Il 1915 Eventi politici e militari

LA GRANDE GUERRA
La guerra che scoppiò nel 1914 fu un avvenimento nuovo nella storia dell'umanità, perché fu la
prima guerra generale “mondiale” che vide lo scontro di tutti i grandi Stati, i quali impegnarono le
capacità produttive dell'industria moderna e le risorse della tecnica per preparare strumenti di offesa
e di difesa. Fu una guerra di massa, combattuta per terra, per mare e nell'aria con impiego di armi
mai prima usate, e con il ricorso a nuovi mezzi di lotta economica e anche psicologica. Venne
combattuta dai belligeranti fino all'esaurimento e al crollo, e finì con l'apportare radicali
sconvolgimenti anche all'economia internazionale, aprendo così la via a ripercussioni e
conseguenze che durarono a lungo anche nel dopoguerra.
Il 1914 Eventi politici e militari
Causa occasionale della guerra fu l'assassinio dell'arciduca ereditario d'Austria-Ungheria Francesco
Ferdinando e della consorte, avvenuto a Sarajevo il 28 giugno 1914. L'Austria, d'accordo con la
Germania, attribuendo al governo serbo la responsabilità dell'eccidio, indirizzò a Belgrado il 23
luglio un ultimatum con richieste inaccettabili.
La risposta serba all'ultimatum (25 luglio), conciliante ma accompagnata dalla mobilitazione
generale, non accontentò l'Austria che dichiarò guerra alla Serbia (28 luglio) prima che fosse
accolta una proposta di mediazione presentata dall'Inghilterra (26 luglio). Nei giorni seguenti, il
meccanismo degli accordi internazionali portò a una rapida generalizzazione del conflitto. Dopo le
mobilitazioni russa e austriaca, la Germania dichiarò guerra alla Russia (1º agosto alle ore 19,10) e
alla Francia (3 agosto alle ore 18,45). A sua volta la violazione della neutralità del Belgio e del
Lussemburgo da parte delle truppe tedesche, vincendo le ultime esitazioni inglesi, provocò la
dichiarazione di guerra della Gran Bretagna alla Germania (4 agosto).
I belligeranti del 1914 compresero dunque: da una parte, la Germania e l'Austria – Ungheria;
dall'altra, la Serbia, il Montenegro, la Russia, la Francia, il Belgio e l'Inghilterra, cui si aggiunsero il
Giappone (23 agosto), alleato dell'Inghilterra e che sperava di impadronirsi delle posizioni tedesche
in Estremo Oriente. Dichiararono invece la loro neutralità, deludendo gli Imperi centrali, l'Italia (3
agosto) e la Romania. In particolare l'Italia, legata alla Germania e all'Austria - Ungheria dalla
Triplice alleanza, giustificò il suo atteggiamento con la mancata consultazione da parte degli Alleati
e con il carattere aggressivo della guerra. La Germania riuscì però a ottenere l'alleanza della
Turchia.
Negli ultimi mesi del 1914, i belligeranti si preoccuparono soprattutto di sviluppare uno sforzo
economico adeguato alle esigenze del logoramento di materiali emerse dalle prime battaglie, a
detrimento, talora, dell'azione diplomatica e della ricerca di nuove alleanze. Alcuni paesi, d'altra
parte, si trovavano alle prese con difficili problemi interni, resi ancora più complicati dalla guerra.
Così pure l'inizio della guerra non permise all'opinione pubblica di misurare l'importanza di fatti
rilevanti come l'apertura del canale di Panama (agosto) e l'elezione di papa Benedetto XV,
successore di Pio X (settembre). A Londra, Francia, Inghilterra e Russia firmarono il 5 settembre un
trattato di mutua assistenza.
L'iniziativa strategica fu presa dal comando militare tedesco che in pratica controllava quello di
Vienna, mentre nell'altro campo non esistevano né direzione di guerra comune né, tanto meno,
comando unico. Il piano che il generale von Moltke aveva ereditato dal suo predecessore von
Schlieffen affidava alle deboli forze presenti nella Prussia Orientale e agli Austro-Ungarici
l'incarico di contenere i Russi, mentre lo sforzo principale sarebbe stato operato immediatamente
verso la Francia. Il piano francese prevedeva un'offensiva generale in Lorena, partendo dai due lati
delle fortificazioni di Metz. Una variante, applicata dal 2 agosto, prescriveva soltanto, in caso di
attacco tedesco al Belgio, l'estensione del dispositivo fino alla Mosa da Givet a Namur; il generale
Joffre aveva il comando in capo dell'esercito francese. Nei riguardi dei Russi alleati, vi era soltanto
un accordo di massima per il quale essi avrebbero attaccato non appena possibile nella Prussia
Orientale con il massimo dei mezzi per alleggerire la pressione tedesca sul fronte francese: il piano
russo) era quindi subordinato a quello francese. Il piano austro-ungarico prevedeva l'eliminazione
rapida della Serbia e un attacco alla Russia dalla Galizia.
Se, nel corso della battaglia delle frontiere, l'ala destra tedesca riuscì a prendere Liegi (16 agosto) e
a respingere i Belgi su Anversa (20 agosto), dovette però lasciare fino a ottobre due corpi intorno a
questa città per espugnarla. Le operazioni principali furono condotte in Lorena, dove i Francesi
dovettero rinunciare a espugnare Morhange, ma resistettero davanti a Nancy e a Charmes, mentre
nelle Ardenne si ebbero combattimenti dall'esito incerto. Ma il 23 agosto il generale de Lanrezac,
attaccato e battuto da von Bülow a sud della Sambre, avendo appreso la presenza dell'armata von
Kluck, estrema ala aggirante tedesca, davanti agli Inglesi a Mons, dovette rompere il contatto. Egli
provocò così la ritirata generale delle truppe francesi (25 agosto - 6 settembre), che cercò di
rallentare a Guisa. Moltke credeva di avere ormai in pugno la decisione quando il generale Joffre,
dando prova di grandi capacità, riuscì a riprendere progressivamente l'iniziativa, bloccando
l'avanzata tedesca sulla Marna e respingendo i Tedeschi sull'Aisne e la Vesle (6-13 settembre). La
vittoria della Marna salvò Parigi gravemente minacciata e segnò una svolta nella condotta della
guerra. I due comandi cercarono allora di aggirare ciascuno l'ala nord dello schieramento
avversario; ma queste manovre parallele non ebbero successo, e portarono alla cosiddetta “Corsa al
mare”, per raggiungere lo stretto di Calais.
