Le emozioni
Le principali teorie sulle emozioni
Le emozioni sono state da sempre studiate dall’uomo, da
filosofi e teologi, da letterati e da artisti.
In psicologia le emozioni sono state affrontate in termini
empirici e sperimentali.
La teoria periferica
James nel 1884 propose per primo una definizione
empirica e verificabile di emozione.
Egli ritenne di identificare l’emozione nel «sentire» i
cambiamenti neurovegetativi che hanno luogo a livello
viscerale (teoria periferica o teoria del feedback). Di
conseguenza «non tremiamo perché abbiamo paura, ma
abbiamo paura perché tremiamo».
L’evento emotigeno quindi determinerebbe una sorta di
reazioni neurovegetative che sono avvertite dal soggetto e
la percezione di queste modificazioni fisiologiche sarebbe
alla base dell’esperienza emotiva.
James propone una radicazione biologica dell’emozione
(concetto di attivazione fisiologica).
La formulazione della teoria di James fu verificata
sperimentalmente da Sherrington e da Cannon e fu ritenuta
infondata (i visceri hanno una sensibilità troppo scarsa, una
risposta troppo lenta e una motilità troppo indifferenziata).
Tuttavia, il punto di vista periferico è rimasto attivo con
teorie più recenti e più elaborate.
Ipotesi del feedback facciale
Sostiene che le espressioni facciali forniscono informazioni
propriocettive, motorie, cutanee e vascolari che influenzano
il processo emotivo.
Esistono due versioni di questa ipotesi:
•(Ekman, Levenson e Friesen,1983) forte: le espressioni
facciali, da sole, sono sufficienti a generare l’emozione.
Secondo gli autori gli effetti sarebbero innati;
• debole: il feedback facciale aumenta soltanto l’intensità
dell’emozione.
Esistono evidenze empiriche per la versione debole di tale
ipotesi; per contro, la versione forte è ancora da
approfondire.
Laird (1984) ha valutato gli effetti del feedback facciale
attraverso i resoconti personali dei soggetti.
Tali effetti sono riscontrati più frequentemente in quelle
persone che prestano attenzione focale ai segnali da essi
stessi prodotti.
Vi sarebbe quindi una mediazione cognitiva, di tipo
percettivo, delle espressioni facciali.
Teoria vascolare dell’efferenza emotiva
Secondo questa teoria il ritmo e le modalità della
respirazione nasale assicurano il raffreddamento termico
della regione talamica, sotteso al mantenimento degli stati
emotivi positivi (raffreddamento ipotalamico).
Quindi i cambiamenti dei valori termici dell’ipotalamo
influenzano in modo rilevante gli stati emotivi ma questi
valori termici sono modificabili dall’azione dei muscoli
facciali (Zajonc, 1994).
Si può collegare questa teoria con antiche pratiche orientali
e occidentali, legate allo yoga, alla meditazione
trascendentale, al training autogeno, ecc.
La teoria centrale
In opposizione alla teoria periferica, Cannon (1927)
propone la teoria centrale delle emozioni: esse sono attivate
e regolate da centri nervosi centrali che si trovano nella
regione talamica.
Cannon studiò in particolare la reazione di emergenza,
ponendo in evidenza le funzioni dell’arousal simpatico, cioè
una configurazione di risposte neurofisiologiche che covariano simultaneamente alla comparsa dell’emozione
(dilatazione pupilare, vasocostrizione cutanea, aumento
frequenza cardiaca, ecc.)
Nel 1937 Papez avanzò l’ipotesi dell’esistenza di un
circuito di strutture nervose coinvolte nell’elaborazione e
regolazione delle emozioni (circuito di Papez) composta da
ipotalamo, talamo inferiore, dal giro cingolato e
dall’ippocampo.
Funzioni emotive dell’amigdala
Già la sindrome di Kluver e Bucy (1937), a seguito della
lesione dei lobi temporali, ha posto in rilievo l’importanza
dell’amigdala nella vita emotiva dell’organismo. Amigdala
= centralina emotiva (Le Doux, 1993).
L’amigdala presenta un circuito subcorticale (amigdalatalamo) molto rapido e immediato, pressoché automatico (=
elaborazione precognitiva degli stimoli).
Vi è inoltre il circuito corticale (amigdala-talamo-corteccia)
che procede all’elaborazione cognitiva completa degli
stimoli emotigeni.
La teoria cognitivo-attivazionale delle emozioni
Le teorie periferica e centrale si sono dimostrate entrambe
vere, ma parziali; entrambe inoltre hanno focalizzato
l’attenzione soprattutto sugli aspetti biologici.
Schachter introduce per primo una concezione psicologica
delle emozioni attraverso la teoria dei due fattori o teoria
cognitivo-attivazionale (Schachter e Singer, 1962).
L’emozione è la risultante di due componenti distinte:
• una componente fisiologica di attivazione
• una componente cognitiva di valutazione dello stimolo
emotigeno e di etichettamento della propria esperienza
emotiva.
