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Brano : Ab urbe condita IV, 3
Autore : Livio
Originale
[3] Cum maxime haec in senatu agerentur, Canuleius pro legibus suis et adversus consules ita disseruit:
"Quanto opere vos, Quirites, contemnerent patres, quam indignos ducerent qui una secum urbe intra eadem
moenia viveretis, saepe equidem et ante videor animadvertisse, nunc tamen maxime quod adeo atroces in
has rogationes nostras coorti sunt, quibus quid aliud quam admonemus ciues nos eorum esse et, si non
easdem opes habere, eandem tamen patriam incolere? Altera conubium petimus, quod finitimis externisque
dari solet; nos quidem civitatem, quae plus quam conubium est, hostibus etiam victis dedimus;?altera nihil
novi ferimus, sed id quod populi est repetimus atque usurpamus, ut quibus velit populus Romanus honores
mandet. Quid tandem est cur caelum ac terras misceant, cur in me impetus modo paene in senatu sit factus,
negent se manibus temperaturos, violaturosque denuntient sacrosanctam potestatem? Si populo Romano
liberum suffragium datur, ut quibus velit consulatum mandet, et non praeciditur spes plebeio quoque, si
dignus summo honore erit, apiscendi summi honoris, stare urbs haec non poterit? De imperio actum est? Et
perinde hoc valet, plebeiusne consul fiat, tamquam seruum aut libertinum aliquis consulem futurum dicat?
Ecquid sentitis in quanto contemptu vivatis? Lucis vobis huius partem, si liceat, adimant; quod spiratis, quod
vocem mittitis, quod formas hominum habetis, indignantur; quin etiam, si dis placet, nefas aiunt esse
consulem plebeium fieri. Obsecro vos, si non ad fastos, non ad commentarios pontificum admittimur, ne ea
quidem scimus quae omnes peregrini etiam sciunt, consules in locum regum successisse nec aut iuris aut
maiestatis quicquam habere quod non in regibus ante fuerit? En unquam creditis fando auditum esse,
Numam Pompilium, non modo non patricium sed ne ciuem quidem Romanum, ex Sabino agro accitum,
populi iussu, patribus auctoribus Romae regnasse? L. deinde Tarquinium, non Romanae modo sed ne
Italicae quidem gentis, Demarati Corinthii filium, incolam ab Tarquiniis, vivis liberis Anci, regem factum? Ser.
Tullium post hunc, captiua Corniculana natum, patre nullo, matre serua, ingenio, virtute regnum tenuisse?
Quid enim de T. Tatio Sabino dicam, quem ipse Romulus, parens urbis, in societatem regni accepit? Ergo
dum nullum fastiditur genus in quo eniteret virtus, creuit imperium Romanum. Paeniteat nunc vos plebeii
consulis, cum maiores nostri advenas reges non fastidierint, et ne regibus quidem exactis clausa urbs fuerit
peregrinae virtuti? Claudiam certe gentem post reges exactos ex Sabinis non in civitatem modo accepimus
sed etiam in patriciorum numerum. Ex peregrinone patricius, deinde consul fiat, civis Romanus si sit ex
plebe, praecisa consulatus spes erit? Utrum tandem non credimus fieri posse, ut vir fortis ac strenuus, pace
belloque bonus, ex plebe sit, Numae, L. Tarquinio, Ser. Tullio similis, an, ne si sit quidem, ad gubernacula rei
publicae accedere eum patiemur, potiusque decemviris, taeterrimis mortalium, qui tum omnes ex patribus
erant, quam optimis regum, novis hominibus, similes consules sumus habituri?
Traduzione
3 Proprio mentre in senato era in pieno svolgimento il dibattito su questi temi, Canuleio pronunci? questo
discorso in difesa delle sue proposte di legge e contro i consoli: ?Quanto i patrizi vi odino, o Quiriti, e come vi
considerino indegni di vivere accanto a loro all'interno delle mura di una stessa citt?, a esser sincero mi
sembra di averlo gi? rilevato pi? volte in passato. E ora pi? che mai, poich? i patrizi dimostrano un livore
senza precedenti nei confronti delle nostre proposte di legge; ma noi cosa facciamo con esse se non
avvertirli che siamo loro concittadini e che, pur non avendo pari ricchezze, abitiamo nella medesima patria?
