“LA SCUOLA FRANCESE DURKHEIM

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“LA SCUOLA FRANCESE:
DURKHEIM”
PROF. SSA GRAZIA GADDONI
Università Telematica Pegaso
La Scuola francese: Durkheim
Indice
1
LA SCUOLA FRANCESE: DURKHEIM --------------------------------------------------------------------------------- 3
2
LE RAPPRESENTAZIONI COLLETTIVE ------------------------------------------------------------------------------ 5
3
LA DIVISIONE SOCIALE DEL LAVORO ------------------------------------------------------------------------------ 7
4
IL SUICIDIO ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
5
LA RELIGIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 La Scuola francese: Durkheim
La tradizione centrale della sociologia, che ha coniato il termine stesso, nasce in Francia ed è
legata al nome del suo fondatore: Emile Durkheim (1858 – 1917).
Egli e la sua scuola, diversamente da quella americana, contribuirono alla costituzione
dell’antropologia, infatti, utilizzarono i dati etnografici ricavati dalle società più semplici per
formulare una teoria generale dell’origine e della funzione delle rappresentazioni collettive e del
simbolismo sociale.
In realtà Durkheim non distingueva antropologia e sociologia in base all’oggetto di studio.
L’antropologia rappresentava la descrizione empirica delle società primitive. Sulla base dei dati
etnografici, la sociologia doveva poi produrre un’analisi teorica, formulare leggi generali capaci di
spiegare il funzionamento della società nel suo complesso, fosse questa tribale o moderna.
La distinzione non riguardava allora il campo di indagine, ma il tipo di analisi.
Durkheim era convinto che le società “primitive” fossero le più semplici perché le cose
superflue non erano ancora intervenute a modificarne l’essenza. I dati raccolti dagli etnografi
rappresentavano quindi un materiale importantissimo perché consentivano di mettere a nudo i
rapporti tra società e religione, di individuare il funzionamento della religione. Le religioni
primitive, infatti, vengono studiate non per cogliere la particolarità e la varietà delle credenze e
pratiche culturali, ma per mettere a fuoco gli elementi permanenti della religione (pag. 29).
L’autore, pur non usando mai il termine cultura, le attribuisce tuttavia un ruolo fondamentale
nella sua riflessione. Non solo perché studia la religione, le forme di classificazione, i valori e la
morale ma soprattutto perché per lui, la società, qualunque tipo di società, ha fondamentalmente un
carattere simbolico.
Egli arriva a tale conclusione quando risponde a un quesito al quale molti studiosi del suo
tempo cercavano di rispondere: perché la società sta insieme e non si disintegra nella lotta di tutti
contro tutti?
I pensatori liberali avevano teorizzato che ciò fosse dovuto al fatto che la società scaturisse
dall’incontro spontaneo tra individui razionali che perseguono i propri interessi sulla base di
contratti liberamente stipulati. Durkheim riteneva questa risposta fragile e poco convincente.
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La società si può basare sui contratti dei singoli individui solo se questi sono disposti a
rispettarli. In altri termini ciò richiede la presenza di una fiducia reciproca tra i contraenti, ossia
l’esistenza di una solidarietà precontrattuale. Non sono la razionalità e gli interessi a tenere unita la
società ma qualcosa che viene prima e che costituisce il loro fondamento.
Simboli sono le credenze e i rituali condivisi, in quanto svolgono la duplice funzione di
raffigurare la società, di rappresentarla, e di consentire la comunicazione tra i suoi membri. Essi
generano un consenso morale e cognitivo che unisce gli individui, crea vincoli reciproci e consente
loro di identificarsi in una collettività che li trascende: la coscienza collettiva.
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2 Le rappresentazioni collettive
Nelle opere successive l’autore sostituirà al concetto di coscienza collettiva, quello di
“rappresentazioni collettive”. Simboli sono le credenze e i rituali condivisi, in quanto svolgono la
duplice funzione di raffigurare la società, di rappresentarla, e di consentire la comunicazione tra i
suoi membri. Essi generano un consenso morale e cognitivo che unisce gli individui, crea vincoli
reciproci e consente loro di identificarsi in una collettività che li trascende.
