IL CRISTIANO E LA POLITICA. APPUNTI PER UNA RIFLESSIONE Francesco Miano 1. La logica dell’incarnazione “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo”1. A partire dal mistero dell’incarnazione si coglie in modo evidente che i cristiani sono chiamati ad assumere il proprio oggi come l’orizzonte fondamentale in cui il Signore, chiamando alla vita, chiama all’impegno e al servizio. “I cristiani possono fecondare il tempo in cui vivono solo se sono continuamente attenti a cogliere le sfide che provengono loro dalla storia, e se si esercitano a rispondervi alla luce del Vangelo”2, se si esercitano in uno sforzo di coniugazione sempre più significativa tra la fede e la storia, tra la fede e il tempo. Anzi appartiene proprio all’atto costitutivo dell’esperienza del laico cristiano vivere intensamente, talora anche drammaticamente, lo sforzo di coniugare il Vangelo e la vita, la dimensione spirituale con quella sociale e politica, l’aver a cuore il proprio tempo con la sua vicenda sociale e politica. Appartiene all’esperienza stessa del laico cristiano quell’aver a cuore che è un suscitar domande, riscoprire significati, individuare priorità, ridare senso senza di cui ogni impegno sociale e politico sarebbe vano, a cui ogni impegno politico si alimenta. Nella complessità dei tempi, nell’urgere di nuove questioni che continuamente pongono in discussione certezze da tempo consolidate, nel disorientamento esistenziale di molti, appare chiaro che il problema centrale è, in breve, scuotersi dall’indifferenza per riuscire, come credenti, a suscitare, insieme a tutti coloro che hanno interesse per la vita comune, una nuova stagione della responsabilità da parte di tutti. Non è possibile infatti pensare che le conquiste della democrazia nel nostro tempo siano un patrimonio acquisito una volta per tutte. Anche la vita democratica ha bisogno di essere continuamente alimentata e la stessa democrazia rappresenta una conquista da rinnovare sempre. Ciò pone, oggi, nuove sfide e inediti problemi. L’indifferenza religiosa e morale – solo per brevi momenti mascherata dalle grandi emozioni individuali o collettive – cammina insieme alla deresponsabilizzazione sociale e politica. 2. La politica e il suo oltre Il primo impegno politico del cristiano consiste certamente nel favorire la consapevolezza che la politica non è tutto. Vi è una parzialità della politica. La fede cristiana ci offre orizzonti e criteri di interpretazione della vita più ampi della politica. “Al di là della politica c’è un residuo immenso da non sprecare (...). Dobbiamo avere il coraggio di essere, in un tempo fatalmente politico, più che politici. Cioè pienamente e veramente uomini”3. Ciò non significa sminuire l’importanza della politica. Il cristiano ha anzi il compito di contribuire ad una piena riabilitazione della politica di cui si avverte l’ineludibile necessità. “La politica è un’opera collettiva, permanente, una grande avventura umana. Le sue dimensioni sono sempre nuove e allargate. Riguarda a un tempo la vita quotidiana e il destino dell’umanità a tutti i livelli (...). La politica è essenziale: una società che la disistima si mette in pericolo”4. Per questo la politica deve sempre saper guardare oltre, oltre se stessa. In questo senso per un cristiano – anche nell’azione e nella valutazione politica – la fede rappresenta un punto di riferimento essenziale. La fede dà alla politica un senso, un orientamento, non offre soluzioni tecniche ai problemi, ma rammenta alla politica il primato della dignità e della libertà della persona umana, il rispetto del povero, la concezione del potere come servizio, il valore della pace e della giustizia. Propone cioè riferimenti etici e spirituali da poter condividere con tutti gli uomini di buona volontà, con tutti coloro che hanno a cuore la ricerca del vero, del bene. Per molte persone impegnate in politica la fede cristiana ha dato le radici, ha offerto gli spazi di un ponderato ripensamento delle esperienze e la essenziale capacità di distinguere le battaglie di lungo periodo – le battaglie per la salvaguardia della democrazia e dei diritti dell’uomo – da quelle congiunturali, ha dato la forza interiore per testimoniare. Ciò che è valso in passato, vale e può senz’altro valere ancora oggi. “In un momento in cui la politica torna a essere dominata dalla logica dell’amico-nemico, noi cristiani abbiamo il compito di dire che la città dell’uomo sta in piedi anche e soprattutto per una regola d’Amore”5. Non si tratta di un modo per evadere dal tempo, ma di uno stare nel tempo e nelle sue contraddizioni con la capacità di guardare oltre immettendo nella storia germi di novità e di speranza. La fede e la politica si incontrano così in modo significativo nella coltivazione del giusto nesso tra “vita secondo lo spirito” che aiuta a sviluppare l’ottica del servizio, della cura operosa per gli altri, del contribuire anche in silenzio al progetto comune, dell’evitare protagonismi sterili… e “senso della responsabilità” che spinge a dare la propria disponibilità, a proporre le proprie convinzioni e i propri orientamenti. Solo su solida base, con saldezza di motivazioni spirituali, accompagnate naturalmente da un discernimento efficace e da un adeguato sapere critico, si sviluppano infatti, nella vita quotidiana, la cura e la tessitura delle relazioni che danno senso all’esercizio della democrazia evitando che la dimensione politica si riduca ad una ricerca del potere fine a se stessa. Il senso della democrazia vive solo se è alimentato dalla consapevolezza che l’altro mi interpella e provoca la mia responsabilità, solo se è esercitato come accoglienza della pluralità e della diversità per crescere nella linea di una corresponsabilità che è capacità di proposta, valorizzazione del contributo di tutti, cura dell’insieme e non della parte. Il senso della democrazia vive solo se alimentato da una responsabilità fondata sulla gratuità e, a partire di qui, sulla competenza, sull’attenzione partecipe alla realtà, fondata in definitiva sull’idea che abbiamo ancora bisogno della politica, soprattutto in una società condizionata da poteri forti di ogni genere, per rispondere da uomini liberi alle interpellanze dell’oggi e del domani. 