Paola Quarenghi Il copione, lo spettacolo, il testo. Riflessioni sulla drammaturgia d’attore In questa comunicazione vorrei proporre alcune osservazioni sul rapporto fra scrittura e pratica scenica nel teatro di Eduardo, che sono il frutto del lavoro svolto sui copioni, le edizioni a stampa e i materiali audiovisivi per il Teatro dei «Meridiani» Mondadori, di cui sono curatrice assieme a Nicola De Blasi. Ho iniziato parecchi anni fa a occuparmi delle opere teatrali di questo autore, cominciando da un testo, Natale in casa Cupiello, che è uno dei più interessanti e originali, anche dal punto di vista dei rapporti fra scrittura e pratica scenica. Nasce infatti come sketch da avanspettacolo nel 1931, in occasione del debutto della neonata compagnia del Teatro Umoristico I De Filippo al Kursaal di Napoli; l’anno successivo si arricchisce di un primo atto che serve a conferirgli una struttura più adatta al palcoscenico di prosa, il Sannazaro, sul quale i De Filippo si erano nel frattempo trasferiti; infine, nel 1934, viene completato con un terzo atto che, benché non sia esente da situazioni comiche o grottesche come i due precedenti, ha una svolta decisamente drammatica, tanto che vi si prefigura addirittura la morte del protagonista.1 Ma nemmeno con l’aggiunta di questo terzo atto si può dire che la commedia si stabilizzi, perché il suo autore continuerà a modificarla nel tempo, sia pure in modo meno consistente, fino all’ultima messa in scena del 1976, all’edizione televisiva del 1977 e all’ultima edizione a stampa del 1979.2 Del resto basta confrontare quest’ultima con le precedenti per trovarsi di fronte a testi molto diversi, anche nel tessuto linguistico. Così come la versione televisiva, una delle più belle che Eduardo ci ha lasciato, l’edizione a stampa del 1979 è una sorta di concentrato di esperienza scenica, ricchissima di dettagli, notazioni di carattere, giochi che alludono a una relazione stretta col pubblico. Eppure si ha l’impressione che anche questa versione non sia che una tappa di un percorso sempre più maturo, ma potenzialmente inesauribile. La storia editoriale e scenica di Natale in casa Cupiello rappresenta l’esempio più evidente della difficoltà di mettere punti fermi e “ne varietur” assoluti a una drammaturgia che è, per sua natura, estremamente mobile e che si fissa in una forma definitiva solo con la scomparsa di chi l’ha prodotta. Il fatto che il suo autore sia anche colui che è destinato, come interprete, come regista, come direttore di compagnia, a portarla in scena — e non per una sola stagione, ma, nei casi più fortunati, per tutta la sua lunga vita teatrale — è naturalmente la prima ragione di questa mobilità. Se il teatro come testo, una volta che è diventato a tutti gli effetti tale, tende a “consistere”, a fissarsi in una forma tipografica che potrà eventualmente essere variata solo per importanti ragioni artistiche o editoriali, il teatro come spettacolo, come evento e anche come messa in scena, è per sua natura soggetto a trasformazioni continue e inevitabili, di piccola o grande portata. I riflessi di questa mobilità, se in qualche misura possono riguardare anche quei drammaturghi che provengono dalla letteratura e non dal teatro,3 tanto più saranno evidenti nelle opere di coloro che sono, in modo sistematico, anche gli autori dello spettacolo che da quel testo viene ricavato. Benché questo non significhi 1Sulla storia dei testi e delle rappresentazioni di questa e altre commedie contenute nella Cantata dei giorni pari, si rimanda al volume dei «Meridiani», già citato, Mondadori, Milano 2000. 2A sua volta conforme all’ottava edizione riveduta della «Collezione di teatro» del 1978. 3Si vedano ad esempio i bellissimi volumi curati da Sandro d’Amico per i «Meridiani» Mondadori. 