Il moderno individualismo perde la sua ambiguità in quanto si presenta come una vera e
propria norma morale che orienta i comportamenti degli individui. Le rappresentazioni collettive si
distinguono da quelle individuali, che sono stati mentali di natura psicologica, per il fatto che hanno
caratteristiche sui generis, relativamente autonome. Egli sostiene che esiste una parte non del tutto
cosciente della rappresentazione che è sentita come obbligatoria, che si impone cioè in maniera
costrittiva e vincolante. Questi caratteri, esteriorità e obbligatorietà, che definiscono ciò che per
Durkheim sono fatti sociali, costituiscono la prova che questi modi di pensare e agire non sono
opera dell’individuo, ma derivano da una fonte di autorità che lo oltrepassa. Il substrato da cui
derivano non è il singolo individuo ma la dinamica specifica che si viene a creare quando più
individui si associano, entrando in relazione reciproca.
Mauss riprende l’idea durkheimiana del carattere istituzionale e oggettivo del mito e,
accostandolo al linguaggio, ne fa un sistema simbolico istituzionalizzato, un comportamento
verbale codificato che trasmette, come la lingua, modi di classificare e di organizzare l’esperienza.
Per D. e la sua scuola la cultura assume un posto centrale nell’intera teoria sociologica. Se
ne mette in luce il duplice carattere, cognitivo e morale; si introduce l’idea che i concetti e le
credenze operino entro contesti sociali da cui dipendono; si insiste sul fatto che essi non esistono
isolatamente ma sono il frutto di un’attività cooperativa; se ne sottolinea il carattere istituzionale; si
elabora la nuova idea che le norme e le categorie mentali hanno bisogno del sostegno dei rituali per
diffondersi e mantenersi.
Durkheim non è interessato a stabilire la verità o falsità di un concetto, diversamente da
Comte pensava che le credenze comuni a una società non contassero per il loro grado di verità, ma
per il fatto di costituire un elemento ordinatore e regolativo del comportamento individuale.
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Con la scuola durkheimiana, la cultura assume una consistenza sua propria, che rende inutile
o accessoria l’analisi delle motivazioni, degli interessi, del significato soggettivo che l’attore sociale
vi attribuisce. Tuttavia l’autore non dà alla cultura un significato autonomo in quanto crede che la
società non esista senza gli individui e che le rappresentazioni collettive non esistano senza
individui che le pensano. Piuttosto metteva in evidenza che queste ultime hanno assunto
un’oggettività e un’esteriorità del tutto particolare rispetto agli individui che ne fanno uso e in parte
le producono e le modificano. Gli oggetti culturali sono rappresentazioni collettive, e rappresentano
l'esperienza sociale.
Per Durkheim la cultura è una rappresentazione collettiva in due sensi:
•
gli oggetti culturali sono prodotti da gente relazionata ad altra gente;
•
nei loro prodotti culturali le persone rappresentano le loro esperienze di lavoro, di
gioia, di paura e di amore.
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3 La divisione sociale del lavoro
In questo scritto del 1893, Durkheim analizza passaggio dalla solidarietà meccanica a quella
organica
Ne “La divisione del lavoro sociale” Durkheim sostiene che il processo di differenziazione
sociale, che determina il passaggio da società di tipo meccanico a società di tipo organico, non
comporta il deperimento della dimensione simbolica della comunità sociale, ma soltanto un suo
cambiamento. Le società di tipo “meccanico” sono formate da piccole unità chiuse, tra loro simili,
in cui l’individualità è poco sviluppata e l’integrazione è garantita dal prevalere della coscienza
collettiva, ossia da forti sentimenti, norme e valori comuni. Nelle società di tipo “organico”
predominano la specializzazione dei compiti e le regole impersonali del mercato. In questo
passaggio la coscienza collettiva subisce una trasformazione sia nella forma sia nel contenuto, ma
non scompare. Più si sviluppa la divisione del lavoro più la coscienza collettiva diminuisce in
volume, intensità e grado di determinatezza. Essa diventa più debole e meno capace di uniformare i
comportamenti individuali e di esercitare un rigido controllo sociale. Le regole di condotta e i
modelli di pensiero sono più generali e indeterminati. Cambia anche il contenuto della coscienza
collettiva che diventa sempre più secolarizzata, ossia meno definita da orientamenti religiosi e
centrata su valori individualistici. Inoltre divengono importanti quelle norme la cui violazione non
prevede sanzioni di tipo repressivo, ma implica misure di tipo restituivo, volte a riportare le
relazioni turbate alla situazione precedente.
