalcatura servi trampolino per gli attori che, in tuta operaia, eseguivano una serie sinfonica di acrobazie e di esercizi, tra il balletto e lo sport. Nel III a. il reg. aveva inserito il primo jazzband russo. Questo spett. esprimeva con parsimonia di mezzi l’allegria della giovinezza, l’entusiasmo di attori-acrobati liberati dai vincoli dello psicologismo. I moduli costruttivisti vi trapassavano nella finzione della comm. dell’Arte. Seguirono Smert’ Tarelkina (La morte di Tarelkin) di Suchovo-Kobylin (24 nov. 1922), spett. eccentrico, tutto capriole clownesche, salti mortali, scoppi di mobili e trucchi di giocolieri, e Zemlja dybom (La terra s’imperizia) da La Nùit di Marcel Martinet (z. mar. 1923), in cui salivano sul palcoscenico reparti militari con mitragliatrici, riflettori, cannoni autocarri, motociclette, e morti rivoluzionari erano proiettati su uno schermo sospeso su un’intelaiatura astratta della Popova. Il 2 apr. 1923 al Bol’soj fu celebrato con grande solennità il ventennio di reg. e il venticinquennio d’attore di M. Egli fu nominato artista nazionale della RSFSR, il suo teatro assunse la sigla TIM (Teatr imeni Mejerchol’d = T. Mejerchol’d) e le GVYRM si mutarono in Gektemas (Gosudarstvennye eksperimental’nye teatral’nye mastersk [Laboratori sperimentali teatrali di Stato]). Il nome di M. correva per tutta l’Unione, e fiorivano ovunque decine di epigoni, che deformavano per troppo zelo le sue invenzioni. Nuovi attori di vaglia (Orlov, Strauch, Glizer, Bogoljubov, Sverdlin, Temerin, Serebrjannikova, Remizova, ecc.) si vennero formando sotto la sua guida. Egli dirigeva, oltre il TIM, anche il T. Revoljucii, dove diede due eccellenti regie: Dochodnoe mesto (Un posto lucrativo) di Ostrovski e Ozero Ljul’ (Il lago di L.) di Fajko. Era vicino agli artisti e ai poeti (Majakovskij, Pasternak, ecc.) del LEF (Lev ‘ront iskusstv = Fronte di sinistra delle arti), e al centro delle nuove correnti. Anche l’Europa lo veniva scoprendo e i teatrologhi occidentali cominciarono a recarsi da lui come in pellegrinaggio. Allo slogan lanciato da Lunacarskj « Tornare a Ostrovskij» M. rispose mettendo in scena, il 16 genn. 1924, Les (La foresta). Divise la comm. in 33 episodi brevi e scattanti, che si susseguivano come sequenze filmiche (egli sognava allora la «kinofikacija teatra », ossia l’applicazione al teatro dei principi cinem.). Sulla scena era un viottolo di legno sospeso che scendeva a semicerchio verso la platea. Ma la nudità costruttiva già s’era arricchita di elementi reali, come specchi, pergola, altalena, ecc. Gran rilievo diede M. al giuoco degli attori con gli oggetti ritmo del cinema si avvertiva anche nel seguente D. E., (Dacci l’ Europa!), montaggio in 17 episodi, di Trust D. E. di Erenburg, di Der Tunnel di Kellermai e di motivi di Upton Sinclair, storia della lotta d’un radio- trust sovietico col capitalismo americano che divora l’Europa. Fu uno spett. pieno di trasformazioni: 45 attori in 95 parti (Garin ne sosteneva 7). M. vi introdusse una sua invenzione «les murs mobiles », cioè scudi a rotelle che, in diversi accostamenti, variavano in un baleno il luogo d’azione. Gli episodi sovietici furono qui piuttosto noiosi a confronto di quelli occidentali, in cui M. presentava la moda degli anni venti, gentlemen in smoking, girls intente a ballare. il fox-trot e il charleston. D. E. era ricco di jazz (e quando nel 1925 Sidney Bechet si recò a Mosca, M. lo scritturò per il suo teatro). Dopo questo spett. M. venne mutando attori-acrobati, allegri e dinamici, in spente figure, in manichini, e diede toni sempre più foschi alle sue regie. In Ucitel’ Bubus (Il maestro B.) di Fajko (29 genn. 1925 ad es., gli interpreti si movevano con lentezza malata, impetrando prima di pronunziare una battuta (procedimento