Dal "FORUM LATERZA" del relativo sito Web della casa editrice, riportiamo un estratto dell'intervento di Ralf Dahrendorf che risponde a Marcello Veneziani, autore del pamphlet "Comunitari o liberal. La prossima alternativa?". (...) Che cosa possiamo dire allora a proposito delle tendenze politiche nel mondo sviluppato? In gran parte, le conclusioni che si possono formulare toccano non tanto i partiti quanto le politiche. Con una generalizzazione molto approssimativa, potrei dire che nella metà degli anni Settanta molti paesi sviluppati avevano raggiunto un punto di grande rigidità. Mancur Olson in realtà era convinto che fossero ormai condannati. Un circuito di alta tassazione, di elevata spesa pubblica statale, di scarsa iniziativa imprenditoriale, di generosa ma insostenibile sicurezza sociale portarono alla stagflazione sul piano economico e al corporativismo sul piano politico. Poi -misteriosamente, in un certo qual modo - arrivò la «rivoluzione» Reagan-Thatcher. Che non dappertutto raggiunse punte estreme come negli Stati Uniti e in Gran Bretagna; senza troppo rumore, Craxi in Italia, Lambsdorff in Germania, «Mitterrand deux» in Francia e altri altrove riuscirono a spezzare le strutture rigide e a dar vita a un certo entusiasmo sul versante dell'offerta. In congiunzione con gli sviluppi tecnologici, e con la rivoluzione del 1989 che ha segnato la fine non soltanto del comunismo ma anche del socialismo, questo ha prodotto quel processo che viene spesso indicato col termine «globalizzazione». Ma a distanza di un decennio e mezzo, sul finire degli anni Novanta, il pendolo ha cominciato a tornare indietro. La vecchia fede nell'uguaglianza è morta, e la nuova libertà è bella - ma che dire della fraternità? (Forse è questo che Lei intende con la contrapposizione fra opzione comunitaria e opzione liberal.) Il nuovo stato d'animo di fondo - quello che io chiamo «oltre della globalizzazione», ha guadagnato terreno. In altre parole, alla pronta disponibilità ad affrontare le nuove sfide si è accompagnato il desiderio di ammorbidirle con una nuova insistenza sull'inclusione sociale e la solidarietà. (...) Quando penso a nuove spaccature con possibili conseguenze politiche, sono molto più colpito dalla baldanza e dal successo della «classe globale» di coloro che beneficiano del «rischio società» (e dei loro molti scagnozzi). Essi hanno lasciato indietro un'altra categoria - una classe? - di quelli che non riescono a partecipare ai vantaggi della nuova economia. Molti di questi ultimi si trovano nel vecchio settore pubblico, com'è il caso degli insegnanti, degli impiegati postali e degli infermieri. Tutti questi desidererebbero recuperare, se non il loro vecchio status, almeno la loro antica sicurezza, mentre la classe globale esalta le virtù del rischio e della flessibilità. Questa differenza potrebbe essere senz'altro alla base di alcuni degli attuali conflitti politici, e potrebbe essere una delle ragioni della sorprendente forza di una «sinistra» degli interessi garantiti che non è fornita dai proponenti della «terza via». (...) Uno dei principali punti al centro della mia attenzione in questi giorni è il fatto che il «nuovo centro» ha voglia di autoritarismo. Esso ama pensare a se stesso come a un governo permanente, e di conseguenza non si dispiace molto dell'apatia diffusa. Non si preoccupa più di tanto del tradizionale governo rappresentativo, dello scontro dei partiti e del dibattito parlamentare, ma preferisce rivolgersi direttamente «al popolo», preferibilmente con dei referendum nonché con «gruppi d'opinione» o cittadini rappresentativi in termini di tecniche demoscopiche. Una simile individualizzazione della società civile indebolisce i controlli democratici e a poco a poco erode lo stesso principio democratico; ma la gente sembra gradire questa situazione, o comunque accettarla. Per le menti liberali, la prossima battaglia sarà l'affermazione del principio della democrazia contro tendenze del genere. È facile immaginare che questo non lo si potrà fare ricreando la politica stile Westminster. Probabilmente, un sistema presidenziale è più appropriato in assenza di partiti politici su base sociale. Ma se un sistema del genere verrà adottato, dovrà essere sul modello americano, non francese. In altre parole, l'altra metà del sistema presidenziale dev'essere un forte Congresso, un parlamento capace di esprimere la confusa e disorientante varietà delle opinioni della popolazione, ma capace anche di agire efficacemente sulla legislazione e nel controllo dell'esecutivo. Evviva l'apparentemente infinita adattabilità della Costituzione americana! (...) Ralf Dahrendorf