Con questo nome è nota la dodicesima battaglia dell'Isonzo, svoltasi tra il 24 ottobre e i primi di novembre del 1917, che fu per l'esercito italiano il più grave rovescio della prima guerra mondiale. Con l'appoggio di numerose artiglierie, valendosi anche di forze richiamate dal fronte russo, dove le operazioni ristagnavano a causa della Rivoluzione, all'alba del 24 ottobre otto divisioni austriache e sette germaniche (formanti la 14ª armata al comando del generale tedesco von Below), iniziarono l'attacco alle linee italiane della conca di Plezzo, sull'ala sinistra della 2ª armata (generale Capello). Le truppe degli Imperi centrali, favorite inizialmente dalla nebbia e dall'uso di gas asfissianti, travolsero rapidamente le forze italiane, avanzando su Udine. Il morale dei 700.000 soldati della 2ª armata, poco saldo ormai per le lunghe permanenze in trincea senza avvicendamenti e per i forti sacrifici di sangue subiti nelle precedenti battaglie dell'Isonzo, cedette di schianto provocando una disordinata ritirata. L'interruzione dei già insufficienti collegamenti tra unità di linea e artiglieria, causata dall'infiltrazione nemica a cui non si seppe o non si poté immediatamente porre riparo, permise agli Austro-Tedeschi la conquista dei monti dominanti il fondovalle dove, sia pure senza alcuna coordinazione, unità italiane ancora si difendevano con tenacia. Date poi le condizioni del fronte, disteso lungo un ampio semicerchio, la manovra nemica venne a costituire un gravissimo pericolo per tutto l'esercito italiano. Giunti quindi gli Austro- Tedeschi a Cividale (27 ottobre), tutto il fronte dovette ripiegare, compresa la 3ª armata, mentre invano reparti di cavalleria tentavano di ritardare l'avanzata nemica e di proteggere lo schieramento in ritirata. Solo con enorme sacrificio, dopo una prima sosta al Tagliamento, si poté definitivamente arrestare il nemico sulla linea Grappa-Piave. Le perdite italiane furono di 265.000 prigionieri, 30.000 feriti e 10.000 morti, senza contare il materiale bellico, l'artiglieria (3.200 cannoni e 1.700 bombarde) e i depositi di viveri ed equipaggiamento abbandonati durante la ritirata. All'interno del paese rifluirono inoltre 350.000 sbandati che dovettero venire faticosamente riorganizzati. Tutto ciò annullò i risultati di due anni di lotte vittoriose sostenute dall'esercito italiano e portò come prima conseguenza la sostituzione del generale Cadorna, comandante supremo, con il generale Diaz. Nel 1918, poi, a stabilire le varie responsabilità, fu creata una commissione d'inchiesta, presieduta dal generale Caneva, che concluse indicando, fra le cause della sconfitta, l'eccessiva autonomia lasciata alla 2ª armata che aveva insistito in sterili piani offensivi; la deficienza di riserve e di un piano difensivo in profondità elaborato dallo SM; le divergenze strategiche e tattiche fra il generale Cadorna e il generale Capello. Furono pure messe in rilievo, contro l'accusa fatta alle truppe italiane di non essersi battute, le difficili condizioni morali in cui esse si trovavano dopo ventinove mesi di lotta, condotta con il metodo logorante degli attacchi frontali. Sulla battaglia di Caporetto fu scritto moltissimo, dal punto di vista politico, storico e militare: ne trattarono anche romanzieri, fra cui E. Hemingway, con il discusso Addio alle armi (1929), e R. Bacchelli in un episodio della Città degli amanti (1929). Il nome è entrato nel linguaggio comune come s.f. a significare grave sconfitta, disfatta. Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000 - Copyright RCS Libri S.P.A. Guerra mondiale (prima), La guerra che scoppiò nel 1914 fu un avvenimento nuovo nella storia dell'umanità, perché fu la prima guerra generale “mondiale” che vide lo scontro di tutti i grandi Stati, i quali impegnarono le capacità produttive dell'industria moderna e le risorse della tecnica per preparare strumenti di offesa e di difesa. Fu una guerra di massa, combattuta per terra, per mare e nell'aria con impiego di armi mai prima usate, e con il ricorso a nuovi mezzi di lotta economica e anche psicologica. Venne combattuta dai belligeranti fino all'esaurimento e al crollo, e finì con l'apportare radicali sconvolgimenti anche all'economia internazionale, aprendo così la via a ripercussioni e conseguenze che durarono a lungo anche nel dopoguerra. Il 1914 Eventi politici e militari Causa occasionale della guerra fu l'assassinio dell'arciduca ereditario d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando e della consorte, avvenuto a Sarajevo il 28 giugno 1914. L'Austria, d'accordo con la Germania, attribuendo al governo serbo la responsabilità dell'eccidio, indirizzò a Belgrado il 23 luglio un ultimatum con richieste inaccettabili. La risposta serba all'ultimatum (25 luglio), conciliante ma accompagnata dalla mobilitazione generale, non accontentò l'Austria che dichiarò guerra alla Serbia (28 luglio) prima che fosse accolta una proposta di mediazione presentata dall'Inghilterra (26 luglio). Nei giorni seguenti, il meccanismo degli accordi internazionali portò a una rapida generalizzazione del conflitto. Dopo le mobilitazioni russa e austriaca, la Germania dichiarò guerra alla Russia (1º agosto alle ore 19,10) e alla Francia (3 agosto alle ore 18,45). A sua volta la violazione della neutralità del Belgio e del Lussemburgo da parte delle truppe tedesche, vincendo le ultime esitazioni inglesi, provocò la dichiarazione di guerra della Gran Bretagna alla Germania (4 agosto). I belligeranti del 1914 compresero dunque: da una parte, la Germania e l'Austria – Ungheria; dall'altra, la Serbia, il Montenegro, la Russia, la Francia, il Belgio e l'Inghilterra, cui si aggiunsero il Giappone (23 agosto), alleato dell'Inghilterra e che sperava di impadronirsi delle posizioni tedesche in Estremo Oriente. Dichiararono invece la loro neutralità, deludendo gli Imperi centrali, l'Italia (3 agosto) e la Romania. In particolare l'Italia, legata alla Germania e all'Austria - Ungheria dalla Triplice alleanza, giustificò il suo atteggiamento con la mancata consultazione da parte degli Alleati e con il carattere aggressivo della guerra. La Germania riuscì però a ottenere l'alleanza della Turchia. Negli ultimi mesi del 1914, i belligeranti si preoccuparono soprattutto di sviluppare uno sforzo economico adeguato alle esigenze del logoramento di materiali emerse dalle prime battaglie, a detrimento, talora, dell'azione diplomatica e della ricerca di nuove alleanze. Alcuni paesi, d'altra parte, si trovavano alle prese con difficili problemi interni, resi ancora più complicati dalla guerra. Così pure l'inizio della guerra non permise all'opinione pubblica di misurare l'importanza di fatti rilevanti come l'apertura del canale di Panama (agosto) e l'elezione di papa Benedetto XV, successore di Pio X (settembre). A Londra, Francia, Inghilterra e Russia firmarono il 5 settembre un trattato di mutua assistenza. L'iniziativa strategica fu presa dal comando militare tedesco che in pratica controllava quello di Vienna, mentre nell'altro campo non esistevano né direzione di guerra comune né, tanto meno, comando unico. Il piano che il generale von Moltke aveva ereditato dal suo predecessore von Schlieffen affidava alle deboli forze presenti nella Prussia