la mobilità articolare - Scienze Motorie e Sportive

LA MOBILITÀ ARTICOLARE
DEFINIZIONE
La mobilità articolare (detta anche flessibilità o scioltezza articolare) è la
capacità di eseguire, nel rispetto dei limiti
fisiologicamente imposti dalle articolazioni, dai
muscoli e dalle strutture tendinee, tutti i
movimenti
con la
massima
ampiezza
e
naturalezza possibile.
È utilizzata in tutte le discipline sportive in quanto
è considerata uno dei presupposti basilari per
l'esecuzione di movimenti qualitativamente e
quantitativamente migliori.
È considerata una capacità complessa in quanto
dipende sia da fattori neurologici sia da fattori
anatomici. Per questo motivo non è compresa tra
le capacità coordinative, ne tanto meno tra quelle
condizionali, ma ha un ruolo a se stante.
È una capacità che involve rapidamente se non è costantemente allenata. Si
valuta misurando il ROM cioè il “range of motion” delle varie articolazioni.
DA COSA DIPENDE E QUALI FATTORI CHE LA INFLUENZANO
La mobilità articolare dipende:
- dalla struttura dell'articolazione (compresi i capi articolari e i legamenti);
- dalle capacità elastiche di muscoli e tendini.
Mentre sul primo aspetto non è possibile intervenire, sul secondo, soprattutto
per quanto riguarda l'elasticità muscolare (i tendini di per sé sono poco
estensibili) e l'interazione tra i muscoli agonisti e antagonisti (1), con un
allenamento costante e graduale, è possibile ottenere dei miglioramenti.
Oltre alle caratteristiche morfologiche sopra indicate, ci sono alcuni fattori che
influenzano positivamente o negativamente la mobilità articolare; essi sono:
- la temperatura ambientale (il caldo aumenta la capacità, il freddo la limita);
- il grado di riscaldamento motorio raggiunto (se inadeguato, la limita);
- un eccessivo lavoro di sviluppo muscolare (l'ipertrofia, se non compensata
con esercizi di mobilità, diminuisce l'efficienza a livello articolare);
- l'età e il sesso (con il passare del tempo, i muscoli tendono a perdere
elasticità; le ragazze, avendo minor massa muscolare, risultano essere più
sciolte);
- stati d'ansia e di stress (la limitano);
- il livello di affaticamento del muscolo (limita l'azione dei muscoli agonisti e
antagonisti).
(1) I muscoli agonisti, contraendosi, sono deputati a compiere il movimento, gli antagonisti,
invece, si devono distendere in armonia a tale azione, favorendo e coordinando il
movimento stesso (coordinazione intemuscolare). Questa relazione è determinante ai fini
di qualsiasi movimento.
I MECCANISMI FISIOLOGICI CHE REGOLANO L'ALLUNGAMENTO MUSCOLARE
I meccanismi fisiologici che regolano l’allungamento muscolare sono legati
all’azione di due recettori: i fusi neuromuscolari e gli organi del Golgi. Entrambi
sono dei sistemi di difesa dell’organismo.
I fusi neuromuscolari, che si
trovano tra le fibre muscolari,
rilevano la lunghezza del muscolo e
la velocità di variazione di questa; la
loro attività è importantissima sia
per mantenere il normale tono
muscolare,
sia
per
eseguire
movimenti
fluidi
in
maniera
armonica e controllata, sia per
prevenire infortuni legati ad un
eccessivo allungamento.
Essendo sensibili alla velocità con
cui vengono stirati, al verificarsi di
un repentino ed inaspettato aumento della lunghezza del muscolo, essi
attivano una risposta muscolare di tipo contrattile rivolta alla sua salvaguardia
strutturale chiamata riflesso miotatico da stiramento.
Si tratta di un’azione inibitoria nei confronti della muscolatura agonista e di
quella sinergica e di una facilitazione nei confronti della muscolatura
antagonista. Ecco perché è importante non distrarsi, ma ascoltare come il
proprio corpo reagisce all'allungamento.
A differenza dei fusi neuromuscolari,
gli organi del Golgi si trovano nella
giunzione muscolo-tendinea e la loro
caratteristica è quella di essere
sensibili ad un aumento eccessivo
della lunghezza del muscolo. Al loro
stiramento, gli organi tendinei di
Golgi intervengono determinando il rilassamento del muscolo la cui intensità di
contrazione sia percepita come eccessiva (riflesso miotatico inverso).
TIPI DI MOBILITÀ
La mobilità può essere sia attiva che passiva.
Si definisce mobilità articolare attiva la massima escursione che un atleta può
raggiungere attraverso l'azione muscolare, contraendo cioè i muscoli agonisti e
rilasciando (allungando) gli antagonisti, senza l'aiuto di forze esterne.
La mobilità articolare passiva invece corrisponde alla massima escursione che
un atleta può raggiungere in condizioni di rilassamento, utilizzando forze
esterne (un compagno, un attrezzo, la forza di gravità …).