1 che i due ruoli siano indistinti, è ovvio che, essendo molto più contigui, essi finiscano per esercitare una maggiore influenza reciproca. Oltre al testo e allo spettacolo, nel sistema dei rapporti fra scrittura e teatro c’è un altro oggetto, il copione, che può avere funzioni molteplici, gradi di maturazione diversi e collocarsi in vari momenti della produzione teatrale: prima di tutto alla sua origine, come redazione d’autore (che può avere a sua volta stesure diverse e tappe intermedie); e poi, come copione di regia o copione di scena da usarsi durante le prove e le repliche dello spettacolo, a documentarne, attraverso trasposizioni, tagli, aggiunte, variazioni di battute, o indicazioni didascaliche, l’ideale ricerca di una forma. Il copione è quindi — per dirla con Ferdinando Taviani — drammaturgia “preventiva” e insieme “consuntiva”; non solo perché, come si è detto, si colloca prima e dopo lo spettacolo, ma anche perché, nel momento in cui si fa “dopo” rispetto all’esperienza del teatro, diventa il “prima” di una nuovo progetto di messa in scena e, insieme, di un progetto editoriale che avrà come risultato l’opera in quanto testo. Lo stesso testo, d’altra parte, avrà sì una destinazione più vasta e referenti diversi da quelli coinvolti nel processo di creazione teatrale da cui è nato (lettori, studiosi, altri interpreti e metteurs en scène presenti e futuri), ma potrà a sua volta essere superato e diventare il “prima” di un’altra esperienza di teatro.4 A spiegare la mobilità della drammaturgia di Eduardo, ci sono poi ragioni che riguardano la sua particolare storia di artista. Egli ha affrontato forme di spettacolo e generi diversi, passando dalla prosa dialettale e dal teatro comico di tradizione, alla rivista e all’avanspettacolo, fino ad approdare, negli anni del dopoguerra a formule molto personali che ancora oggi si fatica a collocare in schemi e griglie generali: un teatro comico e insieme drammatico, dialettale eppure universale, artisticamente autonomo ma anche molto legato alla sua personalità d’attore. Di tutta la sua produzione, certamente le commedie scritte, o comunque rappresentate, negli anni della collaborazione con i fratelli Titina e Peppino nella compagnia del Teatro Umoristico I De Filippo hanno avuto una vicenda testuale più mossa e avventurosa di quelle del dopoguerra. Si è già ricordato Natale in casa Cupiello, ma si possono citare anche i casi di Uomo e galantuomo e Ditegli sempre di sì, che, pur essendo scritte originariamente negli anni Venti5 per la compagnia di Vincenzo Scarpetta, divennero negli anni Trenta due commedie di successo del repertorio del Teatro Umoristico, e furono poi riprese da Eduardo anche nel secondo dopoguerra. A differenza di Natale in casa Cupiello, il cui primo copione (sia nella versione in un atto che in quella in due e tre atti) ha una forma piuttosto scarna ed essenziale e rappresenta la traccia per uno spettacolo da costruire in scena, più che un testo vero e proprio, le altre due commedie si presentano, nella loro redazione originaria, come lavori articolati, con didascalie dettagliatissime, con un intreccio molto complicato — tipico delle pochades care alla compagnia a cui erano destinate —, e con un dialogo che, per quanto a volte ingenuo e ridondante, è, almeno nelle intenzioni dell’autore, perfettamente compiuto. Quando poi questi lavori vennero ripresi dalla compagnia dei fratelli De Filippo, che era nata da poco e aveva bisogno di copioni da rappresentare, Eduardo li modificò in modo consistente, non solo trasformandone il genere da pochadistico-farsesco a comicoumoristico, ma anche alleggerendone la costruzione, riducendo il numero dei personaggi, 4E’ vero però che, anche nel caso che di una commedia da mettere in scena sia disponibile il testo a stampa, per Eduardo è di solito il copione a servire come riferimento o per eventuali revisioni. 5Queste e altre commedie dei “giorni pari” presentano non pochi problemi di datazione. Sull’argomento cfr. le note storico-teatrali della Cantata dei giorni pari, cit.. Il titolo dei due lavori era, in origine, Ho fatto il guaio? Riparerò! e Chill’è pazzo!. 