Orientale e agli Austro-Ungarici l'incarico di contenere i Russi, mentre lo sforzo principale sarebbe stato operato immediatamente verso la Francia. Il piano francese prevedeva un'offensiva generale in Lorena, partendo dai due lati delle fortificazioni di Metz. Una variante, applicata dal 2 agosto, prescriveva soltanto, in caso di attacco tedesco al Belgio, l'estensione del dispositivo fino alla Mosa da Givet a Namur; il generale Joffre aveva il comando in capo dell'esercito francese. Nei riguardi dei Russi alleati, vi era soltanto un accordo di massima per il quale essi avrebbero attaccato non appena possibile nella Prussia Orientale con il massimo dei mezzi per alleggerire la pressione tedesca sul fronte francese: il piano russo) era quindi subordinato a quello francese. Il piano austro-ungarico prevedeva l'eliminazione rapida della Serbia e un attacco alla Russia dalla Galizia. Se, nel corso della battaglia delle frontiere, l'ala destra tedesca riuscì a prendere Liegi (16 agosto) e a respingere i Belgi su Anversa (20 agosto), dovette però lasciare fino a ottobre due corpi intorno a questa città per espugnarla. Le operazioni principali furono condotte in Lorena, dove i Francesi dovettero rinunciare a espugnare Morhange, ma resistettero davanti a Nancy e a Charmes, mentre nelle Ardenne si ebbero combattimenti dall'esito incerto. Ma il 23 agosto il generale de Lanrezac, attaccato e battuto da von Bülow a sud della Sambre, avendo appreso la presenza dell'armata von Kluck, estrema ala aggirante tedesca, davanti agli Inglesi a Mons, dovette rompere il contatto. Egli provocò così la ritirata generale delle truppe francesi (25 agosto - 6 settembre), che cercò di rallentare a Guisa. Moltke credeva di avere ormai in pugno la decisione quando il generale Joffre, dando prova di grandi capacità, riuscì a riprendere progressivamente l'iniziativa, bloccando l'avanzata tedesca sulla Marna e respingendo i Tedeschi sull'Aisne e la Vesle (6-13 settembre). La vittoria della Marna salvò Parigi gravemente minacciata e segnò una svolta nella condotta della guerra. I due comandi cercarono allora di aggirare ciascuno l'ala nord dello schieramento avversario; ma queste manovre parallele non ebbero successo, e portarono alla cosiddetta “Corsa al mare”, per raggiungere lo stretto di Calais. Se lo sforzo russo fu ostacolato da un'offensiva austriaca in Galizia, l'azione dei generali russi, nella Prussia Orientale, costrinse alla ritirata le truppe prussiane, e obbligò lo Stato Maggiore tedesco a richiamare dal Belgio due corpi d'armata (25 agosto) per rafforzare il fronte. Ma questo spostamento di truppe, prezioso per i Francesi impegnati nella battaglia della Marna, si rivelò inutile per i Tedeschi poiché annientarono l'armata russa a Tannenberg (26-29), e, con la battaglia dei laghi Masuri (settembre), respinse un altro distaccamento russo dalla Prussia Orientale con gravi perdite. L'offensiva austriaca in Galizia, invece, venne arrestata dai Russi, i quali iniziarono qui una vigorosa controffensiva obbligando il nemico ad abbandonare Leopoli (3 settembre), ripiegando sui Carpazi. Sul fronte navale il primo scontro fra navi tedesche e inglesi si ebbe presso Helgoland il 28 agosto, e la battaglia si risolse a favore dell'ammiraglio inglese Beatty. Nel Pacifico occidentale la squadra tedesca di crociera di von Spee inflisse una dura sconfitta al largo di Coronel (1º novembre) alla squadra inglese, ma fu poi annientata alle Falkland* (8 dicembre). Alla fine del 1914, anche se il piano di Moltke non aveva potuto essere realizzato, il territorio tedesco era stato tuttavia preservato dalla temuta invasione russa, anzi le truppe germaniche occupavano a occidente parte del Nord della Francia. Quanto all'Austria, il suo esercito non riuscì a venire a capo della resistenza della Serbia, che anzi, dopo alcune vittorie liberò il suo territorio e riprese Belgrado (13 dicembre). I Tedeschi persero a opera dei Giapponesi i possedimenti del Pacifico. La Francia aveva fermato l'invasione tedesca, ma la perdita di una parte essenziale del suo territorio aveva diminuito il suo potenziale umano ed economico all'inizio di una guerra di cui non si intravedeva la fine e che avrebbe richiesto sforzi senza precedenti. Il 1915 Eventi politici e militari Nel corso dell'anno entrarono in guerra l'Italia a fianco degli Alleati e la Bulgaria a fianco degli Imperi centrali. L'orientamento dell'opinione pubblica italiana verso la guerra contro l'Austria indusse questa, nel gennaio 1915, a intavolare nuove trattative che non condussero a positivi risultati per l'esiguità dei compensi territoriali offerti. L'Italia iniziò a metà febbraio trattative segrete con le potenze dell'Intesa, che si conclusero con la firma del patto di Londra (26 aprile), e di fronte all'evidente interesse dell'Austria di dilazionare i negoziati, denunciò il trattato della Triplice alleanza (3 maggio). Nonostante la presenza nel paese di un forte schieramento neutralista, che andava da Giolitti ai cattolici, l'Italia il 23 maggio (con effetto dal 24) dichiarò guerra all'Austria - Ungheria (ma non alla Germania; la dichiarazione di guerra alla Germania si ebbe soltanto il 27 agosto 1916). L'alleanza della Bulgaria con gli Imperi centrali (decisa nel settembre e divenuta effettiva il 5 ottobre con la dichiarazione di guerra alla Serbia) compromise la situazione degli Alleati nei Balcani; negli ultimi mesi dell'anno si ebbe così il crollo della Serbia, attaccata da due lati dai Bulgari e dagli Imperi centrali (ottobre- novembre). I due avvenimenti si inquadravano nell'insieme dei problemi della strategia mediterranea. Alcuni uomini politici inglesi (tra cui Churchill) speravano infatti che si potessero ottenere risultati decisivi nel Mediterraneo. Ma la spedizione dei Dardanelli si risolse in uno scacco. A loro volta i Turchi non riuscirono però a minacciare il canale di Suez (febbraio). Nonostante la presenza (dall'ottobre) di un corpo di spedizione anglo-francese inviato a Salonicco per alleggerire la pressione sulla Serbia, la Grecia restò divisa. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l'affondamento del transatlantico Lusitania per opera d'un sommergibile tedesco (7 maggio), in cui perirono anche 140 cittadini americani, suscitò una grande emozione, ma non modificò per il momento la politica degli Stati Uniti. Anche per quanto riguarda i prestiti accordati agli Alleati, le particolari condizioni di favore fatte dagli Americani a partire dal settembre furono dovute soprattutto alla preoccupazione americana di conservare larghe possibilità di esportazione ai propri prodotti. Anche nel 1915 l'iniziativa delle operazioni rimase sostanzialmente alla Germania. Dopo alcune esitazioni, confidando nella solidità del fronte occidentale, i tedeschi decisero di portare un colpo decisivo sul fronte orientale, anche per rispondere alla pressione russa che aveva posto gli Austriaci in difficile situazione, portando gli eserciti russi fino sui passi dei Carpazi. Dal maggio all'agosto le forze di Hindenburg e di Mackensen, appoggiate a sud da quelle austro - ungariche, con una potente azione di sfondamento costrinsero i Russi a evacuare Leopoli, Lublino e l'intera Polonia. I Tedeschi, la cui situazione rimase