In questo processo, particolare attenzione è dedicata
all’attribuzione causale che stabilisce una connessione
indispensabile fra queste due componenti, in modo da
attribuire la propria attivazione corporea a un evento
emotigeno pertinente e da etichettare la propria esperienza
emotiva in modo adeguato.
Il paradigma del transfer di eccitazione
L’attivazione di qualsiasi emozione non cessa
repentinamente ma si esaurisce in modo lento. Di
conseguenza, un soggetto può attribuire il residuo
dell’attivazione per l’emozione A alla successiva emozione
B (di altro tipo), aumentandone l’intensità (Zillmann, 1978).
Merita particolare attenzione il legame fra eccitazione
sessuale e aggressività.
Le teorie dell’«appraisal»
In generale, le emozioni dipendono dal modo con gli
individui valutano e interpretano gli stimolo del loro
ambiente.
Questa concezione si contrappone a quella della psicologia
ingenua, secondo cui le emozioni sono passioni irrazionali,
di breve durata, simili ad attività istintuali, che sorgono in
modo involontario e automatico, senza che siano richieste
dall’individuo.
Le teorie dell’«appraisal» sottolineano invece il legame fra
gli aspetti emotivi e gli aspetti cognitivi, poiché
l’elaborazione cognitiva è sottesa all’esperienza emotiva.
Le emozioni non compaiono in maniera gratuita e casuale,
all’improvviso, ma sono la conseguenza di un’attività di
conoscenza e di valutazione della situazione in riferimento
agli interessi dell’individuo medesimo.
Le emozioni sorgono in risposta alla struttura di significato
di una data situazione (Frijda,1988); di conseguenza, due
individui possono provare emozioni diverse a fronte del
medesimo stimolo.
Esse non sono attivate dall’evento in sé e per sé, ma dai
significati e dai valori che un individuo attribuisce a questo
evento.
Sulla base di questo significato situazionale si spiega la
differenza fra emozioni e riflessi:
• emozioni = flessibilità, variabilità individuale e culturale
di fronte le situazioni
• riflessi = automatismo, universalità, processi
geneticamente determinati
Esistono fattori disposizionali e stili cognitivi diversi che
possono condurre a valutazioni differenziate degli eventi
con conseguenti diverse reazioni emotive.
Le teorie psicoevoluzionistiche
Attorno agli anni ’60, Tomkins riprese il pensiero di Darwin
e propose la concezione psicoevoluzionistica delle emozioni,
secondo cui le emozioni sono strettamente associate alla
realizzazione di scopi universali, connessi con la
sopravvivenza della specie e dell’individuo.
I suoi allievi Ekman e Izard (dal 1972 al 1994) hanno dato
particolare sviluppo a questa prospettiva teorica. Innanzi
tutto, essi avanzano l’ipotesi delle emozioni primarie (=
gioia, collera, paura, disgusto, tristezza, sorpresa, disprezzo);
le altre emozioni sono miste o secondarie o complesse.
La prospettiva psicoevoluzionistica implica una concezione
categoriale delle emozioni intese come categorie discrete e
distinte.
• In questa prospettiva le singole emozioni sono totalità
chiuse, fra loro separate, non ulteriormente scomponibili,
invarianti e universali, in quanto esito dell’adattamento e
dell’apprendimento filogenetico
• di conseguenza, le espressioni facciali delle emozioni sono
universali, eguali in tutte le culture
L’espressione delle emozioni
Le emozioni non sono soltanto provate, ma anche
manifestate all’esterno attraverso specifiche configurazioni
di espressioni emotive
L’espressione facciale delle emozioni
Darwin propose la tesi di universalità e innatezza delle
espressioni facciali delle emozioni: le espressioni delle
emozioni sono innate e quindi universali, eguali in tutti i
popoli della terra e da tutti riconosciute.
A questa tesi negli anni ‘40 si contrappose l’ipotesi
culturalista delle espressioni facciali delle emozioni: il
comportamento espressivo delle emozioni è appreso e
quindi è culturalmente influenzato.
Su questo dibattito si innestò il programma di ricerca di
Ekman, teso a verificare l’ipotesi dell’universalità delle
espressioni emotive (tesi innatista).
Ekman ipotizzò la presenza di un «programma»
neuromuscolare specifico per ogni emozione discreta che
conduce alla medesima espressione facciale in tutti gli
esseri umani, indipendentemente dal loro genere, dalla loro
cultura di appartenenza e dal grado di istruzione (ogni
emozione ha un segnale panculturale distintivo).
Emozione e cultura
Le emozioni presentano delle rilevanti variazioni culturali
sia nella loro natura sia nelle loro modalità espressiva.
Esse, infatti, sono strettamente associate al sistema
culturale delle credenze che fornisce parametri cognitivi e
modelli mentali per interpretare la realtà e per reagire a
essa ; per es.:
• nella cultura occidentale prevale la collera collegata
all’idea della responsabilità individuale delle azioni
• nella cultura indiana prevale la rassegnazione connessa
con la concezione del destino, della fatalità e delle forze
soprannaturali e impersonali.