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Brano : Ab urbe condita X, 25
Autore : Livio
Originale
[25] Concursus inde ad consulem factus omnium ferme iuniorum et pro se quisque nomina dabant; tanta
cupido erat sub eo duce stipendia faciendi. Qua circumfusus turba "quattuor milia" inquit, "peditum et
sescentos equites dumtaxat scribere in animo est; hodierno et crastino die qui nomina dederitis mecum
ducam. Maiori mihi curae est ut omnes locupletes reducam quam ut multis rem geram militi bus." profectus
apto exercitu et eo plus fiduciae ac spei gerente quod non desiderata multitudo erat, ad oppidum Aharnam,
unde haud procul hostes erant, ad castra Appi praetoris pergit. Paucis citra milibus lignatores ei cum
praesidio occurrunt; qui ut lictores praegredi uiderunt Fabiumque esse consulem accepere, laeti atque
alacres dis populoque Romano grates agunt quod eum sibi imperatorem misissent. Circumfusi deinde cum
consulem salutarent, quaerit Fabius quo pergerent, respondentibusque lignatum se ire, "ain tandem?" inquit,
"num castra uallata non habetis?" ad hoc cum succlamatum esset duplici quidem uallo et fossa et tamen in
ingenti metu esse, "habetis igitur" inquit, "adfatim lignorum; redite et uellite uallum". Redeunt in castra
terroremque ibi uellentes uallum et iis qui in castris remanserant militibus et ipsi Appio fecerunt; tum pro se
quisque alii aliis dicere consulis se Q. Fabi facere iussu. Postero inde die castra mota et Appius praetor
Romam dimissus. Inde nusquam statiua Romanis fuere. Negabat utile esse uno loco sedere exercitum;
itineribus ac mutatione locorum mobiliorem ac salubriorem esse; fiebant autem itinera quanta fieri sinebat
hiemps hauddum exacta. uere inde primo relicta secunda legione ad Clusium, quod Camars olim
appellabant, praepositoque castris L. Scipione pro praetore Romam ipse ad consultandum de bello rediit,
siue ipse sponte sua, quia bellum ei maius in conspectu erat quam quantum esse famae crediderat siue
senatus consulto accitus; nam in utrumque auctores sunt. Ab Ap. Claudio praetore retractum quidam uideri
uolunt, cum in senatu et apud populum, id quod per litteras adsidue fecerat, terrorem belli Etrusci augeret:
non suffecturum ducem unum nec exercitum unum aduersus quattuor populos; periculum esse, siue iuncti
unum premant siue diuersi gerant bellum, ne ad omnia simul obire unus non possit. Duas se ibi legiones
Romanas reliquisse et minus quinque milia peditum equitumque cum Fabio uenisse. Sibi placere P. Decium
consulem primo quoque tempore in Etruriam ad collegam proficisci, L. Volumnio Samnium prouinciam dari;
si consul malit in suam prouinciam ire, Volumnium in Etruriam ad consulem cum exercitu iusto consulari
proficisci. Cum magnam partem moueret oratio praetoris, P. Decium censuisse ferunt, ut omnia integra ac
libera Q. Fabio seruarentur, donec uel ipse, si per commodum rei publicae posset, Romam uenisset uel
aliquem ex legatis misisset, a quo disceret senatus quantum in Etruria belli esset quantisque
administrandum copiis et quot per duces esset.
