Studio Legale Morrone

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BREVI NOTE RIMBORSO INTERESSI ANATOCISTICI
Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 21095 del 4.11.2004, pongono fine ad ogni
dubbio interpretativo sull’anatocismo bancario, confermando il precedente orientamento
secondo il quale è nulla la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e ciò con efficacia
retroattiva anche per il periodo precedente alle sentenze nn. 2374 del 16.3.1999 e 3096 del
30.3.1999: “ ….le clausole già stipulate (…) non possono che essere dichiarate nulle, perché
stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c.” .
Si è subito posta, dunque, questione in ordine alla concreta portata temporale delle
conseguenze della riconosciuta nullità, essendo insorti dubbi sulla prescrizione del correlato
diritto alla restituzione delle somme indebitamente percepite dagli istituti di credito.
L’imprescrittibilità dell’azione di nullità va, infatti, per espressa disposizione di legge,
coordinata con il termine prescrizionale dell’azione di ripetizione delle somme indebitamente
percepite: “L’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti
(…) della prescrizione delle azioni di ripetizione.” (art. 1422 c.c.).
Tale norma, richiamando le “azioni di ripetizione” induce a ritenere che il diritto del cliente alla
restituzione degli interessi anatocistici, rientrando nell’ambito dell’indebito oggettivo, sia
soggetto al termine di prescrizione decennale previsto dall’art. 2946 c.c. (sul punto cfr.
Maffeis, Anatocismo bancario e ripetizione degli interessi da parte del cliente, in Contratti,
2001, p. 407).
Quanto alla decorrenza del dies a quo, il termine prescrizionale incomincia a decorrere, a
mente dell’art. 1832 c.c. dalla chiusura del conto.
Si è ritenuto in giurisprudenza che anche gli estratti conto che rappresentano il risultato di
tutte le operazioni verificatesi fino a una determinata data con l’indicazione di un saldo
comprensivo di ogni operazione potessero considerarsi “di chiusura” ai fini che ci interessano
(Cass. n. 9512/1993; n. 2336/1980). Cass. 1977 n. 4310 ha considerato estratto conto di
chiusura ogni estratto inviato alle scadenze pattuite, avente i requisiti appena indicati.
Secondo un più recente indirizzo giurisprudenziale, invece, “Il momento iniziale del termine di
prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a
titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente (nella specie: perché calcolati in
misura superiore a quella legale senza pattuizione scritta), decorre dalla chiusura definitiva del
rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico,
anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che
si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro”. (Cass. Civ. 09-04-1984, n.
2262).
Tale indirizzo sembra a chi scrive più rispondente alla natura del rapporto di conto corrente
bancario e, dunque, condivisibile.
In ogni caso, l’accertamento in ordine alla natura della comunicazione di estratto conto, ovvero
se trattasi di comunicazione periodica oppure di chiusura del conto è valutazione di merito
rimessa di volta in volta all’interprete ed in quanto tale incensurabile in sede di legittimità, se
adeguatamente motivata (Cass. 1975 n. 1465).
Così delineato il limite temporale di operatività degli effetti restitutori conseguenti
all’accertamento dell’applicazione trimestrale contra legem dell’anatocismo, rimanendo in
un’ottica concordata di prudenza, occorre aggiungere che la giurisprudenza della Cassazione
ha avuto modo di stabilire che “in materia contrattuale deve escludersi la permanenza
dell’interesse all’accertamento e alla declaratoria della nullità del contratto quando risulti ormai
prescritta l’azione di ripetizione della prestazione in base ad esso effettuata” (cfr. Cass. Civ.
Sez. III, 9.4.2003, n. 5575).
Ci si deve quindi chiedere, come ipotesi di lavoro, cosa succede se, supponiamo, il rapporto sia
stato chiuso nel 1993 (con eventuale prescrizione dell’azione di ripetizione) e poi in pendenza
di una procedura esecutiva o in forza di un titolo esecutivo il cliente abbia provveduto a saldare
il proprio debito.
In questo caso, sempre salvo ulteriori approfondimenti, potrebbe impostarsi l’azione giudiziale
non in termini di ripetizione conseguente alla declaratoria di nullità della clausola, ma in base
ad un ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c..
La prescrizione di detta azione, infatti, decorre dal momento in cui l’arricchimento si è
verificato (e non anche dalla chiusura del conto corrente), ovvero, nella specie,
dall’incameramento della somma indebitamente percepita. Pertanto, “il termine di prescrizione
dell'azione di arricchimento decorre, come per ogni altra azione, dal giorno in cui si matura il
relativo diritto, che coincide con quello in cui si verifica l'arricchimento del beneficiario” (cfr.
Cass. Civ., Sez. III, 03-03-1997, n. 1863).
Tale prospettazione è ovviamente un’ipotesi di comune lavoro, che consentirebbe di ottenere
una tutela allargata (decennale per l’azione di ripetizione; decennale, dopo lo spirare del primo
termine prescrizionale, per l’azione di arricchimento senza giusta causa).
Da ultimo, per i giudizi in corso, nei quali non sia stata formulata espressamente una domanda
di nullità della clausola di capitalizzazione, è agevole osservare che la relativa eccezione, attesa
la sua rilevabilità d’ufficio, è assorbita e quindi sempre proponibile, laddove sia sorretta da
una domanda riguardante il contratto stesso.
Sul punto la Cassazione ha stabilito che: “la rilevabilità d'ufficio della nullità di un contratto
anche in assenza di una domanda o eccezione in tal senso delle parti presuppone pur sempre
la rituale proposizione di una domanda riguardante quel determinato contratto - nel senso che
si controverta della sua validità o dell'adempimento degli obblighi da esso nascenti..” (sul
punto, peraltro, si è ritenuto che la nullità non può essere invocata allorché la relativa
domanda sia stata ritenuta inammissibile, essendo in tali ipotesi escluso in radice il principio
della rilevabilità d'ufficio della nullità indipendentemente dalle domande o dalle eccezioni delle
parti - Cass. Civ., Sez. II, 28-01-2004, n. 1552).
(Avv. Cristiano Iurilli)
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