Il 1914 Eventi politici e militari

Con questo nome è nota la dodicesima battaglia dell'Isonzo, svoltasi tra il 24 ottobre e i primi di novembre del
1917, che fu per l'esercito italiano il più grave rovescio della prima guerra mondiale. Con l'appoggio di numerose
artiglierie, valendosi anche di forze richiamate dal fronte russo, dove le operazioni ristagnavano a causa della
Rivoluzione, all'alba del 24 ottobre otto divisioni austriache e sette germaniche (formanti la 14ª armata al
comando del generale tedesco von Below), iniziarono l'attacco alle linee italiane della conca di Plezzo, sull'ala
sinistra della 2ª armata (generale Capello). Le truppe degli Imperi centrali, favorite inizialmente dalla nebbia e
dall'uso di gas asfissianti, travolsero rapidamente le forze italiane, avanzando su Udine. Il morale dei 700.000
soldati della 2ª armata, poco saldo ormai per le lunghe permanenze in trincea senza avvicendamenti e per i forti
sacrifici di sangue subiti nelle precedenti battaglie dell'Isonzo, cedette di schianto provocando una disordinata
ritirata. L'interruzione dei già insufficienti collegamenti tra unità di linea e artiglieria, causata dall'infiltrazione
nemica a cui non si seppe o non si poté immediatamente porre riparo, permise agli Austro-Tedeschi la conquista
dei monti dominanti il fondovalle dove, sia pure senza alcuna coordinazione, unità italiane ancora si difendevano
con tenacia. Date poi le condizioni del fronte, disteso lungo un ampio semicerchio, la manovra nemica venne a
costituire un gravissimo pericolo per tutto l'esercito italiano. Giunti quindi gli Austro- Tedeschi a Cividale (27
ottobre), tutto il fronte dovette ripiegare, compresa la 3ª armata, mentre invano reparti di cavalleria tentavano di
ritardare l'avanzata nemica e di proteggere lo schieramento in ritirata. Solo con enorme sacrificio, dopo una
prima sosta al Tagliamento, si poté definitivamente arrestare il nemico sulla linea Grappa-Piave.
Le perdite italiane furono di 265.000 prigionieri, 30.000 feriti e 10.000 morti, senza contare il materiale bellico,
l'artiglieria (3.200 cannoni e 1.700 bombarde) e i depositi di viveri ed equipaggiamento abbandonati durante la
ritirata. All'interno del paese rifluirono inoltre 350.000 sbandati che dovettero venire faticosamente riorganizzati.
Tutto ciò annullò i risultati di due anni di lotte vittoriose sostenute dall'esercito italiano e portò come prima
conseguenza la sostituzione del generale Cadorna, comandante supremo, con il generale Diaz. Nel 1918, poi, a
stabilire le varie responsabilità, fu creata una commissione d'inchiesta, presieduta dal generale Caneva, che
concluse indicando, fra le cause della sconfitta, l'eccessiva autonomia lasciata alla 2ª armata che aveva insistito
in sterili piani offensivi; la deficienza di riserve e di un piano difensivo in profondità elaborato dallo SM; le
divergenze strategiche e tattiche fra il generale Cadorna e il generale Capello. Furono pure messe in rilievo,
contro l'accusa fatta alle truppe italiane di non essersi battute, le difficili condizioni morali in cui esse si trovavano
dopo ventinove mesi di lotta, condotta con il metodo logorante degli attacchi frontali. Sulla battaglia di Caporetto
fu scritto moltissimo, dal punto di vista politico, storico e militare: ne trattarono anche romanzieri, fra cui E.
Hemingway, con il discusso Addio alle armi (1929), e R. Bacchelli in un episodio della Città degli amanti (1929).
Il nome è entrato nel linguaggio comune come s.f. a significare grave sconfitta, disfatta.
Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000 - Copyright RCS Libri S.P.A.
Guerra mondiale (prima),
La guerra che scoppiò nel 1914 fu un avvenimento nuovo nella storia dell'umanità, perché fu la prima guerra
generale “mondiale” che vide lo scontro di tutti i grandi Stati, i quali impegnarono le capacità produttive
dell'industria moderna e le risorse della tecnica per preparare strumenti di offesa e di difesa. Fu una guerra di
massa, combattuta per terra, per mare e nell'aria con impiego di armi mai prima usate, e con il ricorso a nuovi
mezzi di lotta economica e anche psicologica. Venne combattuta dai belligeranti fino all'esaurimento e al crollo, e
finì con l'apportare radicali sconvolgimenti anche all'economia internazionale, aprendo così la via a ripercussioni
e conseguenze che durarono a lungo anche nel dopoguerra.
Il 1914 Eventi politici e militari
Causa occasionale della guerra fu l'assassinio dell'arciduca ereditario d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando
e della consorte, avvenuto a Sarajevo il 28 giugno 1914. L'Austria, d'accordo con la Germania, attribuendo al
governo serbo la responsabilità dell'eccidio, indirizzò a Belgrado il 23 luglio un ultimatum con richieste
inaccettabili.
La risposta serba all'ultimatum (25 luglio), conciliante ma accompagnata dalla mobilitazione generale, non
accontentò l'Austria che dichiarò guerra alla Serbia (28 luglio) prima che fosse accolta una proposta di
mediazione presentata dall'Inghilterra (26 luglio). Nei giorni seguenti, il meccanismo degli accordi internazionali
portò a una rapida generalizzazione del conflitto. Dopo le mobilitazioni russa e austriaca, la Germania dichiarò
guerra alla Russia (1º agosto alle ore 19,10) e alla Francia (3 agosto alle ore 18,45). A sua volta la violazione
della neutralità del Belgio e del Lussemburgo da parte delle truppe tedesche, vincendo le ultime esitazioni inglesi,
provocò la dichiarazione di guerra della Gran Bretagna alla Germania (4 agosto).
I belligeranti del 1914 compresero dunque: da una parte, la Germania e l'Austria – Ungheria; dall'altra, la Serbia,
il Montenegro, la Russia, la Francia, il Belgio e l'Inghilterra, cui si aggiunsero il Giappone (23 agosto), alleato
dell'Inghilterra e che sperava di impadronirsi delle posizioni tedesche in Estremo Oriente. Dichiararono invece la
loro neutralità, deludendo gli Imperi centrali, l'Italia (3 agosto) e la Romania. In particolare l'Italia, legata alla
Germania e all'Austria - Ungheria dalla Triplice alleanza, giustificò il suo atteggiamento con la mancata
consultazione da parte degli Alleati e con il carattere aggressivo della guerra. La Germania riuscì però a ottenere
l'alleanza della Turchia.
Negli ultimi mesi del 1914, i belligeranti si preoccuparono soprattutto di sviluppare uno sforzo economico
adeguato alle esigenze del logoramento di materiali emerse dalle prime battaglie, a detrimento, talora, dell'azione
diplomatica e della ricerca di nuove alleanze. Alcuni paesi, d'altra parte, si trovavano alle prese con difficili
problemi interni, resi ancora più complicati dalla guerra. Così pure l'inizio della guerra non permise all'opinione
pubblica di misurare l'importanza di fatti rilevanti come l'apertura del canale di Panama (agosto) e l'elezione di
papa Benedetto XV, successore di Pio X (settembre). A Londra, Francia, Inghilterra e Russia firmarono il 5
settembre un trattato di mutua assistenza.