Prima della vita moderna, affermava Durkheim, la gente era integrata perché aveva vite
simili. Nei primi tempi ogni membro di una società svolgeva lo stesso tipo di lavoro, seguiva la
stessa religione, pensava e credeva più o meno allo stesso modo degli altri. Le credenze e le
cognizioni condivise di un popolo costituivano la sua coscienza collettiva, e questa coscienza
governava i suoi pensieri, i suoi atteggiamenti e le sue pratiche.
Il cambiamento si verificò quando la società crebbe in dimensioni e densità e la gente
cominciò a specializzarsi. Le istituzioni moderne separarono i processi vitali della famiglia, ma
anche uno dall'altro.
Durkheim credeva che ogni società dovesse avere qualche tipo di rappresentazione collettiva
che dimostri ai membri della società di essere tra loro interconnessi.
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Solidarietà meccanica:
•
Si fonda su somiglianza tra forme di vita degli individui
•
Essi vivono allo stesso modo, nello stesso ambiente, sono esposti agli stessi stimoli
idali in quanto simili
•
Sempre esistita nella storia delle società umane
•
Basata sulla morale e sull’omogeneità sociale
In questa struttura domina la tradizione, manca totalmente l’individualismo e la giustizia è
nettamente orientata verso la subordinazione dell’individuo alla coscienza collettiva
Vincoli di parentela, localismo e del sacro danno solidità al tutto
Solidarietà organica:
•
Basata su divisione del lavoro, sulla crescente interdipendenza di tutti gli individui
•
Individuo libero da restrizioni del passato, da conformismo sociale
•
Religione diventa individuale e rapporto con collettività riflessivo, caratterizzato da
una “coscienza critica”
Durkheim afferma poi che la solidarietà organica (cioè la divisione del lavoro) può essere
patologica e distingue due forme di patologia:
1.
la divisione coercitiva del lavoro – che si ha quando ad un individuo è assegnato un
certo lavoro in virtù della posizione sociale che egli occupa e non in base ai suoi meriti o alle sue
capacità (in questo caso le regole possono anche esserci ma non sono giuste: l’autore risolve questo
problema affermando, in modo sorprendente, che non vi sarebbe più coercizione se i singoli
individui esercitassero funzioni superiori o inferiori le une alle altre che fossero adatte alle loro
inclinazioni individuali. Se la società, nella sua dinamicità, consente agli strati inferiori di
migliorare le proprie condizioni gli individui più dotati non accettano più lo stato di cose in atto).
2.
la divisione anomica del lavoro - che è una condizione patologica caratteristica della
società capitalistica conseguenza della esasperata specializzazione del lavoro nelle industrie anche
se non è corretto pensare che sia la stessa
divisione del lavoro a creare una situazione di
disgregazione della solidarietà sociale.
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E’ per spiegare questa situazione che Durkheim espone la sua teoria dell’anomia
Egli inzia con l’affermare ciò che costituisce l’unità delle società organizzate è il consensus
spontaneo delle parti, è la solidarietà interna che non solo è altrettanto indispensabile quanto
l’azione regolatrice dei centri superiori, ma anzi ne è la condizione necessaria poiché essi non fanno
altro che tradurla in un altro linguaggio e consacrarla. Le parti di una società che svolgono funzioni
lavorative differenziate per la loro stessa vicinanza reciproca e perché intrecciano rapporti tra di
loro creano con il tempo le norme che regolano questi loro rapporti. La norma non precede i
rapporti coordinati ma, al contrario ne è semplicemente l’espressione. Sono le parti che con il tempo
individuano le modalità migliori per i loro rapporti, modalità che meglio si confanno alla natura
delle cose tanto che, alla fine, esse diventano regole generali. Se nel lavoro industriale e nella
scienza si crea anomia è perché i mutamenti sociali e scientifici verificatisi sono stati troppo rapidi
per consentire che si formassero norme adeguate per il loro buon funzionamento.
Le società moderne posso restare in equilibrio soltanto se in esse il lavoro è diviso:
“l’attrazione del simile per il simile” basta sempre meno a produrre la solidarietà capace di garantire
la coesione di una società differenziata funzionalmente Ma qual è il limite della divisione del
lavoro?
