Musicoterapia come prevenzione nella scuola dell

Istituto MEME s.r.l. di Modena
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
“Musicoterapia come prevenzione nella scuola dell’infanzia”
Giocare con la musica
Scuola di Specializzazione:
Relatore:
Contesto di Project Work:
Tesista specializzando:
Anno di corso:
Musicoterapia
Dott. Roberta Frison
Scuola dell’infanzia
Maria Cristina Debbi
Primo
Modena, 17/06/2006
Anno accademico 2005-2006
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET
A.I.S.B.L
BRUXELLES
MARIA CRISTINA DEBBI – MUSICOTERAPIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06
Indice dei contenuti
1. Premessa / Introduzione
4
2. Stato dell’arte
6
2.1 Principali approcci della musicoterapia e loro attinenza con l’infanzia 7
2.2 La musicoterapia Orff
10
2.3 La pedagogia della musica
12
2.3.1 Jacques Dalcroze
12
2.3.2 Edgar Willems
14
2.3.3 Zoltan Kodaly
15
2.4 Esperienze terapeutiche vissute in classe: l’opera di Giordano Bianchi
16
2.5 L’invenzione musicale nella scuola dell’infanzia di Monique Frapat
17
2.6 Problemi aperti
22
3. Materiali e metodi
23
3.1 Descrizione del setting
23
3.1.1 Primavera
23
3.1.2 Arcobaleno
24
3.1.3 Castello
25
3.1.4 Pesciolino
25
3.1.5 Materiali utilizzati
26
3.1.6 Principi generali degli incontri
26
2
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3.2 Il primo incontro
27
3.3 Secondo, terzo e quarto incontro
33
3.4 Quinto - nono incontro
42
3.5 Decimo – quattordicesimo incontro
46
3.6 Quindicesimo – diciottesimo incontro
52
4. Risultati e discussione
57
5. Conclusioni
64
6. Bibliografia
66
7. Appendice – spartiti dei brani proposti
68
3
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1. Premessa / Introduzione
Il lavoro che si è proposto di fare riguarda l’ambito della musicoterapia come
prevenzione del disagio in una scuola dell’infanzia, nella convinzione che il linguaggio
musicale debba coinvolgere lo sviluppo del bambino nella sua totalità fin dalla più tenera
età ed accompagnarlo per una crescita armoniosa e serena.
Il progetto era rivolto a tutti i bambini di una scuola per l’infanzia in provincia di
Reggio Emilia, articolato nelle quattro sezioni di due, tre, quattro e cinque anni.
L’obiettivo che ci si è proposto è quello di creare un gruppo che “giochi” con i
suoni cercando di ascoltare, produrre, imitare, inventare con tutto ciò che si può definire
“musica”, sempre ricordando che in bambini così piccoli il concetto è collegato ad attività
molto concrete con una connotazione però magica e fantastica.
In concreto, si è proposto l’ascolto di brani musicali di diversi generi sempre però
tenendo presente che il bimbo deve partecipare attivamente al gioco, non esserne mero
spettatore, per coinvolgerne l’attenzione.
Si è passati a cantare, usando cioè lo strumento principale che l’essere umano
possiede, cioè il proprio corpo e la propria voce.
Essendo i bimbi molto piccoli, si è privilegiato l’uso di canzoncine e filastrocche
semplici, moderne o tratte dalla tradizione popolare, che possano essere memorizzate
velocemente e possano stimolare la fantasia.
Questo nella convinzione che musica – fantasia - magia siano inscindibili e
immediate nei bambini più piccoli, un modo di esprimersi e di comunicare con il mondo.
Un linguaggio gioioso che tenda a far dimenticare le difficoltà del relazionarsi agli altri
mediante espressioni che tutti possono utilizzare senza sforzo e in differenti modi, senza
competizione o concetti tipo giusto-sbagliato, ma accettando tutti i possibili stili espressivi
messi in atto dai bambini stessi.
Uno degli obiettivi principali è stato stimolare la naturale fantasia dei bambini per
attivare un processo il più possibile creativo, tenendo conto della difficoltà di verificare
quanto c’è di guidato e quanto di spontaneo. Il lavoro è stato fatto basandosi su un
principio elementare: il bambino apprende fin dalla nascita (in realtà da molto prima)
dall’ambiente circostante e la sua mente si struttura pian piano in un continuo gioco di
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scambi principalmente con le figure per lui più significative. Egli sarà in grado di
elaborare mediante connessioni sempre più complesse la realtà che lo circonda, che
diverrà la “sua” realtà e da lì nasce la fantasia, la creatività. Come per tutti i linguaggi,
anche quello musicale si può sviluppare solo in presenza di un gran numero di stimoli per
poter essere poi elaborato originalmente. Non nasce dal nulla. Per questo si è deciso di
accompagnare un percorso creativo con un altro più strutturato e guidato in cui il bambino
apprende principalmente per imitazione. Questo è anche il modo in cui impara a parlare:
ascolta i genitori e tutti gli altri e pian piano cerca di imitarli.
Questo non significa imporgli una personalità, ma dargli degli strumenti per
poterla sviluppare autonomamente.
Nei capitoli seguenti si tratterà in primo luogo di quanto esistente in letteratura,
partendo dai lineamenti ministeriali per quanto riguarda i programmi di educazione
musicale nella scuola dell’infanzia, per fare una carrellata dei principali approcci
musicoterapici e didattici, a partire dall’inizio del secolo scorso fino ad esperienze attuali.
In secondo luogo si descriveranno gli incontri di musicoterapia così come si sono
svolti, in una forma narrativa che renderà conto di quali attività sono state svolte e come,
degli obiettivi che si sono raggiunti e delle difficoltà incontrate nel progredire del
progetto.
Si passerà infine a riepilogare i risultati raggiunti e a fare una discussione su ciò
che è stato ottenuto nel corso degli incontri.
5
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2. Stato dell’arte
Dagli ORIENTAMENTI EDUCATIVI DEL 1991 PER LA SCUOLA MATERNA:
“Le attività sonore e musicali mirano a sviluppare la sensibilità musicale, a favorire
la fruizione della produzione presente nell’ambiente, a stimolare e sostenere l’esercizio
personale diretto, avviando anche alla musica d’insieme.
Il bambino vive in un mondo caratterizzato dalla compresenza di stimoli sonori
diversi, il cui eccessivo e disorganico sovrapporsi può comportare il rischio sia di una
diminuzione dell’attenzione e dell’interesse per il mondo dei suoni sia un atteggiamento di
ricezione soltanto passiva La scuola dell’infanzia può quindi svolgere un essenziale
funzione di riequilibrazione, di attivazione e di sensibilizzazione, offrendo ai bambini
proposte che consentano loro di conoscere la realtà sonora, d’orientarvisi, di esprimersi
con i suoni e di stabilire per il loro tramite relazioni con gli altri.
L’intervento didattico si concretizza nelle attività di esplorazione, di produzione e di
ascolto.
L’elaborazione degli itinerari di lavoro può tener conto di alcune tracce orientative
particolari: scoperta e conoscenza della propria immagine sonora; ricognizione
esplorativa dell’ambiente sonoro; uso dei suoni delle voci e di quelli che si possono
produrre con il corpo; uso di oggetti e strumenti tradizionali ed elettronici; uso di
strumenti di registrazione ed amplificazione; utilizzazione di strumenti musicali adatti ai
bambini (ad esempio Strumentario didattico); apprendimento di canti adatti
all’estensione vocale dei bambini; invenzioni di semplici melodie; sonorizzazione di
fiabe o racconti; attività ritmico - motorie; forme elementari e ludiche di
rappresentazione dei suoni; giochi per la scoperta e l’uso di regole musicali.
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Dal punto di vista organizzativo, le attività musicali possono essere favorite dalla
costituzione di un laboratorio musicale, o comunque dalla predisposizione di ambienti
che consentono l’uso della sonorità e del movimento”. 1
Queste sono le linee guida ministeriali
che riguardano la musica nella scuola
dell’infanzia. Da questa traccia si è deciso di partire per proporre un progetto di
musicoterapia in una scuola. L’intervento non è terapeutico in senso stretto, in quanto i
bambini coinvolti non presentano patologie ma costituiscono la normale popolazione di
una scuola dell’infanzia.
2.1 Principali approcci della musicoterapia e loro attinenza con
l’infanzia
La musicoterapia comprende tutto l’insieme di idee, pratiche, orientamenti nati
dalla convinzione che l’esperienza con il suono abbia proprietà preventive, riabilitative e
curative. Fin dall’antichità si è ritenuto che la musica potesse avere carattere terapeutico,
ad esempio presso gli antichi egizi si pensava che il fascino della musica potesse
influenzare la fertilità femminile (se ne trovano testimonianze in papiri medici del 1500
a.C.).
Anche la Bibbia riporta un caso di guarigione con la musica, cioè la follia del re
Saul curata e miracolosamente guarita dal suono della cetra del giovane Davide "e così,
ogni qualvolta il cattivo spirito venuto da Dio investiva Saul, Davide prendeva la cetra e
1
Dai programmi ministeriali di educazione musicale per la scuola dell’infanzia del 1991, testo
tratto dal sito www.Edumus.it che si occupa a largo raggio di educazione musicale e musicoterapia.
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si metteva a suonare; Saul si calmava e stava meglio poiché lo spirito maligno si ritirava
da lui e lo lasciava in pace"2
Anche presso gli antichi greci, che attribuivano alla musica un ruolo determinante
nelle loro teorie cosmogoniche e metafisiche, la relazione con i suoni veniva utilizzata
nella cura e nella prevenzione delle malattie.
Ormai queste antiche intuizioni sono supportate da un cospicuo patrimonio di studi
e ricerche che hanno dato dignità scientifica al “Curare con la musica”, affiancando alle
opere pionieristiche dei primi operatori, principalmente musicisti, più precise nozioni
psicologiche e pedagogiche.
In Italia, una delle prime definizioni di musicoterapica proposte è la seguente:
“per musicoterapia si intende il ricorso ad esperienze musicali attive (in cui si
produce musica coltivando l’espressione creativa individuale o di gruppo in una
prospettiva di comunicazione socializzante) oppure passive (in cui predomina l’ascolto o
l’assunzione di stimoli ritmico - musicali). Queste esperienze sono finalizzate al recupero,
alla risocializzazione, all’integrazione sociale di persone, siano queste adulti o bambini,
affetti da handicap di diverso tipo che ne limitano l’espressione relazionale e sociale”3
In questa definizione sono presenti tre principali campi di intervento4:
2 (Samuele 1, 16 - 23).
3
G.P.Guaraldi, Situazione della musicoterapia in Italia, in Autori Vari, La musicoterapia in Italia:
problemi e prospettive, Pro Civitate Christiana, Assisi, 1977, pp. 11-24
4
A.Antonietti, P.Lazzati, Musicoterapia cognitiva, schede per l’attivazione di operazioni mentali di
base attraverso il suono.
8
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•
Un primo indirizzo a orientamento psicopedagogico o pedagogico, che trova
utilizzo nelle strutture educative (soprattutto scolastiche)
•
Un secondo indirizzo di tipo clinico e psichiatrico usato in ospedali, case di cura,
centri di assistenza
•
Un terzo indirizzo che riguarda l’animazione in luoghi di socializzazione
Il primo indirizzo è quello che riguarda l’argomento di questa tesi, per cui d’ora in avanti
si farà riferimento solamente ad esso e agli autori che si sono occupati di questo ambito di
attività.
La musicoterapia in campo infantile ha fato la sua comparsa non prima degli anni
sessanta con le esperienze condotte da Juliette Alvin con bambini affetti da ritardo mentale
ed autismo. La Alvin è la fondatrice della scuola inglese di musicoterapia e il suo metodo
insiste sugli aspetti sociali dell’attualità musicoterapeutica, tesa così a favorire la
comunicazione e l’inserimento degli svantaggiati.5
Negli Stati uniti Paul Nordoff e Clive Robbins condussero esperienze volte a
migliorare l’autostima e la vita sociale del bambino handicappato6. In entrambi i casi si
tratta di musicisti che hanno condotto studi ed esperienze che hanno posto l’attenzione
sulla musica come terapia, ma non si basano su precise conoscenze psicopedagogiche.
Mancano i presupposti teorici.
Tali presupposti sono invece presenti nell’esperienza di Thèrese Hirsh7
all’ospedale di Bel-Air, a Ginevra, che si rifà agli assunti della psicomotricità per dar
luogo al suo intervento riabilitativo musicale.
5
J.Alvin, La musica come terapia, Armando, Roma, 1968; J. Alvin, Terapia musicale, Armando,
Roma, 1981
6
P.Nordoff e C.Robbins, Musicoterapia per bambini handicappati, F.Angeli, Milano, 1982.
7
T.Hirsch, Musica e rieducazione, Armando, Roma, 1967.
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Un altro approfondimento si ha con Gertrud Orff8, moglie di Carl Orff,
compositore ed ideatore di un originale metodo di educazione musicale. Questo approccio
interessa molto più da vicino l’argomento di questa tesi, in quanto coniuga appunto
l’educazione musicale nella prima infanzia con i suoi aspetti terapeutici. Di qui in avanti si
parlerà quindi anche di educazione musicale e dei principali metodi elaborati dall’inizio
del secolo scorso in poi. Questo perché parlando di prevenzione nella prima infanzia
attraverso la musica non si può prescindere dai principali approcci educativi, dal momento
che non si tratta di curare determinate patologie ma di favorire attraverso l’esperienza
musicale lo sviluppo della creatività, della vita sociale e del benessere generale del
bambino.
2.2 La musicoterapia Orff
La musicoterapia Orff si è sviluppata a partire dall’opera didattica di Carl Orff, la
cui idea era di procurare al bambino una “dimensione musicale completa nella quale
esprimersi, prendere coscienza di sé, fare musica insieme agli altri”9
Sull’idea di dimensione musicale si è sviluppata anche la terapia, che usa gli stessi
mezzi, cioè le forme d’espressione infantile: parola, ritmo, melodia, movimento,
conoscenza dello spazio. L’espressione creativa infantile proposta nell’Orff-Schulwerk (la
metodologia didattica di Carl Orff) nella terapia è diventata “stimolo”, dal momento che al
bambino minorato non è possibile una corretta esecuzione degli esercizi ritmici, melodici
e armonici proposti da Carl Orff.
Fondamentale per creare la comunicazione tra terapeuta e bambino è l’uso dello
strumentario, con cui i sensi del bambino vengono sollecitati in tre modi: vedendo,
udendo, agendo. Suonando liberamente uno degli strumenti (piatti, tamburelli e tamburi,
8
G.Orff, Musicoterapia-Orff. Un’attiva stimolazione allo sviluppo del bambino, Pro Civitate
Christiana, Assisi, !982.
9
G.Orff, Musicoterapia-Orff. Un’attiva stimolazione allo sviluppo del bambino, Pro Civitate
Christiana, Assisi, !982.
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cembali, sonaglini da dito, legnetti, maracas, triangoli, piatto grande sospeso, nacchere,
metallofoni, blocchi sonori, campane ecc.) il bambino esprime un’immagine per lui
significativa (un fiore, un animale).
Attraverso l’uso di semplici filastrocche è possibile una loro sonorizzazione da
parte dei bambini (ogni strumento rappresenta uno dei personaggi narrati nel testo o una
delle sue azioni) attraverso la libera associazione strumento-immagine.
Importante è l’utilizzo del linguaggio come elemento ritmico–sonoro. La
verbalizzazione di un ritmo aiuta a ricordarlo, trasferire realtà verbali sul piano ritmico
non verbale, come il battimani, crea vivacità e un forte impatto comunicativo quando
viene eseguito in gruppo. Altro elemento fondamentale è il movimento: se manca il
movimento manca il fattore socializzante, non ci può essere comunicazione. Musica e
movimento sono strettamente legati: i mezzi musicali hanno la funzione di “sciogliere e
motivare il movimento”10. Ci sono movimenti mimico-gestuali (imitare un gesto o una
pulsazione ritmica) o movimenti locomotori (spostarsi da un posto all’altro) che vanno da
una forma individuale ad una più complessa esperienza sociale (tenersi per mano, battere
le mani insieme, girare intorno ad un cerchio). Attraverso il movimento si attiva una
comunicazione circolare (movimenti iniziati da uno ed imitati dagli altri che alla fine
tornano indietro) che vale naturalmente anche per i bambini cosiddetti “sani”.