che ebbe nome «predigra » = pregiuoco). Movimenti, parole luci erano come inseriti nel tessuto musicale. La scena era cinta d’un semicerchio di bambù sospesi, che tinnivano al tocco degli attori, e in alto, in una conchiglia dorata un pianista in marsina eseguiva 46 pezzi di Liszt e Chopin alternati dai suoni d’un jazz. Alle diapositive che in D.. davano i titoli degli episodi M. aveva qui sostituito insegne luminose. C’era in tutto lo spett. una raffinata stanchezza, una malinconia per quel mondo borghese di cui egli voleva mostrare il marasma. Non meno fosco e allucinato fu Mandat (Il mandato) di Erdman ( apr. 1925), in cui la parodia dei nepmany e dei filistei assunse toni hoffmanniani e i personaggi apparivano su mobili cerchi concentrici («dvizusciesja koncentriceskie krugi »), come affiorando dal buio. Mentre il suo allievo V. Fédorov rappresentava Ryci, Kitaj (Ruggisci Cina) di S. Tret’jakov (23 genn. 1926), preparava Revizor di Gogol’, che andò in scena il 9 dic. 1926. Confrontando le diverse varianti, invertendo l’ordine delle scene e inserendovi brani di altre opere gogoliane, si firmò per la prima volta «autore dello spettacolo ». Qui le reminiscenze del cinema comico (Keaton, Chaplin), si fondevano con le allucinazioni del simbolismo e coi dati del costruttivismo in un insieme torbido e stralunato. Chlestakov assumeva un che di diabolico e di arlecchinesco, il sindaco del paesuccio sperduto si mutava in un furbo generale; la moglie Anna Andreevna in dama del gran mondo; e il paese, in cui si svolge l’azione, in un’allegoria della vecchia Russia. Un semicerchio di mogano con 15 porte cingeva il palcoscenico: dalla porta centrale usciva per i diversi episodi una piattaforma con gli attori e gli attrezzi già pronti. Erano questi i « primi piani », mentre furono «campi totali» le scene in cui da tutte le porte uscivano gli impiegati a recar doni a Chlestakov a quella in cui si svolgeva il grandioso ballo con quadriglia. Il sindaco diceva il suo ultimo monologo, esasperandosi fino a impazzire. Gli ospiti impetravano. Un velano annunziava l’arrivo del vero revisore. Al cadere dello stesso velario, manichini di argilla apparivano al posto degli attori irrigiditi. Fu uno spett. iperbolico, sovraccarico, curato nelle minuzie (certe scene erano ispirate a quadri del tempo di Gogol, e particolarmente ricche erano la partitura cromatica e la tessitura musicale). Quello stesso anno M. interpretò il governatore crudele nel film di Protazanov Belyj orel (L’aquila bianca, 1927) da un racc. di Andreev. Ai classici tornò con una regia di Gore umu (Che disgrazia l’ingegno) di Griboedov (12 mar. 1928). Ma egli era ansioso di mettere in scena commedie contemporanee: dopo aver invano tentato di ottenere il permesso della censura per Samoubijca (Il suicida) di Erdman, rappresentò, il 13 febb. 1929, Klop (La cimice) di Majakovskij, Komandarm 2 (Il comandante d’armata 2) di Sel’vinskij (24 lu. 1929), Banja (Il Bagno) di Majakovskij (16 mar. 1930). Lo spett. Chocu rebénka (Voglio un bambino) di S. Tret’jakov, già da lui messo in prova fu vietato dalla censura. Del ‘30 è il volumetto Rekonstrukcija teatra (La ricostruzione del teatro), in cui M. riassume sue idee sul costruttivismo, sui rapporti fra il cinema e teatro, sull’attore sintetico. Nel mar. 1931 egli mise in scena dramma di Vsevolod Vinevskij Poslednij refitel’nyj (L’ultima decisiva), di cui viene ricordata di solito soprattutto l’ultima scena: un gruppetto di marinai in un posto avanzato spara con una mitragliatrice Maksim e con pistole al di sopra del pubblico verso la balconata, dove si supponeva fossero fascisti, e di dove giungevano cannonate e rulli di tamburi I marinai cadevano l’uno dopo l’altro, finché l’ultimo ferito, scriveva col gesso su un muro « 