Decolonizzazione 1 INTRODUZIONE Decolonizzazione Termine

Decolonizzazione
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INTRODUZIONE
Decolonizzazione Termine con il quale si indica il processo storico che nel XX secolo ha visto la
conquista dell’indipendenza di quelle popolazioni, soprattutto africane e asiatiche, ancora
soggette al colonialismo e la costituzione di nuovi stati dallo smantellamento degli imperi
coloniali. Il processo di decolonizzazione si avviò alla fine della prima guerra mondiale con la
nascita di forti movimenti nazionalisti e si svolse in più tappe, spesso attraverso violenti conflitti,
concludendosi negli anni Settanta.
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I FATTORI DELLA DECOLONIZZAZIONE
Un’ideologia antimperialistica era già maturata nel XIX secolo, prevalentemente nei partiti
d'ispirazione socialista. Dopo il 1945 sia l'Unione Sovietica – Lenin aveva sollecitato già nel 1917
l'insurrezione dei popoli contro i loro colonizzatori – sia gli Stati Uniti, che non avevano mai
conosciuto una vera e propria tradizione coloniale (con l'eccezione sostanziale delle Filippine, cui
concessero l'indipendenza nel 1946), favorirono per ragioni diverse la decolonizzazione. L'URSS
vedeva nei paesi in lotta per l'indipendenza dei potenziali alleati nel piano strategico di diffusione
del socialismo, in un clima internazionale sempre più improntato alla politica dei blocchi
contrapposti (vedi Guerra Fredda); dal canto loro gli Stati Uniti, prima nazione a essersi
affrancata dalla colonizzazione britannica, si facevano difensori del diritto all'autodeterminazione
dei popoli riconosciuto dalla Carta Atlantica del 1941. D'altro lato Gran Bretagna e Francia, le due
principali potenze coloniali, pur essendo uscite vittoriose dal secondo conflitto mondiale, erano
risultate indebolite e il loro prestigio era stato ridimensionato. Oltre a ciò, nel continente asiatico
si verificò un evento destinato a influire notevolmente sugli assetti politici degli altri paesi
dell'Estremo Oriente: con la vittoria dei comunisti di Mao Zedong nella guerra civile cinese e con
la nascita della Repubblica popolare cinese (1 ottobre 1949), la Cina divenne la nuova potenza
asiatica deputata a sostenere i movimenti indipendentisti di ispirazione comunista
La decolonizzazione seguì nei diversi paesi strade differenti, con processi di transizione
all'indipendenza più o meno rapidi e pacifici. In linea di massima si può affermare che la Gran
Bretagna, la quale aveva cominciato il processo di decolonizzazione già nel ventennio 1919-1939
col tentativo di associare i diversi dominions al Commonwealth, accordò l'indipendenza alle sue
colonie con relativa facilità, favorendo il passaggio dei poteri alle forze nazionaliste locali per
mezzo di trattati. Diverso fu il caso del sistema coloniale della Francia, che si sfaldò invece con
conflitti spesso devastanti. In generale la decolonizzazione in Asia precedette quella in Africa, la
quale fu però in compenso più rapida. In Africa, tuttavia, i confini fra i nuovi stati, modellati dalle
potenze europee, non rispettavano in molti casi le precedenti formazioni statuali e le tradizioni
etniche dei popoli: ciò fu la causa, soprattutto nell'Africa subsahariana, di numerosi e sanguinosi
conflitti.
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LA DECOLONIZZAZIONE IN ASIA
Durante la seconda guerra mondiale, il Giappone aveva occupato vaste zone degli imperi coloniali
europei in Asia, infliggendo un duro colpo al mito della superiorità della razza bianca. Lo
svilupparsi di un nazionalismo antioccidentale, in un primo tempo strumentalizzato dalle mire
imperialistiche giapponesi, al termine del conflitto mondiale impedì alle potenze coloniali europee
di rientrare in possesso dei loro vecchi domini. Molti stati acquisirono la sovranità nell'immediato
dopoguerra. La Birmania, colonia britannica separata dall'India dal 1937, dopo essersi distinta per
la resistenza (1942-1945) contro l'occupazione giapponese, diventò stato sovrano il 1° gennaio
1948. L'Indonesia proclamò la sua indipendenza nell'agosto del 1945, sull'onda del movimento
nazionalista di Akmed Sukarno che aveva combattuto l'occupazione giapponese; tuttavia essa
ottenne un'indipendenza reale dall'Olanda solo alla fine del 1949, per le pressioni congiunte da
parte dell'ONU, dell'Australia, della Nuova Zelanda e soprattutto degli Stati Uniti. Ceylon (dal
1972 Sri Lanka) ottenne l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1947 nel quadro del
Commonwealth. Più contrastato fu il raggiungimento dell'indipendenza da parte della Malaysia, di
cui gli inglesi intendevano mantenere il controllo per l'importanza strategica di Singapore: solo
nel
1957
la
Gran
Bretagna
riconosceva
l'indipendenza
della
Malaysia
nell'ambito
del
Commonwealth.