2 allentando e sforbiciando in vari punti i fili dell’intreccio, così da renderli molto più aperti e adatti ad accogliere i contributi creativi e le improvvisazioni dei compagni di scena. Il risultato finale, verificabile sui copioni dell’epoca, ricorda nella struttura più il “canovaccio” di Natale in casa Cupiello che le “commedione” originarie o le edizioni a stampa successive. Nel caso di Uomo e galantuomo, confrontando la prima edizione del 1959 e l’ultima del 1979,6 ci si trova di fronte a due testi di natura molto diversa. Il primo, pur collocandosi a valle dello spettacolo e facendo riferimento a quella esperienza, non pretende di trasferirla sulla pagina, di fissarne in modo esaustivo il gioco e le articolazioni, ma rimanda direttamente alla scena per tutte quelle situazioni comiche che sono indicate semplicemente come “soggetti” («soggetto cena», «soggetto spettacolo»), o vengono appena accennate («Io tengo na buatta...»), oppure sono ignorate del tutto. Il secondo testo invece sviluppa tutte queste parti: sulla pagina sono state trasferite, con cura e in dettaglio, battute e azioni nate nel tempo dall’improvvisazione degli attori e dalla concertazione scenica. Quest’ultima edizione è quindi un esempio di drammaturgia “consuntiva”, che per diventare a sua volta “preventiva” rispetto a una nuova messa in scena dovrà essere riportata a una sorta di stato primigenio; non “interpretata”, ma in un certo senso “reinventata”, come del resto faceva Eduardo, che, soprattutto nelle scene comiche, non ripeteva mai le battute del testo esattamente come le aveva scritte, ma le ricreava ogni volta, attraverso un lavoro di microvariazioni (più raramente di improvvisazioni vistose) che rendevano la sua recitazione “come naturale” e il testo “come nuovo”.7 Nella produzione degli anni “pari” ci sono però anche commedie che conservano nel tempo una notevole stabilità, a volte anche nei copioni ma, soprattutto, nelle varie edizioni; o altre che, dopo qualche turbolenza iniziale, si assestano abbastanza rapidamente in una forma destinata a restare pressoché definitiva. E’ il caso di commedie poco rappresentate, che quindi non hanno avuto modo di svilupparsi nel tempo, e che a volte rivelano un carattere ancora acerbo (si pensi a Uno coi capelli bianchi, per la quale pure l’autore scrisse, dopo il debutto, un secondo finale); ma è anche il caso di commedie molto fortunate come Chi è cchiù felice ’e me!, nata “già armata” dalla testa del suo autore;8 o come Sik-Sik, l’artefice magico, che fu subito un grande successo per Eduardo e per i suoi fratelli. Questo piccolo gioiello comico, se si escludono i due copioni manoscritti più antichi che presentano parecchie varianti ma che sono entrambi solo degli abbozzi, dalla prima edizione9 fino all’ultima non subirà alcuna modifica.10 Ma naturalmente non 6Quest’ultima edizione riprende, anche se con qualche variante e con un linguaggio rinapoletanizzato, l’edizione del 1966 («Collezione di Teatro», n. 88), a sua volta consuntiva rispetto alla messa in scena teatrale del 1964-66, con Franco Parenti nel ruolo di Alberto. 7Confrontando le diverse edizioni di molte commedie, si può notare come le varianti più significative riguardino proprio i personaggi interpretati da Eduardo. 8Ma il confronto fra la storia testuale di questa commedia e le altre non è omogeneo perché il manoscritto dell’autore non è arrivato fino a noi e quindi non è possibile verificare se il lavoro avesse, in origine, caratteristiche differenti da quelle che conosciamo. Del resto anche per questa commedia si ha testimonianza di una modifica importante realizzata da Eduardo: la creazione di un terzo atto, proposto una sola volta al pubblico e poi andato perduto. 9La prima edizione, per la casa Editrice Tirrena di Napoli, è senza data, ma, in base a riferimenti interni al volume, la si può collocare all’inizio degli anni Trenta (giugno 1932-maggio 1934). 