qui praticamente inalterata fino al 1917, allontanarono così ogni pericolo sul loro fronte orientale. L'offensiva contro i Russi dovette essere interrotta (25 settembre) per fronteggiare gli attacchi francesi nell'Artois e nella Champagne;tuttavia l’esercito alemanno, che già dal gennaio aveva messo in allarme gli Inglesi con un attacco contro Suez condotto da truppe turche, approfittò dell'alleanza con la Bulgaria per liquidare e occupare la Serbia (ottobre-novembre), per collegarsi direttamente con i Turchi e per unificare gli obiettivi delle operazioni negli Stretti e nei Balcani. Il 1915 fu l'anno dell'intervento politico inglese nella direzione della condotta di guerra degli Alleati; dopo aver creato, quasi dal nulla, valide forze armate, la Gran Bretagna non volle esaurirle sul fronte francese, ma cercò invece di colpire la Germania manovrando per linee esterne sui punti deboli del suo dispositivo. Per attaccare la Turchia e rafforzare le loro posizioni nel Medio Oriente, gli Inglesi, sbarcati nel Golfo Persico (novembre 1914), avanzarono nella Mesopotamia puntando su Bagdad, e nel febbraio, appoggiati tiepidamente dalla Francia, intrapresero la già ricordata spedizione dei Dardanelli, che dopo lo scacco navale di Çanakkale (18 marzo), e le durissime lotte nella penisola di Gallipoli, fu resa inutile, fra l'altro, dal sopravvenuto crollo della Serbia: s'impose così l'evacuazione della penisola di Gallipoli (dicembre 1915 - 8 gennaio 1916), ma le truppe impiegate nei Dardanelli vennero fatte sbarcare a Salonicco, preparando così l'apertura di un nuovo fronte. Nel luglio, intanto, le forze inglesi occuparono le colonie tedesche dell'Africa del Sud- Ovest, pur senza essere riuscite a debellare la resistenza germanica nell'Africa orientale. Da parte francese, tutti gli sforzi furono tesi alla liberazione del territorio nazionale, da conseguire mediante uno sfondamento del fronte nemico e la ripresa della guerra manovrata. Joffre fece così eseguire, dal febbraio all'ottobre, una serie di violente quanto vane offensive nell'Artois, nella Champagne nelle Argonne e nei Vosgi, il cui unico risultato fu di salvare l'esercito russo, duramente battuto a Gorlice, obbligando il comando tedesco a impegnare le sue riserve a ovest. Nel 1915 l'Italia, in base al patto di Londra, s'impegnò a prendere risolutamente l'offensiva contro l'Austria; ciò costrinse il capo di Stato Maggiore, generale Cadorna, a dare alle operazioni un'impostazione strategica fino ad allora imprevista. In questa situazione il piano di Cadorna consistette nell'offensiva limitata al settore orientale, quello delle Alpi Giulie e dell'Isonzo, con obiettivi Trieste e Lubiana; mentre sul fronte trentino era prevista solo una difensiva strategica sussidiata dalla conquista di Dobbiaco, un attacco in Carnia verso Tarvisio avrebbe dovuto garantire il fianco della puntata offensiva. Il comando supremo austriaco, dal canto suo, fin dall'autunno 1914 aveva ordinato la costituzione di un'organizzazione difensiva continua sul confine per logorare le truppe italiane con il minimo delle forze: per il momento non erano previste azioni d'attacco verso l'Italia. Le operazioni iniziarono con la presa di contatto dei due eserciti (24 maggio - 16 giugno) e proseguirono con le prime quattro battaglie dell'Isonzo (23 giugno - 2 dicembre). Nessuno degli obiettivi che il comando supremo italiano si era prefisso venne raggiunto, però l'intervento italiano e l'atteggiamento offensivo subito assunto apportarono alla causa alleata un notevole contributo salvando l'esercito russo in ritirata nella Polonia da una schiacciante sconfitta e favorendo l'azione difensiva francese. Le operazioni condotte dagli Alleati risultarono in complesso deludenti, ma il loro potenziale militare migliorò in modo netto; lo sforzo per incrementare qualitativamente e quantitativamente l'armamento, reso possibile dalla libertà dei mari, permise alle industrie belliche di attrezzarsi e agli eserciti di trasformare la loro struttura e di fare l'esperienza di nuovi metodi di combattimento. La necessità di una maggiore cooperazione militare alleata apparve chiara alla conferenza di Chantilly (dicembre), in cui si decisero i piani di guerra per il 1916 e si stabilì di dare un aiuto materiale alla Russia, le cui truppe avevano subito perdite molto gravi. D'altra parte l'obiettivo tedesco di eliminare totalmente i Russi dal conflitto fallì, perché il rifiuto delle offerte di pace del Kaiser (giugno) e l'offensiva del generale Ivanov in Bucovina (dicembre) dimostrarono che la Russia era ancora in grado di combattere. Il 1916 Eventi politici e militari Un nuovo paese belligerante, la Romania, scese in campo a fianco degli Alleati (27 agosto), mentre l'Italia dichiarava guerra alla Germania. L'intervento romeno che avrebbe dovuto fare da contrappeso alla Bulgaria e aiutare l'esercito russo, si risolse però in un insuccesso, e l'invasione del territorio romeno procurò ai Tedeschi, alla fine dell'anno, apprezzabili risorse di grano e di petrolio. La posizione tedesca nell'Europa centrale si rafforzò così notevolmente, e sembrò permettere al Reich vasti progetti per l'avvenire, tra cui figuravano anche le promesse d'indipendenza fatte ai Polacchi il 4 dicembre. Tuttavia agli Imperi centrali non mancarono le preoccupazioni economiche immediate, non soltanto per quanto riguardava gli approvvigionamenti, ma anche per la deficienza della manodopera (che portò all'introduzione del lavoro forzato nel Belgio, 3 ottobre). Gli Alleati, a loro volta, presero misure destinate ad avere decisiva influenza a lunga scadenza: inasprimento del blocco navale per mezzo del contingentamento delle merci destinate a paesi neutrali (marzo), progressiva estensione, in Gran Bretagna, della coscrizione, che divenne obbligatoria in dicembre. Nei Balcani l'esercito serbo, ricostituito nell'isola di Corfù, andò a rafforzare le truppe alleate che tenevano il fronte macedone di Salonicco. Restò ancora confusa la situazione politica della Grecia, dove la Corona era sempre favorevole agli Imperi centrali, mentre il forte partito liberale di Venizelos voleva l'intervento a fianco dell'Intesa. Notevoli conseguenze ebbe la rivolta araba contro l'Impero ottomano (marzo), che aprì un nuovo fronte contro le truppe turco-tedesche in Arabia, mentre la Francia e l'Inghilterra cercavano di definire le loro future zone d'influenza nel Vicino Oriente. Negli Stati Uniti, Wilson fu rieletto presidente (7 novembre) e chiese nel dicembre ai belligeranti di precisare i rispettivi scopi di guerra, passo che obbligava i governi a definire la loro politica, ma che poteva anche rendere palesi le divergenze tra alleati all'interno dei due campi. I piani elaborati da ambedue le parti per il 1916 puntavano al raggiungimento di risultati decisivi per mezzo di un'offensiva di logoramento degli effettivi e del materiale sul fronte francese. Il generale Joffre decise di portare una serie di attacchi potenti e metodici sulla Somme, che avrebbero dovuto essere appoggiati da un'offensiva russa in Galizia. Ma fu preceduto di tedeischi i quali, ritenendo che la Francia fosse al limite delle sue risorse umane, decisero di colpire prima che scendessero in campo nuove truppe britanniche; scelsero