La seconda riunione del Consiglio Pastorale

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…Promuovere un sapere cristianamente ispirato … riguardante le tematiche in cui si giocano i
valori fondamentali della convivenza
(da A. Caprioli Noi crediamo e per questo parliamo)
La seconda riunione del Consiglio Pastorale Diocesano ha avuto luogo venerdì 8 maggio 2009
presso i locali dell’Oratorio cittadino e ha avuto come tema di riflessione il discernimento cristiano.
Alla presenza di S. E. il Vescovo Mons Caprioli e dell’Ausiliare S.E. Mons Ghizzoni, la seduta si è
snodata in quattro momenti:
1. lectio divina in apertura
2. intervento di don Gianni Bedogni sul tema “Quali criteri per il discernimento comunitario su
tematiche socio politiche?”
3. discussione in assemblea
4. conclusione di S.E. Mons Caprioli.
1. Già in apertura della seduta la lectio divina guidata da don Gozzi evidenzia la natura del
discernimento cristiano e la sua finalità: a partire da Fil 4, 4-9 viene sottolineata la caratteristica
propria del cristiano che Paolo evidenzia in diversi punti delle sue lettere ovvero l’essere nella gioia,
una gioia delineata nei suoi tratti che pervadono tutta la persona e la vita del credente e che ha come
elemento costitutivo l’essere nel Signore. La gioia e l’amabilità del cristiano sono specchio
dell’amore, del “sorriso” che Dio offre all’uomo stesso e in nessuna circostanza della vita questa
condizione è assunta dal cristiano solo superficialmente: S. Paolo ci dice di non angustiarci per
nulla, poiché il Signore è vicino. Questa prossimità di Gesù è reale attraverso la Sua risurrezione, è
nascosta e va continuamente riconosciuta. E’ proprio nell’atto di riconoscere questa presenza che
entra in gioco il discernimento, che è cristiano e si motiva appunto nel tentativo di raggiungere la
sua finalità specifica cioè l’incontro con Cristo. Ecco dunque l’esortazione di Paolo ad accogliere
tutto ciò che è “vero, nobile, giusto, puro, amabile…”: è una disponibilità a tutto ciò che c’è di bene
da qualsiasi parte provenga e chiama noi ad un’apertura pastorale dello stesso tipo.
Il rischio che si potrebbe correre è quello di lasciarsi guidare esclusivamente dal proprio sentire
soggettivizzando; S. Paolo ci lascia come testimonianza il suo essere stato conquistato da Cristo e
averlo imitato, dando poi se stesso come esempio per i suoi fratelli. La sua strada esemplare ci offre
quindi un ulteriore punto di riferimento, la Tradizione della Chiesa che si pone a noi come modello
di fede vissuta da chi ci ha preceduto. Dunque alla base del discernimento cristiano è l’ascolto incontro con Gesù da cui, attraverso il rapporto con altri che Lo hanno seguito, derivano la scelta e
la maturazione di uno stile di vita.
2. Il secondo momento è costituito dalla riflessione proposta da don Gianni Bedogni sul tema
“Quali criteri per il discernimento comunitario su tematiche socio politiche?”.
All’inizio dell’intervento viene posto l’accento sul vocabolo “discernere” contrassegnato da un
prefisso intensivo e dal verbo latino che significa “vagliare”: i due elementi del termine e i diversi
apporti semantici dei contesti nei quali originariamente era utilizzato inducono a dedurne un valore
pregnante per cui discernere non significa solo distinguere, ma anche trattenere e un testo di
riferimento per tale attribuzione è proprio quello in cui S. Paolo esorta “esaminate ogni cosa, tenete
ciò che è buono”. In particolare nel testo originale il termine tradotto con “buono” era in realtà
comprensivo di significati ulteriori, “buono, bello, vero…” come il Pastore delle pecore che il
vangelo ci presenta, ovvero Gesù stesso. La dottrina sociale ci suggerisce due momenti distinti ma
non separati di questo atto del discernere: l’analisi delle cause di un evento e lo sguardo
all’evoluzione futura. E’ quanto ci dice la Gaudium et Spes: “Per questo il Concilio, testimoniando
e proponendo la fede di tutto intero il popolo di Dio riunito dal Cristo, non potrebbe dare una
dimostrazione più eloquente di solidarietà, di rispetto e d'amore verso l'intera famiglia umana,
dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra
accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e mettendo a disposizione degli uomini le
energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si
tratta di salvare l'uomo, si tratta di edificare l'umana società.
È l'uomo dunque, l'uomo considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l'uomo
cuore e coscienza, pensiero e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione”.