10L’unica variante, che non intacca però la struttura del testo, è un breve prologo narrativo che compare nella prima edizione (cfr. nota prec.) e che venne mantenuto anche nella Cantata del 1959. Qualche piccola variante di testo si trova inoltre nella versione contenuta del 1971 («Collezione di Teatro» n. 174), dove Sik-Sik figura come sketch della rivista Ogni anno punto e da capo. 3 si deve credere che alla stabilità testuale corrispondesse una stabilità scenica. E’ vero esattamente il contrario. Nato anch’esso come canovaccio destinato a essere riempito dall’affiatatissima arte comica di Eduardo, Peppino e Titina,11 Sik-Sik si attesta in una forma scritta che, selezionando fra una gran quantità di improvvisazioni, invenzioni e variazioni esistenti o possibili, blocca l’evoluzione del gioco scenico in una delle sue tappe. In questo caso il testo resta stabile solo perché non può mettersi a rincorrere i risultati continuamente mutevoli dell’esperienza di scena, ed è inevitabile quindi che si fissi in una sola delle tante forme che quell’esperienza ha assunto o potrà assumere. La prova di quanto sto dicendo è la ripresa di questo piccolo atto unico fatta da Eduardo poco prima del suo addio al teatro, nel 1979-80. Confrontando il testo con una registrazione video di fortuna dello spettacolo (l’unico documento audiovisivo che ci rimane di Sik-Sik12), si può verificare la gran quantità di battute a soggetto, variazioni sul tema, recupero di vecchi lazzi, creazione di nuovi, con cui Eduardo arricchisce la pièce, fino a dilatarne la durata ben oltre i limiti dello sketch. In altri casi le modifiche sono di tipo strutturale e riguardano addirittura l’intreccio. Accadde con Non ti pago, commedia fortunata che fu riconosciuta anche dalla critica dell’epoca come il primo vero successo d’autore di Eduardo e che venne anche pubblicata, nella traduzione in lingua di Cesare Vico Lodovici, sul più importante periodico teatrale dell’epoca, «Scenario».13 Riprendendo il lavoro nel 1947, qualche anno dopo la dolorosa separazione da Peppino che ne era stato il coprotagonista nel ruolo di Bertolini, Eduardo modificò il finale del secondo atto, introducendovi la famosa scena della maledizione, e riscrisse completamente il terzo, a cui diede un’ambientazione diversa e un diverso sviluppo. Questa revisione, che sfruttava soluzioni già adottate nell’adattamento cinematografico di Carlo Ludovico Bragaglia del 1942, portò a una modifica consistente nei rapporti fra i due personaggi principali, che fino a quel momento erano stati molto equilibrati: se Eduardo-Quagliuolo aveva più spazio al primo e al secondo atto, Peppino-Bertolini dominava decisamente il terzo; ed era poi quest’ultimo che coll’inganno (la finta sparizione del biglietto) e il ricatto (la minaccia di una denuncia per aggressione e furto) controllava fino alla fine la situazione e ne determinava l’esito. La commedia si concludeva infatti con la resa di Quagliuolo completamente isolato e messo alle corde. Un epilogo lieto (riconciliazione e vincita al lotto collettiva) non bastava a stemperare l’amaro della sconfitta del protagonista. La revisione invece portò a un ridimensionamento notevole del personaggio di Bertolini, sia nel numero delle battute e nella durata di permanenza in scena, sia nella capacità di controllare il corso degli eventi. Col ricorso alla maledizione infatti si determina nel testo un brusco rovesciamento nel destino dei due personaggi: Quagliuolo diventa il trionfatore e Bertolini la vittima di una sfortuna così accanita da essere avvertita inconsciamente come un segno di colpa. Se l’irragionevole Ferdinando Quagliuolo alla fine cede non è per paura del ricatto e delle 11Si vedano in proposito i copioni manoscritti conservati al Gabinetto Vieusseux di Firenze e la testimonianza di Titina sulle prove al Teatro Nuovo, dove Sik-Sik fu rappresentato come sketch della rivista Pulcinella principe in sogno il 26 maggio 1930. 