Il terapeuta deve avere una tecnica, cioè una certa maniera di affrontare una cosa.
La tecnica viene applicata e si perfeziona con l’esperienza. Tre sono le categorie tecniche
presenti per ogni seduta terapeutica: preparazione, azione, rielaborazione che si possono
definire rispettivamente meditatio, cantus, memoria.
Per meditatio si intende la riflessione, considerata come pre-riflessione, cioè
preparazione mentale a ciò che si deve fare. Tactus è l’agire personale, creativo ed
10
G.Orff, Musicoterapia-Orff. Un’attiva stimolazione allo sviluppo del bambino, Pro Civitate
Christiana, Assisi, !982.
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imitativo, che va strutturato ma non interrotto da correzioni 8si forma la capacità
espressiva). Memoria è il ricordo di quanto fatto e viene continuamente rielaborato e
rivissuto. Una giusta e completa tecnica per Gertrude Orff deve appropriarsi di questi tre
momenti: anche il bambino, imparando a fare, progettare, riflettere, apprende la tecnica e
si ritrova un gran patrimonio di gesti ed esperienza.
2.3 La pedagogia della musica
Parlando di musica con bambini normodotati non si può non fare riferimento alle
principali correnti pedagogiche relative all’insegnamento della musica dagli inizi del
novecento in poi. Questo perché sono nate molto prima della musicoterapia vera e propria
ad opera di musicisti-didatti e ad essi si è inevitabilmente ispirata la musicoterapia. Sono
stati qui di seguito riportati i metodi con una particolare attinenza allo sviluppo futuro
della musicoterapia, omettendo volutamente quelle metodologie puramente “tecniche” e
finalizzate all’apprendimento delle abilità musicali codificate, come suonare bene, leggere
la musica, cantare per raggiungere un risultato qualitativamente alto. E’ stato ritenuto che
esulassero dall’argomento.
2.3.1 Jacques Dalcroze
Emile Jacques Dalcroze è un viennese nato nel 1865. Il concetto centrale della sua
pedagogia musicale è il ritmo. Questo è molto difficile da insegnare ed apprendere e non
va considerato sotto l’aspetto teorico ma “sperimentato” attraverso il proprio corpo,
integrando l’informazione sensoriale con la risposta motoria.11 Dalcroze parla di
“esperienza ritmica” e per ottenere ciò propone di utilizzare inizialmente la marcia con
gesti semplici, poi la corsa con l’oscillazione delle braccia e i movimenti del corpo. In una
11
S.Valseschini, Psicologia della musica e musicoterapia, Armando editore 1983
12
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seconda fase si passerà ad esercizi di ascolto per l’affinamento della capacità percettiva: il
bambino deve far corrispondere ai ritmi metrici ascoltati i propri passi. Il metodo Dalcroze
tende
quindi
a
coordinare
le
funzioni
psicomotorie
e
sensoriali,
favorendo
l’immaginazione attraverso il ritmo.
“… l’elemento fondamentale, maggiormente legato alla vita e all’arte del suono è
il Ritmo! Il Ritmo dipende esclusivamente dal movimento e trova l’esempio perfetto nel
nostro sistema muscolare.” (Émile Jaques-Dalcroze).
Le lezioni di Ritmica Dalcroze si praticano in gruppo, ma ogni singolo allievo ne è
parte attiva ed integrante in quanto l’esperienza individuale è centrale nella pedagogia
dalcroziana. I diversi aspetti del discorso musicale vengono percepiti e espressi con il
movimento, ma stimolati e sostenuti dall’improvvisazione pianistica/vocale/strumentale
dell’insegnante il quale adegua costantemente la musica alle capacità ed ai progressi degli
allievi tenendo conto della loro individualità e possibilità espressiva.
L’educazione musicale si articola su tre aree di studio:
•
Ritmica che sviluppa la capacità di risposta spontanea del corpo alla
musica attraverso il movimento;
•
Solfeggio che educa l’orecchio e la voce;
•
Improvvisazione che riunisce tutti gli elementi finora menzionati e libera le
potenzialità creative individuali.
Questi tre aspetti del lavoro vengono integrati in singole classi nelle quali gli
allievi utilizzano il movimento, la voce e gli strumenti in una varietà di attività che
coinvolge l’ascolto, la capacità elaborativa e inventiva. Gli obiettivi educativi del metodo
dalcroze sono molteplici: trovare il piacere di esprimersi con il corpo in sintonia con la
musica, sviluppare l’orecchio e acquisire una comprensione musicale globale e profonda,
sviluppare la consapevolezza corporea (coordinazione, reazione, dosaggio dell’energia,
equilibrio, uso del peso) sviluppare la personalità nella sua interezza (sfera cognitiva,
affettiva, psico-motoria) e-ducare le capacità creative ed artistiche, collaborare e adeguarsi
13
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al gruppo, nel rispetto di sé e degli altri. Chiaramente gli obiettivi dei questa metodologia
si adattano bene sia ad un percorso educativo puro che ad un percorso terapeutico con
persone svantaggiate e, parlando di bambini molto piccoli, i principi legati al movimento
corporeo spontaneo sono fondamentali.
2.3.2 Edgar Willems
Il metodo di Edgar Willems, belga, è stato sviluppato intorno al 1950.
Il suo obiettivo è migliorare l’”orecchio musicale” del bambino, abituandolo a
cogliere sottili differenze tra toni molto vicini. Per questo utilizza uno strumento costituito
da una serie di campanellini. Volendo eliminare tutti gli elementi di possibile distrazione,
non utilizza musica orchestrale ma linee melodiche semplici, sempre comunque
nell’ambito della musica tonale, cercando di insegnare il rapporto tra i vari intervalli in
accordi anche complessi. Importante anche per Willems l’esperienza motoria fisiologica:
favorisce esercizi iniziali di ritmo basati sul battito cardiaco e la frequenza respiratoria.
Questi i concetti fondamentali del metodo Willems:
•
•
•
•
la consapevolezza che tra musica, essere umano e cosmo esista una stretta
correlazione;
il rispetto profondo dell'ordine e delle leggi naturali e gerarchiche esistenti;
un itinerario d'intervento didattico che si fonda sull'essenza costitutiva degli
elementi musicali (essenzialismo) e non esclusivamente sulle apparenze esteriori e
superficiali (esistenzialismo o formalismo);
un itinerario di sviluppo che ricalca da vicino il procedimento della lingua materna.
Il metodo Willems si basa sul concetto di suono “vivo” e ritmo “vivo”, cioè
esperienze dirette, istintive, sensoriali, affettive. Si suddivide in tre tappe fondamentali:
vivere la musica partecipando attivamente all’attività musicale proposta, cioè si passa
direttamente all’azione (possono essere utilizzati tutti gli strumenti tipici dello
strumentario Orff, purchè abbiano un suono limpido e nitido), sentire in modo affettivo e
sensoriale quello che si sta facendo, conoscere rielaborando il percorso e pervenire alla
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consapevolezza di ciò che si è fatto. La teoria musicale è quindi ridotta al minimo la cosa
più importante è l’atto musicale e il suo vissuto, non certamente la qualità tecnica o il
virtuosismo.
Willems rifiuta tutti gli elementi extramusicali come il disegno, le storie, i giochi e
tutte quelle cose che allontanano il bambino da un’esperienza musicale pura e in armonia
con la natura e, invece, lo portano ad una intellettualizzazione e un distanziamento
dell’esperienza musicale, mediata da altri elementi.
2.3.3 Zoltan Kodaly
Il metodo “corale pentatonico” di Zoltan Kodaly viene elaborato intorno agli anni
50 ed ha come presupposto il fatto che alcune esperienze psicologiche si possono avere
solo con la musica, per cui tutti vi debbono accedere e il più precocemente possibile, fin
dalla scuola dell’infanzia. Kodaly utilizza canti popolari del repertorio comune
folkloristico. Così intende mantenere una continuità culturale nazionale nel tempo e creare
una stretta relazione tra musica e linguaggio. La scelta della scala pentatonica è stata fatta
per facilitare l’intonazione, resa difficoltosa dai semitoni.
Il canto secondo Kodaly non deve essere accompagnato da strumenti ma essere “a
cappella” secondo la tradizione rinascimentale e barocca ed essere costituito da due linee
melodiche. Questo perché il canto all’unisono difficilmente è intonato mentre le due voci
possono correggersi reciprocamente. Importante quindi la struttura “collettiva” del metodo
di Kodaly e la centralità del gruppo rispetto al singolo, che rappresenta un elemento di
diversità rispetto ai metodi precedentemente citati.
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2.4 Esperienze terapeutiche vissute in classe: l’opera di Giordano
Bianchi
Secondo il maestro Giordano Bianchi la musica può essere tramite di sviluppo, nei
bambini con handicap ma anche negli altri, di capacità espressive e di apprendimento. Può
essere dunque strumento nuovo per una scuola nuova.
Interessanti sono le sue esperienze con bambini problematici di alcune classi
elementari, finalizzate allo sviluppo della percezione audio-tattilo-visiva attraverso la
manipolazione di materiale sonoro, della capacità di espressione fonetico-onomatopeica
(ortofonia) e grafico-verbale (lettura, scrittura, ortografia), nonché allo sviluppo delle
facoltà logico-matematiche.
Il “metodo linguistico-musicale” di Giordano Bianchi12, che non prevede
conoscenze musicali, mira ad associare vocali, consonanti, poi fonemi e parole a simboli
gestuali e timbri ottenuti su uno strumentario apposito. Non è un metodo sillabico, perché
gli alunni imparano a suonare e leggere dei “sonemi”13, veri e propri nomi associati
timbricamente ad una sorgente sonora ben determinata che i bimbi possono vedere e
toccare. Il maestro Bianchi fa largo uso delle campane Questo basilare strumento è così
costruito: cinque tubi di ottone di uguale spessore e di differenti lunghezze percossi da un
battente di ferro ricoperto di panno morbido. I cinque tubi emettono i suoni corrispondenti
alle note sol-mi-re-do-la (scala pentafonica)14. Sono appesi con una cordicella ad un telaio
di sostegno.
12
G.Bianchi, A. Clerici Bragozzi, Crescere con la musica, esperienze cognitive terapeutiche vissute
in classe attraverso il linguaggio dei suoni, il movimento, il simbolo e il sonema
13
Neologismo coniato dal maestro Bianchi per indicare un suono onomatopeico come ad esempio il
Din Don Dan delle campane. Altri possono essere toc-toc, cin-cin pum pum e così via
14
Viene utilizzata tale scala perché è accertato che quasi tutti i bambini sono portati ad inventare le
loro “tiritere” proprio su tale griglia. Importanti musico-pedagogisti come Kodàly e Orff l’hanno
ampiamente utilizzata nei loro metodi.
16
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Bianchi utilizza queste campane dapprima per vari giochi musicali con i bambini
(imitazione, suonare piano-forte, ripetizione di una data sequenza…) per poi passare ad un
uso complesso associando ai vari tubi un’immagine (una famiglia di topi: mamma, papà,
figlio, figlia, nonno). Battendo i vari tubi secondo varie sequenze si creano le relazioni tra
i personaggi e delle storie. Suonando in modo diverso i bimbi possono creare storie
diverse: infine ai tubi vengono associati dei sonemi (esempio: din don) e i bambini
imparano a suonare determinate sequenze (esempio: din-din-don-din-din don). Infine
suonando i vari tubi si formano delle intere parole, che i bambini leggono tramite simboli
grafici.
2.5 L’invenzione musicale nella scuola dell’infanzia di Monique
Frapat
Monique Frapat, insegnante di scuola dell’infanzia e pedagogista musicale
(collabora con il CFMI, Centre de Formation des Musiciens Intervenant à l’ècole
dell’Università di Parigi VIII- Facoltà d’Orsay) è un’importante promotrice della
pèdagogie musicale d’èveil, sviluppatasi in Francia a partire dagli anni settanta con l’opera
di François Delalande, con cui la Frapat ha collaborato per diverso tempo.
Il modello della pèdagogie musicale d’èveil si ispira alla musica “concreta” e si
basa sulla ricerca e la pratica creativa con i suoni e tende ad evidenziare i legami esistenti
tra ambito educativo e musicologico.
L’attività creativa con i suoni assume un ruolo centrale: il bambino deve poter
effettuare una ricerca autonoma, con attività spontanee di esplorazione e scoperta degli
oggetti sonori, per poi passare ad attività sempre più intenzionali, fino all’invenzione e alla
composizione.
François Delalande, responsabile delle ricerche teoriche del Groupe de Recherches
Musicales dell’Institut National de l’Audiovisuel di Parigi, aveva riformulato una teoria
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musicale basata sull’analisi delle condotte musicali (comportamento motivato e guidato
da una finalità da raggiungere) in analogia con lo schema del gioco di Jean Piaget. Piaget
distingueva tre forme di attività ludica nei bambini, che Delalande riprende per
analizzarne le produzioni sonore.
•
Giochi senso-motori, dominanti fino ai due- tre anni. Il bambino conosce il
mondo esterno attraverso le mani ed i gesti. I giochi gli consentono di far
presa sull’ambiente. Il gesto è cercato in un primo tempo per se stesso
(gesto + risultato è ciò che conta, non c’è intenzionalità). Pian piano, verso
gli otto-nove mesi, il bambino prende coscienza dell’azione che ha prodotto
il suono e in un momento successivo, verso i due-tre anni compare una
“riorganizzazione degli schemi anteriori”, il bambino modifica il suo
comportamento per raggiungere nuovi effetti e studiarne la natura.
•
Giochi simbolici, tipici della scuola dell’infanzia, in cui il bambino attua lo
schema del “fare finta”. Attribuisce al gioco un preciso significato in cui
esprime il suo vissuto emotivo.
•
Giochi con le regole, che compaiono con la socializzazione negli ultimi
anni della scuola dell’infanzia e nella scuola elementare. I bambini si
organizzano e anche le loro produzioni musicali seguono regole ben
prestabilite (entrate, uscite, ruoli di ciascuno).
Delalande afferma un parallelismo tra il gioco del bambino e l’attività del
musicista, che lavorando sulle note si avvicina al gioco senso-motorio, i suoi gesti
sono poi caratterizzati da un’emozione, tipica del gioco simbolico, e segue regole
ben precise, come un bambino che rispetta le regole di un gioco.15
Monique Frapat parte da queste premesse teoriche per descrivere
l’invenzione musicale nei bambini. Parte innanzitutto da una possibile definizione
di musica. Cos’è? Non solo la musica di Bach e Mozart, ma anche la musica extra
europea, il jazz, il rock e ogni altro genere musicale.
15
François Delalande, La musique est un jeu d’enfant, ed Buchet-Castel, 1984
18
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Frapat ritorna alle origini della musica, al comun denominatore di tutti i
generi: il suono. Il suono sostituisce quello che era prima il punto di partenza, cioè
la nota. E’ un modello più istintivo, la musica da arte delle note diviene arte dei
suoni.
“l’educatore che avrà come progetto non quello di trasmettere la sua cultura
musicale personale, ma di incoraggiare l’attività di scoperta e di creazione dei
bambini, dovrà abituarsi ad un nuovo ascolto. Le note ed il solfeggio non gli
serviranno a nulla, dovrà ritornare a ciò che costituisce la base comune, il
denominatore comune a tutte le musiche, e questo denominatore comune è il
suono”16. Ciò che fa vivere il suono è l’azione del musicista e, secondo Frapat, non
c’è musica se non c’è invenzione. Il percorso attuato per raggiungere tale obiettivo
è fatto di diverse tappe:
•
ASCOLTO, che è il prerequisito fondamentale per fare musica e
comprende l’ascolto delle proprie produzioni, di opere musicali che
abbraccino il maggior numero possibile di generi, dell’ambiente sonoro
circostante. L’ascolto non deve essere quello classico (che mira a far
conoscere un dato sistema), ma deve tendere a far “sentire le energie, i
movimenti e ad organizzare le percezioni personali”. L’ascolto sarà
corporeo, come è spontaneamente presente nel comportamento dei
bambini.