Se lo sforzo russo fu ostacolato da un'offensiva austriaca in Galizia, l'azione dei generali russi, nella
Prussia Orientale, costrinse alla ritirata le truppe prussiane, e obbligò lo Stato Maggiore tedesco a
richiamare dal Belgio due corpi d'armata (25 agosto) per rafforzare il fronte. Ma questo
spostamento di truppe, prezioso per i Francesi impegnati nella battaglia della Marna, si rivelò inutile
per i Tedeschi poiché annientarono l'armata russa a Tannenberg (26-29), e, con la battaglia dei laghi
Masuri (settembre), respinse un altro distaccamento russo dalla Prussia Orientale con gravi perdite.
L'offensiva austriaca in Galizia, invece, venne arrestata dai Russi, i quali iniziarono qui una
vigorosa controffensiva obbligando il nemico ad abbandonare Leopoli (3 settembre), ripiegando sui
Carpazi.
Sul fronte navale il primo scontro fra navi tedesche e inglesi si ebbe presso Helgoland il 28 agosto,
e la battaglia si risolse a favore dell'ammiraglio inglese Beatty. Nel Pacifico occidentale la squadra
tedesca di crociera di von Spee inflisse una dura sconfitta al largo di Coronel (1º novembre) alla
squadra inglese, ma fu poi annientata alle Falkland* (8 dicembre).
Alla fine del 1914, anche se il piano di Moltke non aveva potuto essere realizzato, il territorio
tedesco era stato tuttavia preservato dalla temuta invasione russa, anzi le truppe germaniche
occupavano a occidente parte del Nord della Francia. Quanto all'Austria, il suo esercito non riuscì a
venire a capo della resistenza della Serbia, che anzi, dopo alcune vittorie liberò il suo territorio e
riprese Belgrado (13 dicembre). I Tedeschi persero a opera dei Giapponesi i possedimenti del
Pacifico. La Francia aveva fermato l'invasione tedesca, ma la perdita di una parte essenziale del suo
territorio aveva diminuito il suo potenziale umano ed economico all'inizio di una guerra di cui non
si intravedeva la fine e che avrebbe richiesto sforzi senza precedenti.
Il 1915 Eventi politici e militari
Nel corso dell'anno entrarono in guerra l'Italia a fianco degli Alleati e la Bulgaria a fianco degli
Imperi centrali. L'orientamento dell'opinione pubblica italiana verso la guerra contro l'Austria
indusse questa, nel gennaio 1915, a intavolare nuove trattative che non condussero a positivi
risultati per l'esiguità dei compensi territoriali offerti. L'Italia iniziò a metà febbraio trattative
segrete con le potenze dell'Intesa, che si conclusero con la firma del patto di Londra (26 aprile), e di
fronte all'evidente interesse dell'Austria di dilazionare i negoziati, denunciò il trattato della Triplice
alleanza (3 maggio).
Nonostante la presenza nel paese di un forte schieramento neutralista, che andava da Giolitti ai
cattolici, l'Italia il 23 maggio (con effetto dal 24) dichiarò guerra all'Austria - Ungheria (ma non alla
Germania; la dichiarazione di guerra alla Germania si ebbe soltanto il 27 agosto 1916). L'alleanza
della Bulgaria con gli Imperi centrali (decisa nel settembre e divenuta effettiva il 5 ottobre con la
dichiarazione di guerra alla Serbia) compromise la situazione degli Alleati nei Balcani; negli ultimi
mesi dell'anno si ebbe così il crollo della Serbia, attaccata da due lati dai Bulgari e dagli Imperi
centrali (ottobre- novembre).
I due avvenimenti si inquadravano nell'insieme dei problemi della strategia mediterranea. Alcuni
uomini politici inglesi (tra cui Churchill) speravano infatti che si potessero ottenere risultati decisivi
nel Mediterraneo. Ma la spedizione dei Dardanelli si risolse in uno scacco. A loro volta i Turchi non
riuscirono però a minacciare il canale di Suez (febbraio). Nonostante la presenza (dall'ottobre) di un
corpo di spedizione anglo-francese inviato a Salonicco per alleggerire la pressione sulla Serbia, la
Grecia restò divisa. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l'affondamento del transatlantico Lusitania
per opera d'un sommergibile tedesco (7 maggio), in cui perirono anche 140 cittadini americani,
suscitò una grande emozione, ma non modificò per il momento la politica degli Stati Uniti. Anche
per quanto riguarda i prestiti accordati agli Alleati, le particolari condizioni di favore fatte dagli
Americani a partire dal settembre furono dovute soprattutto alla preoccupazione americana di
conservare larghe possibilità di esportazione ai propri prodotti.
Anche nel 1915 l'iniziativa delle operazioni rimase sostanzialmente alla Germania. Dopo alcune
esitazioni, confidando nella solidità del fronte occidentale, i tedeschi decisero di portare un colpo
decisivo sul fronte orientale, anche per rispondere alla pressione russa che aveva posto gli Austriaci
in difficile situazione, portando gli eserciti russi fino sui passi dei Carpazi. Dal maggio all'agosto le
forze di Hindenburg e di Mackensen, appoggiate a sud da quelle austro - ungariche, con una potente
azione di sfondamento costrinsero i Russi a evacuare Leopoli, Lublino e l'intera Polonia. I Tedeschi,
la cui situazione rimase qui praticamente inalterata fino al 1917, allontanarono così ogni pericolo
sul loro fronte orientale. L'offensiva contro i Russi dovette essere interrotta (25 settembre) per
fronteggiare gli attacchi francesi nell'Artois e nella Champagne;tuttavia l’esercito alemanno, che già
dal gennaio aveva messo in allarme gli Inglesi con un attacco contro Suez condotto da truppe
turche, approfittò dell'alleanza con la Bulgaria per liquidare e occupare la Serbia (ottobrenovembre), per collegarsi direttamente con i Turchi e per unificare gli obiettivi delle operazioni
negli Stretti e nei Balcani.
