3 - salesiani don Bosco

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Omelie per un anno
Volume 2 - Anno “B”
Anno “B”
27ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
 Gn 2,18-24 - I due saranno una sola carne.
 Salmo 127 - Rit.: Ci benedica il Signore, fonte della vita.
 Eb 2,9-11 - Colui che santifica e coloro che sono santificati
provengono tutti da una stessa origine.
 Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Se ci amiamo a vicenda, Dio
è in noi, e la sua carità in noi è perfetta. Alleluia.
 Mc 10,2-16 - L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto.
Matrimonio e famiglia
Oggi la parola di Dio c’invita a riflettere su una realtà che tocca
profondamente credenti e non credenti: la famiglia, che ha per
fondamento il matrimonio. E come “la fede”, secondo il Concilio,
“tutto rischiara d’una luce nuova e rivela le intenzioni di Dio sulla
vocazione integrale dell’uomo” (Gaudium et Spes, 11), così essa
insegna al cristiano come vedere e come vivere il matrimonio e la
famiglia secondo il disegno di Dio.
Un quadretto idillico
È quello che ci è presentato dal salmo responsoriale: una famiglia
dove si teme e si ama il Signore, ci si guadagna il pane col lavoro,
dove lo sposo e la sposa vivono in dolce armonia, allietati da una
corona di figli che crescono felici. Utopia? Nostalgico ricordo di tempi
passati, in un’epoca in cui la famiglia si va sempre più sfasciando
sotto i colpi, per alcuni di preoccupazioni per il lavoro che manca o
che disumanizza, per l’alloggio inadatto, per l’isolamento a cui si è
condannati in mezzo alla folla anonima, mentre per altri è il denaro
(spesso di dubbia provenienza) che allontana genitori e figli dal
focolare domestico alla ricerca di svaghi tutt’altro che innocenti, di
facili avventure, fino allo sgretolamento d’una famiglia, talvolta
ufficializzato dal divorzio, altre volte coperto per salvare le
apparenze? Che queste cose avvengano, e non in via eccezionale,
bisognerebbe essere ciechi per non vederlo; ma che non ci siano
27ª domenica del Tempo Ordinario “B” • © Elledici, Leumann 2005
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famiglie sane, dove si vive nella concordia e nella pace, potrebbe
affermarlo solo un pessimista di mestiere, quando non lo dice chi
cerca una scusa per un fallimento di cui dovrebbe riconoscersi
responsabile.
“Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie”. È il
preambolo alla descrizione della famiglia felice. Che vuol dire
camminare nelle vie del Signore? Rispettare il suo disegno, che ci
viene presentato nella 1ª lettura e nel Vangelo. I farisei, ponendo a
Gesù quella domanda: “È lecito ad un marito ripudiare la propria
moglie?”, ci hanno reso, senza saperlo, un servizio prezioso. Essi non
ignoravano la parola con cui si chiude, nella Genesi, il racconto della
creazione della donna, riassumendo l’insegnamento pratico che
emerge dal racconto stesso (da non prendersi alla lettera in tutti i
particolari): “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre
e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”. Dunque il
matrimonio, secondo il disegno primitivo di Dio, è monogamico e
indissolubile. Come possono separarsi coloro che sono “una sola
carne”?
“L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto”
D’altra parte i farisei si facevano forti d’una concessione fatta da
Mosè, secondo cui il marito (per motivi sui quali i rabbini non erano
d’accordo) poteva rimandare la moglie rilasciandole un certificato di
ripudio. Gesù chiarisce il senso di quella disposizione: non è un
comandamento di Dio, ma una concessione dovuta alla durezza di
cuore degli Israeliti, concessione che egli, venuto a compiere e
perfezionare la legge (cf Mt 5,27), abolisce decisamente, rimettendo
in pieno vigore ciò che Dio aveva stabilito “all’inizio della creazione”.
Perciò, riportate le parole del racconto già citato, conchiude: “L’uomo
dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”. Tutte le obiezioni
portate contro l’indissolubilità del matrimonio – e in questi ultimi anni
sappiamo quanto s’è detto e scritto per esaltare e invocare il divorzio
come conquista di civiltà! – s’infrangono, per chi vuol essere
cristiano, contro l’insegnamento preciso e deciso dell’unico Maestro.
Nel passo della Genesi a cui Gesù si riferisce c’è qualcosa di più che
una norma di legge: “L’aspetto della coppia umana” che il “narratore
iahvista..., un sapiente che può aver scritto nel X secolo...
presentando la coppia perfetta delle origini, mette particolarmente in
rilievo, è il mutuo attaccamento dei due compagni, uomo e donna, i
quali hanno la medesima natura e uguale dignità” (P. Grelot). A ogni
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modo il matrimonio monogamico e indissolubile costituisce la base
della famiglia proposta a modello dal salmo. Ma, come già s’è detto, a
condizione che la famiglia cammini nella fede, nel timore e nell’amore
di Dio Creatore e Padre.