12Si tratta di una registrazione effettuata da Canale 5, forse a scopo di documentazione o per fornire materiale per un servizio giornalistico. Non risulta che sia mai stata messa in onda integralmente. Un’edizione televisiva dell’atto unico era già stata trasmessa dalla RAI il 1° gennaio 1962, nella serata di apertura del primo ciclo del Teatro di Eduardo. La registrazione, che comprendeva anche poesie, macchiette del varietà anni Venti e l’atto unico L’avvocato ha fretta, venne in seguito cancellata. 13Anno X, n. 3, marzo 1941. 4 minacce, ma perché ormai ha avuto soddisfazione (morale, se non materiale) e perché vede la figlia sinceramente addolorata per le disavventure di Bertolini, di cui è innamorata. Le modifiche apportate a Non ti pago, oltre a rendere più avvincente e vario l’intreccio, permettono di adattare una commedia costruita attorno a due protagonisti (Titina all’epoca non era in compagnia con i fratelli) a una situazione scenica dominata da un protagonista unico. Esaminando i copioni e le diverse edizioni della commedia, e confrontandoli col film e con l’edizione televisiva del 1964, si può non solo ricostruire la storia del testo, ma anche mettere qualche tessera alla storia degli allestimenti che ne vennero ricavati e degli attori che vi presero parte. Negli anni “pari”, soprattutto all’inizio dell’avventura del Teatro Umoristico, quando ancora non si era manifestata per Eduardo e i suoi fratelli la fatica di quel successo “di blocco”14 che li avrebbe costretti a restare uniti ben oltre i limiti della loro evoluzione artistica individuale, in quei primi anni Trenta Eduardo, pur aspirando a un riconoscimento anche come autore e non solo come attore, si pose nei confronti della propria drammaturgia con un atteggiamento diverso da quello che avrebbe assunto in seguito, quando questo riconoscimento gli sarebbe stato finalmente tributato coram populo. A quell’epoca le sue commedie, e prima ancora gli atti unici e gli sketch da avanspettacolo, erano considerati dai più come materiali di lavoro, pretesti che dovevano servire a lui e ai fratelli per esibire le loro straordinarie doti comiche; e, vista la eccellente qualità di quegli attori, già esperti per il lungo tirocinio artistico nonostante l’età non certo avanzata, ed eredi tutti di una tradizione fondata in buona parte sull’improvvisazione, era del tutto normale che il lavoro d’autore finisse per essere subordinato a quello d’attore, e portasse poi, come conseguenza, a quella particolare mobilità testuale di cui si è detto. Ma più ancora della recitazione, le cui variazioni, come si è visto per Sik-Sik, non potevano essere troppo inseguite dal testo, a determinare in molti casi la necessità di trasformare le commedie fu la variazione della loro destinazione d’uso. Lo si è visto per Uomo e galantuomo, per Ditegli sempre di sì, e soprattutto per Natale in casa Cupiello, commedie che, passando da una compagnia a un’altra, cambiarono addirittura di genere. In altri casi, a determinare le trasformazioni della commedia fu la necessità di conformarla al numero o alla qualità dei nuovi interpreti.15 Questa operazione di adattamento, del resto, non è infrequente ancora oggi nella pratica dei registi, ma di solito, se può lasciare traccia nella storia delle interpretazioni di un’opera, non ne lascia nel testo vero e proprio. Nel caso di Eduardo invece una simile procedura ebbe numerose ricadute anche sul suo lavoro di autore. Nemmeno con le opere degli anni “dispari” Eduardo abbandona la pratica di rimettere mano alle proprie commedie, per migliorarle in seguito alla verifica scenica, o per aggiornarle in vista di una ripresa, o per adattarle alle esigenze di una nuova compagnia. E quando si presenta l’occasione di un’edizione riveduta, le modifiche — ove non siano di carattere troppo occasionale o strumentale — vengono adottate anche per la stampa. Così De Pretore Vincenzo, pur essendo una delle commedie meno rappresentate della produzione eduardiana,16 viene rivisitata non solo 14Il blocco è il titolo di uno scritto, comparso sulla rivista «Sipario» (n. 102, ottobre 1954), in cui Titina racconta, a posteriori, le ragioni della scelta di lasciare la compagnia dei fratelli alla fine della stagione 1938-39. Vi rientrò nell’autunno del 1942. 