•
ESPLORAZIONE. Il bambino deve conoscere il materiale con cui fa
musica e quindi deve poter “far rumore” per esplorarne ogni possibilità. In
questo modo scoprirà la diversità dei suoni, delle loro sorgenti, della grana
di cui sono composti gli oggetti, la diversità degli effetti prodotti da uno
sfioramento, una percussione, una graffiata e così via. L’approccio è
sensoriale come quello dei compositori contemporanei, il materiale sonoro
qualsiasi tipo di oggetto, da quelli di uso comune (bicchieri, bottiglie,
16
François Delalande, Pedagogie musicale d’èveil, INA/GR, 1976
19
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stoviglie, stoffe, barattoli ecc…) agli strumenti veri e propri, agli strumenti
di registrazione e amplificazione del suono.
•
INTERVENTO EDUCATIVO che deve esserci pur senza essere invasivo o
direttivo. Questo l’atteggiamento che l’educatore deve avere: “osservare,
manifestare un’aspettativa, valorizzare le invenzioni, raggruppare tutti
intorno al gioco di un bambino per sollecitare l’immaginazione, rimandare
ciascuno alle proprie ricerche con una consegna precisa”.
•
RILANCIO è la fase in cui si passa dalla pura e semplice esplorazione
all’atto intenzionale della produzione musicale. Deve essere fatto
dall’educatore a livello della motivazione: non deve dire al bambino quello
che deve fare, ma metterlo in una situazione che gli dia il desiderio di fare.
Questo avviene tramite l’utilizzo di dispositivi, che sono i modi in cui si
realizza tale situazione e il bimbo scelga un’idea musicale piuttosto che
un’altra. Possono essere dispositivi materiali (gli oggetti e la loro
disposizione), la registrazione e l’amplificazione (Frapat li considera
strumenti indispensabili, in quanto attuano il di stanziamento psicologico
che permette al bambino di ascoltare se stesso), dispositivi a giochi guidati,
in cui i bambini devono rispettare una consegna (non sono del tutto creativi
in quanto diretti dall’adulto, ma utili per apprendere modalità di gioco che
possono poi essere re-inventate nell’improvvisazione vera e propria).17
Dispositivi di scambio: seguono l’esplorazione e fanno sì che i bambini si
approprino gli uni delle idee degli altri. Presuppongono un ascolto di ciò
che fanno i compagni e la disposizione a partecipare alla stessa idea
musicale. Ad esempio tante produzioni sullo stesso tema (la pioggia, le
stelle) commentate insieme e realizzate poi in sequenza. Dispositivi legati
all’ascolto, che rendano stimolante questa attività. Possono essere
17
Un esempio di come può essere utilizzato il gioco guidato è questo: i bambini non sanno bene
come produrre un suono da un dato strumento e lo percuotono a caso senza ascoltare. L’insegnante propone
di giocare a suonare uno alla volta in cerchio con la regola che un bambino batte un colpo sul suo strumento
e non appena la vibrazione sonora si è esaurita, non prima, il suo compagno gli dà il cambio e così via.
Questo semplice dispositivo fa sì che i bambini ascoltino un suono il più lungo possibile e si rendano conto
delle potenzialità del proprio strumento per poi riutilizzarle liberamente.
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imitazioni dei rumori ambientali, l’ascolto del silenzio, l’invenzione di
paesaggi sonori sulla base di un’immagine evocata, infine l’ascolto di brani
musicali veri e propri per cercare di “riprodurli” con la voce o gli strumenti.
Dispositivi legati alla vita di classe, che sfruttano le situazioni legate al
vissuto quotidiano per reinterpretarle in un gioco musicale. Sono le
situazioni più delicate da gestire in quanto coinvolgono direttamente le
emozioni dei bambini e i loro vissuti personali (ad esempio litigi in classe,
piccoli incidenti, situazioni particolari che hanno suscitato interesse…). Si
tratta di sfruttare i momenti vissuti insieme, l’immaginario dei bambini,
incoraggiare il mimo dei suoni (della natura, dei personaggi..), appoggiarsi
all’immagine come metafora delle sensazioni e non come modello da
tradurre.
Per concludere l’analisi del lavoro svolto da Monique Frapat, riassumiamo
in breve la sua metodologia di lavoro. E’ basata su tre tappe: esplorazione,
scambio, invenzione.
L’esplorazione serve a sperimentare il proprio modo di rapportarsi al suono
e scegliere gli strumenti per esprimersi.
Lo scambio serve a fare l’inventario delle idee avute dai bambini e
appropriarsi delle idee degli altri.
L’invenzione serve a utilizzare le esperienze vissute nelle altre tappe per
produrre un’espressione musicale.
L’approccio che Frapat propone è chiamato da lei stessa “inventura”, dalla
definizione coniata da una bambina alla fine di una storia. Inventura per i bambini,
continuamente sollecitati, e inventura per gli insegnanti-educatori, che avanzano su
terreni sconosciuti. Il percorso musicale è incentrato su attitudini psicologiche
(ascolto – invenzione - concentrazione) e non su parametri. Il centro di questo
percorso è il bambino, non la musica. Si deve fargli capire che si sa che egli ha i
suoi gesti, i suoi suoni, le sue idee e che si ha fiducia in lui. Se sente di essere
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ascoltato e rispettato, il bambino restituirà la fiducia e si sentirà incoraggiato ad
osare.
2.6 Problemi aperti
Non è facile parlare di creatività infantile senza l’intervento dell’adulto. La
sua sola presenza modifica il comportamento dei bambini, a maggior ragione se si
propone di fare un gioco specifico. Si rischia inoltre di suggerire e interpretare a
discrezione. Frapat ad esempio racconta di un bambino che, dovendo interpretare
la cattura di una lepre dopo un inseguimento, esegue un suono pianissimo
accarezzando il piatto sospeso. Frapat deduce che il bambino intendeva non far del
male alla lepre ed accarezzarla. Ma questa è una sua interpretazione, non certo del
bambino! Il suono può essere stato del tutto casuale e non intenzionale. Il problema
del filtro dell’adulto è rilevante. Inoltre il bambino tende a fare ciò che pensa
l’adulto si aspetti da lui, per ottenerne l’approvazione. Non si può non tenerne
conto.
In questo progetto non si pretende di insegnare nulla ai bambini, ma di
creare un clima sereno di gioco con la musica che possa essere stimolante e
procurare benessere e divertimento. Tutto ciò è difficilissimo da valutare
Altro problema non piccolo riguarda il concetto di musica. Quale musica?
Cosa è giusto proporre a bambini così piccoli ma che sicuramente sono stati
bombardati di suono fin da prima della nascita? E’ giusto insistere o si rischia una
iperstimolazione? Fino a che punto, poi, i bambini devono partecipare liberamente,
rischiando la confusione totale, e non invece essere indirizzati per ottenere un
risultato che risulta soddisfacente anche per loro?
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3. Materiali e metodi
Il tirocinio si è svolto presso la Scuola Materna in provincia di Reggio Emilia.
L’intervento era a cadenza settimanale (il venerdì mattina) della durata totale di due ore e
mezza suddivise in quattro momenti per le quattro sezioni della scuola, chiamate
Primavera (bimbi di 2 anni), arcobaleno (bimbi di tre anni), castello (bimbi di quattro
anni), Pesciolino (bimbi di cinque anni).
Le sedute si svolgevano in questa successione:
•
09.20-09.50 due anni
•
09.50-10.20 tre anni
•
10.20-11.00 quattro anni
•
11.00-11.45 cinque anni
La differenza di durata della seduta tra una sezione e l’altra è stata concordata con
le insegnanti per adeguarsi alle capacità di concentrazione ed attenzione dei bimbi
delle diverse età.
3.1 Descrizione del setting
Il setting degli incontri è stato necessariamente suddiviso in quattro parti, una per
ciascuna sezione di bambini.
I bambini aspettavano l’arrivo del tirocinante della loro aula abituale e svolgendo
la loro solita attività (merenda con la frutta per i due anni, gioco libero per i tre anni,
disegno o bricolage per le altre due sezioni).
3.1.1 Primavera
I nomi delle sezioni sono stati dati in precedenza dalle insegnanti ed indicano la
stanza dove si riunisce il gruppo e una sua specifica caratteristica: nell’aula Primavera ci
sono cartelloni di fiori alle pareti e sul soffitto, termosifoni protetti da strutture in gomma
rappresentanti fiori, composizioni pendenti dal soffitto fatte di svariati materiali (carta,
retine di voile, carta crespa colorata, pezzi di plastica e cartone presi da materiali di
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recupero) realizzate dai bambini stessi. Due scaffali bassi ad altezza di bambino sono pieni
di giocattoli di ogni tipo: quelli che colpiscono di più sono animali di ogni forma e
dimensione, dai selvatici ai domestici agli animali fantastici o del passato che riempiono
un’enorme cesta. Nell’aula ci sono anche alcuni giocattoli sonori di fattura industriale,
tipo Chicco o Bontempi (una chitarra di plastica, una tastiera colorata, uno xilofono finto).
Al centro della stanza un grande tappeto di gomma rappresentante le strade di una
città contornate di alberi. I bambini stanno quasi tutti seduti sul tappeto che è il centro
della loro attività. Di fronte al tappeto un tavolo rotondo bianco di medie dimensioni con
intorno diverse seggioline.
Sull’altro lato della stanza ci sono i bagni.
3.1.2 Arcobaleno
L’aula “Arcobaleno”, destinata ai bimbi di 3 anni, è stata ricavata su un lato di un
ambiente molto più grande di passaggio con una parete tutta a vetrate. Dal corridoio si
vede quindi l’interno, anche se attualmente i vetri sono ricoperti di cartelloni fatti dai
bimbi, quindi lo spazio visibile è solo molto in alto.
Il difetto di questo ambiente è che non è molto isolato dal resto e quando altri
bambini passano nel corridoio si sentono molto e disturbano le attività interne.
Dentro l’aula una parete intera è ricoperta da un grande cartellone con tutti i colori
dell’arcobaleno a strisce successive fatte con le tempere, di qui il nome della stanza.
L’ambiente è ulteriormente diviso in due da una parete interna in legno e nella parte più
interna ci sono i lettini dei bimbi. In quest’ultima stanza è posizionato l’impianto stereo
(su una mensola in alto), peraltro l’unico di tutta la scuola. Le maestre spesso fanno
ascoltare ai bambini canzoncine per farli addormentare o favole registrate. Le altre sezioni
si suddividono un vecchio stereo portatile mal funzionante, che spesso si blocca o non
legge affatto i cd.
Nell’ambiente principale un grande tappeto uguale al precedente (ogni sezione ne
ha uno identico, sono stati un regalo per tutta la scuola), un altro più piccolo, scaffali con
giocattoli sulla parete in fondo, due tavoli con panchine sull’altro lato. La sala in
complesso è molto più piccola dell’altra e sviluppata in lunghezza.
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3.1.3 Castello
L’aula dei bambini di 4 anni è chiamata “Castello” per un grande poster interno
raffigurante appunto un antico maniero.
E’ molto grande, la più grande di tutte e divisa in due da scaffali bassi pieni di
giocattoli: da un lato ci sono i tavolini con le sedie, dall’altro il grande tappeto su cui i
bambini giocano. Sulla parete di fronte all’entrata si notano una fila di fogli bianchi
raffiguranti i volti dei bimbi fati a tempera da loro stessi: è una bellissima
rappresentazione di come essi stessi vedono la propria immagine.
Importante differenza rispetto alle due aule precedenti la presenza di numerosi libri
illustrati sugli scaffali con favole, animali, materiale didattico vario.
Ci sono inoltre due cestoni con oggetti vari in plastica rigida somiglianti a tubi di
diverse dimensioni e cilindri dalle superfici ruvide: sono materiali di recupero presi da un
magazzino specializzato. Gli oggetti in sé non sono sonori.
Anche la parete opposta è ricoperta di cartelloni.
3.1.4 Pesciolino
L’ultima aula, quella dei bambini di cinque anni, è appena più piccola della
precedente e la prima cosa che si nota è che è l’aula più luminosa per le ampie finestre che
danno sul giardino.
Si chiama “Pesciolino” a causa di un cartellone con reti da pesca in rilievo e tanti
pesciolini di carta attaccati. Gli scaffali sono contro la parete (l’ambiente risulta molto più
aperto e luminoso anche perché non interrotto da scaffali a metà stanza. Sulla parete
opposta all’ingresso un grande specchio a parete che dilata ulteriormente lo spazio. Sotto
lo specchio il tappeto di gomma colorato, per la precisione due tappeti accostati che ne
formano uno più grande. Questo costituirà una divisione naturale dei bimbi in due gruppi
distinti per effettuare i vari giochi musicali. Intorno ci sono i tavoli rotondi bianchi con le
seggioline. Ancora più numerosi sugli scaffali i libri illustrati e si nota molto materiale di
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cartoleria e per colorare, tipo pennarelli, tempere, matite, pennelli, pastelli, fogli di ogni
dimensione.
3.1.5 materiali utilizzati
Il materiale sonoro di cui si disponeva all’interno di ogni sezione (quasi sempre
veniva spostato di volta in volta) era costituito da una tastiera di cinque ottave, uno stereo
portatile con vari cd di canzoni e basi musicali, due ceste di strumenti ritmici contenenti:
•
una serie di blocchi con piastre sonore da do al re dell’ottava sopra
•
battenti di varia lunghezza in plastica
•
una serie di sottili cilindri metallici colorati
•
quattro tamburelli baschi di diverse dimensioni
•
un tamburo grande
•
un guiro
•
campanellini legati artigianalmente da un nastro
•
un flauto dolce
•
una serie di campanelle metalliche su un supporto in legno
•
alcune maracas
•
fischietti in plastica
3.1.6. Principi generali degli incontri
Data la limitata capacità di attenzione dei bambini, si decide di suddividere
ogni incontro in tante mini-attività della durata di non più di tre-quattro minuti
ciascuna per tenere viva la concentrazione. In attività di gruppo lunghe l’attenzione
andrebbe inevitabilmente persa a causa dell’effetto-noia che il fare sempre la stessa
cosa produce nei bimbi in età prescolare.
Il bambino è incuriosito dal fare sempre cose nuove ma è gratificato dalla
ripetizione di un’attività che ben conosce e che lo fa sentire “bravo” e capace. Per
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questo si decide di ripetere negli incontri successivi gli stessi esercizi per
rinforzarne l’apprendimento ma introducendo qualche piccola variante ogni volta
per arricchirne gradualmente la complessità. Nel progredire degli incontri verranno
via via introdotte anche nuove attività.
Altro principio è di iniziare e terminare l’incontro con un’attività che
prediliga il movimento il più possibile allegro e giocoso,meglio se già noto, cioè le
attività più “facili” per un bambino di quell’età, da eseguire con uno sforzo
minimo, per lasciare al centro della seduta quelle più complesse e che richiedono
maggior attenzione, come l’ascolto, il canto, l’apprendimento di esercizi nuovi, il
suonare insieme.
Oltre queste attività fortemente strutturate e guidate dall’operatrice, è stato
effettuato un percorso di creazione spontanea di momenti musicali effettuati dai
bambini mediante l’esplorazione degli strumenti e l’uso di gesti e voce seguendo
semplici regole proposte e muovendosi poi in libertà.
Tutte queste attività sono state effettuate in parallelo e contemporaneamente
in tutte le sezioni, ovviamente con un diverso grado di partecipazione e
complessità, anche per confrontare la risposta dei bambini al medesimo stimolo ad
intervalli di età diverse.