L'iniziativa strategica fu presa dal comando militare tedesco che in pratica controllava quello di Vienna, mentre
nell'altro campo non esistevano né direzione di guerra comune né, tanto meno, comando unico. Il piano che il
generale von Moltke aveva ereditato dal suo predecessore von Schlieffen affidava alle deboli forze presenti nella
Prussia Orientale e agli Austro-Ungarici l'incarico di contenere i Russi, mentre lo sforzo principale sarebbe stato
operato immediatamente verso la Francia. Il piano francese prevedeva un'offensiva generale in Lorena, partendo
dai due lati delle fortificazioni di Metz. Una variante, applicata dal 2 agosto, prescriveva soltanto, in caso di
attacco tedesco al Belgio, l'estensione del dispositivo fino alla Mosa da Givet a Namur; il generale Joffre aveva il
comando in capo dell'esercito francese. Nei riguardi dei Russi alleati, vi era soltanto un accordo di massima per il
quale essi avrebbero attaccato non appena possibile nella Prussia Orientale con il massimo dei mezzi per
alleggerire la pressione tedesca sul fronte francese: il piano russo) era quindi subordinato a quello francese. Il
piano austro-ungarico prevedeva l'eliminazione rapida della Serbia e un attacco alla Russia dalla Galizia.
Se, nel corso della battaglia delle frontiere, l'ala destra tedesca riuscì a prendere Liegi (16 agosto) e a respingere
i Belgi su Anversa (20 agosto), dovette però lasciare fino a ottobre due corpi intorno a questa città per
espugnarla. Le operazioni principali furono condotte in Lorena, dove i Francesi dovettero rinunciare a espugnare
Morhange, ma resistettero davanti a Nancy e a Charmes, mentre nelle Ardenne si ebbero combattimenti
dall'esito incerto. Ma il 23 agosto il generale de Lanrezac, attaccato e battuto da von Bülow a sud della Sambre,
avendo appreso la presenza dell'armata von Kluck, estrema ala aggirante tedesca, davanti agli Inglesi a Mons,
dovette rompere il contatto. Egli provocò così la ritirata generale delle truppe francesi (25 agosto - 6 settembre),
che cercò di rallentare a Guisa. Moltke credeva di avere ormai in pugno la decisione quando il generale Joffre,
dando prova di grandi capacità, riuscì a riprendere progressivamente l'iniziativa, bloccando l'avanzata tedesca
sulla Marna e respingendo i Tedeschi sull'Aisne e la Vesle (6-13 settembre). La vittoria della Marna salvò Parigi
gravemente minacciata e segnò una svolta nella condotta della guerra. I due comandi cercarono allora di
aggirare ciascuno l'ala nord dello schieramento avversario; ma queste manovre parallele non ebbero successo,
e portarono alla cosiddetta “Corsa al mare”, per raggiungere lo stretto di Calais.
Se lo sforzo russo fu ostacolato da un'offensiva austriaca in Galizia, l'azione dei generali russi, nella Prussia
Orientale, costrinse alla ritirata le truppe prussiane, e obbligò lo Stato Maggiore tedesco a richiamare dal Belgio
due corpi d'armata (25 agosto) per rafforzare il fronte. Ma questo spostamento di truppe, prezioso per i Francesi
impegnati nella battaglia della Marna, si rivelò inutile per i Tedeschi poiché annientarono l'armata russa a
Tannenberg (26-29), e, con la battaglia dei laghi Masuri (settembre), respinse un altro distaccamento russo dalla
Prussia Orientale con gravi perdite. L'offensiva austriaca in Galizia, invece, venne arrestata dai Russi, i quali
iniziarono qui una vigorosa controffensiva obbligando il nemico ad abbandonare Leopoli (3 settembre),
ripiegando sui Carpazi.
Sul fronte navale il primo scontro fra navi tedesche e inglesi si ebbe presso Helgoland il 28 agosto, e la battaglia
si risolse a favore dell'ammiraglio inglese Beatty. Nel Pacifico occidentale la squadra tedesca di crociera di von
Spee inflisse una dura sconfitta al largo di Coronel (1º novembre) alla squadra inglese, ma fu poi annientata alle
Falkland* (8 dicembre).
Alla fine del 1914, anche se il piano di Moltke non aveva potuto essere realizzato, il territorio tedesco era stato
tuttavia preservato dalla temuta invasione russa, anzi le truppe germaniche occupavano a occidente parte del
Nord della Francia. Quanto all'Austria, il suo esercito non riuscì a venire a capo della resistenza della Serbia, che
anzi, dopo alcune vittorie liberò il suo territorio e riprese Belgrado (13 dicembre). I Tedeschi persero a opera dei
Giapponesi i possedimenti del Pacifico. La Francia aveva fermato l'invasione tedesca, ma la perdita di una parte
essenziale del suo territorio aveva diminuito il suo potenziale umano ed economico all'inizio di una guerra di cui
non si intravedeva la fine e che avrebbe richiesto sforzi senza precedenti.
Il 1915 Eventi politici e militari
Nel corso dell'anno entrarono in guerra l'Italia a fianco degli Alleati e la Bulgaria a fianco degli Imperi centrali.
L'orientamento dell'opinione pubblica italiana verso la guerra contro l'Austria indusse questa, nel gennaio 1915, a
intavolare nuove trattative che non condussero a positivi risultati per l'esiguità dei compensi territoriali offerti.
L'Italia iniziò a metà febbraio trattative segrete con le potenze dell'Intesa, che si conclusero con la firma del patto
di Londra (26 aprile), e di fronte all'evidente interesse dell'Austria di dilazionare i negoziati, denunciò il trattato
della Triplice alleanza (3 maggio).
Nonostante la presenza nel paese di un forte schieramento neutralista, che andava da Giolitti ai cattolici, l'Italia il
23 maggio (con effetto dal 24) dichiarò guerra all'Austria - Ungheria (ma non alla Germania; la dichiarazione di
guerra alla Germania si ebbe soltanto il 27 agosto 1916). L'alleanza della Bulgaria con gli Imperi centrali (decisa
nel settembre e divenuta effettiva il 5 ottobre con la dichiarazione di guerra alla Serbia) compromise la situazione
degli Alleati nei Balcani; negli ultimi mesi dell'anno si ebbe così il crollo della Serbia, attaccata da due lati dai
Bulgari e dagli Imperi centrali (ottobre- novembre).
I due avvenimenti si inquadravano nell'insieme dei problemi della strategia mediterranea. Alcuni uomini politici
inglesi (tra cui Churchill) speravano infatti che si potessero ottenere risultati decisivi nel Mediterraneo. Ma la
spedizione dei Dardanelli si risolse in uno scacco. A loro volta i Turchi non riuscirono però a minacciare il canale
di Suez (febbraio). Nonostante la presenza (dall'ottobre) di un corpo di spedizione anglo-francese inviato a
Salonicco per alleggerire la pressione sulla Serbia, la Grecia restò divisa. Per quanto riguarda gli Stati Uniti,
l'affondamento del transatlantico Lusitania per opera d'un sommergibile tedesco (7 maggio), in cui perirono
anche 140 cittadini americani, suscitò una grande emozione, ma non modificò per il momento la politica degli
Stati Uniti. Anche per quanto riguarda i prestiti accordati agli Alleati, le particolari condizioni di favore fatte dagli
Americani a partire dal settembre furono dovute soprattutto alla preoccupazione americana di conservare larghe
possibilità di esportazione ai propri prodotti.