Per realizzare questo non bastano strumenti tecnici (le scienze umane, l’economia, la politica, la
psicologia…), ma la Chiesa ha una sua specificità in quanto è Cristo che vive. Quindi per porsi nel
modo corretto di fronte ad ogni evento occorre leggerlo alla luce di tre dimensioni non isolate tra
loro, la scienza, l’etos e l’etica che funge da motore. A fondamento di tutto, però, va letta
l’antropologia cioè la concezione di uomo che sta alla base di ogni evento: solo una lettura
antropologicamente corretta rende ragione di un evento e ci consente incarnarvi la fede, mentre
qualsiasi riduzione della dimensione antropologica di fondo impedisce di leggere i fatti in
profondità, sposta l’ottica in modo tale che l’uomo non risulta più fine ma strumento dell’agire nel
mondo. Per portare un esempio, la lettura della crisi attuale solo in chiave economica non sarebbe
affatto risolutiva della crisi stessa. Occorre piuttosto assumere un atteggiamento di maggiore umiltà
nei confronti della scienza, sostituire al principio dell’efficienza quello della fiducia e in generale
leggere gli eventi tenendo presente l’uomo nella sua totalità di persona.
Bisogna precisare che discernimento comunitario non significa omologazione o massificazione di
vedute e pareri poiché questo sarebbe contrario alla libertà dello spirito, ma vuol dire esprimere uno
stile e una finalità, aiutare le coscienze dei singoli e favorire il senso di appartenenza alla Chiesa.
Vengono avanzate alcune proposte operative:
- dare vita a centri culturali intesi come servizio e aiuto a creare mentalità
- vagliare l’informazione e non accettare che resti ridotta a moda sottile che sfugge alla nostra
coscienza
- segnalare e creare strumenti pastorali di comunicazione
- dare luogo a momenti specifici di incontro, di scambio, di aiuto ad analizzare gli eventi
insieme poiché da soli non si fa nulla.
3. Il terzo momento della seduta è un dibattito a caldo tra i presenti che lascia trasparire l’interesse
vivo per l’argomento e il desiderio condiviso di poter uscire da quella che nell’incontro precedente
del Consiglio era stata colta come una sorta di empasse nella vita ecclesiale, ovvero la reticenza
evidente a dialogare su temi politico sociali per il timore di trovarsi in disaccordo e di creare
divisione. I rilievi emersi possono essere sintetizzati in alcuni punti:
 è importante che i cristiani siano testimoni nei singoli ambienti nei
quali vivono e lavorano, cercando di creare mentalità
 occorre maturare la consapevolezza che fede e vita non possono
procedere separatamente
 bisogna acquisire la coscienza che l’analisi delle situazioni va
effettuata a livello antropologico per evitare tecnicismi, schematismi,
devianze
 è necessario riaprire il dialogo con coraggio e senza atteggiamenti
pregiudiziali, creando ambienti di condivisione e scambio, in
particolare centri culturali
 è opportuno conoscere e valorizzare le esperienze di vita cristiana
coerente già presenti con implicazioni significative sulla realtà sociale
e politica
 occorre che qualche persona di fede con competenze specifiche
nell’ambito si applichi e si metta a disposizione per aiutare la
comunità nella lettura e interpretazione degli eventi
 urge sottoporre con chiarezza alcuni punti chiave all’attenzione delle
figure che intendono impegnarsi a livello politico
4. L’ultimo momento della riunione è costituito dalle conclusioni di S.E. Mons. Caprioli che
puntualizza il fine a cui tende sia il nostro riunirci sia l’operare dei cristiani: il cambiamento
di mentalità. La Parola di Dio ha bisogno di silenzio, ma dall’ascolto di essa la disaffezione
e la disinformazione lasciano il posto alla testimonianza di fede della Chiesa. Occorre
muoversi con fiducia nella convinzione che i primi passi ne fanno avanzare altri e puntando
sulla formazione in ambito socio politico. Senz’altro questa prospettiva deve essere presa in
considerazione anche dai parroci nella pastorale parrocchiale; soprattutto è necessario che
nascano centri culturali in cui si affrontino le tematiche, ci si confronti e si crei e diffonda
una mentalità autenticamente cristiana in grado di dare aiuto alla vita di fede. Sarà
necessario imparare a lavorare prevedendo tempi lunghi e valorizzando l’esistente,
procedendo con umiltà senza la pretesa di esaurire tutto: non si tratta di fare cose, ma di
toccare il cuore dell’uomo. La parola “cultura” ha la stessa radice di “culto”: servire Dio,
servire il bello, il bene, servire l’uomo, soprattutto il più debole.
Virginia Scardova
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