La mobilità articolare passiva è sempre maggiore rispetto a quella attiva. La
differenza tra la mobilità passiva e quella attiva è definita "riserva di mobilità"
e rappresenta il margine di miglioramento che si può raggiungere.
METODI DI ALLENAMENTO
La mobilità articolare può essere allenata in due modi, con esercizi di:
- allungamento attivo,
- allungamento passivo.
Nel primo metodo l'azione di contrazione-decontrazione dei muscoli agonisti,
antagonisti e sinergici è determinante nel raggiungimento delle posizioni di
massima escursione articolare, nel secondo metodo, è fondamentale ricreare
situazioni di rilassamento per favorire il raggiungimento della massima
escursione articolare.
Per quanto riguarda gli esercizi di allungamento attivo sono riscontrabili i
seguenti metodi:
a) Metodo balistico
Si utilizza lo slancio di un arto o di una parte del corpo nel tentativo di forzarlo
oltre il suo normale raggio di movimento. Il movimento è molto rapido e
“rimbalzante”. Questa metodica è la meno efficace e può portare a lesioni
perché non permette ai muscoli di adeguarsi e rilassarsi nella posizione
allungata scatenando ripetutamente un'azione riflessa conosciuta come riflesso
miotatico o riflesso da stiramento.
b) Metodo dinamico
Consiste in oscillazioni o slanci controllati nel tentativo di arrivare dolcemente
ai limiti della propria gamma di movimento. Rispetto alla tecnica precedente è
evidente nel metodo dinamico il
controllo e il rispetto del proprio
“range of motion”.
Poiché i gesti proposti da questa
metodica di allenamento riprendono
la tecnica esecutiva di molti sport, il
metodo dinamico viene utilizzato
durante gli allenamenti, insieme o
subito
dopo
un
adeguato
riscaldamento. Gli esercizi dinamici
per essere efficaci dovrebbero essere
svolti eseguendo
almeno
15-20
ripetizioni così da attivare all'interno
della capsula articolare un'adeguata formazione di liquido sinoviale utile per
nutrire e protegge le superfici articolari dall'usura e dal logorio.
c) Metodo statico-attivo
Consiste nell'assumere una posizione e poi mantenerla senza alcun supporto
che non sia quello di usare la forza dei propri muscoli agonisti. Il metodo attivo
esclude quindi ogni tipo di intervento esterno (vedi foto pagina 1).
Durante l'esecuzione degli esercizi relativi a questa metodica di allenamento, la
tensione della muscolatura agonista contribuisce al rilassamento della
muscolatura antagonista tramite un’inibizione reciproca (cioè entrambi i
muscoli cercano di svolgere un'azione favorevole rispetto al proprio opposto).
Molti movimenti che si trovano nello yoga sono allungamenti attivi.
I metodi attivi vengono utilizzati soprattutto per la ricerca di una mobilità
dinamica che, rispetto alla mobilità di tipo passivo, pur avendo un ROM (cioè
un'ampiezza di movimento) inferiore, si dimostra molto più “vicina” al gesto
atletico, ma ha lo svantaggio, se erroneamente svolta, di attivare, a causa
dell'intervento dei fusi neuromuscolari, il riflesso miotatico da stiramento.
Per quanto riguarda gli esercizi di allungamento passivo sono riscontrabili i
seguenti metodi:
a) Stretching statico (o statico-passivo)
Consiste, partendo da una situazione di rilassamento, nell'allungare
dolcemente un muscolo (o un gruppo
di muscoli) fino al suo punto più
lontano per poi mantenerlo in quella
posizione (dai 15” ai 30”). Questa
tecnica è la più conosciuta ed è stata
codificata nel 1975 da Bob Anderson,
che prese spunto dallo yoga. Ha il
vantaggio di portare il muscolo al di là
dei limiti che si raggiungono con lo
stretching
attivo,
ma
occorre
riconoscere che questa metodica è ben
lontana dai movimenti dinamici svolti
durante una qualsiasi attività sportiva.
Se ci si fa aiutare nel raggiungere la fase di allungamento da una forza esterna
(una persona o un attrezzo, spalliera, muro ...), questa metodica prende il
nome di stretching statico-passivo.
b) Stretching PNF
Lo stretching PNF è attualmente il modo più efficace e il più veloce che si
conosca per aumentare la mobilità in forma statica-passiva. PNF è l'acronimo
di “Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva” e si è sviluppato all'inizio come
metodo di riabilitazione.
Per poterlo eseguire correttamente,
richiede
l'intervento
di
personale
qualificato o di un compagno molto
attento nel fare assistenza.
Consiste, partendo da una situazione di
rilassamento, nel portare il gruppo
muscolare da allungare in uno stato di
massima tensione (10”/15”), per poi
contrarlo isometricamente (10”) e
successivamente, una volta rilasciato,
cercare
una
nuova
fase
di
allungamento (10”/15”). Il compagno
interviene durante la fase isometrica e di successivo allungamento.