Anche nel 1915 l'iniziativa delle operazioni rimase sostanzialmente alla Germania. Dopo alcune esitazioni,
confidando nella solidità del fronte occidentale, i tedeschi decisero di portare un colpo decisivo sul fronte
orientale, anche per rispondere alla pressione russa che aveva posto gli Austriaci in difficile situazione, portando
gli eserciti russi fino sui passi dei Carpazi. Dal maggio all'agosto le forze di Hindenburg e di Mackensen,
appoggiate a sud da quelle austro - ungariche, con una potente azione di sfondamento costrinsero i Russi a
evacuare Leopoli, Lublino e l'intera Polonia. I Tedeschi, la cui situazione rimase qui praticamente inalterata fino al
1917, allontanarono così ogni pericolo sul loro fronte orientale. L'offensiva contro i Russi dovette essere interrotta
(25 settembre) per fronteggiare gli attacchi francesi nell'Artois e nella Champagne;tuttavia l’esercito alemanno,
che già dal gennaio aveva messo in allarme gli Inglesi con un attacco contro Suez condotto da truppe turche,
approfittò dell'alleanza con la Bulgaria per liquidare e occupare la Serbia (ottobre-novembre), per collegarsi
direttamente con i Turchi e per unificare gli obiettivi delle operazioni negli Stretti e nei Balcani.
Il 1915 fu l'anno dell'intervento politico inglese nella direzione della condotta di guerra degli Alleati; dopo aver
creato, quasi dal nulla, valide forze armate, la Gran Bretagna non volle esaurirle sul fronte francese, ma cercò
invece di colpire la Germania manovrando per linee esterne sui punti deboli del suo dispositivo. Per attaccare la
Turchia e rafforzare le loro posizioni nel Medio Oriente, gli Inglesi, sbarcati nel Golfo Persico (novembre 1914),
avanzarono nella Mesopotamia puntando su Bagdad, e nel febbraio, appoggiati tiepidamente dalla Francia,
intrapresero la già ricordata spedizione dei Dardanelli, che dopo lo scacco navale di Çanakkale (18 marzo), e le
durissime lotte nella penisola di Gallipoli, fu resa inutile, fra l'altro, dal sopravvenuto crollo della Serbia: s'impose
così l'evacuazione della penisola di Gallipoli (dicembre 1915 - 8 gennaio 1916), ma le truppe impiegate nei
Dardanelli vennero fatte sbarcare a Salonicco, preparando così l'apertura di un nuovo fronte. Nel luglio, intanto,
le forze inglesi occuparono le colonie tedesche dell'Africa del Sud- Ovest, pur senza essere riuscite a debellare la
resistenza germanica nell'Africa orientale.
Da parte francese, tutti gli sforzi furono tesi alla liberazione del territorio nazionale, da conseguire mediante uno
sfondamento del fronte nemico e la ripresa della guerra manovrata. Joffre fece così eseguire, dal febbraio
all'ottobre, una serie di violente quanto vane offensive nell'Artois, nella Champagne nelle Argonne e nei Vosgi, il
cui unico risultato fu di salvare l'esercito russo, duramente battuto a Gorlice, obbligando il comando tedesco a
impegnare le sue riserve a ovest.
Nel 1915 l'Italia, in base al patto di Londra, s'impegnò a prendere risolutamente l'offensiva contro l'Austria; ciò
costrinse il capo di Stato Maggiore, generale Cadorna, a dare alle operazioni un'impostazione strategica fino ad
allora imprevista. In questa situazione il piano di Cadorna consistette nell'offensiva limitata al settore orientale,
quello delle Alpi Giulie e dell'Isonzo, con obiettivi Trieste e Lubiana; mentre sul fronte trentino era prevista solo
una difensiva strategica sussidiata dalla conquista di Dobbiaco, un attacco in Carnia verso Tarvisio avrebbe
dovuto garantire il fianco della puntata offensiva. Il comando supremo austriaco, dal canto suo, fin dall'autunno
1914 aveva ordinato la costituzione di un'organizzazione difensiva continua sul confine per logorare le truppe
italiane con il minimo delle forze: per il momento non erano previste azioni d'attacco verso l'Italia. Le operazioni
iniziarono con la presa di contatto dei due eserciti (24 maggio - 16 giugno) e proseguirono con le prime quattro
battaglie dell'Isonzo (23 giugno - 2 dicembre). Nessuno degli obiettivi che il comando supremo italiano si era
prefisso venne raggiunto, però l'intervento italiano e l'atteggiamento offensivo subito assunto apportarono alla
causa alleata un notevole contributo salvando l'esercito russo in ritirata nella Polonia da una schiacciante
sconfitta e favorendo l'azione difensiva francese.
Le operazioni condotte dagli Alleati risultarono in complesso deludenti, ma il loro potenziale militare migliorò in
modo netto; lo sforzo per incrementare qualitativamente e quantitativamente l'armamento, reso possibile dalla
libertà dei mari, permise alle industrie belliche di attrezzarsi e agli eserciti di trasformare la loro struttura e di fare
l'esperienza di nuovi metodi di combattimento. La necessità di una maggiore cooperazione militare alleata
apparve chiara alla conferenza di Chantilly (dicembre), in cui si decisero i piani di guerra per il 1916 e si stabilì di
dare un aiuto materiale alla Russia, le cui truppe avevano subito perdite molto gravi. D'altra parte l'obiettivo
tedesco di eliminare totalmente i Russi dal conflitto fallì, perché il rifiuto delle offerte di pace del Kaiser (giugno) e
l'offensiva del generale Ivanov in Bucovina (dicembre) dimostrarono che la Russia era ancora in grado di
combattere.
Il 1916 Eventi politici e militari
Un nuovo paese belligerante, la Romania, scese in campo a fianco degli Alleati (27 agosto), mentre l'Italia
dichiarava guerra alla Germania. L'intervento romeno che avrebbe dovuto fare da contrappeso alla Bulgaria e
aiutare l'esercito russo, si risolse però in un insuccesso, e l'invasione del territorio romeno procurò ai Tedeschi,
alla fine dell'anno, apprezzabili risorse di grano e di petrolio. La posizione tedesca nell'Europa centrale si rafforzò
così notevolmente, e sembrò permettere al Reich vasti progetti per l'avvenire, tra cui figuravano anche le
promesse d'indipendenza fatte ai Polacchi il 4 dicembre. Tuttavia agli Imperi centrali non mancarono le
preoccupazioni economiche immediate, non soltanto per quanto riguardava gli approvvigionamenti, ma anche
per la deficienza della manodopera (che portò all'introduzione del lavoro forzato nel Belgio, 3 ottobre).
Gli Alleati, a loro volta, presero misure destinate ad avere decisiva influenza a lunga scadenza: inasprimento del
blocco navale per mezzo del contingentamento delle merci destinate a paesi neutrali (marzo), progressiva
estensione, in Gran Bretagna, della coscrizione, che divenne obbligatoria in dicembre. Nei Balcani l'esercito
serbo, ricostituito nell'isola di Corfù, andò a rafforzare le truppe alleate che tenevano il fronte macedone di
Salonicco. Restò ancora confusa la situazione politica della Grecia, dove la Corona era sempre favorevole agli
Imperi centrali, mentre il forte partito liberale di Venizelos voleva l'intervento a fianco dell'Intesa. Notevoli
conseguenze ebbe la rivolta araba contro l'Impero ottomano (marzo), che aprì un nuovo fronte contro le truppe
turco-tedesche in Arabia, mentre la Francia e l'Inghilterra cercavano di definire le loro future zone d'influenza nel
Vicino Oriente. Negli Stati Uniti, Wilson fu rieletto presidente (7 novembre) e chiese nel dicembre ai belligeranti di
precisare i rispettivi scopi di guerra, passo che obbligava i governi a definire la loro politica, ma che poteva anche
rendere palesi le divergenze tra alleati all'interno dei due campi.