Il 1915 fu l'anno dell'intervento politico inglese nella direzione della condotta di guerra degli
Alleati; dopo aver creato, quasi dal nulla, valide forze armate, la Gran Bretagna non volle esaurirle
sul fronte francese, ma cercò invece di colpire la Germania manovrando per linee esterne sui punti
deboli del suo dispositivo. Per attaccare la Turchia e rafforzare le loro posizioni nel Medio Oriente,
gli Inglesi, sbarcati nel Golfo Persico (novembre 1914), avanzarono nella Mesopotamia puntando su
Bagdad, e nel febbraio, appoggiati tiepidamente dalla Francia, intrapresero la già ricordata
spedizione dei Dardanelli, che dopo lo scacco navale di Çanakkale (18 marzo), e le durissime lotte
nella penisola di Gallipoli, fu resa inutile, fra l'altro, dal sopravvenuto crollo della Serbia: s'impose
così l'evacuazione della penisola di Gallipoli (dicembre 1915 - 8 gennaio 1916), ma le truppe
impiegate nei Dardanelli vennero fatte sbarcare a Salonicco, preparando così l'apertura di un nuovo
fronte. Nel luglio, intanto, le forze inglesi occuparono le colonie tedesche dell'Africa del SudOvest, pur senza essere riuscite a debellare la resistenza germanica nell'Africa orientale.
Da parte francese, tutti gli sforzi furono tesi alla liberazione del territorio nazionale, da conseguire
mediante uno sfondamento del fronte nemico e la ripresa della guerra manovrata. Joffre fece così
eseguire, dal febbraio all'ottobre, una serie di violente quanto vane offensive nell'Artois, nella
Champagne nelle Argonne e nei Vosgi, il cui unico risultato fu di salvare l'esercito russo, duramente
battuto a Gorlice, obbligando il comando tedesco a impegnare le sue riserve a ovest.
Nel 1915 l'Italia, in base al patto di Londra, s'impegnò a prendere risolutamente l'offensiva contro
l'Austria; ciò costrinse il capo di Stato Maggiore, generale Cadorna, a dare alle operazioni
un'impostazione strategica fino ad allora imprevista. In questa situazione il piano di Cadorna
consistette nell'offensiva limitata al settore orientale, quello delle Alpi Giulie e dell'Isonzo, con
obiettivi Trieste e Lubiana; mentre sul fronte trentino era prevista solo una difensiva strategica
sussidiata dalla conquista di Dobbiaco, un attacco in Carnia verso Tarvisio avrebbe dovuto garantire
il fianco della puntata offensiva. Il comando supremo austriaco, dal canto suo, fin dall'autunno 1914
aveva ordinato la costituzione di un'organizzazione difensiva continua sul confine per logorare le
truppe italiane con il minimo delle forze: per il momento non erano previste azioni d'attacco verso
l'Italia. Le operazioni iniziarono con la presa di contatto dei due eserciti (24 maggio - 16 giugno) e
proseguirono con le prime quattro battaglie dell'Isonzo (23 giugno - 2 dicembre). Nessuno degli
obiettivi che il comando supremo italiano si era prefisso venne raggiunto, però l'intervento italiano e
l'atteggiamento offensivo subito assunto apportarono alla causa alleata un notevole contributo
salvando l'esercito russo in ritirata nella Polonia da una schiacciante sconfitta e favorendo l'azione
difensiva francese.
Le operazioni condotte dagli Alleati risultarono in complesso deludenti, ma il loro potenziale
militare migliorò in modo netto; lo sforzo per incrementare qualitativamente e quantitativamente
l'armamento, reso possibile dalla libertà dei mari, permise alle industrie belliche di attrezzarsi e agli
eserciti di trasformare la loro struttura e di fare l'esperienza di nuovi metodi di combattimento. La
necessità di una maggiore cooperazione militare alleata apparve chiara alla conferenza di Chantilly
(dicembre), in cui si decisero i piani di guerra per il 1916 e si stabilì di dare un aiuto materiale alla
Russia, le cui truppe avevano subito perdite molto gravi. D'altra parte l'obiettivo tedesco di
eliminare totalmente i Russi dal conflitto fallì, perché il rifiuto delle offerte di pace del Kaiser
(giugno) e l'offensiva del generale Ivanov in Bucovina (dicembre) dimostrarono che la Russia era
ancora in grado di combattere.
Il 1916 Eventi politici e militari
Un nuovo paese belligerante, la Romania, scese in campo a fianco degli Alleati (27 agosto), mentre
l'Italia dichiarava guerra alla Germania. L'intervento romeno che avrebbe dovuto fare da
contrappeso alla Bulgaria e aiutare l'esercito russo, si risolse però in un insuccesso, e l'invasione del
territorio romeno procurò ai Tedeschi, alla fine dell'anno, apprezzabili risorse di grano e di petrolio.
La posizione tedesca nell'Europa centrale si rafforzò così notevolmente, e sembrò permettere al
Reich vasti progetti per l'avvenire, tra cui figuravano anche le promesse d'indipendenza fatte ai
Polacchi il 4 dicembre. Tuttavia agli Imperi centrali non mancarono le preoccupazioni economiche
immediate, non soltanto per quanto riguardava gli approvvigionamenti, ma anche per la deficienza
della manodopera (che portò all'introduzione del lavoro forzato nel Belgio, 3 ottobre).
Gli Alleati, a loro volta, presero misure destinate ad avere decisiva influenza a lunga scadenza:
inasprimento del blocco navale per mezzo del contingentamento delle merci destinate a paesi
neutrali (marzo), progressiva estensione, in Gran Bretagna, della coscrizione, che divenne
obbligatoria in dicembre. Nei Balcani l'esercito serbo, ricostituito nell'isola di Corfù, andò a
rafforzare le truppe alleate che tenevano il fronte macedone di Salonicco. Restò ancora confusa la
situazione politica della Grecia, dove la Corona era sempre favorevole agli Imperi centrali, mentre il
forte partito liberale di Venizelos voleva l'intervento a fianco dell'Intesa. Notevoli conseguenze
ebbe la rivolta araba contro l'Impero ottomano (marzo), che aprì un nuovo fronte contro le truppe
turco-tedesche in Arabia, mentre la Francia e l'Inghilterra cercavano di definire le loro future zone
d'influenza nel Vicino Oriente. Negli Stati Uniti, Wilson fu rieletto presidente (7 novembre) e
chiese nel dicembre ai belligeranti di precisare i rispettivi scopi di guerra, passo che obbligava i
governi a definire la loro politica, ma che poteva anche rendere palesi le divergenze tra alleati
all'interno dei due campi.