Traduzione
25 Tutti i giovani si presentarono di corsa al console, arruolandosi ciascuno di sua spontanea volont?, tanto
grande era il desiderio di prestare servizio militare agli ordini di quel generale. Circondato da questa massa
di giovani, Fabio disse: ?Ho intenzione di arruolare soltanto 4.000 fanti e 600 cavalieri. Porter? con me
quanti daranno i loro nomi tra oggi e domani. A me preme pi? riportarvi in patria ricchi dal primo all'ultimo,
piuttosto che fare la guerra con molti soldati?. Partito con un esercito adatto alle esigenze del momento e
formato da uomini che erano tanto pi? fiduciosi e sicuri per il fatto che non era stata richiesta una grande
quantit? di uomini, si diresse in fretta al campo del pretore Appio, nei pressi della citt? di Aarna, che non
distava molto dalle posizioni nemiche. A poche miglia da quel punto si imbatt? in alcuni soldati usciti per far
legna con una scorta armata. Quando questi si videro venire incontro i littori e vennero a sapere che il
console era Fabio, ne furono felicissimi e ringraziarono gli d?i e il popolo romano per aver mandato loro quel
comandante. Mentre poi si accalcavano intorno al console per salutarlo, Fabio chiese loro dove fossero
diretti e, sentendo che andavano a raccogliere legna, disse loro: ?E allora? Il vostro campo non ? forse
circondato da una palizzata??. Quelli risposero all'unisono che il campo era s? circondato da una doppia
palizzata e da una doppia trincea, ma che ci? non ostante vivevano nel terrore. Fabio disse: ?Dunque legna
ne avete a iosa: tornatevene indietro e abbattete la palizzata?. Quelli rientrarono all'accampamento e si
misero ad abbattere la palizzata, suscitando sgomento tra gli uomini rimasti nel campo e Appio stesso, fino a
quando, passandosi parola l'uno con l'altro, fecero sapere di agire su ordine del console Quinto Fabio. Il
giorno dopo il campo venne spostato e il pretore Appio fu rispedito a Roma. Da quel momento i Romani non
posero un campo stabile da nessuna parte: l'idea di Fabio era che a nessun esercito giovasse lo star fermo,
e che anzi le marce e i cambiamenti di zona facessero acquistare in mobilit? e in salute. Le marce, tuttavia,
duravano quanto lo permetteva l'inverno non ancora concluso.All'inizio della primavera Fabio lasci? la
seconda legione a Chiusi - un tempo chiamata Camars - e, affidato l'accampamento a Lucio Scipione coi
gradi di propretore, rientr? a Roma per tenervi un consiglio di guerra. Questo sia che vi si fosse recato di sua
spontanea volont? dopo aver constatato di persona che la guerra era pi? delicata di quanto non lasciassero
intuire le notizie arrivate dal fronte, sia che fosse stato convocato da un decreto del senato: le fonti
riferiscono entrambe le versioni dei fatti. Secondo alcune a farlo convocare sarebbe stato il pretore Appio
Claudio, che di fronte al senato e al popolo esager? la gravit? del conflitto in Etruria, come per altro aveva
sempre fatto nelle sue relazioni dal fronte: sosteneva che per tener testa a quattro popoli non sarebbero
bastati un unico generale e un unico esercito. Sia che essi avessero fatto pressione con le forze congiunte,
sia che avessero gestito la guerra separatamente, c'era il rischio che un unico comandante non riuscisse a
far fronte contemporaneamente a tutti. Egli aveva lasciato laggi? due legioni romane, e agli ordini di Fabio
erano arrivati meno di 5.000 tra fanti e cavalieri. La sua idea era che il console Publio Decio raggiungesse
quanto prima il collega in Etruria, e che le operazioni nel Sannio venissero affidate a Lucio Volumnio. Se il
console preferiva recarsi sul fronte assegnatogli, allora era meglio che Volumnio partisse per l'Etruria e
raggiungesse il console con una regolare formazione consolare. A quanto pare, mentre il discorso del
pretore aveva convinto la maggior parte degli uomini, Publio Decio propose invece di lasciare piena libert?
operativa e strategica a Fabio, fino al giorno in cui si fosse presentato di persona a Roma (qualora fosse
stato in grado di farlo senza danneggiare il paese), oppure avesse inviato uno dei suoi luogotenenti, tramite
il quale il senato avrebbe potuto rendersi conto dell'effettiva gravit? della guerra in Etruria e di quanti uomini
e quanti comandanti fossero necessari per condurla.