I piani elaborati da ambedue le parti per il 1916 puntavano al raggiungimento di risultati decisivi per mezzo di
un'offensiva di logoramento degli effettivi e del materiale sul fronte francese. Il generale Joffre decise di portare
una serie di attacchi potenti e metodici sulla Somme, che avrebbero dovuto essere appoggiati da un'offensiva
russa in Galizia. Ma fu preceduto di tedeischi i quali, ritenendo che la Francia fosse al limite delle sue risorse
umane, decisero di colpire prima che scendessero in campo nuove truppe britanniche; scelsero come obiettivo
Verdun che attaccarono il 21 febbraio nella presunzione che la sua caduta, dopo l'esaurimento di tutti i mezzi
difensivi francesi, avrebbe deciso della guerra. Ma, se la battaglia di Verdun (febbraio-dicembre) logorò l'esercito
francese in proporzioni maggiori di quello tedesco, essa si risolse tuttavia in un insuccesso strategico tedesco,
perché Joffre, anche se con ritardo sui piani iniziali, poté lanciare (1º luglio), alimentandola per quattro mesi, la
sua offensiva sulla Somme, che impedì ai Tedeschi di impegnare a Verdun tutti i mezzi inizialmente previsti.
Il comando supremo austriaco, intanto, non più preoccupato dell'esercito russo, decise di attuare una grande
offensiva contro l'Italia secondo un progetto già studiato fin dal tempo di pace dal generale Conrad. L'esercito
austriaco, sostenuto da unità germaniche, avrebbe dovuto irrompere dal saliente trentino nella pianura veneta
tagliando le comunicazioni alle armate italiane schierate a oriente. L'offensiva, che gli Austriaci denominarono
Strafexpedition e gli Italiani “battaglia degli Altipiani*” (15 maggio - 24 luglio), si svolse su un fronte di 40 km dalla
Val Lagarina alla Valsugana. Dopo un'iniziale ritirata il rapido spostamento di truppe di riserva dal fronte giulio
consentì a Cadorna di fronteggiare la pericolosa situazione impedendo agli Austriaci di conseguire il successo. Il
16 giugno il comando supremo italiano lanciò una controffensiva con le ali dello schieramento migliorando la
situazione del fronte. Agli inizi dell'anno Cadorna, secondo gli accordi di Chantilly (dicembre 1915), aveva
predisposto un'offensiva sul fronte dell'Isonzo persistendo nel concetto operativo di avanzare verso Trieste e
Lubiana e preparando una potente offensiva contro il saliente di Gorizia. Questa fu realizzata con un'abile
manovra strategica che consentì di spostare rapidamente la 5ª armata, che era stata impegnata in minima parte
nella lotta sugli Altipiani. Il conseguimento della sorpresa consentì la conquista di Gorizia (6ª battaglia dell'Isonzo,
9 agosto), le cui posizioni fortificate erano ritenute dagli Austriaci imprendibili. Nell'autunno (settembrenovembre) si ebbero sul Carso triestino tre sanguinose offensive (7ª, 8ª, 9ª dell'Isonzo) che si risolsero in
battaglie di logoramento da entrambe le parti.
In seguito agli avvenimenti dell'anno precedente, che avevano costretto i Russi a un generale ripiegamento, con
la perdita di vasti territori (Polonia, Lituania, ecc.), il granduca Nicola era stato esonerato dal comando in capo
dell'esercito, che venne assunto personalmente dallo zar: la situazione generale non migliorò ma i Russi
poterono riprendere in Galizia la spinta attaccante con un'offensiva (offensiva Brusilov) che nell'estate 1916 pose
in critiche condizioni l'esercito austro-ungarico. Nell'autunno, però, le capacità combattive russe parvero ormai
esaurite. Russi e Turchi furono nel 1916 abbastanza attivi sui fronti secondari: offensiva russa del granduca
Nicola in Armenia (presa di Erzurum e di Trebisonda, febbraio-aprile); attacchi turchi in Mesopotamia, che
costrinsero gli Inglesi a ritirarsi dalla zona di Bagdad e a capitolare a Kut al-‘Amara(28 aprile), sul canale di Suez,
peraltro falliti (4 agosto), e in Palestina, dove non riuscirono a fermare i progressi inglesi su Al-‘Arish (presa nel
dicembre) e Gaza. In Africa, il Camerun venne occupato dai Franco-Inglesi nel gennaio.
In Macedonia, le forze del generale francese Sarrail, in risposta a un attacco bulgaro, presero l'offensiva il 14
settembre e conquistarono Monastir (novembre), ma non poterono impedire a Falkenhayn - passato, dopo le sue
dimissioni da capo di Stato Maggiore, al comando della 9ª armata - di schiacciare le armate romene che si erano
spinte in Transilvania e di entrare a Bucarest (ottobre- dicembre), mentre il Mackensen cooperava efficacemente
da sud alla clamorosa vittoria.
La conquista della Romania non poteva controbilanciare, per gli Imperi centrali, lo scacco subito dal comando
tedesco a Verdun, che segnò, per sua stessa ammissione, la “svolta della guerra”. Sul piano militare, nel
complesso dei fronti le iniziative si equilibrarono, e l'usura delle forze nemiche, che i due avversari cercavano di
conseguire, colpì ugualmente gli eserciti contrapposti, ripercuotendosi a livello degli alti comandi: così,
nell'agosto Falkenhayn cedette il posto a Hindenburg e al suo capo di Stato Maggiore Ludendorff, e nel dicembre
Joffre fu sostituito da Nivelle, fautore dell'offensiva a ogni costo. Gli Austro-Tedeschi, nell'intento di rafforzare la
condotta della guerra, affidarono in settembre il comando unico a Hindenburg, ma essi dovevano ormai
fronteggiare un nemico la cui potenza militare si rafforzava continuamente, e il cui dominio dei mari, nonostante
l'esito indeciso della battaglia dello Jutland (31 maggio), rimaneva incontrastato.
Il 1917 Eventi politici e militari
Il 1917 fu caratterizzato da due avvenimenti decisivi: l'intervento americano e la Rivoluzione russa. La guerra
sottomarina, scatenata senza restrizioni dai Tedeschi a partire dal 1º febbraio, spinse gli Stati Uniti a rompere le
relazioni diplomatiche con la Germania (3 febbraio); seguì poi, il 7 aprile, la dichiarazione di guerra del governo di
Washington. L'intervento americano assunse un aspetto particolare; la guerra fu infatti estesa all'Austria Ungheria soltanto il 7 dicembre, e non vi fu mai stato di belligeranza con la Turchia e la Bulgaria; gli Stati Uniti
intendevano in sostanza mantenere la loro libertà d'azione, e non sottoscrissero mai il trattato di Londra del 5
settembre 1914, non entrarono nell'alleanza propriamente detta, e restarono quindi una potenza “associata” agli
avversari della Germania.
La Rivoluzione russa ebbe invece un effetto opposto, in quanto, provocando la defezione della Russia dalla lotta,
controbilanciò, in una certa misura, gli effetti dell'intervento americano. La crisi rivoluzionaria che si aprì in Russia
all'inizio del 1917 e che portò all'abdicazione dello zar Nicola II (15 marzo) diede dapprima agli Alleati la speranza
di una più attiva cooperazione alla guerra da parte dei nuovi governi. Ma gli sviluppi della situazione interna del
paese si rivelarono ben presto incompatibili con gli impegni presi dai suoi governanti; il partito bolscevico di
Lenin, dopo aver conquistato il potere con la Rivoluzione d'ottobre, avviò ben presto trattative d'armistizio con i
Tedeschi, a partire dal 20 dicembre, trattative che si conclusero il 3 marzo 1918 con la pace, che dava, fra l'altro,
ai Tedeschi l'intera Ucraina.
Lo stesso anno 1917 fu caratterizzato da vari tentativi di avviare negoziati di pace generale. Tra molti altri, due
insuccessi misero in evidenza la difficoltà dell'impresa.