come obiettivo Verdun che attaccarono il 21 febbraio nella presunzione che la sua caduta, dopo l'esaurimento di tutti i mezzi difensivi francesi, avrebbe deciso della guerra. Ma, se la battaglia di Verdun (febbraio-dicembre) logorò l'esercito francese in proporzioni maggiori di quello tedesco, essa si risolse tuttavia in un insuccesso strategico tedesco, perché Joffre, anche se con ritardo sui piani iniziali, poté lanciare (1º luglio), alimentandola per quattro mesi, la sua offensiva sulla Somme, che impedì ai Tedeschi di impegnare a Verdun tutti i mezzi inizialmente previsti. Il comando supremo austriaco, intanto, non più preoccupato dell'esercito russo, decise di attuare una grande offensiva contro l'Italia secondo un progetto già studiato fin dal tempo di pace dal generale Conrad. L'esercito austriaco, sostenuto da unità germaniche, avrebbe dovuto irrompere dal saliente trentino nella pianura veneta tagliando le comunicazioni alle armate italiane schierate a oriente. L'offensiva, che gli Austriaci denominarono Strafexpedition e gli Italiani “battaglia degli Altipiani*” (15 maggio - 24 luglio), si svolse su un fronte di 40 km dalla Val Lagarina alla Valsugana. Dopo un'iniziale ritirata il rapido spostamento di truppe di riserva dal fronte giulio consentì a Cadorna di fronteggiare la pericolosa situazione impedendo agli Austriaci di conseguire il successo. Il 16 giugno il comando supremo italiano lanciò una controffensiva con le ali dello schieramento migliorando la situazione del fronte. Agli inizi dell'anno Cadorna, secondo gli accordi di Chantilly (dicembre 1915), aveva predisposto un'offensiva sul fronte dell'Isonzo persistendo nel concetto operativo di avanzare verso Trieste e Lubiana e preparando una potente offensiva contro il saliente di Gorizia. Questa fu realizzata con un'abile manovra strategica che consentì di spostare rapidamente la 5ª armata, che era stata impegnata in minima parte nella lotta sugli Altipiani. Il conseguimento della sorpresa consentì la conquista di Gorizia (6ª battaglia dell'Isonzo, 9 agosto), le cui posizioni fortificate erano ritenute dagli Austriaci imprendibili. Nell'autunno (settembrenovembre) si ebbero sul Carso triestino tre sanguinose offensive (7ª, 8ª, 9ª dell'Isonzo) che si risolsero in battaglie di logoramento da entrambe le parti. In seguito agli avvenimenti dell'anno precedente, che avevano costretto i Russi a un generale ripiegamento, con la perdita di vasti territori (Polonia, Lituania, ecc.), il granduca Nicola era stato esonerato dal comando in capo dell'esercito, che venne assunto personalmente dallo zar: la situazione generale non migliorò ma i Russi poterono riprendere in Galizia la spinta attaccante con un'offensiva (offensiva Brusilov) che nell'estate 1916 pose in critiche condizioni l'esercito austro-ungarico. Nell'autunno, però, le capacità combattive russe parvero ormai esaurite. Russi e Turchi furono nel 1916 abbastanza attivi sui fronti secondari: offensiva russa del granduca Nicola in Armenia (presa di Erzurum e di Trebisonda, febbraio-aprile); attacchi turchi in Mesopotamia, che costrinsero gli Inglesi a ritirarsi dalla zona di Bagdad e a capitolare a Kut al-‘Amara(28 aprile), sul canale di Suez, peraltro falliti (4 agosto), e in Palestina, dove non riuscirono a fermare i progressi inglesi su Al-‘Arish (presa nel dicembre) e Gaza. In Africa, il Camerun venne occupato dai Franco-Inglesi nel gennaio. In Macedonia, le forze del generale francese Sarrail, in risposta a un attacco bulgaro, presero l'offensiva il 14 settembre e conquistarono Monastir (novembre), ma non poterono impedire a Falkenhayn - passato, dopo le sue dimissioni da capo di Stato Maggiore, al comando della 9ª armata - di schiacciare le armate romene che si erano spinte in Transilvania e di entrare a Bucarest (ottobre- dicembre), mentre il Mackensen cooperava efficacemente da sud alla clamorosa vittoria. La conquista della Romania non poteva controbilanciare, per gli Imperi centrali, lo scacco subito dal comando tedesco a Verdun, che segnò, per sua stessa ammissione, la “svolta della guerra”. Sul piano militare, nel complesso dei fronti le iniziative si equilibrarono, e l'usura delle forze nemiche, che i due avversari cercavano di conseguire, colpì ugualmente gli eserciti contrapposti, ripercuotendosi a livello degli alti comandi: così, nell'agosto Falkenhayn cedette il posto a Hindenburg e al suo capo di Stato Maggiore Ludendorff, e nel dicembre Joffre fu sostituito da Nivelle, fautore dell'offensiva a ogni costo. Gli Austro-Tedeschi, nell'intento di rafforzare la condotta della guerra, affidarono in settembre il comando unico a Hindenburg, ma essi dovevano ormai fronteggiare un nemico la cui potenza militare si rafforzava continuamente, e il cui dominio dei mari, nonostante l'esito indeciso della battaglia dello Jutland (31 maggio), rimaneva incontrastato. Il 1917 Eventi politici e militari Il 1917 fu caratterizzato da due avvenimenti decisivi: l'intervento americano e la Rivoluzione russa. La guerra sottomarina, scatenata senza restrizioni dai Tedeschi a partire dal 1º febbraio, spinse gli Stati Uniti a rompere le relazioni diplomatiche con la Germania (3 febbraio); seguì poi, il 7 aprile, la dichiarazione di guerra del governo di Washington. L'intervento americano assunse un aspetto particolare; la guerra fu infatti estesa all'Austria Ungheria soltanto il 7 dicembre, e non vi fu mai stato di belligeranza con la Turchia e la Bulgaria; gli Stati Uniti intendevano in sostanza mantenere la loro libertà d'azione, e non sottoscrissero mai il trattato di Londra del 5 settembre 1914, non entrarono nell'alleanza propriamente detta, e restarono quindi una potenza “associata” agli avversari della Germania. La Rivoluzione russa ebbe invece un effetto opposto, in quanto, provocando la defezione della Russia dalla lotta, controbilanciò, in una certa misura, gli effetti dell'intervento americano. La crisi rivoluzionaria che si aprì in Russia all'inizio del 1917 e che portò all'abdicazione dello zar Nicola II (15 marzo) diede dapprima agli Alleati la speranza di una più attiva cooperazione alla guerra da parte dei nuovi governi. Ma gli sviluppi della situazione interna del paese si rivelarono ben presto incompatibili con gli impegni presi dai suoi governanti; il partito bolscevico di Lenin, dopo aver conquistato il potere con la Rivoluzione d'ottobre, avviò ben presto trattative d'armistizio con i Tedeschi, a partire dal 20 dicembre, trattative che si conclusero il 3 marzo 1918 con la pace, che dava, fra l'altro, ai Tedeschi l'intera Ucraina. Lo stesso anno 1917 fu caratterizzato da vari tentativi di avviare negoziati di pace generale. Tra molti altri, due insuccessi misero in evidenza la difficoltà dell'impresa. 1. Il tentativo austriaco di arrivare a una pace separata, avviato per iniziativa dell'imperatore Carlo I (succeduto a Francesco Giuseppe nel novembre 1916) con un passo del principe Sisto di Borbone, cognato dell'imperatore, presso il presidente francese Poincaré, fu frustrato dall'opposizione dei Tedeschi, informati dal ministro austriaco Czernin, e dall'opposizione del governo italiano, informato delle trattative nel corso della conferenza di San Giovanni di Moriana (aprile). 