Lo stretching PNF è sconsigliato a bambini e adolescenti le cui ossa sono
ancora in crescita. I forti allungamenti prodotti dalla contrazione isometrica
rischiano di danneggiare i tendini e il tessuto connettivo.
EFFETTI DEGLI ESERCIZI DI MOBILITÀ
La mobilità articolare riveste un ruolo chiave per quanto riguarda il benessere
generale perché il piacere di muoversi passa attraverso il senso di libertà che
offrono articolazioni prive di vincoli. Inoltre la mobilità articolare:

Facilita l'apprendimento, lo sviluppo e il perfezionamento delle abilità
motorie, migliorando la coordinazione e l'esecuzione tecnica dei vari gesti
sportivi, consentendo anche una maggiore espressione di forza e velocità.

Migliora la consapevolezza del proprio corpo e agevola il rilassamento
generale.

Aiuta a prevenire o a limitare i traumi all’apparato locomotore, attenuando
dolori e contratture muscolari, migliorando la circolazione sanguigna e
favorendo il recupero dalla fatica.
QUANDO ALLENARE LA MOBILITÀ?
L'infanzia e la preadolescenza (11 – 14 anni) a causa di una massa muscolare
ridotta sia per i maschi che per le femmine e una struttura tendineolegamentosa particolarmente elastica, è il periodo più indicato per influire sulla
mobilità articolare.
Dopo l'adolescenza, l'aumento della massa muscolare e della forza dovuti alla
crescita cominciano a limitare questa capacità. Generalmente le ragazze,
avendo minore massa muscolare, hanno una maggiore mobilità rispetto ai
ragazzi. È importante continuare sempre ad allenare questa capacità motoria
che altrimenti tenderebbe in modo naturale a ridursi.
QUANDO FARE STRETCHING? STUDI RECENTI A CONFRONTO ...
Lo stretching è talvolta confuso come mezzo di riscaldamento. Lo stretching
serve esclusivamente a produrre un allungamento dei tessuti e non ha alcun
effetto “riscaldante” giacché non determina alcun aumento della temperatura
muscolare.
Molto si è detto rispetto alla diminuzione dei livelli di forza, potenza e velocità,
successivi a un lavoro di stretching statico. Tutto ciò è vero nella misura in cui
la valutazione di suddetti parametri avviene immediatamente dopo lo
stretching. Se, viceversa, allo stretching viene fatta seguire una nuova fase di
attivazione, i suddetti parametri si ristabilizzano; quindi, se il tempo a
disposizione prima della gara è abbastanza lungo, lo stretching statico non
aiuta e non ha alcuna controindicazione. Per questo motivo alcuni studiosi lo
considerano inutile (se non dannoso).
Prima della partita o dell'allenamento, lo stretching (anche se non è
necessario) può essere fatto, ma per un periodo limitato di tempo (per 5’-7’ a
livello individuale); va svolto quasi esclusivamente dalla posizione eretta e non
da quella sdraiata, per evitare l’insorgere di una predominanza del tono vagale
ed un conseguente effetto “rilassante”; va svolto prevalentemente sulle grandi
catene muscolari più che in isolamento.
Si ricorda che prima della partita o dell'allenamento, rimane valido invece
un'attivazione di tipo dinamico perché ciò prepara il muscolo a far fronte alle
situazioni di allungamento a cui sarà sottoposto durante l’allenamento o la
partita stessa.
Dopo la partita o l'allenamento, l’atleta deve rilassarsi e ripristinare la naturale
lunghezza dei muscoli. Anche se ci sono ancora discussioni in merito, è
possibile utilizzare lo stretching sia con esercizi in isolamento sia coinvolgendo
tutte le catene muscolari, eseguiti prevalentemente a terra. In questo caso, lo
stretching aiuta il muscolo a tornare alla sua naturale lunghezza dopo lo sforzo
a cui è stato sottoposto, processo che altrimenti richiederebbe tempi più
lunghi. Sembra che non ci siano comunque vantaggi in situazioni di DOMS.
Agli studi di correlazione compiuti su forza massimale / rapida e stretching, ne
sono stati compiuti di analoghi su resistenza e stretching.
Anche nel caso di una prestazione di corsa resistente, i risultati suggeriscono
che svolgere lo stretching prima della gara, può ridurre la performance ed
aumentare il costo energetico totale.
Se però il tempo a disposizione prima della gara è abbastanza lungo e vengono
svolti altri esercizi dinamici soprattutto a carico della parte inferiore del corpo,
lo stretching statico non aiuta e non ha alcuna controindicazione.
Durante una seduta dedicata o una gara dove la mobilità articolare è
determinate è chiaro che tutte le metodiche di allenamento previste devono
essere considerate e contemplate.