3.2 il primo incontro
Sezione due anni
L’attività inizia con l’arrivo della tirocinante con la tastiera e lo stereo: i bambini
sono tutti sul tappeto intenti a mangiare la frutta e guardano subito incuriositi quelle strane
scatole che si posizionano sul tavolo bianco di fronte a loro. La tirocinante decide di dir
loro che farà una magia con quella cosa lunga con tante strisce bianche e nere e comincia a
suonare una musica allegra improvvisata. Subito l’attenzione viene catalizzata e anche i
più distratti ora fissano lo strumento: alcuni coraggiosi si avvicinano cercando di toccare i
tasti. La maestra li invita a tornare sul tappeto. Siccome siamo in febbraio e nella
settimana di carnevale, si decide di far ascoltare una marcetta allegra e dal carattere
piuttosto regolare raccontando ai bambini di una grande sfilata in maschera in cui si
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esibiranno vari personaggi che dovranno imitare con le mani con questi semplici gesti:
salutare (ciao ciao con entrambe le manine aperte), battere le mani , imitare coi pugni i
passi dei personaggi più grossi, stringere le mani intorno al corpo abbracciandosi, far
volare in alto le mani come fossero palloncini, scuotere i pugni come fossero piccoli
strumenti musicali. Tutti questi gesti sono stati fatti a specchio con la tirocinante di fronte
che raccontava la storia e li eseguiva. L’attenzione è stata pressoché unanime, la
partecipazione un po’ meno, circa la metà dei bambini si limitava ad osservare ad occhi
sgranati. Alcuni più spavaldi hanno eseguito tutta la successione di gesti con una certa
precisione, la maggioranza in modo impreciso ma congruo (mani tenute troppo basse
rispetto all’esempio, battiti in numero diverso o fuori tempo). L’esercizio dura circa due
minuti. Si passa ad una canzone intitolata “Il mio corpo” cantata dalla tirocinante col
supporto di una base in modo che i bambini possano fare a specchio i movimenti. Le
parole del testo descrivono i movimenti che i bimbi dovranno fare. La canzone associa poi
i movimenti a due immagini: nella prima strofa delle campane che i bimbi dovranno
imitare col dondolio del corpo, nella seconda degli elefanti che imiteranno col battito del
piede a terra ad indicare la pesantezza dell’animale. In questo modo l’esercizio coinvolge i
bimbi dal punto di vista uditivo, visivo e senso-motorio insieme.
Canzone: Il mio corpo18
Scuoti la testa
tocca le spalle
poggia le mani
sopra i tuoi fianchi
DIN DON DIN DON
Come le campane DIN DIN DON
18
Di tutte le canzoni proposte vengono riportate in appendice autore di testo e musica e il relativo
spartito
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DIN DON DIN DON
Come le campane DIN DIN DON
Metti le mani
Sulle ginocchia
Alza la gamba
Muovi il piedino
BUM BUM BUM BUM
Come un elefante BUM BUM BUM
BUM BUM BUM BUM
Come un elefante BUM BUM BUM
Il battito a terra del piede viene fatto con notevole forza e viene prodotto un
ulteriore tappeto ritmico in aggiunta alla base, ai bimbi questo effetto piace molto e
cercano di intensificare il battito il più possibile.
Si passa poi ad un esercizio di movimento libero coi bimbi sdraiati sul tappeto al
suono di una ninna nanna mentre la tirocinante racconta di un bosco incantato pieno di
piccoli animaletti che dormono nelle loro tane: si nota una certa agitazione nei bambini
che non stanno fermi ma si rotolano o alzano la testa di continuo. L’intenzione di creare
un clima di rilassamento viene disattesa probabilmente a causa dell’eccitazione prodotta
dagli esercizi precedenti o dal fatto che essendo svegli da poco per loro è poco
comprensibile l’immagine di dormire ancora. In ogni caso si rimanda ad un incontro
successivo, ci si saluta e si termina l’incontro con una breve musica alla tastiera.
Sezione tre anni.
All’arrivo nella stanza non si può non notare il grande cartellone con tutti i colori
dell’arcobaleno per cui viene intavolata una breve discussione con loro per vedere se e
come li conoscono. I bimbi dicono il loro colore preferito, definiscono azzurrino e
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azzurrone il blu e l’indaco, si decide di cantare una canzoncina che li ricordi tutti. La
musica è un tema di Diabelli, il testo una semplice filastrocca:
L’arcobaleno
Blu, viola arancione
Verde rosso
azzurro e giallo
C’è l’arcobaleno
là nel cielo su di noi
I bambini ascoltano il canto, poi si prova a farglielo ripetere una strofa alla volta
con modesti risultati, ma non importa perché a tre anni ancora cantare non è un’attività
immediata e richiede tempo.
Si passa a presentare la canzone Il mio corpo con la stessa procedura usata per gli
altri: prima si racconta la storia delle campane e degli elefanti e poi si prova ad eseguire i
movimenti a secco, senza base musicale. La cosa più interessante e divertente è
naturalmente il battito dell’elefante per terra. Anche qui non si pretende che imparino le
parole ma che semplicemente le ascoltino cantate dalla tirocinante e che provino a cantare
solo i suoni onomatopeici DIN DON e BUM BUM.
Si prova un nuovo gioco: il gioco del treno. Questo è fatto sulla base di una
canzone popolare francese suonata direttamente dalla tirocinante alla tastiera mentre i
bimbi si mettono in fila uno con le mani sulle spalle dell’altro. E’ un esercizio a loro noto
perché le maestre li hanno abituati a mettersi in fila a fare il trenino per spostarsi da una
stanza all’altra. Questo facilita il compito che devono svolgere: camminare avanti indietro
per la stanza mentre la musica suona, fermarsi e restare fermi ogni volta che si interrompe,
come il treno che si fermi in una stazione. Questo li aiuta a discriminare suono e silenzio e
li abitua a dover ascoltare. Inoltre devono aiutarsi l’un l’altro per stare uniti e non lasciarsi
(questo risulta un po’ difficoltoso: spesso il treno si rompe e si stacca qualche vagone,
come viene fatto notare alla fine ai bambini perché capiscano). Devono poi modificare il
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loro comportamento ad ogni strofa: oltre a camminare-fermarsi devono poi chinare la testa
(il treno passa sotto una galleria), rialzare la testa e alzare temporaneamente le braccia (il
treno passa sopra il ponte). Questo gioco piace molto ai bambini, probabilmente perché
permette loro di muoversi e cambiare posizione. Importante è la posizione del capofila,
compito che risulta subito molto ambito perché è il protagonista che decide dove andare.
Si decide di ripetere il gioco più volte per permettere a più bambini di provare. Agli altri si
promette che lo faranno nei prossimi incontri.
Il gioco del treno
1. Passa un treno qui vicin
tutto pieno di bambin.
Vien da me,
dietro a me
e…non lasciarmi andar. Tsch!
2. Il trenino se ne va
Sotto un tunnel passerà
Tutti giù
Testa in giù
e…si potrà passar. Tsch!
3. Sopra il ponte fischia il tren
Tutti dritti noi sarem
Tutti su
Mani in su
e…viva viva il tren. Tsch!
Dopo aver chiesto a tutti come si vestiranno da carnevale, che sarà la settimana
prossima, si decide di fare il gioco finale: il gioco del cavallo.
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E’ un esercizio che scarica molto la tensione e diverte; si tratta di mimare il viaggio
di un cavallino attraverso un percorso accidentato: prima trotta tranquillamente (mimare
con le braccia il trotto), poi deve fare una curva (curvarsi da un lato con tutto il corpo),
incontra altri animali che lo salutano al suo passaggio mimare con le dita dei piccoli
saltelli), deve saltare perché c’è un fiume ( fare un bel salto a piedi pari), arriva una
farfalla (movimento della mano che vola), trotta sempre più forte finchè torna nella stalla e
chiude la porta (movimento secco del braccio ad indicare la chiusura). Ogni movimento si
ripete più volte, sempre a specchio. Qui la partecipazione è pressoché totale, lo fanno tutti
e il gioco suscita grande entusiasmo. L’esercizio viene fatto con una base musicale su cui
sono stati modellati i vari momenti, si tratta di un galop molto allegro che si presta allo
scopo. Si tratta di un ascolto guidato. Si rimanda ad un altro momento un incontro
sull’ascolto libero, cioè senza indicazioni da parte dell’operatrice e lasciando alla libera
interpretazione ogni bimbo.
Ci si saluta con la musica del trenino alla tastiera.
Sezione quattro anni
Si tratta di una classe composta in prevalenza da maschi ed è la più vivace e
turbolenta. Si comincia con un dialogo sul carnevale e sul loro costume: ci saranno quattro
spiderman e due zorro, oltre ad uno scheletro e qualche tartaruga ninja. Le bambine
saranno più tranquillamente fate e principesse, con qualche fiorellino. Viene proposta una
canzone sul carnevale in cui vengono nominati personaggi della vecchia commedia
dell’arte come arlecchino, pulcinella e colombina. Il primo è conosciuto da tutti, visto che
hanno fatto un grande cartellone con tanti arlecchini colorati diversamente posto nel
corridoio: sono loro stessi a mostrarlo. Le altre maschere risultano sconosciute: si spiega
loro che sono personaggi del carnevale del passato, proprio come oggi ci sono spiderman e
le winx o le ninja. La canzone viene cantata dalla tirocinante e loro semplicemente
mimano a specchio il ritornello. Questa operazione risulta a quattro anni più semplice ed
immediata. I bambini rivelano una maggior coordinazione dei movimenti delle mani e
delle braccia, riescono a fare un battito regolare con le mani (vanno a tempo).
Viene eseguita come nelle altre sezioni la canzone “Il mio corpo” che risulta
semplice come movimenti, eseguiti subito e abbastanza a tempo. Non ci sono bimbi fermi,
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tutti partecipano. Solo il movimento di oscillazione delle campane con tutto il corpo
risulta poco armonioso: c’è chi muove solo la testa, chi si piega del tutto. In generale sono
bimbi molto alti, molti sembrano avere più di quattro anni. Il battito dell’elefante viene
amplificato volutamente da qualcuno salito su un piedistallo di gomma posto in fondo al
tappeto. Si nota subito che ci sono due-tre soggetti molto esuberanti che tendono a
monopolizzare l’attenzione.
Sezione cinque anni
I bambini della sezione Pesciolino sono i più grandi e si vede molto. Sia in altezza
che nel comportamento si nota che c’è un salto notevole. I bambini sono ordinati, si
sistemano subito in fila seduti sul tappeto, stanno zitti e si dimostrano attenti e desiderosi
di far qualcosa. All’interno del gruppo ci sono tre bambine di nazionalità diverse: una
cinese, una caraibica e una slava. Parlano perfettamente italiano e sono ben integrate. Le
canzoni proposte vengono intonate bene e ripetute in modo corretto. Sembra un gruppo
molto recettivo e con cui poter ottenere buoni risultati. Si fanno sentire i diversi suoni
della tastiera, dato che loro dicono di conoscere molti strumenti: in effetti l’anno scorso
hanno visto dal vivo un violino, una chitarra, il pianoforte, il flauto, il clarinetto.
Ricordano bene i loro timbri e li riconoscono nel suono campionato della tastiera, pur nel
limite del suono elettronico di bassa qualità.
Si fa un gioco con alcuni temi di famose canzoni per bambini, tratte dai film di
Walt Disney. E’ una specie di indovinello. I bimbi dimostrano di riconoscere fin dalle
prime note quasi tutti i motivi, specialmente quelli degli ultimi anni che sicuramente
hanno visto mille volte in videocassetta. Le canzoni Disney sono oggi un patrimonio
universale dei bambini. Certamente è il frutto di un’ottima operazione di marketing, ma
almeno sono prodotti di alta qualità. Certamente ciò indica che a questa età hanno già tanti
stereotipi di storie preconfezionate.
3.3 secondo, terzo e quarto incontro
Vediamo ora i progressi e le differenti attività proposte nei tre incontri successivi al
primo. Le varie attività, anche se non descritto in dettaglio, sono state presentate a tutte le
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sezioni, naturalmente con un diverso grado di difficoltà. Per ogni sezione sono state
descritte le situazioni più rilevanti.
Sezione due anni
Si ripetono gli esercizi del primo incontro così come proposti la prima volta; ciò
che si nota è una maggior partecipazione e soprattutto la memorizzazione dei movimenti;
di volta in volta i bambini ascoltando la canzone (sempre cantata dalla tirocinante, non è
stato effettuato alcun percorso per insegnare le parole del canto perché a due anni non
sono in grado di ricordare lunghe sequenze di parole né di intonarle, ad ogni modo alcune
piccole frasi del ritornello vengono naturalmente apprese e ripetute da alcuni) anticipano i
movimenti correttamente predisponendosi nella giusta posizione. Addirittura una volta si è
verificato il caso di una bambina che ha corretto un lapsus della tirocinante che non ha
attaccato al momento giusto mentre la bimba sì.
Si rinforza la convinzione che i bimbi a due anni ascoltino con tutto il corpo e
facciano musica globalmente partecipando con tutto il loro essere: orecchi, bocca, occhi,
mani, piedi, spalle, tronco, insomma un tutt’uno.
Vengono introdotte nuove canzoni come la danza degli indiani (verrà descritta in
seguito) in cui il loro apporto consiste semplicemente nel battere le manine sulle ginocchia
stando seduti in cerchio a gambe incrociate. La postura non è semplice e molti si siedono
un po’ come capita ma questo non è assolutamente determinante. Il battito viene effettuato
per imitazione su un semplice ritmo 4/4. Il movimento viene enfatizzato dalla tirocinante
per essere più facilmente ripetibile.
L’altro compito che devono svolgere è il classico urlo degli indiani battendo
ripetutamente la mano sulla bocca emettendo la vocale “uuu” tenuta lunga. La cosa viene
provata alcune volte con e senza mano per sentire la differenza.
Un’altra filastrocca introdotta è La nanna del gattino e del pesciolino, su cui in
seguito si incentreranno le improvvisazioni di questa e di altre sezioni. La canzone è molto
lenta e cullante, i bambini ascoltandola devono mimare il gesto di dormire cullandosi
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(mani giunte sotto la testa come un cuscino), il gatto (mimandone i baffi), il pesciolino
(mimandone il movimento), le onde del mare.
La nanna del gattino e del pesciolino
C’era una nave in mezzo al mare
Su quella nave c’era un gattino
Sotto la nave in fondo al mare
Nuotava invece un pesciolino
Rit: OH NANNA OH EH NA OH NANNA
OH NANNA OH EH NA OH NANNA
OH NANNA OH EH NA OH NANNA
OH NANNA OOOH NA
Quando la luna saliva in cielo
Cantava a tutti la ninna nana
La nave allora cullava il gattino
E in fondo il mare cullava il pesciolino. Rit.
E’ stata poi introdotta la classica canzoncina Nella vecchia fattoria cantata e
suonata dalla tirocinante in cui i bimbi devono cantare i versi degli animali che loro
conoscono e sono perfettamente in grado di cantare: i versi degli animali verranno poi
utilizzati per esercizi più complessi descritti in seguito.
Altra importante novità è l’introduzione di strumenti artigianali costruiti da loro
insieme alle maestre: si tratta di piccole maracas costituite dal cilindro di cartone dei rotoli
di carta igienica chiusi sopra e sotto da cerchi di carta attaccati con lo scotch, riempiti di
sassolini e colorati con le tempere di vari colori.
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Questi vengono distribuiti ad ogni bimbo e suonati in vari modi: nella marcetta di
carnevale per sottolineare la festa, per il semplice piacere di sentirne il suono tutti insieme
oppure per simboleggiare il verso di un animale.
A questo scopo viene fatto il seguente gioco sonoro: la tirocinante mette in fila sul
tavolo alcuni degli animali della loro cesta; cavallo, gallina, cane, gatto, elefante,
dinosauro, pecora, topo, tigre, giraffa, maiale.
I bimbi devono con lo strumentino fare il verso dell’animale indicato di volta in
volta dalla tirocinante. Questo è stato preceduto da una piccola prova in cui si chiedeva di
“suonare” il verso di un animale molto piccolo (un pulcino) e di uno molto grande
(l’elefante) per far sentire la differenza. Il gioco è riuscito e i bimbi differenziano in modo
significativo il volume sonoro a seconda dell’immagine evocata.