2. Anche l'appello di pace lanciato il 1º agosto 1917 dal pontefice Benedetto XV fu accolto sfavorevolmente dai due campi. Da una parte la speranza degli Alleati di migliorare sensibilmente la loro posizione, dall'altra quella dei Tedeschi di sfruttare i vantaggi di una “carta di guerra”, che per il momento era loro molto favorevole, non rendevano infatti né gli uni né gli altri disposti a sacrifici per porre fine al conflitto. L'inquietudine dei paesi belligeranti, logorati dalla durata del conflitto, si manifestò nelle crisi di governo: mentre in Germania, a partire dalle dimissioni di Bethmann-Hollweg (luglio), iniziava un periodo di instabilità, in Francia, invece, dopo una fase agitata e complicata, andava al potere Clemenceau, fermamente deciso a superare tutti gli ostacoli. Per quel che riguarda l'Oriente, il fatto diplomatico più importante fu la dichiarazione Balfour (novembre), la quale indicava che l'Inghilterra avrebbe visto favorevolmente la formazione di un focolare nazionale israelita in Palestina. Poiché la guerra di logoramento non aveva portato alla decisione definitiva, questa dovette essere ricercata in altra direzione, ma i piani elaborati a tal fine dalle due parti furono sconvolti dalle conseguenze militari della Rivoluzione russa e dell'intervento americano. Hindenburg si vide costretto per la prima volta, dalla scarsità dei suoi mezzi, a opporre alle azioni alleate un atteggiamento puramente difensivo, ripiegando le sue unità (febbraiomaggio) - in previsione dell'offensiva generale alleata - su un fronte più arretrato preventivamente fortificato (San Quintino-La Fère), al quale chiedeva semplicemente di “tenere”; egli si aspettava infatti la decisione del conflitto dalla guerra sottomarina a oltranza, anche a rischio dell'intervento americano, che a suo parere sarebbe stato tardivo. Se il comandante tedesco non poté più imporre il ritmo delle operazioni, seppe però approfittare in pieno degli avvenimenti che gli erano favorevoli: lo scacco dell'offensiva francese sull'Aisne rafforzò la sua fiducia, e la progressiva eliminazione del fronte russo, sanzionata dall'armistizio e poi dalla pace di Brest-Litovsk, giocò in modo insperato in favore della Germania. In particolare, Hindenburg poté così aiutare in misura determinante l'Austria nell'offensiva che portò a Caporetto. Il generale Nivelle, trasformando i piani di Joffre, si era proposto di ottenere la vittoria con la rottura rapida su un largo fronte, e il suo sfruttamento pronto e audace. Preceduta da un attacco inglese nell'Artois (9 aprile), la sua grande offensiva fu scatenata il 16 aprile sullo Chemin des Dames ma si risolse con un insuccesso totale, che portò alla sostituzione del Nivelle con Pétain (15 maggio). La resistenza tedesca fu facilitata dalla mancanza di unità fra gli Alleati. Gli Inglesi dedicarono infatti mezzi sempre più ingenti alla guerra contro i Turchi, che essi consideravano come una questione di loro esclusiva spettanza; l'11 marzo gli Inglesi entrarono a Bagdad; il 31 ottobre Allenby attaccò in Palestina, ed entrò a Gerusalemme (18 dicembre). Sul fronte occidentale, gli Inglesi lanciarono una grande offensiva nella Fiandra (giugno-novembre) per allontanare i Tedeschi dalle coste del Belgio e raggiungere le basi dei sottomarini. Sul fronte di Salonicco, dove il Sarrail fu sostituito dal Guillaumat, non si svolse nessuna operazione di rilievo. La guerra sottomarina toccò invece il suo apice: nell'aprile i Tedeschi affondarono naviglio mercantile alleato per 1 milione circa di t, ma l'adozione del sistema dei convogli e il perfezionamento delle difese alleate portarono a una graduale riduzione delle perdite. Nel convegno di Roma (6-8 gennaio), al quale parteciparono tra gli altri Lloyd George e Nivelle, il Cadorna propose un'azione decisiva interalleata contro l'Austria, ritenuto il più debole degli Imperi centrali. L'opposizione di Nivelle, che preparava una propria offensiva, fece cadere la proposta, a cui Lloyd George era favorevole. L'Austria, stremata dalle operazioni del 1916, aveva deciso di tenere un atteggiamento difensivo in attesa degli eventi politici in Russia. L'Italia, in base agli accordi della conferenza di Chantilly, aveva iniziato la preparazione di una nuova offensiva contro le difese orientali di Gorizia. Il timore di una nuova offensiva dal Trentino fece sospendere l'azione che fu poi attuata in maggio (10ª battaglia dell'Isonzo) e ripetuta in agosto (11ª battaglia dell'Isonzo) sulla Bainsizza, per infliggere all'esercito austriaco un duro colpo prima che potesse spostare notevoli forze dal fronte russo. Sugli Altipiani, per migliorare la situazione del fronte, furono iniziate delle operazioni che diedero luogo alla battaglia dell'Ortigara (10-29 giugno) che comportò gravissime perdite e nessun risultato. La critica situazione austriaca dopo la battaglia della Bainsizza spinse la Germania a venire in aiuto dell'alleata approfittando del fatto che l'esercito russo era in dissolvimento e che quello francese già da tempo stava sulla difensiva. Fu deciso di attaccare sull'alto Isonzo nel settore Plezzo - Tolmino dove la sistemazione difensiva italiana si presentava piuttosto debole. La rottura del fronte doveva avvenire con il metodo di attacco ideato da Hindenburg e Ludendorff e che aveva dato brillanti risultati già alla presa di Riga, attuata dal generale Hutier (1-3 settembre). La realizzazione della sorpresa, affidata al generale tedesco von Below, la rispondenza dei procedimenti d'attacco allo scopo da conseguire, deficienze nell'organizzazione difensiva italiana e nell'azione di comando, consentirono la rottura del fronte e la penetrazione profonda delle truppe austrotedesche nello schieramento italiano (Caporetto, 24-26 ottobre). Di fronte alla gravità di tale situazione Cadorna emanò alle due del 27 ottobre l'ordine di ripiegare sul Tagliamento. Ma il complesso delle forze che il 1º novembre si trovavano a occidente del fiume era insufficiente alla difesa, per cui Cadorna ordinò un ulteriore ripiegamento sulla linea Asiago-Grappa-Piave che presentava una minore ampiezza di fronte. Nella notte dal 2 al 3 novembre gli Austro-Tedeschi forzarono il Tagliamento a sud di Osoppo. Lo schieramento venne portato dietro la Livenza; dal 5 al 7 novembre la 2ª e la 3ª armata protessero il ripiegamento del grosso sul Piave che risultava completato entro il 9 novembre. In tale data Cadorna fu sostituito da Diaz nella carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito. Giunti sul Piave gli Austro-Tedeschi, ritenendo di avere di fronte un esercito ormai disfatto, dopo essersi riordinati ripresero gli attacchi sull'altopiano di Asiago (10 novembre), sul Piave (12 novembre), sul Grappa (15 novembre) che rinnovarono di fronte all'accanita resistenza italiana, senza però conseguire alcun successo decisivo. La crisi italiana provocata da Caporetto dimostrò la necessità di una più stretta cooperazione militare alleata; pertanto nell'incontro di Rapallo (7 novembre 1917) i primi ministri e i capi di Stato Maggiore della Francia, dell'Inghilterra e dell'Italia decisero la creazione di un Consiglio superiore di guerra interalleato, formato dai rappresentanti militari permanenti delle potenze alleate, primo passo sulla via del comando unico. Il 