I piani elaborati da ambedue le parti per il 1916 puntavano al raggiungimento di risultati decisivi
per mezzo di un'offensiva di logoramento degli effettivi e del materiale sul fronte francese. Il
generale Joffre decise di portare una serie di attacchi potenti e metodici sulla Somme, che avrebbero
dovuto essere appoggiati da un'offensiva russa in Galizia. Ma fu preceduto di tedeischi i quali,
ritenendo che la Francia fosse al limite delle sue risorse umane, decisero di colpire prima che
scendessero in campo nuove truppe britanniche; scelsero come obiettivo Verdun che attaccarono il
21 febbraio nella presunzione che la sua caduta, dopo l'esaurimento di tutti i mezzi difensivi
francesi, avrebbe deciso della guerra. Ma, se la battaglia di Verdun (febbraio-dicembre) logorò
l'esercito francese in proporzioni maggiori di quello tedesco, essa si risolse tuttavia in un insuccesso
strategico tedesco, perché Joffre, anche se con ritardo sui piani iniziali, poté lanciare (1º luglio),
alimentandola per quattro mesi, la sua offensiva sulla Somme, che impedì ai Tedeschi di impegnare
a Verdun tutti i mezzi inizialmente previsti.
Il comando supremo austriaco, intanto, non più preoccupato dell'esercito russo, decise di attuare una
grande offensiva contro l'Italia secondo un progetto già studiato fin dal tempo di pace dal generale
Conrad. L'esercito austriaco, sostenuto da unità germaniche, avrebbe dovuto irrompere dal saliente
trentino nella pianura veneta tagliando le comunicazioni alle armate italiane schierate a oriente.
L'offensiva, che gli Austriaci denominarono Strafexpedition e gli Italiani “battaglia degli
Altipiani*” (15 maggio - 24 luglio), si svolse su un fronte di 40 km dalla Val Lagarina alla
Valsugana. Dopo un'iniziale ritirata il rapido spostamento di truppe di riserva dal fronte giulio
consentì a Cadorna di fronteggiare la pericolosa situazione impedendo agli Austriaci di conseguire
il successo. Il 16 giugno il comando supremo italiano lanciò una controffensiva con le ali dello
schieramento migliorando la situazione del fronte. Agli inizi dell'anno Cadorna, secondo gli accordi
di Chantilly (dicembre 1915), aveva predisposto un'offensiva sul fronte dell'Isonzo persistendo nel
concetto operativo di avanzare verso Trieste e Lubiana e preparando una potente offensiva contro il
saliente di Gorizia. Questa fu realizzata con un'abile manovra strategica che consentì di spostare
rapidamente la 5ª armata, che era stata impegnata in minima parte nella lotta sugli Altipiani. Il
conseguimento della sorpresa consentì la conquista di Gorizia (6ª battaglia dell'Isonzo, 9 agosto), le
cui posizioni fortificate erano ritenute dagli Austriaci imprendibili. Nell'autunno (settembrenovembre) si ebbero sul Carso triestino tre sanguinose offensive (7ª, 8ª, 9ª dell'Isonzo) che si
risolsero in battaglie di logoramento da entrambe le parti.
In seguito agli avvenimenti dell'anno precedente, che avevano costretto i Russi a un generale
ripiegamento, con la perdita di vasti territori (Polonia, Lituania, ecc.), il granduca Nicola era stato
esonerato dal comando in capo dell'esercito, che venne assunto personalmente dallo zar: la
situazione generale non migliorò ma i Russi poterono riprendere in Galizia la spinta attaccante con
un'offensiva (offensiva Brusilov) che nell'estate 1916 pose in critiche condizioni l'esercito austroungarico. Nell'autunno, però, le capacità combattive russe parvero ormai esaurite. Russi e Turchi
furono nel 1916 abbastanza attivi sui fronti secondari: offensiva russa del granduca Nicola in
Armenia (presa di Erzurum e di Trebisonda, febbraio-aprile); attacchi turchi in Mesopotamia, che
costrinsero gli Inglesi a ritirarsi dalla zona di Bagdad e a capitolare a Kut al-‘Amara(28 aprile), sul
canale di Suez, peraltro falliti (4 agosto), e in Palestina, dove non riuscirono a fermare i progressi
inglesi su Al-‘Arish (presa nel dicembre) e Gaza. In Africa, il Camerun venne occupato dai FrancoInglesi nel gennaio.
In Macedonia, le forze del generale francese Sarrail, in risposta a un attacco bulgaro, presero
l'offensiva il 14 settembre e conquistarono Monastir (novembre), ma non poterono impedire a
Falkenhayn - passato, dopo le sue dimissioni da capo di Stato Maggiore, al comando della 9ª armata
- di schiacciare le armate romene che si erano spinte in Transilvania e di entrare a Bucarest (ottobredicembre), mentre il Mackensen cooperava efficacemente da sud alla clamorosa vittoria.
La conquista della Romania non poteva controbilanciare, per gli Imperi centrali, lo scacco subito
dal comando tedesco a Verdun, che segnò, per sua stessa ammissione, la “svolta della guerra”. Sul
piano militare, nel complesso dei fronti le iniziative si equilibrarono, e l'usura delle forze nemiche,
che i due avversari cercavano di conseguire, colpì ugualmente gli eserciti contrapposti,
ripercuotendosi a livello degli alti comandi: così, nell'agosto Falkenhayn cedette il posto a
Hindenburg e al suo capo di Stato Maggiore Ludendorff, e nel dicembre Joffre fu sostituito da
Nivelle, fautore dell'offensiva a ogni costo. Gli Austro-Tedeschi, nell'intento di rafforzare la
condotta della guerra, affidarono in settembre il comando unico a Hindenburg, ma essi dovevano
ormai fronteggiare un nemico la cui potenza militare si rafforzava continuamente, e il cui dominio
dei mari, nonostante l'esito indeciso della battaglia dello Jutland (31 maggio), rimaneva
incontrastato.
Il 1917 Eventi politici e militari
Il 1917 fu caratterizzato da due avvenimenti decisivi: l'intervento americano e la Rivoluzione russa.
La guerra sottomarina, scatenata senza restrizioni dai Tedeschi a partire dal 1º febbraio, spinse gli
Stati Uniti a rompere le relazioni diplomatiche con la Germania (3 febbraio); seguì poi, il 7 aprile,
la dichiarazione di guerra del governo di Washington. L'intervento americano assunse un aspetto
particolare; la guerra fu infatti estesa all'Austria - Ungheria soltanto il 7 dicembre, e non vi fu mai
stato di belligeranza con la Turchia e la Bulgaria; gli Stati Uniti intendevano in sostanza mantenere
la loro libertà d'azione, e non sottoscrissero mai il trattato di Londra del 5 settembre 1914, non
entrarono nell'alleanza propriamente detta, e restarono quindi una potenza “associata” agli avversari
della Germania.