Un’interessante esperienza viene condotta al quarto incontro: far suonare la tastiera
ai bambini. Si fanno venire alla tastiera a due per volta lasciandoli liberi di esplorarla a
loro piacimento. Ciò che si nota è la differenza di approccio: tutti utilizzano entrambe le
mani, alcuni solo con un dito e le restanti dita chiuse a pugno, altri con le manine aperte e
le dita dritte (manate a palmo aperto sui tasti), altri sfiorano solo i tasti senza abbassarli,
alcuni hanno la manina per così dire “impostata” e pongono tutte le dita curve sui tasti.
Tre bimbi non vogliono avvicinarsi o si avvicinano ma non toccano assolutamente i tasti:
suonare di fronte a tutti gli altri probabilmente li mette in difficoltà, anche per i ripetuti
inviti a farlo da parte delle maestre. Si decide comunque di rispettare la loro non voglia di
suonare. Si nota che la bimba più reticente alla fine dell’incontro quando non è più al
centro dell’attenzione si avvicina spontaneamente allo strumento e suona a piene mani con
spigliatezza (la tastiera però è spenta).
Sezione tre anni
Oltre alle attività dell’incontro precedente vengono introdotte altre filastrocche:
Batti le tue manine, Il pulcino, Le cinque dita. Si tratta di canzoncine prese dalla
tradizione popolare rielaborate per uso didattico.
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Batti le tue manine
Batti batti le tue manine
Gira gira il mulinello
Ah bambini che belle manine
Ah che belle manine che ho
I bambini devono semplicemente eseguire i movimenti descritti dalle parole:
battere le mani, girarle entrambe in un mulinello, agitarle in alto con le dita aperte.
Viene poi introdotta una variazione, cioè la tirocinante suona e canta il testo ma lo
ripete tante volte ogni volta un tono sopra e aumentando la velocità, da do maggiore a la
maggiore. Questo diverte molto i bambini che devono di conseguenza muovere le mani
sempre più velocemente e cercare di non confondersi coi tre gesti ripetuti a grande
velocità; l’obiettivo è aumentare la coordinazione dei movimenti e la memorizzazione
della sequenza degli stessi. Si nota che in do pochi cantano, quando si arriva alle tonalità
più alte (fa, sol, la) aumentano anche le voci e alla fine cantano quasi tutti. Ciò è dovuto in
parte alla semplice ripetizione del testo, in parte alla tessitura per loro più agevole, in parte
alla velocità.
Il pulcino
Lunedì chiusin chiusino
Martedì bucò l’ovino
Sgusciò fuori di mercoledì
Pio pio pio fece giovedì
Venerdì fece un saltino
Beccò sabato un granino
La domenica mattina
Aveva già la sua crestina
La domenica mattina aveva già la sua crestina
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La filastrocca prevede la memorizzazione dei giorni della settimana e la
realizzazione della canzone mimando le parole del testo con le mani (mani chiuse a forma
d’uovo, poi due sole dita aperte, apertura di entrambe le mani, mimo del becco che fa pio
pio, mani sotto le ascelle per fare le ali, mani sulla testa per indicare la cresta). L’aspetto
importante è il racconto della storia dell’evoluzione dell’uovo che diventa pulcino e poi
gallo, semplice simbolizzazione del processo di crescita. Questa filastrocca risulta di facile
realizzazione e pur senza nessuno specifico esercizio per l’apprendimento delle parole il
testo alla fine dei tre incontri viene cantato praticamente da tutti.
Le cinque dita
Pollice dice
non c’è pane
Indice dice
come faremo
Medio dice
lo compreremo
Ma l’anulare dice
ce n’è un pezzettino
Dallo a me che son piccolino
Il più magrolino tra noi fratelli
Dallo a me che sono il mignolino
Il più piccolino tra voi
La canzone serve a migliorare la coordinazione delle dita, che devono muoversi
nella frase a loro dedicata, oltre all’apprendimento dei nomi per chi ancora non li
riconosce (a tre anni solo alcuni sanno tutti i nomi delle dita). Questa è stata l’ultima
canzoncina introdotta e risulta difficoltosa soprattutto per i movimenti molto fini abbinati
alle parole, cioè il movimento contemporaneo di un dito alla volta con entrambe le mani.
Si modificano i gesti muovendo una mano sola e aiutandosi con l’altra ad afferrare di volta
in volta il dito giusto. Questo risulta più fattibile. Ancora lontana la memorizzazione delle
parole.
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Nei bimbi di tre anni si nota molto il progresso ad ogni incontro: da una
partecipazione superficiale ad un coinvolgimento più intenso, indicato dal fatto che di
volta in volta sono loro a chiedere i singoli giochi determinando così il programma stesso
dell’incontro e mostrando le loro personali preferenze. Si decide di fare l’esercizio
nominato dal primo che lo dice per aumentare l’attenzione e rendere più veloce la
successione.
Sezione quattro anni
La novità principale introdotta rispetto il primo incontro riguarda l’uso dello
strumentario ritmico descritto all’inizio del capitolo. Vengono mostrati ai bambini tutti gli
strumenti, che peraltro dimostrano di conoscere bene, visto che l’anno precedente li
avevano già utilizzati in un altro progetto di musica. Si propone allora di utilizzarli nella
canzone Il mio corpo, ripetuta una volta solo con le parole e i gesti. L’apprendimento
viene fato con la tecnica ad imitazione: si suona e si canta una frase per volta alla tastiera,
i bambini ripetono un frammento per volta, mantenendo la continuità ritmica, senza
interruzioni. La tecnica risulta molto efficace per l’apprendimento di testi. In due-tre
incontri la canzone è perfettamente appresa a memoria.
Si è allora pronti per introdurre gli strumentini: si decide di dividere il coro in
campane ed elefanti e si chiede quali strumenti possono essere adatti agli uni o agli altri,
dopo aver fatto sentire il suono di ognuno. I bambini attribuiscono alle campane i blocchi
sonori con battente e i sonaglini, agli elefanti tutti i tamburi, le maracas, il guiro. C’è un
po’ di indecisione per i tamburelli baschi, che sono sì un tamburo e sarebbero quindi adatti
agli elefanti, ma hanno i piattini metallici e quindi potrebbero somigliare alle campane. Si
decide infine per assegnarli agli elefanti per motivi numerici: gli elefanti non avrebbero
abbastanza strumenti, le campane sono già al completo. (ogni bambino deve avere in
mano uno strumento, quindi di volta in volta il numero varia in base agli assenti, la
distribuzione è casuale). Una volta costituiti i due gruppi di ugual numero, questi vengono
sempre mantenuti (i bambini ricordano bene cosa hanno fatto la volta precedente).
Si fanno allora alcuni giochi per esplorare la sonorità degli strumenti. I bambini
devono suonare a turno seguendo le indicazioni della tirocinante, come un direttore
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d’orchestra. Quando le mani sono chiuse a pugno, ci deve essere silenzio assoluto, quando
si aprono e si muovono, si deve suonare liberamente, ma facendo attenzione se indica gli
elefanti e le campane. Si esercita così la capacità di concentrazione ed attenzione, oltre la
capacità di ascolto dei propri compagni e delle differenze di sonorità. Dopo qualche
esperimento il gioco riesce: gli elefanti naturalmente fanno un gran baccano, le campane
un tintinnio continuo (i bambini tendono a suonare il proprio strumento il più forte
possibile e molto velocemente, principalmente con due movimenti: battere e scuotere). Si
cerca allora di far sentire qualche strumento singolarmente per esplorare altre possibilità di
suono: ad esempio le campane (blocchi sonori) suonano diversamente se più piccole o più
grandi, o se si batte sul legno o sul metallo, o se si tiene il dito sopra la piastra metallica o
la si lascia libera. Dopo aver fatto sentire tutte le possibilità, i bambini scelgono come
utilizzarle. Stessa cosa con i tamburelli: è diverso se si battono o si scuotono.
Si complica ulteriormente il gioco facendo suonare i due gruppi alternativamente o
insieme: gli uni seguono una mano del direttore, gli altri l’altra. Quando le due mani si
muovono insieme, si suona tutti insieme, quando si chiudono si sta fermi. In questo modo
è chiarissima la somma dei due volumi sonori. Terzo passaggio, viene introdotto un
solista, che si pone in mezzo ai due gruppi e suona da solo su precisa indicazione del
direttore o insieme agli altri. Dopo aver già provato in gruppo lo strumento, risulta più
facile suonare da soli e anche bambini ritenuti molto timidi dalle maestre eseguono
tranquillamente il gioco. Per variare la sonorità (per invitare i bambini a suonare anche
piano), si introducono delle varianti: si dice di suonare come se fosse notte e non si
dovesse far troppo rumore per non svegliare nessuno. Immediatamente si ottiene un
pianissimo e così via variando l’ambientazione (in un bosco, in una piazza, nel mare..).
Finora i bambini hanno suonato liberamente, senza seguire ritmi particolari. Si può
provare adesso a rispettare un tempo preciso per accompagnare la canzone. Si dice che
devono semplicemente suonare il proprio strumento sul DIN DON o sul BUM BUM. Al
suono onomatopeico deve corrispondere un battito di campane o elefanti, in ogni altra
parola bisogna star fermi. Non è facile perché i bambini tendono sì a battere al momento
giusto, ma poi continuano e non battono un colpo solo, ma tanti ripetuti. Si spiega che
questo è un gioco diverso, ma occorrono molte prove per ottenere questo risultato.
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Sezione cinque anni
Anche qui si presentano gli strumenti e si fanno gli stessi esercizi con i due gruppi.
I risultati sono più o meno gli stessi, si nota una maggior precisione nel padroneggiare lo
strumento e nel seguire le indicazioni.
Viene introdotta una nuova canzone, la Danza indiana (verrà poi cantata anche con
le altre sezioni), complessa perché ha lunghi momenti solo strumentali alternati al coro.
Danza indiana
Il mio nome è falco nero e sono un bimbo indiano
Ho lunghi capelli e corro nella prateria
Augh augh questo è il mio saluto
Col mio arco e con le frecce caccio tutto il giorno
Ogni sera dopo cena iniziano le danze
Tutti insieme intorno al fuoco della mia tribù
Uhcha uhcha segui il nostro ritmo
Uhchacha uhchacha danza insieme a noi
Il canto viene eseguito la prima volta dall’operatrice mentre i bimbi semplicemente
battono il tempo sulle ginocchia a gambe incrociate mantenendo una pulsazione regolare e
cantano i suoni onomatopeici (augh e uhcha) battendo la mano sulla bocca aperta per far
vibrare il suono. Solo in un secondo momento si passa ad insegnare le parole ad
imitazione19 . In un secondo momento si passa alla sonorizzazione con gli strumenti:
devono battere il tempo nelle due strofe a due gruppi alternati20 con questo ritmo
19
questa procedura vale per tutte le canzoni, i bambini devono prima di tutto essere motivati a
cantarla e per questo occorre presentargliela subito nel modo più completo possibile e facendoli partecipare
con qualche piccolo gesto o parola, solo dopo si entrerà nel dettaglio.
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PAM PAM PAM PAM PAM
ripetuto per ogni riga. Nelle parti strumentali (eseguite alla tastiera col suono del
flauto di pan, come ascoltato dalla base originale) i bambini battono il tempo sulle
ginocchia come fatto in precedenza, viene aggiunto il battito di mani per sottolineare il
levare del ritmo 4/4
battere (mani sulle ginocchia) levare (tre battiti delle due mani insieme).
ritmo: un pàpàpà
I due gruppi devono alternarsi per suonare o battere il tempo, sempre su
indicazioni del direttore. Vengono poi inseriti dei solisti: un bambino col tamburo grande,
tre bambini col tamburello a suonare rispettivamente il battere e il levare nella parte
strumentale. Questa strumentazione piuttosto complessa è stata costruita e provata volta
per volta. C’è voluta l’intera durata del progetto ma alla fine i rispettivi tempi e ruoli sono
stati ben compresi.
3.4 Quinto - nono incontro
Sezione due anni
L’intenzione è di cominciare da questo incontro un percorso più approfondito sulla
improvvisazione, dopo che sono stati affrontati nei precedenti alcuni approcci embrionali
all’argomento (i versi degli animali con le maracas costruite da loro, esplorazione della
tastiera). Notano subito che non c’è la tastiera fra il materiale solito e diversi bimbi ne
chiedono il perché ripetutamente. Ciò indica che era entrata nel loro immaginario e faceva
parte integrante della mezz’ora di musica. Questa assenza li ha un attimo spaesati. Viene
loro spiegato che la tastiera è in vacanza perché oggi devono fare loro la musica. La cosa
suscita interesse. Si comincia con il rassicurante canto Il mio corpo eseguito ormai con
20
È già stato fatto anche con loro il lavoro sulla canzone degli elefanti e delle campane.
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una certa padronanza dei gesti. Si nota che tre-quattro bambini cantano tutto il ritornello e
comunque la maggioranza ne canta almeno una parte.
Si prosegue con altri due canti a loro noti, Il pulcino e La ninna nanna del gattino e
del pesciolino che lancia il pretesto per effettuare una piccola improvvisazione sul tema
del mare. Si dividono i bimbi (sempre seduti per terra) in quattro piccoli gruppetti separati
e viene loro chiesto di fare rispettivamente il mare, il gattino, la nave, i pesciolini. Non
viene detto loro che devono che devono fare un suono e tantomeno come farlo. Le risposte
arrivano subito: si crea un bel clima di silenzio e i bambini-mare cominciano a soffiare e
ondeggiare le braccia (uno comincia, per la verità, gli altri lo seguono). L’effetto è
sorprendente perché gli altri tre gruppi non stanno fermi e zitti (evidentemente la consegna
di fare un solo personaggio non è chiara) ma cominciano a fare anche loro il mare. Il
suono delle onde proveniente da quattro punti diversi crea effettivamente un momento
emozionante. Si chiamano poi con un gesto e con la voce i gattini che cominciano a
miagolare muovendosi a gattoni sul pavimento (movimento e suono non possono essere
separati a questa età, anche senza dirlo loro “diventano” in toto quel personaggio: se è un
gatto miagola e gattona). Anche in questo caso si aggiunge qualche gatto dagli altri
gruppi. Arrivato il turno di chi deve fare la nave, un bambino fa giustamente notare che
“La nave non parla!”; si discute un po’ della cosa e si decide di suonare la campana della
nave, che è molto grande. Arriva un sonoro DON. I pesciolini boccheggiano con il
caratteristico schiocco delle labbra mentre con le mani indicano il nuotare. Il suono che
esce è molto piano e occorre fare il massimo silenzio per ascoltarlo. Si cerca alla fine di
far “risuonare” insieme i vari personaggi e si ottiene una piacevole mescolanza di soffi di
onde e vento, miagolii, boccheggi e tintinnii. Mescolati caoticamente e in continuo
movimento, ma il risultato è piacevole.
Si continua l’incontro con il gioco dei piccoli mostri e viene chiesto loro di far
sentire i loro passi battendo le mani sul pavimento: prima coi pugni chiusi e il suono è più
attutito, poi con la mano aperta e il suono è notevolmente più forte. Si conclude con il
gioco del cavallo richiesto da loro.
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Sezione tre anni
Si inizia con le canzoni già conosciute dai bambini e su loro insistente richiesta il
gioco dei mostri piccoli e del mostro grosso. Si decide di dar loro gli strumentini (uno
ciascuno in ordine casuale, se lasciata la scelta a loro la situazione diventa ingestibile) e
finita la distribuzione si spiega che faranno questo gioco: devono guardare la tirocinante
che in questo momento ha i pugni chiusi e questo significa silenzio assoluto. (ci vuole un
po’ prima di ottenerlo perché dato ai bimbi lo strumento è molto difficile farli smettere di
suonare). Quando lei apre le mani e le muove devono suonare a loro piacere. Non è facile
ottenere il silenzio al chiudersi dei pugni, occorre ripetere l’operazione diverse volte. Alla
fine si decide che il risultato è soddisfacente e si chiede loro se hanno voglia di provare a
far loro i maestri. Entusiasmo generale, tanti vogliono partecipare. Viene scelta una bimba
che, capito bene cosa deve fare, comincia ad aprire e chiudere i pugni a brevi intervalli: il
risultato è una serie di veloci sequenze suono-silenzio (mai assoluto, per la verità, ma la
differenza di volume sonoro è notevole.