3.1
L'India
La vicenda più importante, che ha segnato la fine dell'impero coloniale britannico in Asia, riguardò
l'India. Qui un movimento indipendentista, guidato dal Partito del Congresso nazionale indiano,
era nato già alla fine del XIX secolo e si era guadagnato le simpatie di tutto il mondo negli anni
fra le due guerre mondiali per le azioni di protesta non violenta ispirate da Mohandas Gandhi. Nel
1935 il governo britannico concesse alla colonia l’autonomia amministrativa: l’ultimo viceré
inglese in India, Lord Mountbatten, ottenne dal Partito del Congresso e dalla Lega musulmana
l'assenso alla divisione dell'India in due stati autonomi. Il 15 agosto del 1947 l'India, che aveva
inizialmente mantenuto lo status di dominion nell'ambito del Commonwealth, riconoscendo
formalmente l'autorità della corona inglese acquistò, sotto il governo di Javaharlal Nehru,
l'indipendenza. I territori con popolazione prevalentemente musulmana si separarono e
costituirono il Pakistan.
3.2
L'Estremo Oriente
Molto complesse furono le vicende che portarono i paesi della penisola indocinese all'indipendenza
dalla Francia, e che proseguirono anche dopo il ritiro dei francesi. Vietnam, Cambogia e Laos
nacquero nel 1954 dalla frammentazione della dominazione coloniale francese, dopo un lungo
conflitto che vide soprattutto il Fronte dell'indipendenza del Vietnam infliggere una pesante
sconfitta all'esercito francese (vedi Guerra di Indocina).
4
LA DECOLONIZZAZIONE IN AFRICA
Dopo il crollo dell’impero ottomano (nel 1922) i paesi arabi nordafricani e del Medio Oriente
vennero assoggettati o affidati in mandato a Gran Bretagna e Francia (l'Italia controllava la
colonia della Libia). Di tutti questi paesi, solo l'Egitto era uno stato sovrano almeno formalmente
già dal 1922; ma in quasi tutti i paesi arabi erano sorte delle élite nazionalistiche o fautrici di
progetti panarabi, volti cioè a formare un unico stato indipendente o a stabilire forti legami fra
tutti gli arabi, dalla penisola araba al Marocco. La Libia ottenne l'indipendenza, grazie all'ONU, nel
1951. L'Algeria, considerata dalla Francia territorio metropolitano e non colonia, conquistò
l'autonomia solo dopo anni di guerriglia (vedi Guerra d'Algeria) combattuta dal Fronte di
liberazione nazionale (FLN). Anche in Marocco e in Tunisia si costituirono movimenti nazionalistici
che, nonostante le repressioni della Francia, nel 1956 portarono quei paesi all'indipendenza.
4.1
Le colonie inglesi
La decolonizzazione dei possedimenti britannici a sud del Sahara non si svolse ovunque
pacificamente. Nei paesi con scarsa popolazione bianca, l'indipendenza fu concessa dopo elezioni
politiche: in Ghana (allora Costa d'Oro) nel 1957 e in Nigeria nel 1960. Nei paesi in cui forte era
la presenza della comunità bianca, gli inglesi furono più restii a ritirarsi: questo suscitò movimenti
estremisti e contrapposizioni radicali, come la rivolta Mau Mau in Kenya, paese che divenne
indipendente nel 1963, dopo anni di violenze. Dal 1953 al 1963 la colonia della Rhodesia del Sud
costituì, con le altre colonie della Rhodesia del Nord e del Niassa, la Confederazione della
Rhodesia e del Niassa. Quando questa si sciolse, mentre la Rhodesia del Nord e il Niassa
diventarono indipendenti, rispettivamente col nome di Zambia e Malawi e con un governo a
maggioranza di colore, il governo della Rhodesia del Sud, di ispirazione razzista, rifiutò la linea
suggerita dalla mediazione inglese che promuoveva la partecipazione politica allargata alla
popolazione nera e, nonostante l'opposizione britannica, autoproclamò nel 1965 la propria
indipendenza. Le sanzioni della Gran Bretagna e delle Nazioni Unite non produssero alcun effetto
e solo dopo anni di guerriglia delle organizzazioni di liberazione ZANU (Zimbabwe African National
Union) e ZAPU (Zimbabwe African People's Union), nel 1980 la maggioranza nera ottenne la
sovranità del paese, diventato Zimbabwe.