La Rivoluzione russa ebbe invece un effetto opposto, in quanto, provocando la defezione della
Russia dalla lotta, controbilanciò, in una certa misura, gli effetti dell'intervento americano. La crisi
rivoluzionaria che si aprì in Russia all'inizio del 1917 e che portò all'abdicazione dello zar Nicola II
(15 marzo) diede dapprima agli Alleati la speranza di una più attiva cooperazione alla guerra da
parte dei nuovi governi. Ma gli sviluppi della situazione interna del paese si rivelarono ben presto
incompatibili con gli impegni presi dai suoi governanti; il partito bolscevico di Lenin, dopo aver
conquistato il potere con la Rivoluzione d'ottobre, avviò ben presto trattative d'armistizio con i
Tedeschi, a partire dal 20 dicembre, trattative che si conclusero il 3 marzo 1918 con la pace, che
dava, fra l'altro, ai Tedeschi l'intera Ucraina.
Lo stesso anno 1917 fu caratterizzato da vari tentativi di avviare negoziati di pace generale. Tra
molti altri, due insuccessi misero in evidenza la difficoltà dell'impresa.
1. Il tentativo austriaco di arrivare a una pace separata, avviato per iniziativa dell'imperatore Carlo I
(succeduto a Francesco Giuseppe nel novembre 1916) con un passo del principe Sisto di Borbone,
cognato dell'imperatore, presso il presidente francese Poincaré, fu frustrato dall'opposizione dei
Tedeschi, informati dal ministro austriaco Czernin, e dall'opposizione del governo italiano,
informato delle trattative nel corso della conferenza di San Giovanni di Moriana (aprile).
2. Anche l'appello di pace lanciato il 1º agosto 1917 dal pontefice Benedetto XV fu accolto
sfavorevolmente dai due campi. Da una parte la speranza degli Alleati di migliorare sensibilmente
la loro posizione, dall'altra quella dei Tedeschi di sfruttare i vantaggi di una “carta di guerra”, che
per il momento era loro molto favorevole, non rendevano infatti né gli uni né gli altri disposti a
sacrifici per porre fine al conflitto.
L'inquietudine dei paesi belligeranti, logorati dalla durata del conflitto, si manifestò nelle crisi di
governo: mentre in Germania, a partire dalle dimissioni di Bethmann-Hollweg (luglio), iniziava un
periodo di instabilità, in Francia, invece, dopo una fase agitata e complicata, andava al potere
Clemenceau, fermamente deciso a superare tutti gli ostacoli.
Per quel che riguarda l'Oriente, il fatto diplomatico più importante fu la dichiarazione Balfour
(novembre), la quale indicava che l'Inghilterra avrebbe visto favorevolmente la formazione di un
focolare nazionale israelita in Palestina.
Poiché la guerra di logoramento non aveva portato alla decisione definitiva, questa dovette essere
ricercata in altra direzione, ma i piani elaborati a tal fine dalle due parti furono sconvolti dalle
conseguenze militari della Rivoluzione russa e dell'intervento americano. Hindenburg si vide
costretto per la prima volta, dalla scarsità dei suoi mezzi, a opporre alle azioni alleate un
atteggiamento puramente difensivo, ripiegando le sue unità (febbraio-maggio) - in previsione
dell'offensiva generale alleata - su un fronte più arretrato preventivamente fortificato (San QuintinoLa Fère), al quale chiedeva semplicemente di “tenere”; egli si aspettava infatti la decisione del
conflitto dalla guerra sottomarina a oltranza, anche a rischio dell'intervento americano, che a suo
parere sarebbe stato tardivo. Se il comandante tedesco non poté più imporre il ritmo delle
operazioni, seppe però approfittare in pieno degli avvenimenti che gli erano favorevoli: lo scacco
dell'offensiva francese sull'Aisne rafforzò la sua fiducia, e la progressiva eliminazione del fronte
russo, sanzionata dall'armistizio e poi dalla pace di Brest-Litovsk, giocò in modo insperato in favore
della Germania. In particolare, Hindenburg poté così aiutare in misura determinante l'Austria
nell'offensiva che portò a Caporetto.
Il generale Nivelle, trasformando i piani di Joffre, si era proposto di ottenere la vittoria con la
rottura rapida su un largo fronte, e il suo sfruttamento pronto e audace. Preceduta da un attacco
inglese nell'Artois (9 aprile), la sua grande offensiva fu scatenata il 16 aprile sullo Chemin des
Dames ma si risolse con un insuccesso totale, che portò alla sostituzione del Nivelle con Pétain (15
maggio).
La resistenza tedesca fu facilitata dalla mancanza di unità fra gli Alleati. Gli Inglesi dedicarono
infatti mezzi sempre più ingenti alla guerra contro i Turchi, che essi consideravano come una
questione di loro esclusiva spettanza; l'11 marzo gli Inglesi entrarono a Bagdad; il 31 ottobre
Allenby attaccò in Palestina, ed entrò a Gerusalemme (18 dicembre). Sul fronte occidentale, gli
Inglesi lanciarono una grande offensiva nella Fiandra (giugno-novembre) per allontanare i Tedeschi
dalle coste del Belgio e raggiungere le basi dei sottomarini. Sul fronte di Salonicco, dove il Sarrail
fu sostituito dal Guillaumat, non si svolse nessuna operazione di rilievo.
La guerra sottomarina toccò invece il suo apice: nell'aprile i Tedeschi affondarono naviglio
mercantile alleato per 1 milione circa di t, ma l'adozione del sistema dei convogli e il
perfezionamento delle difese alleate portarono a una graduale riduzione delle perdite.