L’obiettivo di far guardare ai bimbi la loro compagna e rispettare i suoi ordini è
raggiunto. Si chiama poi un maschio, questa volta, a rifare il gioco.
Egli mette in atto una strategia diversa, introducendo la differenza di velocità del
movimento delle mani. Quando agita più forte le braccia, spontaneamente i compagni
suonano con più forza e velocità. Si fa notare che è stato molto bravo a farli suonare più
forte e questo lo rinforza nel continuare a modificare la velocità delle sue mani per vedere
l’effetto che questo produce.
Infine vengono raccolti gli strumenti e ci si saluta perché si è fatto tardi e ci sono
altri bimbi che devono fare musica.
Sezione quattro anni
Dopo i saluti si avverte subito, come sempre, una certa impazienza all’uso degli
strumenti e un’insistente richiesta di suonare. Si prova allora la canzone degli indiani
chiamando un solista a suonare il tamburo con un battente nell’introduzione, poi invitando
gli altri a seguire il ritmo delle strofe. Risulta chiaro che solo alcuni riescono a cantare e
suonare contemporaneamente, la maggior parte suona lo strumento e basta ma dimostra
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comunque di seguire il ritmo delle parole. Poi si canta la canzone della ninna-nanna e si
propone un’improvvisazione sul mare. Si chiamano tre bambini a fare i gattini, cinque
pesciolini, tutti gli altri faranno tutta l’ambientazione (come un coro seduti dietro uno di
fianco all’altro, i due gruppetti per terra davanti come fossero su un palcoscenico). Si
decide di raccontare una piccola storia, chiedendo “Perché il gattino voleva andare sulla
nave?” “Perché voleva viaggiare!”, la risposta. E via via facendo evolvere il racconto di
volta in volta dietro i suggerimenti che di volta in volta arrivavano. Così il “coro” dopo
aver fatto sentire il rumore delle onde e del vento impersona i marinai che tirano su
l’ancora e gettano le reti (spontaneamente si sentono tanti “oh issa” e mugugnii da sforzo,
lo splash delle reti gettate in acqua). Ruolo dell’adulto qui è coordinare i suggerimenti che
arrivano da più parti per mettere in fila il racconto. I bimbi che impersonano i gatti e i
pesci si muovono davanti in gruppo emettendo i rispettivi versi. Un bambino fa il gatto
che si arrabbia ed emette quasi un ruggito, un altro gli fa notare che così è una tigre.
Si decide di far sopraggiungere una tempesta e la sonorità espressa dal coro arriva
qui al suo culmine lasciandoli liberi di fare per un minuto tutti i suoni che ritengono giusti:
tanti soffi, rumore di pioggia con la voce, sibili e ululati da vento. Molti si alzano in piedi
e agitano le braccia. I gattini miagolano sempre più forte impauriti, i pesci saltellano sul
tappeto dalla contentezza.
L’immagine è caotica ma bella anche se ha creato parecchio scompiglio:
difficilissimo dopo ricreare l’ordine, mancava ancora un quarto d’ora ed è stato pressoché
ingestibile, ci sono voluti cinque minuti buoni per ritrovare un po’ d’ordine e l’incontro è
finito con un avventarsi in massa sugli strumenti per suonare liberamente.
Sezione cinque anni
L’incontro è stato quasi interamente dedicato alla preparazione della canzone
Danza indiana per la festa della scuola materna, “orchestrata” con il seguente organico:
due gruppi rispettivamente con percussioni o maracas da una parte e blocchi sonori
dall’altra (l’orchestra vera e propria), un bambino al tamburo grande con battente, tre
bimbe con tamburelli baschi (i solisti). I bambini con gli strumenti solisti, in primo piano
davanti agli altri, suonano nelle parti solo strumentali della canzone (per accompagnare il
suono del flauto di pan con un semplice ritmo 4/4 un pà pà pà –un pà pà pà , di cui quattro
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battiti eseguiti dai tamburelli e uno solo, il primo, eseguito invece dal tamburo con
battente), mentre i due gruppi principali, che fungono da orchestra e da coro, suonano
nelle due strofe cantate alternandosi.
La prova è stata abbastanza laboriosa perché complessa è la suddivisione dei ruoli,
ma il risultato è stato soddisfacente, è stata compresa bene la suddivisione dei compiti e la
necessità di ascoltarsi a vicenda e rispettare l’intervento dei compagni, oltre ad impegnarsi
a suonare tutti insieme lo stesso ritmo.
Alla fine per stemperare un po’ la tensione è stato fatto un piccolo gioco con le
diverse sezioni dell’orchestra: l’esercizio consisteva nel suonare liberamente il proprio
strumento quando il direttore indicava il proprio gruppo con la bacchetta, per smettere
immediatamente all’indicazione di silenzio del pugno chiuso. Dopo aver suonato a gruppi
singoli, sono stati provati i diversi abbinamenti per sommare il volume sonoro, prima a
due per volta poi in un crescendo i quattro gruppi tutti insieme.
3.5 Decimo – quattordicesimo incontro
Sezione due anni
Si comincia sempre con le canzoncine a loro note. La canzone Il mio corpo risulta
appresa molto bene: tutti i bambini eseguono i movimenti correttamente e a tempo,
solamente una bambina sta seduta ferma sul tappeto. Anche se non era tra gli obiettivi,
molti cantano il testo, alcuni addirittura sia la strofa che il ritornello. Il risultato mi sembra
notevole per dei bambini di due anni.
Si decide di far esplorare ai bimbi la scatola degli strumenti ritmici. Per cominciare
si parte da una chitarra giocattolo di plastica già presente in sezione e a loro ben nota:
l’operatrice chiede se qualcuno la sa suonare e un bimbo risponde che lui lo sa fare. Viene
invitato a farlo vedere agli altri, prende la chitarra e la maneggia con una certa destrezza,
fa vedere i vari pulsanti che la fanno suonare (ha alcune melodie registrate azionate da
tasti colorati). Purtroppo le pile sono scariche e la chitarra non emette alcun suono. Si
chiede allora allo stesso bambino di scegliere uno strumento dalla scatola e provare a
suonarlo, perché essendo senza pile la musica la deve fare proprio lui. Si mostra titubante
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e subito non vuole farlo, un altro si fa avanti chiedendo di suonare lui (è sempre lo stesso
bimbo, il più vivace ed esuberante di tutti). Poi il primo bimbo viene incoraggiato e prende
un tamburello. Lo rigira tra le mani e poi lo lascia cadere per terra, sente il suono dei
piattini e comincia a farlo rotolare (può darsi che la forma rotonda e quei piccoli cerchietti
tutt’intorno gli facciano pensare ad una ruota). L’altro bimbo ne prende un altro e
comincia a fare la stessa cosa.
La tirocinante mostra allora un altro uso dello strumento: lo agita in alto per far
risuonare i piattini. I bimbi provano anche questa possibilità. Infine vengono distribuiti
tutti i tamburelli agli altri bimbi seduti e via via in ordine casuale gli altri strumenti
lasciandoli loro liberamente per qualche istante. C’è chi lo agita subito fortemente, chi lo
batte o con la mano o per terra, chi invece lo tiene fermo in mano e non fa alcun
movimento. Questi ultimi vengono incoraggiati a muovere un po’ lo strumento per farlo
suonare. Per ultimi vengono distribuiti i blocchi sonori con relativo battente: senza aver
mostrato loro come usarli, un bimbo batte il bastoncino sulla parte in legno producendo un
suono sordo. Viene invitato a farlo dall’altra parte sulla piastra metallica e suona un chiaro
tintinnio. Il suono incuriosisce tutti gli altri che si girano a guardare. Il bimbo riprova
ancora in questo modo poi torna a battere sulla parte in legno.
Quando tutti hanno il loro strumento, si prova un gioco: la tirocinante tiene in
mano un blocco sonoro e produce un suono: tutti devono suonare il loro strumento.
Quando l’operatrice fa un secondo suono tutti devono fermarsi. La sequenza viene provata
alcune volte finchè il gioco risulta appreso e quasi tutti suonano e si fermano a comando,
anche se per fermarsi non è sufficiente il solo suono (anche perché coperto da tutti gli altri
e non tutti guardano) e viene aggiunta la parola STOP detta abbastanza forte.
Viene poi invitato uno dei bimbi a fare da direttore davanti a tutti gli altri cui si
dice di guardarlo bene e stare ai suoi ordini: suonare quando lui suona e fermarsi al suo
STOP. La differenza è che il bimbo non produce un solo suono ma una volta attaccato
continua a suonare insieme a tutti gli altri.
Alla fine vengono ritirati tutti gli strumenti e i bimbi si precipitano a suonare la
tastiera (in quattro-cinque tutti insieme e gli altri intorno a premere) o in alternativa gli
altri “strumenti” in loro possesso, cioè la chitarra finta, un altro gioco che suona, una
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piccola tastiera di plastica, un piccolo xilofono e un telefono giocattolo che squilla. Ad
ogni modo il suono continua oltre il momento stabilito.
Sezione tre anni
Si decide insieme alle maestre di fare un incontro molto particolare oggi.
L’operatrice ha portato tanti cd di generi musicali diversi, dalla musica classica a
quella etnica, rock, jazz, new age.
L’esercizio consiste nel proporre ai bambini un singolo brano di ogni genere e
chiedere loro di ballarlo muovendosi liberamente. In un secondo incontro dovranno
riascoltare gli stessi brani e mentre gli altri ballano un gruppo alla volta disegna su un
foglio di plastica trasparente quello che la musica gli suggerisce.
Questo l’elenco dei brani proposti:
•
Delibes, valzer da Coppelia
•
Louis Armstrong, Hello Dolly
•
Tradizionale celtico, Greensleeves
•
Duo Trinidad Cubano, Cha cha cha
•
Native Indians, War dance
•
Donna Summer, Hot stuff
•
Nikhil Banerjee, Lyrical Sitar, Raga Nat-Bhairab
•
Canzoni popolari d’Albania, A kane uje ato burime (l’acqua di queste fonti)
•
Village People, in the navy
•
The astral voyage, music for meditation and relaxion, Taurus
Volutamente sono stati scelti brani di genere così diverso, per osservare i
movimenti spontanei dei bambini ad ogni cambio di musica (ogni brano è della
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durata circa di tre minuti, brani molto più lunghi sono stati interrotti ). Non sono
state date indicazioni su “come” ballare. L’unico criterio per la scelta dei brani era
che fossero abbastanza ritmati e piuttosto veloci per invogliare il movimento,
tranne un paio volutamente lenti (Greensleeves e il brano da meditazione)
Nel primo brano, il valzer classico, molti bambini si sono presi per mano e
hanno ballato a coppie, come avessero in qualche modo già interiorizzato questo
ritmo sicuramente già ascoltato in televisione.
Nel brano successivo si sono spontaneamente staccati per ballare
singolarmente prima, poi hanno formato un cerchio in cui il movimento principale
era l’agitare le braccia. Cominciano ad appropriarsi di tutto lo spazio disponibile
uscendo dal tappeto per raggiungere tutti gli angoli della stanza.
Particolare successo ha ottenuto il cha cha cha, forse il brano più vivace e
ritmato di tutti, ballato dai bimbi singolarmente e con saltelli e veloci piegamenti.
Una bambina va a ballare davanti al grande specchio in fondo alla stanza, in molti
cominciano a fare una specie di trenino intorno al tavolo rotondo con le mani in
alto.
La danza degli indiani ha suscitato diversi movimenti circolari eseguiti da
vari gruppetti di bambini, la melodia era particolarmente ripetitiva e diceva sempre
la stessa frase, per cui un bambino ha spontaneamente cominciato a cantarla
pronunciando le parole in modo molto simile al canto originale. L’ascolto della
musica indiana eseguita col sytar invece ha suscitato movimenti molto lenti e
alcuni bambini si sono sdraiati sul tappeto come per dormire o si sono rannicchiati
spontaneamente a faccia in giù in una postura da meditazione o preghiera.
Dopo un certo numero di esecuzioni, però, i movimenti si sono stabilizzati
in una successione molto simile, che i bambini una volta sperimentata ed appresa
ripetevano ad ogni brano. C’era quindi sempre un movimento circolare intorno al
tavolo fatto da un trenino di bambini con le mani alzate, un altro gruppetto che
ballava in cerchio, un gruppo seduto su cubi di plastica colorata che batteva il
ritmo dondolando coi piedi sulla plastica, qualcuno che rimaneva a ballare
singolarmente. Due bambini si sono seduti dicendo di voler interrompere l’attività
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perché troppo stanchi. L’incontro in effetti si è protratto ben oltre la mezz’ora
prevista.
Sezione quattro anni.
Incuriositi i bambini hanno chiesto cos’era quella musica strana che
proveniva dall’ aula dei più piccoli, così si è pensato di ripetere anche con loro
alcuni dei brani, specialmente la danza degli indiani, non però per ballare ma per
tentare di imitarla con gli strumenti. La danza indiana si prestava bene in quanto
accompagnata soltanto da tamburelli e tamburi, per cui è stato abbastanza facile
riprodurre il ritmo. I bambini hanno poi chiesto espressamente di cantare la
canzone dei giorni della settimana, in quanto la maestra aveva riportato che la
cantavano tutti i giorni da due settimane (dall’ultimo incontro, uno è stato saltato).
Dopo averla cantata tutti insieme, un bambino ha voluto cantarla da solista,
ripetendola perfettamente. E’ stato applaudito dai compagni per la bella prova e
un’altra bambina ha voluto imitarlo ricevendo il relativo applauso. E’ stato
promesso che in futuro anche altri potranno cantare da soli, non possibile ascoltarli
tutti insieme. E’ un risultato interessante perché è molto difficile che un bambino
accetti di esibirsi singolarmente davanti ad un pubblico e in molti casi il risultato è
un mutismo totale. La consapevolezza di avere acquisito una competenza e
padroneggiarla bene aiuta ad aumentare la sicurezza.
E’ stato poi provato un nuovo gioco di creatività musicale: preso il cesto
degli animali e messo in un angolo, è stato chiesto ad un bambino di scegliere un
animale, non visto dai compagni, e provare ad imitarlo per farlo indovinare, ma in
un modo particolare: usando solo gli strumentini. Uno, o anche più di uno, a sua
scelta. Si è rivelato un compito piuttosto difficile, perché già nella scelta dello
strumento il bimbo appare in difficoltà, poi il suo gesto consiste nel battere lo
strumento una o due volte senza un’intenzione particolare. Questo senza aver
ricevuto alcun suggerimento. Qualche indicazione è stata in seguito data per
variare e arricchire la produzione sonora: doveva imitare il modo di muoversi
dell’animale, o il suo verso, o la sua grandezza con un suono piano o forte. In
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questo modo veniva un po’ indirizzato, ma le produzioni sono state molto più
varie, inoltre sono stati sperimentati diversi modi di percuotere uno strumento per
ottenere suoni diversi. Il primo bambino doveva imitare un serpente. Come
strumento è stato scelto un guiro con una bacchetta di legno. La scelta si è rivelata
efficace perché il bimbo poteva imitare lo strisciare del serpente facendo scorrere
la bacchetta di legno sullo strumento in modo leggero e continuo. I bambini hanno
risposto che era una rana o un serpente a sonagli. Ci sono arrivati quasi subito.
Naturalmente l’obiettivo non era che indovinassero le intenzioni dell’altro bimbo,
ma che lo ascoltassero con attenzione e cogliessero le varie sfumature di suono.
Allo stesso modo per l’esecutore l’obiettivo era esplorare le possibilità espressive
dello strumento per comunicare qualcosa ed essere capito dagli altri.
La difficoltà del gioco consisteva inoltre nel fato che i bambini, conoscendo
il contenuto della cesta, a volte facevano semplicemente l’elenco degli animali
senza quasi ascoltare. Era un rischio possibile, d’altra parte la scelta di
improvvisare su un soggetto ben definito è stata fatta per facilitare l’espressione.
Dire semplicemente di suonare qualcosa agli altri sarebbe stato poco stimolante e
più difficoltoso.