1. Il tentativo austriaco di arrivare a una pace separata, avviato per iniziativa dell'imperatore Carlo I (succeduto a
Francesco Giuseppe nel novembre 1916) con un passo del principe Sisto di Borbone, cognato dell'imperatore,
presso il presidente francese Poincaré, fu frustrato dall'opposizione dei Tedeschi, informati dal ministro austriaco
Czernin, e dall'opposizione del governo italiano, informato delle trattative nel corso della conferenza di San
Giovanni di Moriana (aprile).
2. Anche l'appello di pace lanciato il 1º agosto 1917 dal pontefice Benedetto XV fu accolto sfavorevolmente dai
due campi. Da una parte la speranza degli Alleati di migliorare sensibilmente la loro posizione, dall'altra quella dei
Tedeschi di sfruttare i vantaggi di una “carta di guerra”, che per il momento era loro molto favorevole, non
rendevano infatti né gli uni né gli altri disposti a sacrifici per porre fine al conflitto.
L'inquietudine dei paesi belligeranti, logorati dalla durata del conflitto, si manifestò nelle crisi di governo: mentre
in Germania, a partire dalle dimissioni di Bethmann-Hollweg (luglio), iniziava un periodo di instabilità, in Francia,
invece, dopo una fase agitata e complicata, andava al potere Clemenceau, fermamente deciso a superare tutti
gli ostacoli.
Per quel che riguarda l'Oriente, il fatto diplomatico più importante fu la dichiarazione Balfour (novembre), la quale
indicava che l'Inghilterra avrebbe visto favorevolmente la formazione di un focolare nazionale israelita in
Palestina.
Poiché la guerra di logoramento non aveva portato alla decisione definitiva, questa dovette essere ricercata in
altra direzione, ma i piani elaborati a tal fine dalle due parti furono sconvolti dalle conseguenze militari della
Rivoluzione russa e dell'intervento americano. Hindenburg si vide costretto per la prima volta, dalla scarsità dei
suoi mezzi, a opporre alle azioni alleate un atteggiamento puramente difensivo, ripiegando le sue unità (febbraiomaggio) - in previsione dell'offensiva generale alleata - su un fronte più arretrato preventivamente fortificato (San
Quintino-La Fère), al quale chiedeva semplicemente di “tenere”; egli si aspettava infatti la decisione del conflitto
dalla guerra sottomarina a oltranza, anche a rischio dell'intervento americano, che a suo parere sarebbe stato
tardivo. Se il comandante tedesco non poté più imporre il ritmo delle operazioni, seppe però approfittare in pieno
degli avvenimenti che gli erano favorevoli: lo scacco dell'offensiva francese sull'Aisne rafforzò la sua fiducia, e la
progressiva eliminazione del fronte russo, sanzionata dall'armistizio e poi dalla pace di Brest-Litovsk, giocò in
modo insperato in favore della Germania. In particolare, Hindenburg poté così aiutare in misura determinante
l'Austria nell'offensiva che portò a Caporetto.
Il generale Nivelle, trasformando i piani di Joffre, si era proposto di ottenere la vittoria con la rottura rapida su un
largo fronte, e il suo sfruttamento pronto e audace. Preceduta da un attacco inglese nell'Artois (9 aprile), la sua
grande offensiva fu scatenata il 16 aprile sullo Chemin des Dames ma si risolse con un insuccesso totale, che
portò alla sostituzione del Nivelle con Pétain (15 maggio).
La resistenza tedesca fu facilitata dalla mancanza di unità fra gli Alleati. Gli Inglesi dedicarono infatti mezzi
sempre più ingenti alla guerra contro i Turchi, che essi consideravano come una questione di loro esclusiva
spettanza; l'11 marzo gli Inglesi entrarono a Bagdad; il 31 ottobre Allenby attaccò in Palestina, ed entrò a
Gerusalemme (18 dicembre). Sul fronte occidentale, gli Inglesi lanciarono una grande offensiva nella Fiandra
(giugno-novembre) per allontanare i Tedeschi dalle coste del Belgio e raggiungere le basi dei sottomarini. Sul
fronte di Salonicco, dove il Sarrail fu sostituito dal Guillaumat, non si svolse nessuna operazione di rilievo.
La guerra sottomarina toccò invece il suo apice: nell'aprile i Tedeschi affondarono naviglio mercantile alleato per
1 milione circa di t, ma l'adozione del sistema dei convogli e il perfezionamento delle difese alleate portarono a
una graduale riduzione delle perdite.
Nel convegno di Roma (6-8 gennaio), al quale parteciparono tra gli altri Lloyd George e Nivelle, il Cadorna
propose un'azione decisiva interalleata contro l'Austria, ritenuto il più debole degli Imperi centrali. L'opposizione di
Nivelle, che preparava una propria offensiva, fece cadere la proposta, a cui Lloyd George era favorevole.
L'Austria, stremata dalle operazioni del 1916, aveva deciso di tenere un atteggiamento difensivo in attesa degli
eventi politici in Russia. L'Italia, in base agli accordi della conferenza di Chantilly, aveva iniziato la preparazione di
una nuova offensiva contro le difese orientali di Gorizia. Il timore di una nuova offensiva dal Trentino fece
sospendere l'azione che fu poi attuata in maggio (10ª battaglia dell'Isonzo) e ripetuta in agosto (11ª battaglia
dell'Isonzo) sulla Bainsizza, per infliggere all'esercito austriaco un duro colpo prima che potesse spostare
notevoli forze dal fronte russo. Sugli Altipiani, per migliorare la situazione del fronte, furono iniziate delle
operazioni che diedero luogo alla battaglia dell'Ortigara (10-29 giugno) che comportò gravissime perdite e
nessun risultato. La critica situazione austriaca dopo la battaglia della Bainsizza spinse la Germania a venire in
aiuto dell'alleata approfittando del fatto che l'esercito russo era in dissolvimento e che quello francese già da
tempo stava sulla difensiva. Fu deciso di attaccare sull'alto Isonzo nel settore Plezzo - Tolmino dove la
sistemazione difensiva italiana si presentava piuttosto debole. La rottura del fronte doveva avvenire con il metodo
di attacco ideato da Hindenburg e Ludendorff e che aveva dato brillanti risultati già alla presa di Riga, attuata dal
generale Hutier (1-3 settembre). La realizzazione della sorpresa, affidata al generale tedesco von Below, la
rispondenza dei procedimenti d'attacco allo scopo da conseguire, deficienze nell'organizzazione difensiva italiana
e nell'azione di comando, consentirono la rottura del fronte e la penetrazione profonda delle truppe austrotedesche nello schieramento italiano (Caporetto, 24-26 ottobre). Di fronte alla gravità di tale situazione Cadorna
emanò alle due del 27 ottobre l'ordine di ripiegare sul Tagliamento. Ma il complesso delle forze che il 1º
novembre si trovavano a occidente del fiume era insufficiente alla difesa, per cui Cadorna ordinò un ulteriore
ripiegamento sulla linea Asiago-Grappa-Piave che presentava una minore ampiezza di fronte. Nella notte dal 2 al
3 novembre gli Austro-Tedeschi forzarono il Tagliamento a sud di Osoppo. Lo schieramento venne portato dietro
la Livenza; dal 5 al 7 novembre la 2ª e la 3ª armata protessero il ripiegamento del grosso sul Piave che risultava
completato entro il 9 novembre. In tale data Cadorna fu sostituito da Diaz nella carica di capo di Stato Maggiore
dell'esercito. Giunti sul Piave gli Austro-Tedeschi, ritenendo di avere di fronte un esercito ormai disfatto, dopo
essersi riordinati ripresero gli attacchi sull'altopiano di Asiago (10 novembre), sul Piave (12 novembre), sul
Grappa (15 novembre) che rinnovarono di fronte all'accanita resistenza italiana, senza però conseguire alcun
successo decisivo.