1918 Eventi politici e militari L'8 gennaio il presidente Wilson enumerò i quattordici punti ai quali si sarebbe ispirata la sua azione nella futura conferenza per la pace. Essi contenevano a un tempo princìpi generali di diritto internazionale e indicazioni sull'assetto politico, da stabilirsi a guerra conclusa (precise soprattutto per quanto riguardava il Belgio e la restituzione dell'Alsazia e della Lorena alla Francia). Ma i primi mesi del 1918 parvero rafforzare la posizione della Germania, che era fiduciosa nei risultati della sua offensiva sul fronte occidentale e che aveva allargato notevolmente i territori occupati a oriente: pace di BrestLitovsk con la Russia bolscevica (3 marzo), di Bucarest con i Romeni (7 maggio), organizzazione dell'Ucraina sotto controllo tedesco (marzo). I rovesci subiti dalla Germania nell'estate del 1918, che resero inefficaci i suoi piani relativi all'Europa orientale, ebbero effetti decisivi nell'Europa centrale. Il 5 ottobre il nuovo cancelliere del Reich, principe Massimiliano (Max) di Baden, chiese la mediazione americana per una pace fondata sui quattordici punti; ma già prima della firma dell'armistizio, la rivoluzione scoppiata a Kiel (4 novembre), e poi a Monaco e Berlino, provocò la fine delle monarchie tedesche e la fuga di Guglielmo II (9 novembre). Divenne così cancelliere il socialista Ebert. Quanto all'Impero austro- ungarico, la guerra terminò col suo completo disfacimento; le varie nazionalità che lo componevano proclamarono la loro indipendenza. Il 28 ottobre fu così proclamata a Praga la Repubblica Cecoslovacca. Nello stesso ottobre un Consiglio nazionale decise a Zagabria l'unione dei Serbi, Croati e Sloveni dell'Impero austro-ungarico, e il 24 novembre proclamò la loro unione alla Serbia, che aveva a sua volta assorbito il Montenegro. Il distacco delle province riunite alla Romania e alla Polonia lasciò sussistere soltanto due Stati distinti e di dimensioni ridotte: l'Austria e l'Ungheria. Mentre la Polonia, in via di ricostituzione, rompeva le relazioni con la Germania, l'armistizio dovette essere prolungato, e la conferenza della Pace non poté riunirsi a Parigi che nel gennaio 1919. L'estremo sforzo tedesco, reso possibile dalla fine delle operazioni militari sul fronte orientale, permise di far affluire a occidente 700.000 uomini, e fu per gli Alleati un colpo tanto più duro in quanto i Franco-Inglesi erano alle prese con una grave crisi di effettivi, anche perché le unità americane non potevano intervenire prima del luglio; il comando alleato fu così costretto a un atteggiamento difensivo. Hindenburg e Ludendorff, invece, si trovavano di fronte alla necessità imperiosa di ottenere lo scontro risolutivo prima dell'intervento americano e dell'usura completa degli alleati austriaci, bulgari e turchi, ormai all'estremo delle loro risorse. Essi dedicarono pertanto tutte le loro energie alla preparazione delle forze tedesche, per realizzare a ogni costo, con la sorpresa e la violenza degli attacchi, la rottura del fronte francese. Gli attacchi tedeschi durarono senza interruzione dal 21 marzo al 15 luglio. Nella speranza di separare i Francesi dagli Inglesi, costringendo i primi a coprire Parigi e i secondi le loro basi della Manica, Hindenburg e Ludendorff attaccarono il 21 marzo in Piccardia, ma non poterono raggiungere i loro obiettivi per la risoluta resistenza degli Alleati che a Doullens, alla fine di marzo, realizzarono finalmente il comando unico, affidato al Foch, nominato comandante in capo il 14 aprile. Dopo l'insuccesso di una seconda offensiva in, Ludendorff, attribuendo questi scacchi all'intervento delle riserve francesi, decise di impegnarle sull'Aisne, prima di liquidare gli Inglesi nella Fiandra. Egli quindi attaccò di nuovo il 27 maggio, raggiungendo Château- Thierry e minacciando da vicino Parigi per la seconda volta, dopo l'agosto-settembre 1914. Per allargare la sua offensiva, frenata da Foch nella foresta di Villers-Cotterets e nelle alture della Champagne, egli attaccò poi all'ovest, il 9 giugno, sul Matz, e all'est, il 15 luglio, su Reims. Quest'ultima offensiva segnò il punto culminante dell'avanzata tedesca: il 18 il Foch lanciò una controffensiva vittoriosa sul suo fianco destro, in direzione di Soissons, e il 3 agosto la sacca di Château-Thierry fu riassorbita. Fin dal 24 luglio, il piano di Foch prescriveva un ritorno definitivo all'offensiva, con l'obiettivo principale di disimpegnare le strade strategiche Parigi - Amiens e Parigi - Châlons-Nancy mediante la riduzione delle sacche di Château- Thierry (in corso), di Montdidier (battaglia dell'8 agosto) e di Saint-Mihiel (battaglia del 12 settembre). Il 3 settembre Foch, deciso a non lasciare respiro all'avversario, ordinò l'offensiva generale e la continuò con tutte le sue forze, dalla Mosa al mare, in direzione di Mézières. La manovra concentrica si sviluppò, a partire dal 26 settembre, con tre grandi operazioni condotte da Francesi, Inglesi e Belgi nella Fiandra, in direzione di Gand, da Francesi e Inglesi contro la linea Hindenburg, in direzione di Cambrai e di San Quintino, da Francesi e Americani nelle Argonne, in direzione di Sedan. Il 10 e il 20 ottobre Foch ordinò lo sfondamento delle ultime posizioni difensive tedesche, e previde l'estensione della battaglia a est della Mosa. Ma l'attacco concentrico delle dodici armate alleate costrinse i Tedeschi a confessarsi vinti: il 4 novembre essi decisero la ritirata generale sul Reno; il 7, loro plenipotenziari chiesero l'armistizio, che ottennero a Rethondes, l'11 novembre, rendendo superflua l'offensiva di Lorena prevista per il 14. L'estremo tentativo offensivo austriaco ebbe inizio sul fronte italiano il 15 giugno (battaglia del Solstizio): sugli Altipiani e sul Grappa conseguì vantaggi locali ma con perdite così gravi che in quei settori le operazioni furono subito sospese; lungo il Piave gli Austriaci riuscirono ad avanzare sul Montello e a costituire alcune teste di ponte. Il comando supremo austriaco difettava però di riserve, mentre quello italiano poté far affluire le proprie lanciando una controffensiva che determinò il ripiegamento del nemico, ormai esausto, al di là del fiume. Gravi questioni politiche cominciavano intanto a turbare la compagine degli Imperi centrali, mentre i popoli dell'Impero austro-ungarico intensificavano i moti d'indipendenza. Di fronte a questa situazione il 25 settembre il generale Diaz decise di agire cercando di dividere le forze schierate in piano da quelle del settore montano, forzando il Piave di fronte al Montello e puntando su Conegliano e Vittorio Veneto. L'offensiva ebbe pieno successo e il 29 ottobre l'esercito austriaco iniziò il ripiegamento in pianura e nella notte fra il 30 e il 31 abbandonò il Grappa. Il giorno 31 iniziò l'inseguimento per precedere le truppe in ritirata sui punti d'obbligato passaggio delle colonne. L'armistizio venne firmato a villa Giusti e le operazioni terminarono alle ore 15 del 4 novembre, una settimana prima della conclusione generale della guerra sul fronte occidentale (11 novembre): a questa conclusione la vittoria italiana diede un contributo notevole, per la minaccia di agire da sud contro la Germania. Accanto all'azione sul fronte francese e italiano la strategia