15Fu il caso di Gianrico Tedeschi e Ferruccio De Ceresa, per Io, l'erede, o di Franco Parenti per Uomo e galantuomo, per i quali Eduardo riscrisse le parti in italiano. 16Ebbe due sole edizioni teatrali, entrambe dirette dall’autore, ma non con la sua compagnia: una nel 1957 per Achille Millo e Valeria Moriconi, e una nel 1961 sempre con Millo, affiancato da Alida Chelli. Alla compagnia di 5 in occasione di ogni nuova messa in scena, ma anche nell’intervallo che intercorre fra il travagliato debutto dell’aprile 1957 al Teatro dei Servi di Roma, interrotto dalle forze dell’ordine dopo solo quattro repliche, e la ripresa al Valle del 14 maggio. La sua laboriosa gestazione è testimoniata, oltre che dai copioni e dalle carte degli archivi eduardiani, anche dalle due diverse edizioni a stampa: quella del 1957 e quella riveduta del 1977, che si rifà alla versione approntata da Eduardo per l’edizione televisiva del 1975-76. Diverso ancora è il caso del Contratto (1976), il cui testo venne pubblicato in tutta fretta nell’estate del 1967, così da essere pronto al momento del debutto della commedia. Dopo la verifica scenica Eduardo vi rimise mano e il testo che compare nell’edizione riveduta della Cantata del 1971 porta i segni di questo lavoro di revisione.17 Ulteriori modifiche vennero poi introdotte in occasione dell’edizione televisiva realizzata nel 1978-79, di cui restano evidenti tracce nell’ultima edizione a stampa del 1979. Fino all’ultimo Eduardo continuò la pratica di rivedere i testi delle sue commedie per prepararli e adattarli a una nuova messa in scena. L’Ultima di queste revisioni riguarda Bene mio e core mio (1955), rappresentata per una sola stagione a teatro prima di essere inclusa nel secondo ciclo televisivo del 1964. Nel 1983, quando ormai si era ritirato dalle scene, Eduardo ne curò la regia per la compagnia di Isa Danieli. Il lavoro di adattamento realizzato per questa messa in scena riguardò soprattutto il terzo atto, con l’eliminazione dello «scemo»18 Pasqualino, al quale era affidata una funzione importante nel meccanismo di scioglimento dell’intreccio, e il trasferimento di questa funzione a un personaggio secondario, Pummarola. Non è affatto improbabile che, se ci fossero stati il tempo e l’occasione per una nuova edizione a stampa del testo, Eduardo vi avrebbe introdotto queste modifiche che, da un lato, riducendo il numero dei ruoli, consentono di contenere i costi dello spettacolo, dall’altro, eliminano un personaggio teatralmente rischioso e non inedito (si pensi allo Scemulillo di Viviani, o all’Erricuccio di La fortuna con l’effe maiuscola). Nell’insieme però, come si è detto, negli anni “dispari” la drammaturgia di Eduardo si fa più stabile. Commedie come Napoli milionaria!, Questi fantasmi!, Filumena Marturano, nate nei primi anni del dopoguerra in un impeto creativo felicissimo, e probabilmente covate a lungo nella mente del loro autore prima di prendere forma sulla pagina, o altre come Sabato, domenica e lunedì, Il sindaco del Rione Sanità, accolte dal pubblico con grande favore già al momento del loro debutto, certamente non subirono nel tempo le trasformazioni di altri lavori del passato.19 Ma in quasi tutti i casi, al confronto con i copioni, si può vedere come Eduardo sottoponesse anche queste sue fortunate creazioni a non poche verifiche e aggiustamenti per individuare la soluzione più indicata, sia sul piano testuale che sul piano scenico. Le verifiche erano il giudizio stesso Eduardo è affidata invece l’edizione televisiva trasmessa dalla RAI il 2 gennaio 1976, con Luca De Filippo e Angelica Ippolito. 