La crisi italiana provocata da Caporetto dimostrò la necessità di una più stretta cooperazione militare alleata;
pertanto nell'incontro di Rapallo (7 novembre 1917) i primi ministri e i capi di Stato Maggiore della Francia,
dell'Inghilterra e dell'Italia decisero la creazione di un Consiglio superiore di guerra interalleato, formato dai
rappresentanti militari permanenti delle potenze alleate, primo passo sulla via del comando unico.
Il 1918 Eventi politici e militari
L'8 gennaio il presidente Wilson enumerò i quattordici punti ai quali si sarebbe ispirata la sua azione nella futura
conferenza per la pace. Essi contenevano a un tempo princìpi generali di diritto internazionale e indicazioni
sull'assetto politico, da stabilirsi a guerra conclusa (precise soprattutto per quanto riguardava il Belgio e la
restituzione dell'Alsazia e della Lorena alla Francia).
Ma i primi mesi del 1918 parvero rafforzare la posizione della Germania, che era fiduciosa nei risultati della sua
offensiva sul fronte occidentale e che aveva allargato notevolmente i territori occupati a oriente: pace di BrestLitovsk con la Russia bolscevica (3 marzo), di Bucarest con i Romeni (7 maggio), organizzazione dell'Ucraina
sotto controllo tedesco (marzo).
I rovesci subiti dalla Germania nell'estate del 1918, che resero inefficaci i suoi piani relativi all'Europa orientale,
ebbero effetti decisivi nell'Europa centrale. Il 5 ottobre il nuovo cancelliere del Reich, principe Massimiliano (Max)
di Baden, chiese la mediazione americana per una pace fondata sui quattordici punti; ma già prima della firma
dell'armistizio, la rivoluzione scoppiata a Kiel (4 novembre), e poi a Monaco e Berlino, provocò la fine delle
monarchie tedesche e la fuga di Guglielmo II (9 novembre). Divenne così cancelliere il socialista Ebert.
Quanto all'Impero austro- ungarico, la guerra terminò col suo completo disfacimento; le varie nazionalità che lo
componevano proclamarono la loro indipendenza. Il 28 ottobre fu così proclamata a Praga la Repubblica
Cecoslovacca. Nello stesso ottobre un Consiglio nazionale decise a Zagabria l'unione dei Serbi, Croati e Sloveni
dell'Impero austro-ungarico, e il 24 novembre proclamò la loro unione alla Serbia, che aveva a sua volta
assorbito il Montenegro. Il distacco delle province riunite alla Romania e alla Polonia lasciò sussistere soltanto
due Stati distinti e di dimensioni ridotte: l'Austria e l'Ungheria.
Mentre la Polonia, in via di ricostituzione, rompeva le relazioni con la Germania, l'armistizio dovette essere
prolungato, e la conferenza della Pace non poté riunirsi a Parigi che nel gennaio 1919.
L'estremo sforzo tedesco, reso possibile dalla fine delle operazioni militari sul fronte orientale, permise di far
affluire a occidente 700.000 uomini, e fu per gli Alleati un colpo tanto più duro in quanto i Franco-Inglesi erano
alle prese con una grave crisi di effettivi, anche perché le unità americane non potevano intervenire prima del
luglio; il comando alleato fu così costretto a un atteggiamento difensivo.
Hindenburg e Ludendorff, invece, si trovavano di fronte alla necessità imperiosa di ottenere lo scontro risolutivo
prima dell'intervento americano e dell'usura completa degli alleati austriaci, bulgari e turchi, ormai all'estremo
delle loro risorse. Essi dedicarono pertanto tutte le loro energie alla preparazione delle forze tedesche, per
realizzare a ogni costo, con la sorpresa e la violenza degli attacchi, la rottura del fronte francese.
Gli attacchi tedeschi durarono senza interruzione dal 21 marzo al 15 luglio. Nella speranza di separare i Francesi
dagli Inglesi, costringendo i primi a coprire Parigi e i secondi le loro basi della Manica, Hindenburg e Ludendorff
attaccarono il 21 marzo in Piccardia, ma non poterono raggiungere i loro obiettivi per la risoluta resistenza degli
Alleati che a Doullens, alla fine di marzo, realizzarono finalmente il comando unico, affidato al Foch, nominato
comandante in capo il 14 aprile. Dopo l'insuccesso di una seconda offensiva in, Ludendorff, attribuendo questi
scacchi all'intervento delle riserve francesi, decise di impegnarle sull'Aisne, prima di liquidare gli Inglesi nella
Fiandra. Egli quindi attaccò di nuovo il 27 maggio, raggiungendo Château- Thierry e minacciando da vicino Parigi
per la seconda volta, dopo l'agosto-settembre 1914. Per allargare la sua offensiva, frenata da Foch nella foresta
di Villers-Cotterets e nelle alture della Champagne, egli attaccò poi all'ovest, il 9 giugno, sul Matz, e all'est, il 15
luglio, su Reims. Quest'ultima offensiva segnò il punto culminante dell'avanzata tedesca: il 18 il Foch lanciò una
controffensiva vittoriosa sul suo fianco destro, in direzione di Soissons, e il 3 agosto la sacca di Château-Thierry
fu riassorbita.
Fin dal 24 luglio, il piano di Foch prescriveva un ritorno definitivo all'offensiva, con l'obiettivo principale di
disimpegnare le strade strategiche Parigi - Amiens e Parigi - Châlons-Nancy mediante la riduzione delle sacche
di Château- Thierry (in corso), di Montdidier (battaglia dell'8 agosto) e di Saint-Mihiel (battaglia del 12 settembre).
Il 3 settembre Foch, deciso a non lasciare respiro all'avversario, ordinò l'offensiva generale e la continuò con
tutte le sue forze, dalla Mosa al mare, in direzione di Mézières. La manovra concentrica si sviluppò, a partire dal
26 settembre, con tre grandi operazioni condotte da Francesi, Inglesi e Belgi nella Fiandra, in direzione di Gand,
da Francesi e Inglesi contro la linea Hindenburg, in direzione di Cambrai e di San Quintino, da Francesi e
Americani nelle Argonne, in direzione di Sedan. Il 10 e il 20 ottobre Foch ordinò lo sfondamento delle ultime
posizioni difensive tedesche, e previde l'estensione della battaglia a est della Mosa. Ma l'attacco concentrico
delle dodici armate alleate costrinse i Tedeschi a confessarsi vinti: il 4 novembre essi decisero la ritirata generale
sul Reno; il 7, loro plenipotenziari chiesero l'armistizio, che ottennero a Rethondes, l'11 novembre, rendendo
superflua l'offensiva di Lorena prevista per il 14.
L'estremo tentativo offensivo austriaco ebbe inizio sul fronte italiano il 15 giugno (battaglia del Solstizio): sugli
Altipiani e sul Grappa conseguì vantaggi locali ma con perdite così gravi che in quei settori le operazioni furono
subito sospese; lungo il Piave gli Austriaci riuscirono ad avanzare sul Montello e a costituire alcune teste di
ponte. Il comando supremo austriaco difettava però di riserve, mentre quello italiano poté far affluire le proprie
lanciando una controffensiva che determinò il ripiegamento del nemico, ormai esausto, al di là del fiume. Gravi
questioni politiche cominciavano intanto a turbare la compagine degli Imperi centrali, mentre i popoli dell'Impero
austro-ungarico intensificavano i moti d'indipendenza. Di fronte a questa situazione il 25 settembre il generale
Diaz decise di agire cercando di dividere le forze schierate in piano da quelle del settore montano, forzando il
Piave di fronte al Montello e puntando su Conegliano e Vittorio Veneto. L'offensiva ebbe pieno successo e il 29
ottobre l'esercito austriaco iniziò il ripiegamento in pianura e nella notte fra il 30 e il 31 abbandonò il Grappa. Il
giorno 31 iniziò l'inseguimento per precedere le truppe in ritirata sui punti d'obbligato passaggio delle colonne.