Nel convegno di Roma (6-8 gennaio), al quale parteciparono tra gli altri Lloyd George e Nivelle, il
Cadorna propose un'azione decisiva interalleata contro l'Austria, ritenuto il più debole degli Imperi
centrali. L'opposizione di Nivelle, che preparava una propria offensiva, fece cadere la proposta, a
cui Lloyd George era favorevole. L'Austria, stremata dalle operazioni del 1916, aveva deciso di
tenere un atteggiamento difensivo in attesa degli eventi politici in Russia. L'Italia, in base agli
accordi della conferenza di Chantilly, aveva iniziato la preparazione di una nuova offensiva contro
le difese orientali di Gorizia. Il timore di una nuova offensiva dal Trentino fece sospendere l'azione
che fu poi attuata in maggio (10ª battaglia dell'Isonzo) e ripetuta in agosto (11ª battaglia dell'Isonzo)
sulla Bainsizza, per infliggere all'esercito austriaco un duro colpo prima che potesse spostare
notevoli forze dal fronte russo. Sugli Altipiani, per migliorare la situazione del fronte, furono
iniziate delle operazioni che diedero luogo alla battaglia dell'Ortigara (10-29 giugno) che comportò
gravissime perdite e nessun risultato. La critica situazione austriaca dopo la battaglia della
Bainsizza spinse la Germania a venire in aiuto dell'alleata approfittando del fatto che l'esercito russo
era in dissolvimento e che quello francese già da tempo stava sulla difensiva. Fu deciso di attaccare
sull'alto Isonzo nel settore Plezzo - Tolmino dove la sistemazione difensiva italiana si presentava
piuttosto debole. La rottura del fronte doveva avvenire con il metodo di attacco ideato da
Hindenburg e Ludendorff e che aveva dato brillanti risultati già alla presa di Riga, attuata dal
generale Hutier (1-3 settembre). La realizzazione della sorpresa, affidata al generale tedesco von
Below, la rispondenza dei procedimenti d'attacco allo scopo da conseguire, deficienze
nell'organizzazione difensiva italiana e nell'azione di comando, consentirono la rottura del fronte e
la penetrazione profonda delle truppe austro-tedesche nello schieramento italiano (Caporetto, 24-26
ottobre). Di fronte alla gravità di tale situazione Cadorna emanò alle due del 27 ottobre l'ordine di
ripiegare sul Tagliamento. Ma il complesso delle forze che il 1º novembre si trovavano a occidente
del fiume era insufficiente alla difesa, per cui Cadorna ordinò un ulteriore ripiegamento sulla linea
Asiago-Grappa-Piave che presentava una minore ampiezza di fronte. Nella notte dal 2 al 3
novembre gli Austro-Tedeschi forzarono il Tagliamento a sud di Osoppo. Lo schieramento venne
portato dietro la Livenza; dal 5 al 7 novembre la 2ª e la 3ª armata protessero il ripiegamento del
grosso sul Piave che risultava completato entro il 9 novembre. In tale data Cadorna fu sostituito da
Diaz nella carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito. Giunti sul Piave gli Austro-Tedeschi,
ritenendo di avere di fronte un esercito ormai disfatto, dopo essersi riordinati ripresero gli attacchi
sull'altopiano di Asiago (10 novembre), sul Piave (12 novembre), sul Grappa (15 novembre) che
rinnovarono di fronte all'accanita resistenza italiana, senza però conseguire alcun successo decisivo.
La crisi italiana provocata da Caporetto dimostrò la necessità di una più stretta cooperazione
militare alleata; pertanto nell'incontro di Rapallo (7 novembre 1917) i primi ministri e i capi di Stato
Maggiore della Francia, dell'Inghilterra e dell'Italia decisero la creazione di un Consiglio superiore
di guerra interalleato, formato dai rappresentanti militari permanenti delle potenze alleate, primo
passo sulla via del comando unico.
Il 1918 Eventi politici e militari
L'8 gennaio il presidente Wilson enumerò i quattordici punti ai quali si sarebbe ispirata la sua
azione nella futura conferenza per la pace. Essi contenevano a un tempo princìpi generali di diritto
internazionale e indicazioni sull'assetto politico, da stabilirsi a guerra conclusa (precise soprattutto
per quanto riguardava il Belgio e la restituzione dell'Alsazia e della Lorena alla Francia).
Ma i primi mesi del 1918 parvero rafforzare la posizione della Germania, che era fiduciosa nei
risultati della sua offensiva sul fronte occidentale e che aveva allargato notevolmente i territori
occupati a oriente: pace di Brest-Litovsk con la Russia bolscevica (3 marzo), di Bucarest con i
Romeni (7 maggio), organizzazione dell'Ucraina sotto controllo tedesco (marzo).
I rovesci subiti dalla Germania nell'estate del 1918, che resero inefficaci i suoi piani relativi
all'Europa orientale, ebbero effetti decisivi nell'Europa centrale. Il 5 ottobre il nuovo cancelliere del
Reich, principe Massimiliano (Max) di Baden, chiese la mediazione americana per una pace fondata
sui quattordici punti; ma già prima della firma dell'armistizio, la rivoluzione scoppiata a Kiel (4
novembre), e poi a Monaco e Berlino, provocò la fine delle monarchie tedesche e la fuga di
Guglielmo II (9 novembre). Divenne così cancelliere il socialista Ebert.
Quanto all'Impero austro- ungarico, la guerra terminò col suo completo disfacimento; le varie
nazionalità che lo componevano proclamarono la loro indipendenza. Il 28 ottobre fu così
proclamata a Praga la Repubblica Cecoslovacca. Nello stesso ottobre un Consiglio nazionale decise
a Zagabria l'unione dei Serbi, Croati e Sloveni dell'Impero austro-ungarico, e il 24 novembre
proclamò la loro unione alla Serbia, che aveva a sua volta assorbito il Montenegro. Il distacco delle
province riunite alla Romania e alla Polonia lasciò sussistere soltanto due Stati distinti e di
dimensioni ridotte: l'Austria e l'Ungheria.
Mentre la Polonia, in via di ricostituzione, rompeva le relazioni con la Germania, l'armistizio
dovette essere prolungato, e la conferenza della Pace non poté riunirsi a Parigi che nel gennaio
1919.
L'estremo sforzo tedesco, reso possibile dalla fine delle operazioni militari sul fronte orientale,
permise di far affluire a occidente 700.000 uomini, e fu per gli Alleati un colpo tanto più duro in
quanto i Franco-Inglesi erano alle prese con una grave crisi di effettivi, anche perché le unità
americane non potevano intervenire prima del luglio; il comando alleato fu così costretto a un
atteggiamento difensivo.
Hindenburg e Ludendorff, invece, si trovavano di fronte alla necessità imperiosa di ottenere lo
scontro risolutivo prima dell'intervento americano e dell'usura completa degli alleati austriaci,
bulgari e turchi, ormai all'estremo delle loro risorse. Essi dedicarono pertanto tutte le loro energie
alla preparazione delle forze tedesche, per realizzare a ogni costo, con la sorpresa e la violenza degli
attacchi, la rottura del fronte francese.