17«Poiché fu colpa mia aver fatto stampare la commedia prima di cominciare a provarla, e perciò prima d’avervi apportato i tagli necessari, e poiché ritengo che la commedia, così com’è pubblicata, perda di mordente e di immediatezza — senza parlare del fatto che durante le prove il finale è stato cambiato —, io sarei disposto a comprare, con lo sconto che mi spetta, le vecchie copie del libretto ancora non vendute, per anticipare la ristampa a questo autunno.» (Eduardo a Roberto Cerati della Einaudi, Roma, 7 luglio 1970, Gabinetto Vieusseux). Per una nuova edizione si dovette comunque aspettare la Cantata riveduta del 1971. 18Le virgolette sono dell’autore. 19Naturalmente va anche considerato il fatto che le commedie più vecchie ebbero una storia testuale e scenica più lunga e articolata e più occasioni per essere riprese e modificate rispetto alle commedie più recenti. 6 dell’autore, il parere di interlocutori qualificati a cui Eduardo prese ben presto l’abitudine di sottoporre le proprie creazioni nel corso di serate di lettura, ma soprattutto il lavoro in scena con gli attori e il confronto col pubblico. Un esempio per tutti è Filumena Marturano, forse la più famosa, certamente la più rappresentata delle commedie di Eduardo, per la quale furono sperimentati almeno tre finali diversi, ciascuno dei quali dava maggiore o minore risalto all’uno o all’altro dei due protagonisti, commentava la situazione in modo più didascalico o lasciava maggior spazio ai silenzi e al pianto liberatorio di Filumena. Tracce di questa fluidità si ritrovano ancora nell’edizione televisiva del 1962 con Regina Bianchi, oltre che nel film del 1951 interpretato da Titina (un prodotto artistico ovviamente disomogeneo e quindi non confrontabile). Le varie edizioni a stampa invece non presentano varianti. Se è vero che per commedie come questa, grazie alla loro notevole qualità formale, al successo immediato e ai riconoscimenti finalmente pieni tributati al loro autore, non ci fu bisogno per Eduardo di grandi revisioni; e se è vero che egli poté trattare questi lavori non più come “pretesti” per l’attore, ma come opere compiute di teatro; se è vero che a confronto con esse la sua creatività si esercitò nel tempo più sul piano dell’interpretazione e delle riletture che delle “riscritture”; se è vero tutto questo è anche vero che forse dobbiamo abituaci a considerare i testi della commedie di Eduardo, anche i più strutturati e perfetti, come un eccellente compromesso: un compromesso fra la sua opera d’autore e la sua attività di uomo di scena; fra la continua varietà del teatro e la fissità del piombo tipografico; per dirla con Pirandello, un compromesso fra la vita e la forma. E forse si può adottare per le commedie di Eduardo la bella definizione data da Franco Parenti a proposito di Uomo e galantuomo, ma estendibile a tutta la drammaturgia, almeno a quella d’attore: Il testo di Uomo e galantuomo è la testimonianza di un fatto d’arte che trascende continuamente la pagina scritta, testimonianza che può solo fissare alcuni spunti operativi, la regola del gioco. E forse tutti i testi di teatro sono altrettante testimonianze, sono quella parte che l’arte del teatro permette possa essere trascritta.20 Se si guarda a questi testi non con la nostalgia del teatro che non c’è più, ma con la curiosità e l’interesse per l’opera che ci rimane, ci si accorgerà che sono proprio quelle esperienze di teatro e di vita che vi sono concentrate a rappresentare uno dei tratti più preziosi e originali dell’arte di Eduardo, uomo di scena e scrittore; e si vedrà che, come in tutte le grandi opere di teatro, anche nelle sue, quella vita aspetta solo di essere risvegliata e ricondotta nel tempo dal lavoro di nuovi interpreti, dal confronto con pubblici nuovi. 20Dalla nota introduttiva alla commedia Uomo e galantuomo, «Collezione di Teatro» n. 88, Einaudi, Torino 1966, p. 7. 7