L'armistizio venne firmato a villa Giusti e le operazioni terminarono alle ore 15 del 4 novembre, una settimana
prima della conclusione generale della guerra sul fronte occidentale (11 novembre): a questa conclusione la
vittoria italiana diede un contributo notevole, per la minaccia di agire da sud contro la Germania.
Accanto all'azione sul fronte francese e italiano la strategia alleata lanciò altre offensive che contribuirono in
modo decisivo alla vittoria. In Macedonia, il generale francese Franchet d'Esperey lanciò il 15 settembre un
attacco generale mirante alla rottura del fronte bulgaro: l'obiettivo fu raggiunto con la battaglia di Dobro Polje, che
costrinse i Bulgari a deporre le armi il 29 settembre. Sfruttando questo successo, Franchet d'Esperey si spinse
su Skoplje, varcò il Danubio, liberò la Serbia e la Romania (ottobre) e minacciò l'Austria e la Germania del sud. In
Palestina, le forze inglesi passarono all'offensiva il 19 settembre, batterono le truppe turco-germaniche ed
entrarono a Damasco (30 settembre), Beirut (7 ottobre), Aleppo (26 ottobre). Nella notte fra il 30 e il 31 ottobre la
Turchia, minacciata anche dall'avanzata alleata su Costantinopoli, dovette firmare l'armistizio di Mudhros.
interventismo
interventismo,
Lo scoppio del primo conflitto mondiale aprì nell'opinione pubblica italiana un grave e profondo contrasto tra
interventisti e neutralisti, in un momento politicamente difficile per l'equilibrio del paese, che usciva da poco dalla
guerra di Libia, dalle elezioni a suffragio quasi universale del 1913 (che avevano rafforzato le posizioni dei
socialisti in parlamento) e dalla Settimana rossa del giugno 1914. L'interventismo ebbe fin dall'inizio il significato
univoco di intervento a fianco delle potenze dell'Intesa. A favore di tale intervento si schierarono subito frazioni
cospicue della democrazia liberale e i repubblicani, per i quali la guerra contro l'Austria si identificava con il
compimento dell'unità nazionale e il pieno conseguimento degli ideali nazionali del Risorgimento (conquista del
Trentino e della Venezia Giulia). Sostenitori dell'intervento contro gli Imperi centrali, sulla base di motivazioni
dettate da principi democratici e nazionali, furono anche i socialisti riformisti che facevano capo a L. Bissolati e a
I. Bonomi, come pure gli irredentisti socialisti e democratici come Cesare Battisti. Nel movimento interventista
confluirono però anche forze mosse da ben diverse aspirazioni ideali: anzitutto i nazionalisti, che concepivano il
conflitto non come ultima guerra per l'Indipendenza ma piuttosto come prima prova dell'Italia quale grande
potenza, e che quindi più che a Trento e a Trieste aspiravano all'espansionismo di tipo imperialista in direzione
dei Balcani, dell'Africa e del Vicino Oriente; poi le frazioni dei socialisti rivoluzionari che si erano staccate
dall'Unione sindacale italiana per dar vita all'Unione italiana del lavoro; e infine i futuristi, che avevano già
elaborato la loro ideologia che esaltava il dinamismo, i momenti di rottura e quindi anche la guerra, “sola igiene
del mondo”. Il movimento interventista, sebbene minoritario, riuscì a determinare nella classe dirigente
l'orientamento favorevole all'impegno in una guerra che la parte maggiore del paese non voleva (erano infatti
contrari alla partecipazione al conflitto non solo i cattolici e i socialisti del PSI ma anche la maggioranza delle
formazioni liberal-democratiche). Grande importanza a questo proposito ebbe l'atteggiamento di G. D'Annunzio e
di B. Mussolini. Il poeta, dopo aver fatto un'attiva e abile propaganda per l'intervento, diede un impulso decisivo
alle forze antineutraliste con il discorso tenuto a Quarto il 5 maggio 1915 nell'anniversario della spedizione dei
Mille. Quanto a Mussolini, direttore dell'Avanti!, dopo essere stato neutralista a oltranza nel luglio 1914 e aver
lanciato nell'ottobre la parola d'ordine della “neutralità attiva ed operante”, fondò il 15 novembre il Popolo d'Italia
(che divenne rapidamente il portavoce dell'interventismo rivoluzionario di sinistra), dando poi vita, appena
espulso dal partito socialista, al Fascio autonomo di azione rivoluzionaria, che nel dicembre si fuse con i Fasci di
azione rivoluzionaria creati da Corridoni, Bianchi e altri sindacalisti interventisti.
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trincea
trincèa,
trincèa s.f. (fr. tranchée). Opera di fortificazione campale che costituisce elemento attivo quale postazione
protetta per l'azione di fucilieri in linea; nel contempo permette lo spostamento al coperto del personale. (A volte
è realizzata ampliando gradualmente e collegando tra loro le postazioni individuali. Gli elementi che la
compongono sono: il parapetto, ossia la parete rivolta al nemico; la banchina per tiratori, cioè il rialzo occupato
da questi, e il camminamento, che è la parte più profonda dello scavo e serve anche con un fossetto allo scolo
delle acque.) Artiglieria da trincea, v. ARTIGLIERIA. Mortaio da trincea, v. MORTAIO. Guerra di trincea, guerra
in cui gli avversari, entrambi sulla difensiva, si fronteggiano da opposte trincee fra loro parallele. (È
denominazione coniata per la prima guerra mondiale, ripresa allorché una guerra si stabilizza su due opposti
fronti difensivi. È un tipo di guerra di posizione.) Trincea d'approccio, nella guerra d'assedio, camminamento
che consentiva alle truppe di procedere al coperto dalla linea di controvallazione verso la piazza. (Era costituita
da tratti disposti a zig-zag, per evitare il tiro d'infilata.) Trincea continua, quella che corre ininterrotta lungo tutto
il fronte. (Conseguente alla tattica lineare, fu impiegata durante la prima guerra mondiale; è sostituita oggi da
elementi di trincea, disposti in modo da fiancheggiarsi.)
- Lav. pubbl. Scavo a cielo aperto eseguito in genere come sede di una strada o di una linea ferroviaria quando
all'asse di queste sia stata attribuita una quota inferiore a quella del terreno circostante per evitare un dislivello o
per mantenerlo entro determinati valori: Strada in trincea. Linea in trincea.
- Med. Febbre delle trincee, sin. di FEBBRE QUINTANA.
