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Brano : Ab urbe condita IV, 56
Autore : Livio
Originale
[56] Romae sicut plebis victoria fuit in eo ut quae mallent comitia haberent, ita euentu comitiorum patres
vicere; namque tribuni militum consulari potestate contra spem omnium tres patricii creati sunt, C. Iulius Iulus
P. Cornelius Cossus C. Seruilius Ahala. Artem adhibitam ferunt a patriciis, cuius eos Icilii tum quoque
insimulabant, quod turbam indignorum candidatorum intermiscendo dignis taedio sordium in quibusdam
insignium populum a plebeiis auertissent. Volscos deinde et Aequos, seu Caruentana arx retenta in spem
seu verrugine amissum praesidium ad iram cum impulisset, fama adfertur summa vi ad bellum coortos;
caput rerum Antiates esse; eorum legatos utriusque gentis populos circumisse, castigantes ignaviam quod
abditi intra muros populabundos in agris uagari Romanos priore anno et opprimi verruginis praesidium passi
essent. Iam non exercitus modo armatos sed colonias etiam in suos fines mitti; nec ipsos modo Romanos
sua divisa habere, sed Ferentinum etiam de se captum Hernicis donasse. Ad haec cum inflammarentur
animi, ut ad quosque ventum erat, numerus iuniorum conscribebatur. Ita omnium populorum iuventus Antium
contracta castris positis hostem opperiebantur. Quae ubi tumultu maiore etiam quam res erat nuntiantur
Romam, senatus extemplo, quod in rebus trepidis ultimum consilium erat, dictatorem dici iussit. Quam rem
aegre passos Iulium Corneliumque ferunt, magnoque certamine animorum rem actam, cum primores
patrum, nequiquam conquesti non esse in auctoritate senatus tribunos militum, postremo etiam tribunos
plebi appellarent et consulibus quoque ab ea potestate vim super tali re inhibitam referrent, tribuni plebi, laeti
discordia patrum nihil esse in se iis auxilii dicerent, quibus non civium, non denique hominum numero
essent: si quando promiscui honores, communicata res publica esset, tum se animadversuros ne qua
superbia magistratuum inrita senatus consulta essent: interim patricii soluti legum magistratuumque viverent
verecundia, per se quoque tribuni agerent.
Traduzione
56 A Roma, la vittoria della plebe era consistita nell'ottenere le elezioni che preferiva, ma da queste elezioni
uscirono vincitori i patrizi. Infatti, contrariamente a ogni previsione, furono eletti tribuni militari con potere
consolare Gaio Giulio Iulo, Publio Cornelio Cosso e Gaio Servilio Aala, tutti e tre patrizi. Pare che i patrizi
fossero ricorsi a un espediente del quale gi? allora gli Icili li accusavano: mescolando a quelli degni molti
candidati indegni avrebbero finito per allontanare dai candidati plebei il popolo, disgustato dalle infamanti
bassezze di alcuni di loro. In s?guito si diffuse la notizia che Volsci ed Equi - vuoi indotti a sperare
dall'efficace difesa di Carvento, vuoi infuriati per la perdita del presidio armato di Verrugine - si stavano
impegnando con tutte le forze alla guerra. A capo della coalizione armata c'erano gli Anziati; i loro
ambasciatori avevano fatto la spola tra i popoli di entrambe le nazioni, rinfacciando loro la vilt? dell'anno
precedente, quando, rinchiusi fra le mura, avevano permesso che i Romani scorrazzassero per le campagne
a far razzie e che fosse annientato il presidio di Verrugine. Ora, dicevano, non solo i Romani mandavano
truppe in armi nei loro territori ma perfino coloni. E i Romani non solo si tenevano, dopo averlo spartito,
quanto era di loro propriet?, ma avevano anche regalato Ferentino agli Ernici, dopo averla strappata ai
Volsci. Siccome questi discorsi accendevano gli animi, l? dove arrivavano gli inviati moltissimi giovani si
arruolavano. La giovent? di tutti quei popoli si radun? ad Anzio, dove venne posto l'accampamento in attesa
che arrivasse il nemico. Quando queste notizie giunsero a Roma, suscitando pi? allarme del dovuto, il
senato s?bito ordin? di nominare un dittatore, misura estrema alla quale si ricorreva in circostanze critiche.
Dicono che Giulio e Cornelio abbiano sopportato di mal animo questa decisione; la cosa fu discussa
animatamente: i patrizi pi? autorevoli, dopo essersi invano lamentati perch? i tribuni militari non si
assoggettavano all'autorit? del senato, alla fine fecero appello ai tribuni della plebe, ricordando che in casi
analoghi la loro autorit? aveva frenato l'ardore dei consoli. I tribuni, felici della discordia tra i senatori,
dicevano di non avere alcun aiuto da dare a chi non li considerava nel novero dei cittadini, n? in quello degli
uomini. Se un giorno le magistrature fossero state aperte a tutti, garantendo cos? anche ai plebei di
partecipare alla cosa pubblica, allora avrebbero vigilato perch? i decreti senatoriali non divenissero vani per
la prepotenza dei magistrati. Nel frattempo i patrizi, liberi dal rispetto per le leggi e i magistrati, esercitassero
da soli anche il potere tribunizio.