Gli attacchi tedeschi durarono senza interruzione dal 21 marzo al 15 luglio. Nella speranza di
separare i Francesi dagli Inglesi, costringendo i primi a coprire Parigi e i secondi le loro basi della
Manica, Hindenburg e Ludendorff attaccarono il 21 marzo in Piccardia, ma non poterono
raggiungere i loro obiettivi per la risoluta resistenza degli Alleati che a Doullens, alla fine di marzo,
realizzarono finalmente il comando unico, affidato al Foch, nominato comandante in capo il 14
aprile. Dopo l'insuccesso di una seconda offensiva in, Ludendorff, attribuendo questi scacchi
all'intervento delle riserve francesi, decise di impegnarle sull'Aisne, prima di liquidare gli Inglesi
nella Fiandra. Egli quindi attaccò di nuovo il 27 maggio, raggiungendo Château- Thierry e
minacciando da vicino Parigi per la seconda volta, dopo l'agosto-settembre 1914. Per allargare la
sua offensiva, frenata da Foch nella foresta di Villers-Cotterets e nelle alture della Champagne, egli
attaccò poi all'ovest, il 9 giugno, sul Matz, e all'est, il 15 luglio, su Reims. Quest'ultima offensiva
segnò il punto culminante dell'avanzata tedesca: il 18 il Foch lanciò una controffensiva vittoriosa
sul suo fianco destro, in direzione di Soissons, e il 3 agosto la sacca di Château-Thierry fu
riassorbita.
Fin dal 24 luglio, il piano di Foch prescriveva un ritorno definitivo all'offensiva, con l'obiettivo
principale di disimpegnare le strade strategiche Parigi - Amiens e Parigi - Châlons-Nancy mediante
la riduzione delle sacche di Château- Thierry (in corso), di Montdidier (battaglia dell'8 agosto) e di
Saint-Mihiel (battaglia del 12 settembre). Il 3 settembre Foch, deciso a non lasciare respiro
all'avversario, ordinò l'offensiva generale e la continuò con tutte le sue forze, dalla Mosa al mare, in
direzione di Mézières. La manovra concentrica si sviluppò, a partire dal 26 settembre, con tre grandi
operazioni condotte da Francesi, Inglesi e Belgi nella Fiandra, in direzione di Gand, da Francesi e
Inglesi contro la linea Hindenburg, in direzione di Cambrai e di San Quintino, da Francesi e
Americani nelle Argonne, in direzione di Sedan. Il 10 e il 20 ottobre Foch ordinò lo sfondamento
delle ultime posizioni difensive tedesche, e previde l'estensione della battaglia a est della Mosa. Ma
l'attacco concentrico delle dodici armate alleate costrinse i Tedeschi a confessarsi vinti: il 4
novembre essi decisero la ritirata generale sul Reno; il 7, loro plenipotenziari chiesero l'armistizio,
che ottennero a Rethondes, l'11 novembre, rendendo superflua l'offensiva di Lorena prevista per il
14.
L'estremo tentativo offensivo austriaco ebbe inizio sul fronte italiano il 15 giugno (battaglia del
Solstizio): sugli Altipiani e sul Grappa conseguì vantaggi locali ma con perdite così gravi che in
quei settori le operazioni furono subito sospese; lungo il Piave gli Austriaci riuscirono ad avanzare
sul Montello e a costituire alcune teste di ponte. Il comando supremo austriaco difettava però di
riserve, mentre quello italiano poté far affluire le proprie lanciando una controffensiva che
determinò il ripiegamento del nemico, ormai esausto, al di là del fiume. Gravi questioni politiche
cominciavano intanto a turbare la compagine degli Imperi centrali, mentre i popoli dell'Impero
austro-ungarico intensificavano i moti d'indipendenza. Di fronte a questa situazione il 25 settembre
il generale Diaz decise di agire cercando di dividere le forze schierate in piano da quelle del settore
montano, forzando il Piave di fronte al Montello e puntando su Conegliano e Vittorio Veneto.
L'offensiva ebbe pieno successo e il 29 ottobre l'esercito austriaco iniziò il ripiegamento in pianura
e nella notte fra il 30 e il 31 abbandonò il Grappa. Il giorno 31 iniziò l'inseguimento per precedere
le truppe in ritirata sui punti d'obbligato passaggio delle colonne. L'armistizio venne firmato a villa
Giusti e le operazioni terminarono alle ore 15 del 4 novembre, una settimana prima della
conclusione generale della guerra sul fronte occidentale (11 novembre): a questa conclusione la
vittoria italiana diede un contributo notevole, per la minaccia di agire da sud contro la Germania.
Accanto all'azione sul fronte francese e italiano la strategia alleata lanciò altre offensive che
contribuirono in modo decisivo alla vittoria. In Macedonia, il generale francese Franchet d'Esperey
lanciò il 15 settembre un attacco generale mirante alla rottura del fronte bulgaro: l'obiettivo fu
raggiunto con la battaglia di Dobro Polje, che costrinse i Bulgari a deporre le armi il 29 settembre.
Sfruttando questo successo, Franchet d'Esperey si spinse su Skoplje, varcò il Danubio, liberò la
Serbia e la Romania (ottobre) e minacciò l'Austria e la Germania del sud. In Palestina, le forze
inglesi passarono all'offensiva il 19 settembre, batterono le truppe turco-germaniche ed entrarono a
Damasco (30 settembre), Beirut (7 ottobre), Aleppo (26 ottobre). Nella notte fra il 30 e il 31 ottobre
la Turchia, minacciata anche dall'avanzata alleata su Costantinopoli, dovette firmare l'armistizio di
Mudhros.
LA BATTAGLIA DI CAPORETTO
Con questo nome è nota la dodicesima battaglia dell'Isonzo, svoltasi tra il 24 ottobre e i primi di
novembre del 1917, che fu per l'esercito italiano il più grave rovescio della prima guerra mondiale.
Con l'appoggio di numerose artiglierie, valendosi anche di forze richiamate dal fronte russo, dove le
operazioni ristagnavano a causa della Rivoluzione, all'alba del 24 ottobre otto divisioni austriache e
sette germaniche (formanti la 14ª armata al comando del generale tedesco von Below), iniziarono
l'attacco alle linee italiane della conca di Plezzo, sull'ala sinistra della 2ª armata (generale Capello).