4.2
Le colonie francesi
La Francia aveva concesso alle sue colonie l'autonomia amministrativa nel 1956 con la fondazione
dell'Union Française. Nel 1958 diede loro la possibilità di scegliere tra l'autonomia e l'adesione
alla Communauté Française. Solo la Guinea optò subito per l'indipendenza (1958); nel 1960
seguirono le colonie restanti: Madagascar, Mali, Dahomey (l'attuale Benin), Niger, Alto Volta (oggi
Burkina), Costa d’Avorio, Ciad, Repubblica Centrafricana, Congo, Gabon, Sengal e Mauritania.
4.3
Il Congo Belga e le colonie portoghesi
Drammatico fu il processo di decolonizzazione nel Congo Belga, successivamente Repubblica
democratica del Congo: negli anni Cinquanta il governo belga aveva elaborato un programma per
un ritiro graduale dalla colonia ma, in seguito a rivolte scoppiate improvvisamente nel 1959, fu
costretto nel giugno del 1960 a concederle l'indipendenza. Tuttavia, poiché l'ex colonia non
disponeva ancora di una classe dirigente preparata e di infrastrutture sufficienti, il paese piombò
in una devastante guerra civile. Nel 1975, infine, anche il Portogallo, che aveva resistito più a
lungo alla decolonizzazione, dovette rinunciare all’Angola e al Mozambico, dove da tempo era
impegnato a respingere gli attacchi di varie organizzazioni guerrigliere.
5
ESITI DELLA DECOLONIZZAZIONE
Il processo di decolonizzazione ha avuto degli esiti incerti e controversi. Spesso impreparati
all’indipendenza, i nuovi stati si sono trovati di fronte a enormi problemi di varia natura (politica,
economica, etnica, religiosa), che le amministrazioni coloniali non avevano saputo o voluto
affrontare. Ricchi di risorse naturali ma con pochi strumenti per sfruttarle, sono rimasti soggetti
alle grandi potenze occidentali, che spesso, allo scopo di salvaguardare i propri interessi
economici e strategici, hanno ostacolato la costituzione di classi dirigenti e istituzioni rispondenti
alle esigenze locali.
In piena guerra fredda, stretti tra i due blocchi, quello occidentale e quello sovietico, i nuovi paesi
non hanno avuto l’opportunità di perseguire un modello di sviluppo autonomo e adeguato alle
loro condizioni sociali, politiche ed economiche: una “terza via” non capitalista o socialista.
Quando nel 1955 i rappresentanti di 29 stati di nuova indipendenza asiatici e africani si
incontrarono a Bandung per il primo summit dei paesi non allineati, il presidente egiziano Nasser,
uno dei leader più prestigiosi di quel movimento e di quella stagione, definì quell’insieme di paesi,
diversi tra loro ma accomunati dalla speranza nel futuro, “l’internazionale dei poveri”. Le speranze
della gran parte dei paesi di nuova indipendenza furono invece in seguito travolte da lotte
fratricide (volta per volta politiche, etniche o religiose), da conflitti regionali, da sfavorevoli
relazioni politiche ed economiche internazionali, da ingerenze delle grandi potenze e delle
multinazionali nei loro affari interni, dall’aggravarsi del divario tecnologico e dell’indebitamento
con i paesi del Nord del mondo.
Tra la colonizzazione e la decolonizzazione si stabilì così più di un elemento di continuità.
Indipendentemente
dai
sistemi
politici
adottati
o
subiti
(liberale,
socialista,
autoritario,
teocratico), i paesi di nuova indipendenza rimasero condizionati dall’economia occidentale; negli
ultimi decenni, la globalizzazione ne ha addirittura accentuato la dipendenza dalle vecchie
potenze coloniali.