Sezione cinque anni
E’ stato ascoltato il cd con le canzoni degli indiani d’America, dietro loro
specifica richiesta per averlo sentito dal corridoio. La musica li aveva incuriositi e
hanno indovinato inoltre gli strumenti utilizzati nel disco: tamburi, tamburelli e
sonagli vari semplicemente. E’ stato così proposto di rifare la stessa musica usando
gli stessi strumenti. Sono stati aggiunti anche dei bongos che la maestra aveva
trovato nell’armadio. Mentre in due gruppi suonavano tamburi e tamburelli, gli
altri cantavano il testo della canzone indiana a loro nota, ma senza base
strumentale e con una cadenza simile al disco appena ascoltato.
E’ stato poi proposto un confronto con la musica degli indiani dell’ India
facendo ascoltare un brano di sytar, dopo aver mostrato una foto dello strumento.
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Ha suscitato alcune risate la particolarità del suono e specialmente i suoni bassi e la
frammentarietà dell’esecuzione costellata di lunghe pause.
E’ stato poi fatto il gioco precedente degli animali, molto partecipato (tutti
volevano provare). Anche qui si sono rivelate le stesse difficoltà, cioè la scelta
autonoma dello strumento, la ripetitività del suono prodotto senza particolare
colore, la timidezza nell’esibirsi di fronte agli altri. Prima di cominciare i bambini
parevano tutti entusiasti, ma al momento di eseguire il suono prodotto era piuttosto
timido. Se incoraggiato e indirizzato un po’, la produzione si arricchiva
notevolmente di sfumature diverse.
Il gioco si svolgeva in questo modo: chi indovinava l’animale andava a
suonare a sua volta. E’ stato difficile interrompere perché tutti volevano provare.
E’ stato chiesto loro di pensare a come eseguire il suono per la volta successiva.
Questo per incoraggiare i bambini a progettare mentalmente un modo di esprimersi
davanti ai compagni.
3.6 Quindicesimo – diciottesimo incontro
Sezione due anni
I bambini cominciano a familiarizzare con gli strumentini continuandone
l’esplorazione. Comincia a essere più definita l’alternanza suono – silenzio dietro
specifico comando dato dalla tirocinante. Il gioco consiste nel suonare quando lei
suona, fermarsi quando lei si ferma. Unica variante: lei utilizza sempre strumenti
diversi, per stimolare la diversità dell’ascolto. Più difficoltoso risulta l’ascolto dei
propri compagni singolarmente: la distribuzione degli strumenti è stata un pretesto
per esecuzioni singole (ad ognuno veniva chiesto di far sentire agli altri come
suonava lo strumento e loro dovevano far silenzio per ascoltarlo), anche se non
tutti volevano far sentire come suonava lo strumento e lo tenevano fermo. Inoltre si
nota la preferenza per uno o l’altro strumento e alcuni rifiutano quello loro
assegnato o decidono ricambiarlo. I preferiti risultano essere i blocchi sonori con
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battente e i tamburi, le maracas quelli meno graditi. I bambini vengono anche
invitati a fare questo gioco alla tastiera, che hanno provato a suonare liberamente
più volte: devono far sentire come cammina un animale deciso insieme. Ad
esempio una bimba ha in mano un elefante di peluche e le viene chiesto di far
sentire sulla tastiera come cammina. Un altro ha un cagnolino sulla maglietta e gli
viene chiesta la stessa cosa. Una bimba ha invece delle farfalle. Così tutti si
sentono invitati a trovare un animale o giocattolo, o sugli abiti per farlo suonare
sulla tastiera. Alcuni rifiutano, altri si avvicinano poi però non suonano nulla o
sfiorano i tasti senza emettere suoni. Molti si fanno avanti per suonare e c’è una
corsa verso la tastiera. Dopo un po’ effettivamente prendono coraggio e suonano
quasi tutti (chi con un dito, chi con i pugni, chi con la mano aperta).
La differenza rispetto le altre volte è l’intenzione di farlo e il fatto di essere
ascoltati, singolarmente, dagli altri come pubblico (fino adesso suonavano insieme
due o tre per volta, mai da soli, e senza nessuna consegna). Qualche piccola
differenza nel suonare un animale o l’altro c’è stata, ben sapendo che può essere
stata casuale e non voluta.
Le canzoni e gli esercizi di ascolto guidato risultano ben appresi nei gesti e
abbastanza nelle parole. L’aspetto che si nota è la partecipazione di tutti i bambini
alle attività proposte, nessuno più rimane seduto a guardare.
Sezione tre anni
La seconda parte dell’esercizio di ascolto di diversi brani consiste nel
riproporli mentre i bambini disegnano su fogli trasparenti con pennarelli indelebili.
La consegna è di disegnare in base alla musica. I bambini disegnano a due per
volta (i pennarelloni sono limitati) mentre gli altri continuano a ballare come in
precedenza. la procedura è laboriosa perchè occorre mettere un grembiule ai bimbi
perché non si sporchino, i pennarelli colano ed è necessario un telo di plastica
sotto, gli altri bambini fanno inevitabilmente confusione e distraggono.
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Inoltre i brani sono piuttosto brevi (tre minuti circa ciascuno) per un
disegno elaborato. I tratti risultano molto semplici e concentrati in una parte del
foglio (d’altra parte non si vedono molto bene i contorni, siccome la tovaglia di
plastica sotto è colorata). Durante il valzer di Coppella una bambina disegna
diverse linee di diversi colori che si intrecciano, un’altra insiste con lo stesso
colore su una grande macchia compatta. Durante la canzone degli indiani un
bambino disegna tre figure umane (dice che sono, appunto, gli indiani). E’
un’eccezione perché tutti gli altri disegni non sono figurativi ma tratti e
scarabocchi vari. Difficile stabilire che relazione ci sia con la musica ascoltata.
Sicuramente i bambini hanno disegnato con la musica, ma non è detto che abbiano
disegnato la musica: la consegna è stata ripetuta più volte (suonare in base a quello
che ascoltavano) ma non è chiaro se abbiano ben capito che doveva esserci una
relazione intenzionale tra ciò che ascoltavano e ciò che disegnavano. Come per
l’improvvisazione musicale sugli animali, senza nessun suggerimento da parte di
un adulto l’espressione è alquanto limitata e stereotipata, l’estrema difficoltà con
bambini così piccoli è dunque cercare di suggerire senza indirizzare, far
comprendere che possono scegliere una varietà di opzioni senza scegliere per loro,
incoraggiarli ad esprimersi senza dir loro cosa fare di preciso.
Sezione quattro anni
Si continua il gioco di improvvisazione sugli animali introducendo la
variante di usare più strumenti (pur potendolo fare, in precedenza si erano limitati
ad un solo strumento). Si è vista una progressiva confidenza con gli strumenti e
maggiori varietà di suono, anche se si è verificato l’effetto ricordo: i bambini
tendono a rifare gli stessi gesti e suoni che hanno sentito da altri o che hanno già
fatto loro stessi.
Si introduce anche un semplice gioco di improvvisazione con la voce: si
cantano le canzoncine fin qui imparate ma cambiando il modo di cantare in base ad
una specifica intenzione. Si dice di cantare come, una strega, un orco, un pulcino,
un cavallo, un gregge di pecore. Effettivamente c’è molta differenza tra
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un’interpretazione e l’altra e l’intenzione risulta chiara (vociona rauca da strega,
vocina delicata per il pulcino, belante per il gregge di pecore). Probabilmente per i
bambini è più facile variare con la propria voce che con uno strumento esterno.
Probabilmente questo lavoro doveva precedere quello sugli strumenti e non
seguirlo.
Occorre però ricordare che la componente di improvvisazione è qui ridotta
di molto, visto che i bambini devono semplicemente ricantare una canzone nota
come la canterebbe il personaggio, non rappresentare con uno strumento il
personaggio stesso. Questo lascia meno spazio alla loro creatività ed è fortemente
indirizzato, in fondo è universalmente noto che la strega ha una voce rauca e brutta
e un pulcino una voce sottile. Sarebbe stato interessante rappresentarli in modo
diverso e non seguendo uno stereotipo: perché una strega non può essere intonata?
Il pulcino stridulo e fastidioso? Sarebbe interessante proporre immagini divergenti
dal pensiero comune ma anche questo sarebbe un imporre una propria visione. I
bambini devono scegliere da soli se la strega canta bene o male.
Per quanto riguarda le canzoni in repertorio, si decide di togliere prima la
base musicale e cantare a secco solo con gli strumentini (tamburi e tamburelli), poi
con la base solo strumentale senza il coro registrato. Tutti hanno appreso tutte le
parole (la canzone del pulcino viene cantata quotidianamente) e l’intonazione è
quasi corretta (senza base è molto calante). I gesti sono chiari ed eseguiti a tempo.
In generale si può dire che un’operazione complessa come memorizzare un testo –
cantarlo – eseguire in contemporanea una sequenza di gesti – fare tutto a tempo
insieme ai compagni – seguire le indicazioni di un direttore, è stata da tutti ben
appresa ed eseguita. Lo stesso per gli esercizi di ascolto guidato, in cui risulta
chiara la memoria musicale e l’esecuzione dei gesti corretti a tempo anche senza
più l’indicazione di un direttore.
Un’altra capacità appresa che emerge pur senza essere stata sollecitata è la
sonorizzazione con la voce della musica ascoltata: i bambini cantano sequenze
anche lunghe di una linea melodica di uno dei brani ascoltati, anche solo
strumentali.
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Sezione cinque anni
Qui è stato introdotto un esercizio molto più complesso di improvvisazione:
l’invenzione di una fiaba a partire dalla musica prodotta da loro stessi. E’ stato
scelto appositamente di non fare l’operazione contraria, cioè la sonorizzazione di
una fiaba già nota, perché ritenuta meno creativa e già definita in partenza ( per i
motivi già esposti in precedenza riguardo gli stereotipi culturali, cioè che un certo
personaggio deve esprimersi per forza in un certo modo). La tecnica usata è quella
del brainstorming tra i bambini partendo da un solo punto fermo: un animale scelto
da uno di loro ed “imitato” davanti ai compagni con uno strumento. Questo sarà il
protagonista della favola. Il prescelto dal bambino di turno è un rinoceronte. Dopo
che è stato indovinato, si decide un luogo dove ambientare la storia del
protagonista e si cerca di riprodurre i suoni caratteristici di quel luogo, sempre
chiedendo a loro e accogliendo quel che emerge (chiedendo soltanto: cosa succede
in questo posto? Che rumori si sentono?). Qualcuno propone di ambientarlo
nell’era glaciale (nel film appena uscito L’era glaciale 2 c’era appunto un
rinoceronte e questo film, visto da tutti, inevitabilmente condiziona la loro
immaginazione). Un altro bimbo suggerisce l’Africa, un altro salta su dicendo che
vive nella savana. Si decide che lo faremo vivere nella savana, visto che in un film
sarebbe troppo difficile. In realtà si cerca di cambiare un’ambientazione già
preconfezionata. Si fa compiere un’azione al protagonista (chiedendo: cosa fa il
nostro rinoceronte nella savana?) il bambino esecutore suona sui bongos una
camminata allegra e pesante del rinoceronte. Gli altri con la voce imitano il soffio
del vento che muove gli alberi (alcuni fanno gli alberi anche con le braccia) e
l’erba alta (altri impersonano l’erba che si muove) A questo punto bisogna trovare
un altro personaggio: si chiede a un altro bimbo di scegliere un animale. Prende il
serpente. Lo impersona suonando il guiro (è già stato abbinato al serpente in
precedenza) e, quando gli altri lo hanno indovinato, si chiede cosa gli facciamo
fare. Dicono che vuole mordere il rinoceronte, quindi non è un amico ma un suo
nemico. Si decide di far avvicinare i due bimbi con gli strumenti e di rappresentare
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suonando la scena del serpente che insidia il rinoceronte e questo che scappa. I due
suonano alternativamente in modo sempre più concitato. Dove scappa il
rinoceronte? Cerca qualcuno che possa aiutarlo. Un altro bimbo sceglie un altro
animale, stavolta un elefante (i bambini dimostrano di sapere che animali ci sono
nella savana, d’altronde a cinque anni hanno già visto diversi film e documentari
con tale ambientazione) e prende i piatti per rappresentare i suoi passi forti. Gli
altri pensano subito ad un leone o una tigre, poi indovinano. Il rinoceronte incontra
l’elefante e gli chiede aiuto. Cosa risponderà l’elefante? Risposta subito drastica:
schiaccia il serpente! Così la storia sarebbe già finita. Si decide di fargli
semplicemente paura per scacciarlo. L’elefante insegue il serpente che scappa.
Dove? Si arrampica su un albero. Cosa trova sull’albero? Ci sarà qualcun altro.
Viene un quarto bambino che sceglie un altro animale, non però dalla cesta: viene
scelta una scimmia. Si discute un po’ per la scelta dello strumento, alla fine ne
prende due, un tamburo e una maracas, per far sentire la scimmia che saltella da un
ramo all’altro e ride). Il bambino si avvicina a quello del serpente e i due
cominciano a duettare. L’incontro successivo inizia con la scimmia che allontana il
serpente che le aveva chiesto aiuto, dicendogli di andarsene dal suo albero. Il
serpente allora chiede aiuto ad un altro personaggio. Si chiede chi ha un’idea
sull’animale da inserire. Un bambino propone un pipistrello (lo dice in un orecchio
alla tirocinante, per non farlo sentire). Si scelgono dei sonaglini, che il bimbo agita
in aria a simulare il volo del pipistrello. Dopo che gli altri hanno indovinato, si
decide insieme che il pipistrello prenderà con le zampe il serpente e lo porterà via
in volo. La scimmia, l’elefante e il rinoceronte si spaventano molto vedendo un
serpente volante e suonano tutti insieme il loro strumento. Il pipistrello porta il
serpente fino in… Australia! Lì incontra un canguro, impersonato dalla bambina
che ha proposto il luogo. Lo suona con un tamburo con battente ad indicare i salti
dell’animale. I tre bambini (serpente, pipistrello, canguro) si allontanano dagli altri
e vanno sul lato opposto della stanza per far sentire la lontananza fra i due
continenti. La storia potrebbe essere finita, ma elefante, scimmia e rinoceronte non
si danno per vinti e decidono di inseguire il serpente. C’è il problema del mare che
li divide, per cui decidono di chiedere aiuto ad una balena………………………….
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Questa è la storia che è stata creata, non è finita, perché i bambini la
continueranno a loro piacere e faranno andare i personaggi in giro per il mondo a
suonare i loro strumenti, in cerca di chissà quali avventure. Il filo del racconto è
forse un po’ sgangherato, sicuramente non rispetta le funzioni di Propp sulla
struttura della fiaba, ma ha un grandissimo valore: quello di nascere e crescere
direttamente dalla fantasia dei bambini che ne sono protagonisti. E’ la loro storia.
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4. Risultati e discussione
E’ complesso parlare di risultati in un progetto come quello descritto nelle
pagine precedenti, ragion per cui è stato dato ampio spazio al racconto di ciò che è
stato fatto. Non vi alcuna patologia da curare o sintomi da attenuare, si trattava di
normalissimi e vivaci bambini di una scuola come tante, che volevano
semplicemente fare musica. Con bambini così piccoli, tuttavia, non è errato
affermare che educazione musicale e musicoterapia non sono affatto termini in
contrasto ma, anzi, quasi si sovrappongono.
Il concetto di musicoterapia in Italia oscilla tra un ambito prettamente
educativo e uno rieducativo: nelle istituzioni scolastiche, sull’onda dell’entusiasmo
per le potenzialità espresse dalla musicoterapia dagli anni settanta in poi, si è
arrivati a “desiderare l’utilizzo di metodi musicoterapici sostitutivi di quelli propri
dell’educazione musicale21”. Questo a causa dello stato carente in cui versa in
Italia l’educazione musicale, specialmente nella scuola dell’infanzia e nella scuola
elementare dove è pressoché assente o lasciata alla buona volontà degli insegnanti
che in genere non hanno alcuna competenza specifica. Loredano Matteo
Lorenzetti, importante pedagogista, nel saggio Distinzione tra musicoterapia ed
educazione musicale auspica un recupero della dimensione pedagogica della
musicoterapia, finora caratterizzata come mezzo di intervento solo riabilitativo e
terapeutico, ed un suo maggior utilizzo nella scuola nell’ambito della prevenzione.
