841096134 La doppia legalità: stato e sistema clientelare Se il ruolo attribuito ai partiti nella nuova democrazia rappresentò un progresso nella vita politica del paese, la mancanza d’alternanza politica dette vita in Italia a degenerazioni dei partiti di governo. Partiti di massa e democrazia Tra le novità più rilevanti introdotte dalla Costituzione italiana vi fu il riconoscimento dei partiti come strumenti di organizzazione del consenso e di selezione delle classi dirigenti. Si realizzò così anche in Italia il processo di istituzionalizzazione dei grandi partiti di massa che si era avviato in Europa già agli inizi del secolo e che aveva conosciuto una sua accelerazione, seppur distorta, durante il fascismo, quando il PNF divenne di fatto un organismo costituzionale. Nella nuova repubblica al centro del sistema politico si collocarono i grandi partiti di massa antifascisti che avevano diretto la Resistenza e che avevano raccolto alle elezioni per la Costituente del 1946 un consenso plebiscitario da parte dell’opinione pubblica, ribadito poi nelle successive tornate elettorali. Il parlamento diventava così il luogo di scontro e di mediazione tra i partiti, piuttosto che la sede di confronto di eletti del popolo dotati di un mandato specifico e diretto; anzi, attraverso il sistema elettorale proporzionale i cittadini erano chiamati a votare per candidati scelti dai partiti ed espressione dei loro programmi e della loro ideologia. A questi partiti e ai loro eletti venivano di fatto delegate la formazione dei governi e la gestione della cosa pubblica. Da questo punto di vista i processi che portarono i grandi partiti di massa a diventare il perno della vita politica italiana non differiscono da quelli in corso negli altri paesi europei, o che si erano già verificati in nazioni politicamente più avanzate della nostra. L’anomalia del caso italiano: il partito-stato Il governo fondato sui partiti presenta però, nel caso italiano, alcune anomalie che non emersero immediatamente e che i costituenti non riuscirono a prevedere. La prima anomalia riguarda la modesta discontinuità che il nuovo regime, egemonizzato dalle forze moderate e conservatrici, introdusse rispetto al fascismo. La seconda, grave anomalia del sistema politico italiano è stata la mancanza di alternanza tra forze politiche differenti alla guida del governo, che ha favorito l’affermazione di una sorta di democrazia “bloccata” attorno al nuovo partito-stato, la Democrazia cristiana. Il peso rappresentato dallo stato nel sistema economico accentuò questa distorsione: allo stato facevano capo infatti l’intero sistema bancario, interi comparti produttivi come l’energia, la cantieristica e la siderurgia, tramite l’Iri e l’Eni; gli enti della riforma agraria, la Cassa per il Mezzogiorno, attraverso cui passavano i finanziamenti per le attività economiche del sud. La DC e i partiti alleati si trovarono così a gestire un fiume di denaro pubblico, assumendo il ruolo di mediatori tra le istituzioni, con le quali progressivamente si identificarono, e la società civile. I partiti come mediatori fra stato e cittadini Questo ruolo dei partiti come mediatori tra lo stato e i cittadini, soprattutto nella distribuzione delle risorse economiche, si innescò su consuetudini clientelari che già in passato caratterizzarono in Italia i rapporti fra società politica e società civile. Ma che cos’è il clientelismo? Se si analizzano l’organizzazione sociale e i rapporti politici presenti nelle campagne italiane agli inizi del Novecento, il clientelismo appare come il sistema attraverso cui i proprietari fondiari, che detenevano anche il potere politico locale, mediavano i rapporti fra lo stato e le classi subalterne, fra la periferia e il centro: in cambio del potere politico locale, il notabilato, attraverso la “raccomandazione”, il “favore”, la catena delle “amicizie”, trasformatisi in seguito nell’appartenenza al partito di governo, riusciva a garantire “protezioni”, a tutelare gli scarsi diritti dei contadini poveri, a metterli in contatto con gli uffici e la burocrazia pubblica. Il clientelismo, in 1 841096134 sostanza, costituiva la corposa sopravvivenza nello stato moderno e nella società industriale di dinamiche sociali e forme di relazioni di ascendenza contadina e feudale, che allignavano laddove la società rurale era più arretrata ed estranea ai nuovi circuiti dell’economia di mercato. Va messo in evidenza che attraverso le pratiche clientelari si veniva realizzando una forma distorta di integrazione delle masse contadine nello stato. Contro questa “integrazione disorganica” su cui era cresciuto lungo il corso dei decenni postunitari il potere di un ceto politico consolidato, lo stato liberale e poi lo stesso fascismo non erano riusciti a porre un processo di integrazione sociale organico, promosso direttamente dello stato e capace di legittimare, agli occhi dei contadini e delle classi popolari urbane, l’autorità pubblica e il potere statale. In intere regioni del paese la società era sottoposta una doppia legalità: quella delle clientele notabiliari, in grado spesso d’imporsi con la forza, grazie al sostegno di organizzazioni criminali parallele, dalla mafia alla camorra; e quella, più debole e spesso connivente con la prima, dello stato di diritto. Il risultato è stato il permanere di una vita politica arcaica e asfittica, nella quale non sono riusciti a strutturarsi, come nelle regioni più avanzate e moderne, sistemi collettivi di organizzazione degli interessi, come i sindacati, le cooperative o le associazioni di categoria e professionali, né forme di articolazione della vita politica basate su forti solidarietà ideali come i partiti politici di massa, in grado non solo di orientare il consenso dell’opinione pubblica, ma soprattutto di legittimare lo stato e l’autorità politica. 2