Con uno dei provvedimenti chiediamo il diritto a quel matrimonio che si suole concedere ai popoli confinanti
e agli stranieri; noi abbiamo assicurato anche ai nemici vinti la cittadinanza, che ? ben pi? del diritto al
matrimonio. Con il secondo non chiediamo nulla di nuovo, ma ci limitiamo a esigere e rivendicare un diritto
del popolo, e cio? che il popolo romano possa eleggere i candidati che preferisce. Ma allora per quali ragioni
i patrizi hanno deciso di mettere sottosopra cielo e terra? E perch? mai poco fa io sono stato quasi assalito
in senato? Perch? hanno dichiarato di non voler limitare il ricorso alla forza, minacciando di violare la nostra
sacrosanta autorit?? Se al popolo romano fosse garantita la libert? di voto, cos? che possa affidare il
consolato a chi desidera, e se anche il plebeo non fosse privato della speranza di assurgere ai massimi
onori - qualora ne fosse degno -, credete che la stabilit? di questo nostro paese risulterebbe compromessa?
? la fine per lo Stato romano? Che un plebeo possa diventare console, equivale forse a dire che un console
diventer? un liberto o un servo? Ma vi rendete conto in mezzo a quanto disprezzo vivete? Se solo potessero,
vi porterebbero via anche parte della luce del giorno! Non sopportano che respiriate, che parliate e che
abbiate forma umana, e arrivano - pensate un po'! - a definire sacrilega l'elezione di un console plebeo. Ora,
ditemi, anche se noi del popolo non siamo ammessi alla consultazione dei Fasti e dei libri tenuti dai pontefici,
forse per questo ignoriamo quello che anche gli stranieri sanno, e cio? che i consoli presero il posto dei re e
che non hanno alcun diritto o autorit? che non siano gi? stati dei re? Pensate che nessuno abbia sentito
parlare di Numa Pompilio, che, pur non essendo patrizio e nemmeno cittadino romano, fu chiamato dalle
campagne della Sabina per volont? del popolo e regn? su Roma col beneplacito dell'aristocrazia? Oppure
che in s?guito Lucio Tarquinio, il quale non apparteneva a una stirpe romana n? italica, figlio di Demarato di
Corinto e immigrato da Tarquinia, fu eletto re, anche se i figli di Anco erano ancora vivi? O che dopo di lui
Servio Tullio, figlio di una prigioniera di Cornicolo, di padre ignoto e con una schiava per madre, riusc? a
reggere il regno grazie soltanto al suo ingegno e al suo valore? Per non parlare di Tito Tazio, associato al
potere da Romolo in persona, il padre di questa citt?! Quando non si disdegnava alcuna stirpe nella quale
brillasse qualche virt?, la potenza di Roma continu? a crescere. E ora non dovrebbe andarvi a genio un
console plebeo, quando i nostri antenati non rifiutarono re venuti da fuori e neppure dopo la cacciata dei re
la citt? chiuse le porte alla virt? straniera? Prendete la famiglia Claudia che veniva dai Sabini: dopo la
cacciata dei re, non solo l'abbiamo accolta in citt?, ma l'abbiamo anche inclusa nel novero dei patrizi.
Dunque uno straniero pu? diventare prima patrizio e poi console, e invece un cittadino romano, se proviene
dalla plebe, sar? privato della speranza di arrivare al consolato? Dobbiamo forse ritenere impossibile che un
uomo forte e coraggioso in pace e in guerra, simile a Numa, a Lucio Tarquinio e a Servio Tullio, sia di
estrazione plebea? Oppure, se ve ne fosse uno, gli impediremo di arrivare al timone dello Stato e dovremo
avere consoli simili ai decemviri - i pi? turpi tra gli uomini, pur provenendo tutti dai patrizi -, invece che simili
ai migliori tra i re, anche se venuti dal nulla?