Le truppe degli Imperi centrali, favorite inizialmente dalla nebbia e dall'uso di gas asfissianti,
travolsero rapidamente le forze italiane, avanzando su Udine. Il morale dei 700.000 soldati della 2ª
armata, poco saldo ormai per le lunghe permanenze in trincea senza avvicendamenti e per i forti
sacrifici di sangue subiti nelle precedenti battaglie dell'Isonzo, cedette di schianto provocando una
disordinata ritirata. L'interruzione dei già insufficienti collegamenti tra unità di linea e artiglieria,
causata dall'infiltrazione nemica a cui non si seppe o non si poté immediatamente porre riparo,
permise agli Austro-Tedeschi la conquista dei monti dominanti il fondovalle dove, sia pure senza
alcuna coordinazione, unità italiane ancora si difendevano con tenacia. Date poi le condizioni del
fronte, disteso lungo un ampio semicerchio, la manovra nemica venne a costituire un gravissimo
pericolo per tutto l'esercito italiano. Giunti quindi gli Austro- Tedeschi a Cividale (27 ottobre), tutto
il fronte dovette ripiegare, compresa la 3ª armata, mentre invano reparti di cavalleria tentavano di
ritardare l'avanzata nemica e di proteggere lo schieramento in ritirata. Solo con enorme sacrificio,
dopo una prima sosta al Tagliamento, si poté definitivamente arrestare il nemico sulla linea GrappaPiave.
Le perdite italiane furono di 265.000 prigionieri, 30.000 feriti e 10.000 morti, senza contare il
materiale bellico, l'artiglieria (3.200 cannoni e 1.700 bombarde) e i depositi di viveri ed
equipaggiamento abbandonati durante la ritirata. All'interno del paese rifluirono inoltre 350.000
sbandati che dovettero venire faticosamente riorganizzati. Tutto ciò annullò i risultati di due anni di
lotte vittoriose sostenute dall'esercito italiano e portò come prima conseguenza la sostituzione del
generale Cadorna, comandante supremo, con il generale Diaz. Nel 1918, poi, a stabilire le varie
responsabilità, fu creata una commissione d'inchiesta, presieduta dal generale Caneva, che concluse
indicando, fra le cause della sconfitta, l'eccessiva autonomia lasciata alla 2ª armata che aveva
insistito in sterili piani offensivi; la deficienza di riserve e di un piano difensivo in profondità
elaborato dallo SM; le divergenze strategiche e tattiche fra il generale Cadorna e il generale
Capello. Furono pure messe in rilievo, contro l'accusa fatta alle truppe italiane di non essersi
battute, le difficili condizioni morali in cui esse si trovavano dopo ventinove mesi di lotta, condotta
con il metodo logorante degli attacchi frontali. Sulla battaglia di Caporetto fu scritto moltissimo, dal
punto di vista politico, storico e militare: ne trattarono anche romanzieri, fra cui E. Hemingway, con
il discusso Addio alle armi (1929), e R. Bacchelli in un episodio della Città degli amanti (1929).
L’ITALIA
Lo scoppio del primo conflitto mondiale aprì nell'opinione pubblica italiana un grave e profondo
contrasto tra interventisti e neutralisti, in un momento politicamente difficile per l'equilibrio del
paese, che usciva da poco dalla guerra di Libia, dalle elezioni a suffragio quasi universale del 1913
(che avevano rafforzato le posizioni dei socialisti in parlamento) e dalla Settimana rossa del giugno
1914. L'interventismo ebbe fin dall'inizio il significato univoco di intervento a fianco delle potenze
dell'Intesa. A favore di tale intervento si schierarono subito frazioni cospicue della democrazia
liberale e i repubblicani, per i quali la guerra contro l'Austria si identificava con il compimento
dell'unità nazionale e il pieno conseguimento degli ideali nazionali del Risorgimento (conquista del
Trentino e della Venezia Giulia). Sostenitori dell'intervento contro gli Imperi centrali, sulla base di
motivazioni dettate da principi democratici e nazionali, furono anche i socialisti riformisti che
facevano capo a L. Bissolati e a I. Bonomi, come pure gli irredentisti socialisti e democratici come
Cesare Battisti. Nel movimento interventista confluirono però anche forze mosse da ben diverse
aspirazioni ideali: anzitutto i nazionalisti, che concepivano il conflitto non come ultima guerra per
l'Indipendenza ma piuttosto come prima prova dell'Italia quale grande potenza, e che quindi più che
a Trento e a Trieste aspiravano all'espansionismo di tipo imperialista in direzione dei Balcani,
dell'Africa e del Vicino Oriente; poi le frazioni dei socialisti rivoluzionari che si erano staccate
dall'Unione sindacale italiana per dar vita all'Unione italiana del lavoro; e infine i futuristi, che
avevano già elaborato la loro ideologia che esaltava il dinamismo, i momenti di rottura e quindi
anche la guerra, “sola igiene del mondo”. Il movimento interventista, sebbene minoritario, riuscì a
determinare nella classe dirigente l'orientamento favorevole all'impegno in una guerra che la parte
maggiore del paese non voleva. Grande importanza a questo proposito ebbe l'atteggiamento di G.
D'Annunzio e di B. Mussolini. Il poeta, dopo aver fatto un'attiva e abile propaganda per l'intervento,
diede un impulso decisivo alle forze antineutraliste con il discorso tenuto a Quarto il 5 maggio 1915
nell'anniversario della spedizione dei Mille. Quanto a Mussolini, direttore dell'Avanti!, dopo essere
stato neutralista a oltranza nel luglio 1914 e aver lanciato nell'ottobre la parola d'ordine della
“neutralità attiva ed operante”, fondò il 15 novembre il Popolo d'Italia (che divenne rapidamente il
portavoce dell'interventismo rivoluzionario di sinistra), dando poi vita, appena espulso dal partito
socialista, al Fascio autonomo di azione rivoluzionaria, che nel dicembre si fuse con i Fasci di
azione rivoluzionaria creati da Corridoni, Bianchi e altri sindacalisti interventisti.
La corrente neutralista, propensa al non intervento, era costituita da molti più sostenitori:
 la maggioranza dei parlamentari e della popolazione propendevano per la neutralità
condizionata che consisteva nell’ottenere dall’Austria Trento e Trieste in cambio del non
intervento;
 la maggior parte dei socialisti che vedeva nel conflitto uno scontro tra opposti interessi
capitalistici da cui i proletari non avrebbero ottenuto che danni;
 i cattolici erano distanti dal pensiero interventista in quanto non era coerente schierarsi
contro la religiosissima Austria a favore della laicissima Francia.