“Lasciate che i bambini vengano a me”
Anche se non si può affermare un legame intenzionale, da parte
dell’evangelista, tra la risposta sul matrimonio e l’episodio dei
bambini, una riflessione viene spontanea. L’unione fra l’uomo e la
donna raggiunge la sua pienezza, a cui aspira ogni coppia che non sia
fuorviata da pregiudizi suggeriti dall’egoismo, quando intorno alla
mensa crescono i figli “come virgulti d’olivo”. Qui e altrove la Bibbia
vede nei figli la benedizione di Dio; così i coniugi cristiani consapevoli
della loro vocazione e della responsabilità che assumono chiamando
alla vita nuove creature. Essi, che, secondo l’insegnamento del
Concilio, sono “cooperatori dell’amore di Dio Creatore..., adempiranno
il loro dovere con umana e cristiana responsabilità, e con docile
riverenza verso Dio, con riflessione e impegno comune si formeranno
un retto giudizio, tenendo conto sia del proprio bene personale che di
quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede
nasceranno, valutando le condizioni di vita del proprio tempo e del
proprio stato di vita, tanto nel loro aspetto materiale, che spirituale;
e, infine, salvaguardando la scelta dei valori dei beni della comunità
familiare, della società temporale e della Chiesa. Questo giudizio in
ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi”,
sempre “retti da una coscienza che si deve conformare alla legge
divina stessa, docili al magistero della Chiesa, che in modo autentico
quella legge interpreta alla luce del Vangelo” (Gaudium et Spes, 50).
Gesù, fratello e salvatore di tutti, rimprovera chi vuole allontanare da
lui i bambini: come non pensare al laicismo dilagante che, sotto il
pretesto di non influenzarli indebitamente, impedisce l’educazione
religiosa dei bambini, meritando l’indignazione di Gesù? Si rendono
conto i genitori e le comunità cristiane del dovere di condurre i piccoli
a Gesù?
In deciso contrasto con il comportamento dei discepoli, Gesù
“prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li
benediceva”. Grande lezione per chi vuol agire secondo il suo spirito
nella famiglia, nella parrocchia, nella scuola, sempre rispettando gli
orientamenti di chi non riconosce nell’esempio e nella parola di Gesù
la norma della vita: “A chi è come loro appartiene il regno di Dio”. I
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bambini non possono far nulla per entrare nel regno di Dio. Questo è
un dono da accogliere con umiltà e riconoscenza. Il bambino è
semplice, si affida ai genitori e a chi sa e può più di lui (non sempre
con la docilità che vorrebbero i grandi...). Si direbbe che Gesù inverta
i termini consueti del processo educativo: anziché proporre gli adulti
come esempio ai piccoli (buon esempio che è dovere), qui chiede a
tutti di accogliere il regno di Dio con l’animo del bambino. È una
sferzata all’orgoglio di chi non riconosce che davanti a Dio tutti siamo
così piccoli...
Ciò che la parola di Dio c’insegna sulla grande realtà della famiglia
deve essere sempre presente, come luce al pensiero e guida nel
comportamento pratico, alle nostre comunità.
“Perfetto mediante la sofferenza”
Così s. Giovanni Crisostomo commenta la 2ª lettura: “Vedi quant’è
grande il frutto della croce? Non ti spaventi: all’apparenza è cosa
triste, ma apportatrice di beni innumerevoli. Si mostra qui l’utilità
della prova”. Come Cristo ha sperimentato in sé “la morte a
vantaggio di tutti”, noi siamo certi che la sofferenza e la morte non
saranno inutili per noi e, nella comunione dei santi, per i nostri
fratelli.
Ricordando la morte che ha sofferto lui, ci disponiamo a partecipare
consapevolmente e attivamente alla liturgia eucaristica. Essa è il
“memoriale” della passione, morte e risurrezione del Signore, del
sacrificio offerto da lui per gli uomini come sommo ed eterno
Sacerdote della nuova legge. Egli ha provato “la morte a vantaggio di
tutti”, per condurci alla salvezza, per portarci alla gloria, lui nostro
capo e nostra guida.
Così sarà di noi se con fede attingeremo a questa fonte di grazia, se,
rispondendo al suo invito, prenderemo parte alla Cena in cui egli ci dà
il pane di vita, il suo corpo immolato per noi.
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