Primo dovere degli uomini moderni è quello di costruire una morale su basi diverse da
quelle delle società tradizionali dove la solidarietà è garantita dal fatto che tutti gli individui sono
simili.
Punto chiave: concetto di anomia = una società moderna può progredire solo se l’efficienza
è di tutte le sue parti, perché la divisione del lavoro aumenta l’interdipendenza. Essa infatti
disintegrerebbe la società se non fosse regolata da norme condivise. Se conflitto tra capitale e lavoro
non si trasformerà in un conflitto consensualmente regolato, la società perderà efficienza.
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4 Il suicidio
Concetto di anomia applicato in modo esemplare nel secondo grande libro di Durkheim,
dedicato al suicidio: "Le suicide" (1897)
Tesi di partenza: le aspirazioni individuali alla felicità devono essere limitate dalla coscienza
collettiva altrimenti producono un disagio incontrollabile. L’ Uomo è soggetto ad un freno non
fisico, ma morale, cioè sociale. Egli riceve la sua legge non da un ambiente materiale ma da una
coscienza superiore alla sua e di cui sente la superiorità. Quando la società entra in crisi, il limite
che la società pone agli appetiti individuali s’indebolisce e l’individuo si trova in contrasto con le
sue possibilità reali.
L'obiettivo del libro è quello di dimostrare che le scienze sociali possono prendere in esame
un importante problema sociale.
Durkheim scelse il suicidio per 3 motivi: •
1.
Il termine "suicidio" è facile da definirsi (anche se, in seguito, egli stesso dimostrerà
che ciò non è sempre vero) •
2.
Su questo argomento c'erano diverse statistiche disponibili •
3.
Il suicidio era un problema sempre più attuale.
"Le Suicide" fu il primo studio fondato su basi empiriche intrapreso da Durkheim. Il
proposito di Durkheim era quello di diminuire l'importanza di determinati fattori sui quali, a suo
parere, si era davvero insistito troppo. Durkheim intraprese lo studio del suicidio spinto dal
desiderio di mutare la società e di eliminare i mali. Con il testo "Le Suicide" del 1897 egli intese
confutare le cause psicologiche del suicidio, dimostrando l'esistenza di tendenze "suicidogene"
all'interno di ogni società: in quelle tradizionali si assiste a suicidi di tipo altruistico, causati dalla
pressione collettiva e meccanica, mentre in quelle moderne si manifesta il suicidio egoistico,
cagionato dalla mancanza di solidarietà organica. Il libro è strutturato in tre parti: • I fattori extrasociali è dedicata all'analisi dell'influenza delle cause extrasociali e delle cause propriamente sociali
• Cause sociali e tipi sociali indaga la natura delle cause sociali e i loro rapporti con gli stati
individuali corrispondenti alle diverse specie di suicidi • Il suicidio come fenomeno sociale in
genere ha carattere di sintesi e approfondimento dei rapporti tra suicidio ed altri fatti sociali, e
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propone un nuovo atteggiamento nei confronti del male del nostro tempo: l'anomia. I fattori extrasociali Lo studio di Emile Durkheim sul suicidio viene tuttora considerato il più completo e valido
tentativo di analisi sociologica del fenomeno. Questa è la corretta definizione di suicidio: "Il
suicidio è qualsiasi tipo di morte che derivi direttamente o indirettamente da un atto positivo o
negativo compiuto dalla vittima stessa, la quale sapeva che esso doveva produrre tale risultato". Il
suicidio è un "fatto sociale", cioè una funzione della società in questione. Durkheim non farà
ricerche dirette, ma esaminerà con attenzione una serie di statistiche per diversi paesi e periodi.
Durkheim sostiene che due siano le cause extra-sociali alle quali si attribuisce, a priori, la capacità
d'incidere sul tasso dei suicidi: • le disposizioni organico-psichiche (costituzione individuale) • la
natura dell'ambiente fisico (clima, temperatura e via dicendo). Durkheim giudica la follia una
malattia e, in parte, un fenomeno sociale. È una malattia variabile, sensibilmente, a seconda dei
popoli. Tuttavia, sulla base dei rilievi statistici campionati dallo studioso francese, è difficile
stabilire una stretta connessione tra alienazione e suicidio. Non necessariamente l'alienato è un
suicida. La ricerca di Durkheim non può che enfatizzare l'assenza di connessione tra quella che
giudica una malattia (la follia) ed il suicidio.