alleata lanciò altre offensive che contribuirono in modo decisivo alla vittoria. In Macedonia, il generale francese Franchet d'Esperey lanciò il 15 settembre un attacco generale mirante alla rottura del fronte bulgaro: l'obiettivo fu raggiunto con la battaglia di Dobro Polje, che costrinse i Bulgari a deporre le armi il 29 settembre. Sfruttando questo successo, Franchet d'Esperey si spinse su Skoplje, varcò il Danubio, liberò la Serbia e la Romania (ottobre) e minacciò l'Austria e la Germania del sud. In Palestina, le forze inglesi passarono all'offensiva il 19 settembre, batterono le truppe turco-germaniche ed entrarono a Damasco (30 settembre), Beirut (7 ottobre), Aleppo (26 ottobre). Nella notte fra il 30 e il 31 ottobre la Turchia, minacciata anche dall'avanzata alleata su Costantinopoli, dovette firmare l'armistizio di Mudhros. interventismo interventismo, Lo scoppio del primo conflitto mondiale aprì nell'opinione pubblica italiana un grave e profondo contrasto tra interventisti e neutralisti, in un momento politicamente difficile per l'equilibrio del paese, che usciva da poco dalla guerra di Libia, dalle elezioni a suffragio quasi universale del 1913 (che avevano rafforzato le posizioni dei socialisti in parlamento) e dalla Settimana rossa del giugno 1914. L'interventismo ebbe fin dall'inizio il significato univoco di intervento a fianco delle potenze dell'Intesa. A favore di tale intervento si schierarono subito frazioni cospicue della democrazia liberale e i repubblicani, per i quali la guerra contro l'Austria si identificava con il compimento dell'unità nazionale e il pieno conseguimento degli ideali nazionali del Risorgimento (conquista del Trentino e della Venezia Giulia). Sostenitori dell'intervento contro gli Imperi centrali, sulla base di motivazioni dettate da principi democratici e nazionali, furono anche i socialisti riformisti che facevano capo a L. Bissolati e a I. Bonomi, come pure gli irredentisti socialisti e democratici come Cesare Battisti. Nel movimento interventista confluirono però anche forze mosse da ben diverse aspirazioni ideali: anzitutto i nazionalisti, che concepivano il conflitto non come ultima guerra per l'Indipendenza ma piuttosto come prima prova dell'Italia quale grande potenza, e che quindi più che a Trento e a Trieste aspiravano all'espansionismo di tipo imperialista in direzione dei Balcani, dell'Africa e del Vicino Oriente; poi le frazioni dei socialisti rivoluzionari che si erano staccate dall'Unione sindacale italiana per dar vita all'Unione italiana del lavoro; e infine i futuristi, che avevano già elaborato la loro ideologia che esaltava il dinamismo, i momenti di rottura e quindi anche la guerra, “sola igiene del mondo”. Il movimento interventista, sebbene minoritario, riuscì a determinare nella classe dirigente l'orientamento favorevole all'impegno in una guerra che la parte maggiore del paese non voleva (erano infatti contrari alla partecipazione al conflitto non solo i cattolici e i socialisti del PSI ma anche la maggioranza delle formazioni liberal-democratiche). Grande importanza a questo proposito ebbe l'atteggiamento di G. D'Annunzio e di B. Mussolini. Il poeta, dopo aver fatto un'attiva e abile propaganda per l'intervento, diede un impulso decisivo alle forze antineutraliste con il discorso tenuto a Quarto il 5 maggio 1915 nell'anniversario della spedizione dei Mille. Quanto a Mussolini, direttore dell'Avanti!, dopo essere stato neutralista a oltranza nel luglio 1914 e aver lanciato nell'ottobre la parola d'ordine della “neutralità attiva ed operante”, fondò il 15 novembre il Popolo d'Italia (che divenne rapidamente il portavoce dell'interventismo rivoluzionario di sinistra), dando poi vita, appena espulso dal partito socialista, al Fascio autonomo di azione rivoluzionaria, che nel dicembre si fuse con i Fasci di azione rivoluzionaria creati da Corridoni, Bianchi e altri sindacalisti interventisti. Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000 - Copyright RCS Libri S.P.A. trincea trincèa, trincèa s.f. (fr. tranchée). Opera di fortificazione campale che costituisce elemento attivo quale postazione protetta per l'azione di fucilieri in linea; nel contempo permette lo spostamento al coperto del personale. (A volte è realizzata ampliando gradualmente e collegando tra loro le postazioni individuali. Gli elementi che la compongono sono: il parapetto, ossia la parete rivolta al nemico; la banchina per tiratori, cioè il rialzo occupato da questi, e il camminamento, che è la parte più profonda dello scavo e serve anche con un fossetto allo scolo delle acque.) Artiglieria da trincea, v. ARTIGLIERIA. Mortaio da trincea, v. MORTAIO. Guerra di trincea, guerra in cui gli avversari, entrambi sulla difensiva, si fronteggiano da opposte trincee fra loro parallele. (È denominazione coniata per la prima guerra mondiale, ripresa allorché una guerra si stabilizza su due opposti fronti difensivi. È un tipo di guerra di posizione.) Trincea d'approccio, nella guerra d'assedio, camminamento che consentiva alle truppe di procedere al coperto dalla linea di controvallazione verso la piazza. (Era costituita da tratti disposti a zig-zag, per evitare il tiro d'infilata.) Trincea continua, quella che corre ininterrotta lungo tutto il fronte. (Conseguente alla tattica lineare, fu impiegata durante la prima guerra mondiale; è sostituita oggi da elementi di trincea, disposti in modo da fiancheggiarsi.) - Lav. pubbl. Scavo a cielo aperto eseguito in genere come sede di una strada o di una linea ferroviaria quando all'asse di queste sia stata attribuita una quota inferiore a quella del terreno circostante per evitare un dislivello o per mantenerlo entro determinati valori: Strada in trincea. Linea in trincea. - Med. Febbre delle trincee, sin. di FEBBRE QUINTANA. Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000 - Copyright RCS Libri S.P.A. Wilson (Thomas Woodrow), Wilson (Thomas Woodrow), uomo politico americano, 28º presidente degli Stati Uniti (Staunton, Virginia, 1856 Washington 1924). Esperto in studi giuridici, politici e storici, dal 1890 insegnò diritto ed economia politica all'università di Princeton, di cui fu rettore dal 1902 al 1910. Segnalatosi per i suoi piani di riforma scolastica, nel 1910 fu eletto governatore del New Jersey per il partito democratico, conducendo poi una vasta azione moralizzatrice della vita pubblica. Nel 1912 fu scelto dalla Convenzione democratica come candidato alla presidenza degli Stati Uniti e nelle elezioni del novembre ebbe ragione di Roosevelt e Taft. Insediatosi alla Casa Bianca (marzo 1913), egli applicò la propria concezione della carica presidenziale come potere forte e predominante, intervenendo spesso presso i singoli membri del Congresso per ottenere l'approvazione di riforme che gli stavano a cuore. Nel 1913 fece approvare l'Underwood Tariff Act per la riduzione delle tariffe doganali, il Federal Reserve Act che istituiva un controllo federale sul sistema bancario, il 16º emendamento che rivoluzionava il sistema tributario con l'applicazione della tassazione progressiva, il 17º emendamento per l'elezione dei senatori a suffragio universale diretto; e nel 1914 il Federal Trade Act contro i monopoli e il Clayton Antitrust Act che negava