Questo però senza sovrapporre due campi – educazione musicale e musicoterapia che devono restare distinti e rispettare le specifiche caratteristiche. Esiste un
confine separativo tra i due concetti. Nel concetto di educazione musicale vi è
l’idea pedagogica di informare, istruire e formare il bambino alla musica; nel
concetto di musicoterapia, invece, l’operatività è rivolta al bambino, utilizzando
mezzi e modi propri del linguaggio musicale per aiutarlo nelle sue eventuali
difficoltà di natura psicosociale, per alleviare uno stato di sofferenza.
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L.Matteo Lorenzetti, Distinzione tra musicoterapia ed educazione musicale, in AA.VV.,
Educazione musicale o musicoterapia? Ed. Pro Civitate Christiana, Assisi 1982, pp 22 e seguenti.
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Semplificando all’osso si potrebbe dire che nell’educazione musicale la
musica è un fine, nella musicoterapia un mezzo. Questa la differenza netta nelle
premesse. Nella realtà dei fatti le cose si confondono un po’: un’interpretazione
ampia dell’educazione musicale attribuisce a questa una forte influenza positiva
sulla formazione della personalità del bambino e delle sue capacità relazionali.
Allo stesso modo cercando di alleviare una sofferenza psicofisica attraverso la
musica si compie anche un atto educativo, perché il paziente apprende una tecnica
musicale adatta alle sue capacità e questa per sempre farà parte di lui e della sua
crescita personale. Si sa che non è Mozart o Beethoven, ma un bambino con un
tamburello è in quel momento un musicista e, se è contento di ciò che fa e lo fa
serenamente insieme agli altri, è un essere umano potenzialmente felice.
Concludendo, si può affermare che se sul piano pratico i due campi si
confondono, su quello teorico è necessario restino divisi, per favorire uno sviluppo
delle rispettive discipline il più possibile scientifico, parola che non deve
spaventare chi si occupa di arte. E’ necessario sviluppare la ricerca, la
sperimentazione, lo scambio di idee, lo studio della musicoterapia nell’ambito di
tutte le altre discipline psicologiche e pedagogico riabilitative, esattamente come
tutte le altre psicoterapie esistenti. Necessario è anche un investimento nella ricerca
di metodi pedagogici sempre più efficaci e pedagogicamente rilevanti.
Questo atteggiamento scientifico è soprattutto un fatto di onestà e rispetto
nei confronti del materiale umano che è al centro sia dell’educazione musicale che
della musicoterapia.
Infine, fare musica in una scuola dell’infanzia significa fare un gioco, che è
la metafora con cui i bambini apprendono a relazionarsi gli uni con gli altri e col
mondo esterno. Altro termine chiave è scoperta: di suoni, possibilità di espressione
diverse, potenzialità proprie e degli altri. Tutte le attività proposte avevano la
caratteristica di essere facili, divertenti e piacevoli, di parlare con il loro linguaggio
per offrire loro un nuovo linguaggio di cui appropriarsi per crescere. Si è molto
insistito sul fatto che fosse un linguaggio naturale, in qualche modo già insito in
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loro: per questo si è partiti dall’esplorazione di suoni emessi dal proprio corpo, con
la voce e i gesti.
Il criterio è stato quello di comunicare il linguaggio musicale nello stesso
modo in cui apprendono la lingua materna: ascoltando e imitando i genitori e gli
altri adulti. Nessun bambino impara prima a scrivere e leggere e poi a parlare, allo
stesso modo la musica si deve fare subito e solo molto dopo si impara a
decodificarne i simboli. Non c’è stato bisogno di spiegare come e perché fare i vari
“giochi”, semplicemente è stato detto: adesso facciamo così” o “fate come me”. Si
è cercato di dare il massimo risalto a ciò che veniva direttamente da loro senza
mediazioni. E’ difficile, tuttavia, verificare se e in quale misura tali procedimenti
abbiano aumentato o meno la capacità creativa innata nei bambini. A questa età il
bagaglio di esperienze è già enorme. E’ sbalorditiva la quantità di informazioni già
in possesso di un bambino di due anni nel mondo odierno in cui possono entrare in
contatto in pochi secondi col mondo intero. In generale, però, gli stimoli esterni
provenienti dai media sono recepiti in modo passivo, come da spugne, e ciò
rinforza il concetto che il mondo sia così e non dipenda dal nostro intervento. Si è
quindi cercato di rendere il bambino parte il più possibile attiva del processo sia di
apprendimento che di improvvisazione.
Questo rappresenta però una speranza e una pretesa, non può certamente
essere verificato. Una cosa tangibile è stata la festa di fine anno coi genitori in cui
tutte le sezioni si sono esibite. Chiaramente è stato solo un limitato saggio delle
molte attività proposte e si è trattato praticamente di eseguire una canzone per ogni
sezione. I giochi scelti per ogni sezione sono stati questi (la scelta è stata fatta
insieme alle maestre). Sezione due anni: il cavallo (ascolto mimato). Sezione tre
anni: Il mio corpo (canto, gesti mimati, alcuni solisti con gli strumenti. Sezione
quattro anni: La nanna del gattino e del pesciolino (cantato, mimato cercando di
sonorizzarla con i suoni sperimentati, solo alcuni bambini con gli strumenti).
Sezione cinque anni: danza indiana (piccola orchestra come provato nel corso di
tutto il progetto, ogni bambino con uno strumento).
Lo spettacolo è stato piuttosto breve, inserito in un programma più ampio di
presentazione di vari giochi e attività diverse, e si è svolto all’aperto, nel piazzale
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di fianco alla scuola, con i genitori tutt’intorno, con molta semplicità, con un
microfono e uno stereo portatile. I bambini apparivano molto emozionati ma, come
spesso succede, i risultati sono stati superiori alle aspettative. Certo, c’è stato il
solito caos nella disposizione ogni volta del coro, ma una volta partita la musica
l’attenzione era altissima e i gesti memorizzati sono stati eseguiti bene, come se li
avessero proprio interiorizzati: stavano vivendo la loro canzone.
Ci si è stupiti inoltre della potenza vocale emessa (i bambini durante gli
incontri hanno sempre cantato più piano!) e della precisione ritmica che neppure
nella prova generale era stata ottenuta (specialmente nella danza indiana dei
bambini di cinque anni). La prova più emozionante è stata quella dei piccoli di due
anni: all’inizio sembrava che non volessero neppure entrare ma stavano aggrappati
piangendo alle mamme. Si è deciso estemporaneamente di far partecipare anche
loro: tutte sedute per terra col loro bimbo in braccio o vicino per ascoltare la
musica del cavallo e mimarla insieme a loro. Incredibilmente, tutti i bambini alla
partenza della musica si sono tranquillizzati e il gioco è partito. Non tutti
certamente hanno eseguito tutti i gesti, ma quasi, e in numero superiore alle
aspettative. Il massimo della partecipazione si è avuto durante il salto del cavallo:
tutti si sono alzati in piedi per saltare! L’applauso è stato calorosissimo, come per
tutti gli altri.
Non si possono tuttavia non citare le numerose difficoltà incontrate in un
progetto di questo genere: innanzitutto il fatto che non si trattava di un intervento
di musicoterapia su una patologia, cosa che rende difficilissima una valutazione dei
risultati (non si dovevano ottenere miglioramenti di una condizione di disagio, ma
eventualmente prevenirla). Un’altra difficoltà notevole è stata il numero dei
partecipanti: trattandosi di circa venti bambini per volta e per ogni sezione, il
rischio di perdere il gruppo nel caos generale era alto e si è a volte verificato, così
come l’attenzione ai singoli andava inevitabilmente ridotta. Si è sicuramente perso
in qualità e in profondità dovendo gestire gruppi tanto numerosi, con il non piccolo
problema della disciplina. Altro fattore di rischio rappresentava la presenza delle
insegnanti, quasi sempre presenti e partecipanti alle attività: se da un lato
contribuivano a mantenere un certo ordine, dall’altro rischiavano loro stesse di
creare distrazioni. Volendo a tutti i costi che i bambini stessero zitti e attenti,
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eccedevano spesso in urla e rimproveri, quando invece non era richiesto mai il
silenzio assoluto, ma anzi doveva essere tollerata anche la libera espressione
spontanea o la volontà di qualcuno di allontanarsi dal gruppo per fare altro. I
disobbedienti venivano prontamente recuperati e reinseriti a forza sul tappeto.
Tutto questo costituisce un’inevitabile interruzione dell’attività. A volte i risultati
erano migliori se la maestra non c’era, altre volte invece senza di lei sarebbe stato
impossibile impostare qualsiasi attività.
C’è poi un secondo problema: le maestre nutrono aspettative nei confronti
di un progetto da loro richiesto, hanno già in mente come vorrebbero che fosse
svolto. Se invece l’attività si discosta da ciò che loro pensano si dovrebbe fare,
questo inevitabilmente crea qualche incomprensione. In questo senso andrebbe
evitata la ripartizione dei ruoli esperto-spettatori e trasformata in un lavoro
d’èquipe che coinvolga direttamente tutti nella programmazione e nella
realizzazione.
Altra difficoltà era costituita dalla non prevedibilità dei bambini, che
costringeva a cambiare il programma di volta in volta sovvertendo l’impostazione
che ci si era prefissati. A ben guardare, però, questa rappresenta un’opportunità e
non un limite. Molte volte la paura che i bimbi piccoli non riescano a fare cose
difficili è solo degli adulti: l’esperienza ha rivelato che si poteva osare anche di più
proponendo attività ancora più complesse. Le capacità di apprendimento dei
bambini in età prescolare è di gran lunga superiore a quella degli adulti, quindi
anche le capacità creative e relazionali sono infinitamente più plastiche. Forse
bisognava lavorare di più su questi due aspetti.
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5. Conclusioni
Si era partiti con l’idea di “fare un gioco” con i suoni, per parlare con il
linguaggio proprio dei bambini in età prescolare. In realtà sono stati fatti tanti
giochi, tante attività diverse tra loro e mescolate insieme ad ogni incontro. Questo
perché i bambini si stancano in fretta di fare la stessa cosa e vogliono cambiare
gioco. Si è tentato di far scoprire che giocare con i suoni è divertente, è bello, ci fa
stare insieme e ci fa scoprire tante cose. E’ un modo diverso di parlare e di
relazionarsi agli altri. Questo in parte i bambini lo sanno già, perché tutti i loro
giochi sono naturalmente ricchi di suoni, che a volte sono una gran confusione per
un adulto che ascolta. In un certo senso la musica ce l’hanno già dentro, perché
cresciuta col loro orecchio, assorbita e riprodotta con la loro personalità. Si è
cercato quindi di allargare un orizzonte che già c’è, prima che la scolarizzazione e
le consuetudini sociali facciano i loro danni e atrofizzino le potenzialità creative di
ciascuno.
A due, tre, quattro e cinque anni un bambino è ancora libero, dopo lo sarà
sempre meno. E’ un obiettivo molto ambizioso, ma è lecito credere che la musica
possa aiutare una mente che cresce a restare libera o, almeno, a sapere che può
scegliere, nel difficile mondo che la circonda, il linguaggio che la fa star meglio.
Con questo lavoro a volte si è riusciti a intravedere tali risultati, a volte
meno. Chi ha svolto il lavoro è essa stessa una persona che non ha potuto fare a
meno di utilizzare il proprio bagaglio di conoscenze, la propria storia, condizionata
e limitata da mille cose.
E’ un cammino di scambio reciproco, per fortuna.
Una mattina è stato fatto un gioco con i piccoli di due anni. Dovevano
suonare alla tastiera nientemeno che un mostro. L’immagine era venuta fuori in un
ascolto precedente che li aveva molto colpiti e che richiedevano in continuazione.
Hanno suonato il loro mostro, “monstrum” nel senso originario di essere
straordinario, meraviglioso, fuori dalla realtà comune, che spaventa ma attira
tantissimo. Si è deciso semplicemente di ascoltare le loro produzioni. Sono usciti
dalla tastiera suoni misteriosi, a volte forti e decisi, a volte pianissimi e indecisi,
suoni singoli acuti e gravi, grappoli di note, ribattuti e cluster fatti da manine a
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volte leggere come farfalle a volte pesanti come elefanti. Quelle manine sapevano
cosa fare.
Il loro mostro era bellissimo.
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6. Bibliografia
AA.VV. Educazione musicale o musicoterapia? In Quaderni di musica
applicata a cura di Mario Piatti, Edizioni Fonografiche e Musicali Pro Civitate
Christiana, Assisi 1982
Alvin Juliette, Music for the handicapped Child, Oxford University Press,
London 1965, trad. italiana, la musica come terapia, Armando Editore, Roma 1979
Antonietti Alessandro, Lazzati Patrizia, Musicoterapia cognitiva – schede
per l’attivazione di operazioni mentali di base attraverso il suono, Omega
edizioni1992
Benedetti Amedeo, Comunicazione e osservazione per musicoterapeuti,
Associazione Italiana Studi Musicoterapia, Anno Accademico 1996 – 1997
Bianchi Giordano, Clerici Bagozzi A., Crescere con la musica – esperienze
cognitive terapeutiche vissute in classe attraverso il linguaggio dei suoni, il
movimento, il simbolo e il fonema. Franco Angeli 1987
Cappelli Fiorella, Farah Maria del Carmen, Azione musica – raccolta di
giochi sonori per bambini da tre a sei anni, Editrice la Scuola 1990
Ciurleo Maria Angela, Canzoni, Filastrocche e Danze per la scuola
dell’infanzia e il primo ciclo della scuola primaria, Rugginenti Editore Milano
2005
Delalande François, La musique est un jeu d’enfant, Buchet – Chastel, 1984
Delalande François, Le condotte musicali – comportamenti e motivazioni
del fare e ascoltare musica, (a cura di G.Guardabasso e L.Marconi) Ed CLUEB,
1993)
Delalande François, Tre idee chiave per un risveglio della pedagogia
musicale, in Proposte di musica creativa nella scuola (a cura di R.Dalmonte e
M.P.Jacoboni), Zanichelli, Bologna, 1978
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Frapat Monique, L’invenzione musicale nella scuola dell’infanzia, in
Quaderni operativi a cura di franca Mazzoli, traduzione di Licia Reggiani,
Edizioni Junior 1994
Lorenzetti
Loredano
Matteo,
Dalla
educazione
musicale
alla
musicoterapia, G. Zanibon editore Padova 1989
Orff Gertrud, Musicoterapia - Orff - Un’attiva stimolazione allo sviluppo
del bambino. Edizione italiana: Cittadella editrice, Assisi 1982, traduzione di Luigi
Mauro. Titolo originale: Die Orff – Musiktherapie, 1974 by Kinder Verlag GMBH
Munchen
R.Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, Ricordi, Unicopli, 1985
Valseschini Silvio. Psicologia della musica e musicoterapia, Armando
Armando Editore 1983
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7. Appendice. Spartiti dei brani proposti22
IL MIO CORPO
Testo e musica di Maria Angela Ciurleo
22
Le Canzoni Il mio corpo, Il pulcino, Le mie dita, La nanna di un gattino e di un pesciolino,
Danza indiana sono tratte dal volume Canzoni, Filastrocche e Danze di Maria Angela Ciurleo, Rugginenti
editore, Milano 2005.
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IL PULCINO
Testo tradizionale – musica M.A.Ciurleo
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L’ARCOBALENO23
Testo tradizionale, musica di A.Diabelli
23
tratto da Giro giro tondo – canti per giocare, Giunti – Nardini editore 1988
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LE MIE DITA
Testo tradizionale – musica di M.A.Ciurleo
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IL GIOCO DEL TRENO24
Tradizionale francese
BATTI BATTI LE TUE MANINE
Tradizionale francese
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Entrambe le canzoni sono tratte da Giro giro tondo – canti per giocare, Giunti – Nardini editore
1988
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DANZA INDIANA
Testo e musica di M.A.Ciurleo
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LA NANNA DEL GATTINO E
DEL PESCIOLINO
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