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5 La religione
Nell’ultima grande opera “Le forme elementari della vita religiosa” cerca di dimostrare che
nella religione “c’è qualcosa di eterno, destinato a sopravvivere a tutti i simboli particolari di cui il
pensiero religioso si è successivamente circondato”
Funzione della religione: rinsaldare attraverso culto e rituali la coscienza collettiva della
società come un tutto unitario.
Lo Stato passato era ad integrazione elevata e bassa specializzazione, caratterizzato da
solidarietà meccanica. Finito con la progressiva specializzazione del lavoro e delle istituzioni.Cosa
tiene insieme questa moderna società in fase di atomizzazione? E' necessario trovare forme di
rappresentazione collettiva, come collante. La religione offre quindi un importante legame sociale
Durkheim concepiva la religione come il legame fondamentale tra la gente in tempi antichi.
Durkheim analizzò quella che considerava la più primitiva forma di religione: il totemismo.
Iniziò con un postulato funzionalista: un'istituzione umana come la religione non può
riposare sull'errore e sulla superstizione; essa risponde a profondi bisogni umani.
Egli individuò tre ragioni per studiare le religioni primitive:
-cogliere gli "elementi costitutivi", o le forme più semplici, della religione;
-trovare i fondamenti di tutte le religioni;
-scoprire il bisogno umano che causa la credenza e la pratica religiosa.
L'analisi si basa su quattro idee chiave:
1.
La rappresentazione collettiva.
La religione è alla base di tutte le categorie del pensiero, e la religione e le categorie di
pensiero sono tutte "rappresentazioni collettive che esprimono realtà collettive". Gli esseri umani
non possono concepire il tempo e lo spazio indipendentemente da distinzioni socialmente condivise,
anche se sappiamo che sono arbitrarie e innaturali. Tutte le categorie di pensiero sono sociali. Come
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spiegazione di ciò Durkheim sosteneva che gli esseri umani fossero duplici, una parte biologica
individuale ed una sociale, condivisa; data dalla nostra partecipazione ad una coscienza collettiva
che produce le nostre categorie di pensiero.(grazie alle quali comprendiamo concetti anche astratti
come spazio e tempo). Pertanto le nostre categorie di pensiero derivano dalla seconda componente.
2.
La distinzione tra sacro e profano.
Tutte le credenze religiose dividono il mondo in sacro e profano. Il cuore del fenomeno
religioso sta in questa separazione.
Ciò che caratterizza il sacro è che esso non può essere avvicinato impunemente.
La divisione tra sacro e profano organizza e classifica tutti gli esseri sociali e naturali.
3.
Le origini del sacro.
Il mondo sacro è carico di energia e di eccitazione.
4.
Le conseguenze sociali delle religioni.
La società fa sorgere il senso del divino negli esseri umani attraverso:
Il suo potere, il suo controllo su di noi, che si manifesta nella sua abilità di causare o
inibire le nostre azioni;
La sua forza positiva, per "l'azione rinforzante e vivificante della società".
La forza religiosa deriva dall'esperienza del sociale. La religione è il sistema di idee
attraverso cui le persone rappresentano la loro società.
Poiché la religione è la radice delle classificazioni attraverso cui apprendiamo il mondo,
tutte le culture umane diventano una rappresentazione del sociale.
Spesso gli individui hanno la percezione che la propria vita sia divisa in due fasi, in quella
sacra si produce uno stato di effervescenza collettiva che nel caso dei clan australiani avviene
durante il corroboree, in queste occasioni il totem (rappresentante i vari clan) diventa
rappresentazione collettiva delle forti emozioni provate nonchè della scena.
In sunto la forza morale esiste...ma non è divina...è originata dalla società. La religione non
è che il sistema di idee attraverso le quali le persone rappresentano la loro società.
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Concludendo, la dimensione di costruzione della realtà sociale non è solo un fatto che
riguarda l’individuo nelle sue relazioni con figure di prossimità, riguarda più in generale tutti i
processi culturali e di significazione sociale.
In altre parole il nostro linguaggio, le nostre categorie, le nostre idee, le nostre convinzioni
sono sempre in qualche misura debitrici di un pensiero collettivo.