170.000.000 — 22» prima di soccombere, con le ultime forze sparava su una radio superstite che trasmetteva fra le macerie un fox-trot. Parte di questo spett. era per altro una parodia del modo leccato con cui i balletti del Bol’soj presentavano i marinai Nel 1932 M. mise in scena Spisok blagodejanij (L’elenco d benefici) di Ju. Olesa, in cui tornava quel sogno dell’Occidente che aveva ispirato altre sue regie. Nell’est. 1932 il TIM si trasferì in una sede più piccola perché al suo posto doveva sorgere un nuovo grande edifici progettato da M. assieme agli architetti Barchin e S. Vachtangov. Pareva che stessero per avverarsi i sogni di M. d’un teatro-arena ricco di tutte le moderne risorse meccaniche. Ma i tempi andavano peggiorando e l’influsso politico di M. si era indebolito. Il gruppo staliniano, che sempre più prendeva il sopravvento, non gli era favorevole. Ma egli godeva sempre d’uno straordinario credito nel mondo teatrale. Dei suoi spett. di quegli anni bisogna ricordare Svad’ba Krecinskogo (Le nozze di Krecinskij) di Suchovo-Kobylin (mar. 1933),in cui Krecinskij (interpr. da Il’inskij) assumeva un aspetto di mago e di stregone, con un che arlecchinesco come già Chlestakov, e la Atueva (interpr. dalla Rajch), un impeto erotico simile a quello di Anna Andreevna in Resijzor; e La Dame aux camélias di Dumas fils (19 mar. 1934) in cui M. per la prima volta dopo la rivoluzione lasciò intatto il testo, senza interpolarvi nulla, e, al contrario degli spett. precedenti, accentuò la purezza dei rapporti, spogliando d’ogni erotismo la trama. Se nei lavori classici aveva inserito elementi frivoli, facendo di caste eroine vogliose civette, del mélo francese fece uno specchio di limpidezza, sottolineandone i lati più commoventi. La Rajch vi diede la sua più grande interpretazione. Come già in Spisok blagodejanij, qui le scene erano costruite i diagonale, ma sorprendevano soprattutto l’erudizione con cui M. aveva rievocato l’atmosfera di Parigi e la minuziosità (da T. d’Arte!) dei particolari (mobili, vasellame, statuette, candelieri orologi, ninnoli). Lo spett. ebbe un clamoroso successo. Ma frattanto, nel sett. 1934, si teneva il primo congresso degli scrittori sovietici, che segnò il ritorno agli stampi più vieti e l’inizi della caccia al cosiddetto «formalismo». Il 25 genn. 1935 M diede 33 obmoroka (33 svenimenti), che univa 3 vaudevilles di Cechov: Jubilej (L’anniversario), Medved’ (L’orso), Predlozenie (La proposta di matrimonio), spett. smagliante, ricco di trucchi e di colori, in cui i deliqui facevano da Leitmotiv e i personaggi erano mutati in automi nevrastenici, e una ripresa di Gore umu di Griboedov (nov. 1935), in cui inserì elementi del teatro cinese di Mej Lan-fan, che aveva allora compiuto una tournée in Russia. L’ultima grande regia di M. fu nel genn. 1935 quella dell’opera di Pikovaja dama (La dama di picche) di Cajkovskij al Malyj operny teatr di Leningrado, spett. che fu definito «uno dei maggiori avvenimenti nella storia del teatro d’opera ». Dal mediocre libretto di Cajkovskij, M. risalì al testo della novella puskiniana, riporatando l’azione dall’epoca di Caterina II a quella di Nicola I e incluse nel suo rif. brani del poema Il Cavaliere di bronzo. Rielaborò cioè il testo, come aveva fatto per Les e per Revizor. Il tema di Pikovaja dama gli fornì il destro, s’intende, per colori foschi e allucinati. Ma ciò che più colpiva era qui il principio della non coincidenza fra movimenti e musica. Il cantante, pur assoggettandosi al ritmo dello spett. e alla partitura, non doveva accentuar fisicamente ogni sforzato dell’orchestra, ma muoversi in contrappunto con la musica. Fu come il coronamento degli interessi mus. di M. (egli aveva appoggiato giovani compositori come Sostakovic, Sebalin, ecc.; sognava