l'incostituzionalità dello sciopero. Le sue decisioni più importanti in fatto di politica estera riguardano la prima guerra mondiale. Alla vigilia del conflitto, rendendosi interprete della volontà isolazionista dell'opinione pubblica americana, Wilson s'era fatto promotore della “neutralità mediatrice”, che prevedeva per gli Stati Uniti il ruolo di arbitro: si trattava di trovare un'intesa politica ed economica tra le potenze europee per evitare la guerra, ricorrendo anche al disarmo navale. Scoppiata la guerra, il 4 agosto 1914 Wilson redasse la dichiarazione di neutralità e il giorno seguente offrì il suo arbitrato. Grazie anche a questa linea politica poté ripresentarsi e vincere alle elezioni del 1916. Ancora in un discorso del gennaio 1917 propose una pace “senza vittoria”, senza annessioni, senza umiliazioni e riparazioni, che potesse essere duratura garantendo la sicurezza delle piccole nazioni, la libertà dei mari, la riduzione degli armamenti attraverso la costituzione di un'apposita lega sovranazionale. Tuttavia gli sviluppi del conflitto in Europa, l'indiscriminata estensione della guerra sottomarina tedesca e gli stretti vincoli economici tra gli Stati Uniti e i paesi dell'Intesa, cancellando le ultime illusioni di soluzione pacifica, finirono con l'orientare Wilson all'intervento. Il 7 aprile 1917 gli Stati Uniti entrarono in guerra influendo con il loro notevole potenziale industriale e bellico sull'esito del conflitto. Nel gennaio 1919 Wilson si presentò alla conferenza della Pace con un programma sintetizzato nei “Quattordici punti”, che ricalcava in sostanza il programma esposto in un discorso del gennaio 1918. Le cose andarono però diversamente: i vinti non parteciparono alle discussioni di pace; le nazionalità non furono rispettate nella costituzione della nuova carta europea; furono stabilite condizioni insostenibili per la Germania e pagamenti di riparazioni a carico dei paesi sconfitti; alla Società delle Nazioni non furono conferiti poteri e forza sufficienti per un'efficace azione di mantenimento della pace. Il fallimento del programma wilsoniano culminò nell'incomprensione da lui trovata in patria, dove le tendenze isolazionistiche avevano ripreso il sopravvento. Wilson perorò, tuttavia, la causa della Società delle Nazioni con un giro di propaganda nel corso del quale fu colpito da paralisi, ma nel 1920 il senato respinse il Covenant (patto) della Società, e gli Stati Uniti rimasero perciò al di fuori di essa. Uno dei suoi ultimi atti in politica interna fu il 19º emendamento (1920), che concedeva il voto alle donne. L'anno precedente a Wilson era stato conferito il premio Nobel per la pace. Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000 - Copyright RCS Libri S.P.A. irredentismo, Il movimento irredentista, anche se il termine fu usato per la prima volta da M. R. Imbriani nel 1877, giurando davanti alla bara del padre di dedicarsi all'impegno della liberazione delle terre ancora sottoposte all'Austria, cominciò a rappresentare un elemento di rilievo nella vita politica italiana già subito dopo la conclusione della guerra del 1866 che, pur avendo portato all'annessione del Veneto, aveva però lasciato sotto la sovranità absburgica la Venezia Giulia, il Trentino e l'Alto Adige. Iniziatrici dell'irredentismo (che in generale non contemplò fra le terre irredente Fiume e la Dalmazia) furono quelle correnti della sinistra, garibaldini, democratici, repubblicani, che esprimevano l'insoddisfazione per i modi in cui si era concluso il processo risorgimentale. Il movimento trovò una sua struttura organizzativa nell'Associazione in pro dell'Italia irredenta, fondata dall'Imbriani insieme con G. Bovio, G. Avezzana, R. Mirabelli, ecc. e che ebbe l'appoggio di Garibaldi, Saffi, Carducci, Cavallotti. Le agitazioni promosse dagli irredentisti e i progetti di attacchi su Trento e Trieste (come quello ventilato nel 1878) contribuirono in un primo tempo a rendere più tesi i rapporti fra il governo italiano e quello austriaco; quando però, dopo la conclusione della Triplice, le autorità italiane dovettero cercare di evitare i motivi di attrito con l'Impero austro-ungarico, esse fecero a volte ricorso alla maniera forte per reprimere il movimento. Così, dopo che l'impiccagione di G. Oberdan (20 dicembre 1882), cui Francesco Giuseppe aveva rifiutato la grazia, suscitò nel paese una viva emozione e fece sorgere numerosi circoli intitolati al martire (mentre Carducci invocava il giorno della giustizia per “l'imperatore degli impiccati”), il governo fece uso di misure come il sequestro di giornali irredentisti e lo scioglimento di comizi di protesta. Un ulteriore strumento organizzativo l'irredentismo ebbe nella Società Dante Alighieri (1889), sviluppando poi ulteriormente la sua azione nonostante la nuova fase repressiva che esso dovette fronteggiare nel 1889-1891, durante il ministero Crispi; infatti lo statista siciliano, convinto che per l'Italia fosse necessario, data la tensione con la Francia, essere una “fedele alleata” dell'Austria, sciolse il comitato per Trento e Trieste presieduto dall'Imbriani, e le associazioni e i circoli Oberdan, arrivando a licenziare il ministro delle finanze, F. Seismit-Doda, perché in occasione di un banchetto ufficiale in suo onore aveva ascoltato senza reagire un discorso irredentista. Parallelamente l'irredentismo operava con validi risultati nelle terre rimaste sotto l'Austria, difendendo la cultura italiana e tenendo desti gli ideali nazionali (dimostrazioni a Trieste nel 1894, inaugurazione del monumento a Dante a Trento nel 1896, manifestazioni nella Venezia Giulia e conflitti a Innsbruck tra studenti austriaci e studenti italiani per l'università libera nel 1903), anche se dopo il 1903 il movimento parve entrare in una fase di stasi (sconfitta del partito nazionale a opera dei socialisti e dei clericali a Trieste e nell'Istria nelle elezioni del 1907), per cui nel 1910 il ministro di San Giuliano poteva dire che l'irredentismo era morto. Le aspirazioni irredentistiche trassero invece rinnovato vigore dal nuovo orientamento della politica estera italiana (accostamento, dal 1902, alla Francia e all'Inghilterra) e dal rafforzamento del movimento nazionalista, che le inquadrò nel suo più vasto programma. Nascevano intanto nuove associazioni, come “Italia nostra” a Torino e “Corda fratres”, che si affiancavano alle più vecchie per agitare gli ideali irredentistici, mentre nel 1913 la condanna a cinque anni dello studente triestino Mario Sterle per apologia di Oberdan e i decreti del principe Hohenlohe, governatore di Trieste, suscitarono una viva reazione nel paese, rendendo più battagliero l'irredentismo. Si arrivò così allo scoppio del primo conflitto mondiale: nello scontro che in tal modo si apriva tra interventisti e neutralisti i motivi ideali dell'irredentismo rappresentarono uno degli elementi propulsivi di maggior rilievo nel campo dei fautori dell'intervento. Nell'immediato dopoguerra l'irredentismo perse ogni vigore, nonostante la parentesi del movimento a favore dell'annessione di Fiume all'Italia (1919-1920), mentre i tentativi del fascismo di farlo risorgere con altri obiettivi (Malta) non ebbero alcun seguito. 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