Èmile Durkheim, fu il primo a prestare attenzione a questo aspetto introducendo la nozione
di “coscienza collettiva” e di “rappresentazioni collettive”. Durkheim si riferiva ad un ampio
insieme di forme intellettuali quali la religione, la morale, il diritto, la scienza, il mito. La riflessione
di Durkheim sulle rappresentazioni collettive rischiava però di essere troppo rigida, poiché
presupponeva delle conoscenze sovra individuali che si impongono dall’esterno con una forma di
coercizione, che pur non escludendo il ruolo della personalità individuale, tende a enfatizzare
l’aspetto statico su quello dinamico.
Psicologi contemporanei come Serge Moscovici hanno sviluppato in senso più
fenomenologico e dinamico l’idea di “rappresentazioni sociali” che ci guidano nella lettura o nella
definizione della realtà e nella nostra azione in tale realtà.
Come scrive Moscovici:
«Nessuna mente è libera dagli effetti del condizionamento precedente che viene imposto
attraverso le rappresentazioni, il linguaggio e la cultura che le sono proprie. Noi pensiamo per
mezzo di una lingua; organizziamo i nostri pensieri in base ad un sistema che è condizionato, sia
dalle nostre rappresentazioni sia dalla nostra cultura; e vediamo solo quello che le convenzioni
sottostanti ci permettono di vedere, senza essere consapevoli di tali convenzioni» (Moscovici, 2005,
pp. 13-14.).
Da questo punto di vista – sottolinea Moscovici - la nostra posizione non è diversa da quella
di una qualsiasi tribù a cui attribuiamo un sistema di “credenze”. Noi possiamo naturalmente
divenire più consapevoli dell’aspetto “convenzionale” dei nostri linguaggi, idee, rappresentazioni
ma non potremo mai sottrarci completamente al loro condizionamento. Una strategia migliore, ci
dice Moscovici, è quella di scoprire, riconoscere e tentare di rendere esplicite queste
rappresentazioni in modo da poterle in qualche modo vedere e discutere. Insomma non essere
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passivamente succubi. Durkheim si ricollega alla tradizione del positivismo comtiano, che a sua
volta aveva a fondamento il compito di ristabilire l’ordine messo in crisi dalla Grande Rivoluzione
pur condannando come impossibili i tentativi reazionari: Durkheim si pone lo stesso compito in
relazione alla Francia del suo tempo. Tanto Comte quanto Durkheim si opponevano
all’individualismo e vedevano nella solidarietà sociale un valore superiore a quello del singolo e a
cui quest’ultimo si doveva sottomettere. La critica agli economisti classici, costituisce,
paradossalmente, il punto comune di pensieri tra loro tanto diversi quanto quello di Marx da un
lato e Comte e Durkheim dall’altro. Durkheim rimprovera all’economia politica di aver creduto che
l’unica realtà sia l’individuo dal quale tutto promana e al quale tutto ritorna.
Durkheim a Comte riconosce il merito di aver avvertito la necessità di una scienza naturale
della società contro le precedenti speculazioni astratte; a Spencer riconosce il carattere più analitico
della sua sociologia (però Comte è superiore a Spencer perché ha compreso il carattere sui generis e
di superiorità della società contro i vari tentativi individualistici). Entrambi sono rimasti però
filosofi in quanto hanno voluto forzare i fatti entro un’unica legge generale anziché muovere da
ipotesi più specifiche e verificarle poi empiricamente.
Durkheim, dunque, fa dipendere l’individuo dalla società e sostiene che non vi può essere
moralità al di fuori di ogni regola sociale.
La moralità non si identifica con la libertà individuale ma ha bisogno, al contrario, di un
potere regolatore esterno, che si trova nella società. Nell’opera La divisione del lavoro sociale
(1893) egli considera la società come dotata di un certo, pur mutevole e imperfetto grado di
solidarietà, di integrazione, di “consensus” (come diceva Comte). Il consensus, per Comte
consisteva nel buon funzionamento dell’insieme, nello stato di salute di una società in cui ogni sua
singola parte agisca in armonia con le altre per il buon andamento dell’insieme e non si tratta di un
atteggiamento psicologico in quanto esso agisce come forza autonoma rispetto all’individuo
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