di realizzare Stal’nyj skok [Il salto d’acciaio] e Igrok [Il giocatore] di Prokof’ev, Neues Vom Tage di Hindemith, ecc.; e l’opera Nos [Il naso] di Sostakovic risente del suo Revizor). Nel 1935 fu organizzato il Comitato per gli affari dell’arte, al quale presiedette P. Kerzencev, che era stato agli inizi un sostenitore di M., ma ora, a un convegno del 4 mar. 1936, invitò M., « capo della tendenza formalistica» a rivedere i propri errori. Poco prima erano apparsi sulla Pravda gli articoli Sumbur vmesto muzyki (Scompiglio invece di musica, 28 genn. 1936) e Baletnaja fal’s (Un falso nel balletto) contro Ledi Makbet e Svetlyj rucej (Il ruscello luminoso) di Sostakovic, articoli che scatenarono una desolante campagna contro l’arte moderna in nome della più squallida oleografla. Nella conferenza M. protiv mejerchol’dovsciny (M. contro il mejerchol’dismo) pronunziata a Leningrado lo stesso giorno dell’appello di Kerzencev (e pubbl. da Literaturnaja gazeta il 20 mar. 1936), M. attaccò la linea del partito che favoriva la mediocrità, l’ignoranza, la confusione dei termini e insieme si difese dal mejerchol’dismo degli epigoni, che falsavano le sue idee, coprendosi del suo nome. Alla discussione sul formalismo in teatro, apertasi a Mosca il 23 mar., il maggior bersaglio fu M.. il quale prese la parola, il 27, senza far alcuna autocritica. Kerzencev assunse, in chiusura un tono duro e lo accusò di aver portato il proprio teatro in un vicolo cieco e di aver trascurato la drammaturgia sovietica. I lavori per la costruzione del nuovo teatro di M. furono interrotti (l’edificio fu adibito nel 1940 a sala da concerti, la sala Cajkovskij). Il Malyj opernyj t. di Leningrado ruppe con lui i contratti per la messinscena del Boris di Musorgskij e Kamennyj gost’ (Il Convitato di pietra) di Dargomytskij. Nel proprio teatro M., nel 1936 provò, senza condurlo a termine, Boris Godunov di Puskin. Poi cedendo a Kerzencev, decise di mettere in scena nel 1937 de testi sovietici: Natasa di Sejfullina e, col tit. Pavel Korciagin ovvero Odna zizn’ (Una vita), un adatt. del romanzo Kak zakaljalas’ stal’ (Come fu temprato l’acciaio) di N. Ostrovskij, ritenuto allora il vertice del realismo socialistico. Si sa poco di questi spett.; pare che nel secondo M. rendesse con acceni tragici le vicende della guerra civile coi suoi orrori. Il 17 dic. 1937, nonostante lo sforzo fatto da M. per adeguarsi ai criteri, Kerencev lo attaccò sulla Pravda con l’articolo Cuzoj teatr (Un teatro estraneo). L’8 genn. 1938 giornali pubblicarono il decreto con cui il Comitato per gli affari dell’arte liquidava il teatro di M., e lo stesso giorno comizi anti-M. si tennero in tutti i teatri dell’Unione. Stanislavskij chiamò M. nel suo teatro d’opera e avrebbe voluto affidargli la messinscena del Barbiere, ma ciò fu vietato dal Comitato per gli affari dell’arte (lo stesso Kerzencev fu poco dopo « dimesso », per aver troppo a lungo sopportato M.); allora Stanislavskij gli affidò un posticino di insegnante nel suo Studio dramm. Così M. tornava alle sue origini, al mondo del T. d’Arte. Vi lavorò qualche mese (frattanto la stampa lo attaccava senza tregua). Secondo alcune fonti egli avrebbe tenuto il 15 giu. 1939 un violento discorso sulla decadenza del teatro sovietico al congresso dei registi promosso dal Comitato per gli affari dell’arte. Fu arrestato la notte dal 17 al 18 giu. 1939. Qualche settimana dopo la Rajch fu trovata sgozzata nel suo appartamento. Sulla sorte di M. dopo l’arresto le notizie sono ancora contrastanti e sconfinano spesso nella leggenda, sì che è ancor oggi difficile stabilire se egli sia stato fucilato o, deportato, sia morto di stenti. Egli voleva che sulla sua tomba fosse scritto: «Qui giace un regista che non riuscì mai a mettere in scena Amleto».