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Wilson (Thomas Woodrow),
Wilson (Thomas Woodrow), uomo politico americano, 28º presidente degli Stati Uniti (Staunton, Virginia, 1856 Washington 1924). Esperto in studi giuridici, politici e storici, dal 1890 insegnò diritto ed economia politica
all'università di Princeton, di cui fu rettore dal 1902 al 1910. Segnalatosi per i suoi piani di riforma scolastica, nel
1910 fu eletto governatore del New Jersey per il partito democratico, conducendo poi una vasta azione
moralizzatrice della vita pubblica. Nel 1912 fu scelto dalla Convenzione democratica come candidato alla
presidenza degli Stati Uniti e nelle elezioni del novembre ebbe ragione di Roosevelt e Taft. Insediatosi alla Casa
Bianca (marzo 1913), egli applicò la propria concezione della carica presidenziale come potere forte e
predominante, intervenendo spesso presso i singoli membri del Congresso per ottenere l'approvazione di riforme
che gli stavano a cuore. Nel 1913 fece approvare l'Underwood Tariff Act per la riduzione delle tariffe doganali, il
Federal Reserve Act che istituiva un controllo federale sul sistema bancario, il 16º emendamento che
rivoluzionava il sistema tributario con l'applicazione della tassazione progressiva, il 17º emendamento per
l'elezione dei senatori a suffragio universale diretto; e nel 1914 il Federal Trade Act contro i monopoli e il Clayton
Antitrust Act che negava l'incostituzionalità dello sciopero. Le sue decisioni più importanti in fatto di politica estera
riguardano la prima guerra mondiale. Alla vigilia del conflitto, rendendosi interprete della volontà isolazionista
dell'opinione pubblica americana, Wilson s'era fatto promotore della “neutralità mediatrice”, che prevedeva per gli
Stati Uniti il ruolo di arbitro: si trattava di trovare un'intesa politica ed economica tra le potenze europee per
evitare la guerra, ricorrendo anche al disarmo navale. Scoppiata la guerra, il 4 agosto 1914 Wilson redasse la
dichiarazione di neutralità e il giorno seguente offrì il suo arbitrato. Grazie anche a questa linea politica poté
ripresentarsi e vincere alle elezioni del 1916. Ancora in un discorso del gennaio 1917 propose una pace “senza
vittoria”, senza annessioni, senza umiliazioni e riparazioni, che potesse essere duratura garantendo la sicurezza
delle piccole nazioni, la libertà dei mari, la riduzione degli armamenti attraverso la costituzione di un'apposita lega
sovranazionale. Tuttavia gli sviluppi del conflitto in Europa, l'indiscriminata estensione della guerra sottomarina
tedesca e gli stretti vincoli economici tra gli Stati Uniti e i paesi dell'Intesa, cancellando le ultime illusioni di
soluzione pacifica, finirono con l'orientare Wilson all'intervento. Il 7 aprile 1917 gli Stati Uniti entrarono in guerra
influendo con il loro notevole potenziale industriale e bellico sull'esito del conflitto. Nel gennaio 1919 Wilson si
presentò alla conferenza della Pace con un programma sintetizzato nei “Quattordici punti”, che ricalcava in
sostanza il programma esposto in un discorso del gennaio 1918. Le cose andarono però diversamente: i vinti
non parteciparono alle discussioni di pace; le nazionalità non furono rispettate nella costituzione della nuova
carta europea; furono stabilite condizioni insostenibili per la Germania e pagamenti di riparazioni a carico dei
paesi sconfitti; alla Società delle Nazioni non furono conferiti poteri e forza sufficienti per un'efficace azione di
mantenimento della pace. Il fallimento del programma wilsoniano culminò nell'incomprensione da lui trovata in
patria, dove le tendenze isolazionistiche avevano ripreso il sopravvento. Wilson perorò, tuttavia, la causa della
Società delle Nazioni con un giro di propaganda nel corso del quale fu colpito da paralisi, ma nel 1920 il senato
respinse il Covenant (patto) della Società, e gli Stati Uniti rimasero perciò al di fuori di essa. Uno dei suoi ultimi
atti in politica interna fu il 19º emendamento (1920), che concedeva il voto alle donne. L'anno precedente a
Wilson era stato conferito il premio Nobel per la pace.
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irredentismo,
Il movimento irredentista, anche se il termine fu usato per la prima volta da M. R. Imbriani nel 1877, giurando
davanti alla bara del padre di dedicarsi all'impegno della liberazione delle terre ancora sottoposte all'Austria,
cominciò a rappresentare un elemento di rilievo nella vita politica italiana già subito dopo la conclusione della
guerra del 1866 che, pur avendo portato all'annessione del Veneto, aveva però lasciato sotto la sovranità
absburgica la Venezia Giulia, il Trentino e l'Alto Adige. Iniziatrici dell'irredentismo (che in generale non contemplò
fra le terre irredente Fiume e la Dalmazia) furono quelle correnti della sinistra, garibaldini, democratici,
repubblicani, che esprimevano l'insoddisfazione per i modi in cui si era concluso il processo risorgimentale. Il
movimento trovò una sua struttura organizzativa nell'Associazione in pro dell'Italia irredenta, fondata dall'Imbriani
insieme con G. Bovio, G. Avezzana, R. Mirabelli, ecc. e che ebbe l'appoggio di Garibaldi, Saffi, Carducci,
Cavallotti. Le agitazioni promosse dagli irredentisti e i progetti di attacchi su Trento e Trieste (come quello
ventilato nel 1878) contribuirono in un primo tempo a rendere più tesi i rapporti fra il governo italiano e quello
austriaco; quando però, dopo la conclusione della Triplice, le autorità italiane dovettero cercare di evitare i motivi
di attrito con l'Impero austro-ungarico, esse fecero a volte ricorso alla maniera forte per reprimere il movimento.
Così, dopo che l'impiccagione di G. Oberdan (20 dicembre 1882), cui Francesco Giuseppe aveva rifiutato la
grazia, suscitò nel paese una viva emozione e fece sorgere numerosi circoli intitolati al martire (mentre Carducci
invocava il giorno della giustizia per “l'imperatore degli impiccati”), il governo fece uso di misure come il
sequestro di giornali irredentisti e lo scioglimento di comizi di protesta. Un ulteriore strumento organizzativo
l'irredentismo ebbe nella Società Dante Alighieri (1889), sviluppando poi ulteriormente la sua azione nonostante
la nuova fase repressiva che esso dovette fronteggiare nel 1889-1891, durante il ministero Crispi; infatti lo
statista siciliano, convinto che per l'Italia fosse necessario, data la tensione con la Francia, essere una “fedele
alleata” dell'Austria, sciolse il comitato per Trento e Trieste presieduto dall'Imbriani, e le associazioni e i circoli
Oberdan, arrivando a licenziare il ministro delle finanze, F. Seismit-Doda, perché in occasione di un banchetto
ufficiale in suo onore aveva ascoltato senza reagire un discorso irredentista. Parallelamente l'irredentismo
operava con validi risultati nelle terre rimaste sotto l'Austria, difendendo la cultura italiana e tenendo desti gli
ideali nazionali (dimostrazioni a Trieste nel 1894, inaugurazione del monumento a Dante a Trento nel 1896,
manifestazioni nella Venezia Giulia e conflitti a Innsbruck tra studenti austriaci e studenti italiani per l'università
libera nel 1903), anche se dopo il 1903 il movimento parve entrare in una fase di stasi (sconfitta del partito
nazionale a opera dei socialisti e dei clericali a Trieste e nell'Istria nelle elezioni del 1907), per cui nel 1910 il
ministro di San Giuliano poteva dire che l'irredentismo era morto. Le aspirazioni irredentistiche trassero invece
rinnovato vigore dal nuovo orientamento della politica estera italiana (accostamento, dal 1902, alla Francia e
all'Inghilterra) e dal rafforzamento del movimento nazionalista, che le inquadrò nel suo più vasto programma.
Nascevano intanto nuove associazioni, come “Italia nostra” a Torino e “Corda fratres”, che si affiancavano alle
più vecchie per agitare gli ideali irredentistici, mentre nel 1913 la condanna a cinque anni dello studente triestino
Mario Sterle per apologia di Oberdan e i decreti del principe Hohenlohe, governatore di Trieste, suscitarono una
viva reazione nel paese, rendendo più battagliero l'irredentismo. Si arrivò così allo scoppio del primo conflitto
mondiale: nello scontro che in tal modo si apriva tra interventisti e neutralisti i motivi ideali dell'irredentismo
rappresentarono uno degli elementi propulsivi di maggior rilievo nel campo dei fautori dell'intervento.
Nell'immediato dopoguerra l'irredentismo perse ogni vigore, nonostante la parentesi del movimento a favore
dell'annessione di Fiume all'Italia (1919-1920), mentre i tentativi del fascismo di farlo risorgere con altri obiettivi
(Malta) non ebbero alcun seguito.
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