3. Per una rifondazione culturale della politica Un recupero di motivazioni sovrapolitiche per la politica non può non spingere i laici cristiani a dare il proprio contributo nella direzione di una rifondazione culturale della politica, soprattutto in questo momento storico in cui la politica è attraversata da forti lacerazioni anche relativamente al modo stesso di intendere la democrazia. Anche la nostra democrazia e il nostro Paese hanno bisogno di recuperare una sapienza ordinatrice dell’agire politico, uno spazio di riflessione culturale e razionale che faciliti la coniugazione tra valori e scelte operative, tra ideali e concrete traduzioni. L’impegno dei cristiani nel sociale e nel politico non può ridursi a battaglie di retroguardia, ad un colorare di cattolico qualche aspetto della realtà. Non è semplicemente un problema di maggiore o minore militanza o di numero di iniziative. Ridare spessore culturale alla politica per i cristiani significa contribuire a qualificare il confronto tra proposte e scelte diverse, ma anche concorrere a salvaguardare il senso stesso della ricerca di un bene comune che non è principio astratto ma storia concreta solo se vi sono uomini, gruppi, istituzioni che discutono, lottano e operano per esso. Vi è infatti un potenziale creativo della cultura cristiana che è ancora ben lontano dall’essere interamente sviluppato, un fondamentale potenziale di attenzione, di valori, di ragioni per il bene comune e non per il vantaggio di una parte. Per questo appare sempre più urgente che si consegua una capacità più affinata di leggere l’oggi, di leggere il tempo in cui viviamo e dunque di comprendere l’uomo di questo tempo. “Tempi nuovi si annunciano e avanzano come non mai. Il vorticoso succedersi delle rivendicazioni, la sensazione che storture, ingiustizie, zone d’ombra, condizioni di insufficiente dignità e d’insufficiente potere non siano oltre tollerabili, l’ampliarsi del quadro delle attese e delle speranze dell’intera umanità, la visione del diritto degli altri, anche dei più lontani, da tutelare non meno del proprio, il fatto che i giovani sentendosi ad un punto nodale della storia, non si riconoscano nella società in cui sono e la mettano in crisi, sono tutti segni di grandi cambiamenti e del travaglio doloroso nel quale nasce una nuova umanità”6. Ecco allora che capacità di “leggere” il tempo, nella sua complessità, significa anche necessariamente saper vivere, saper stare nella transizione scoprendo che proprio le fasi di passaggio come quelle che stiamo vivendo, sia pure lunghe e complesse, possono portare nuovi sviluppi, possibilità inedite, se sappiamo coglierle avendo una mentalità capace di prospettiva, di orizzonti non angusti. “L’ascolto della storia non è un avvenimento tecnico, non un dato di informatica, un fenomeno di linguaggio raziocinante, è un modo d’essere, un avvenimento della vita (...). L’uomo attento alla storia è in condizione di crescere nella propria umanità più di tutti gli altri, con intelligenza e coscienza, e così da cambiare se stesso e il mondo”7. 4. La centralità della persona Dall’ascolto della storia all’impegno per l’uomo. La rifondazione culturale della politica passa attraverso la riscoperta della centralità della persona. Al di là di battaglie culturali o ideologiche – più o meno congiunturali – rimane un dato ineludibile: non c’è cultura, non c’è società senza la persona, senza le persone. La qualità della vita di ogni società non può che misurarsi sulla sua capacità di sostenere, rispettare, promuovere la vita delle persone. “La persona umana precede e va oltre l’individuo in quanto cittadino”8. Non a caso, dal Concilio ad oggi, dalla Gaudium et spes in poi, l’attenzione della dottrina sociale è sempre di più rivolta ai presupposti di tipo etico-antropologico, di tipo personalistico della visione della società. La stessa centralità dell’idea di bene comune si coglie solo nel suo nesso con la persona. “Il primo e più significativo apporto in materia di bene comune, dato dall’inserirsi del Cristianesimo nella storia, è costituito dalla consapevolezza diffusa che lo Stato, e quindi il bene comune, si incentrano finalisticamente nella persona, portatrice di un destino immortale”. Dal valore di ogni persona deriva l’esigenza di sottrarla alle ingerenze dei poteri pubblici. “Il bene comune non può essere determinato nei suoi aspetti essenziali e nei suoi contenuti concreti che avendo riguardo ai bisogni e alle esigenze dei singoli esseri umani in quanto persone: consiste nell’insieme delle condizioni sociali che consentono e favoriscono il loro integrale sviluppo. Il contenuto universale del bene comune riceve nelle varie epoche, nelle diverse forme, nelle diverse civiltà e nei singoli Stati od ordinamenti politici, determinazioni storiche corrispondenti alle diverse esigenze di giustizia sociale, attinenti gli individui, i gruppi e gli stessi popoli. Quando siffatte determinazioni storiche sono solidamente fondate sulla naturale dignità della persona umana e hanno portata, almeno virtualmente, universale, una volta espresse negli ordinamenti costituzionali dei popoli civili, diventano irreversibili. Di tale natura sono i diritti di libertà civile e politica, in quanto specificazioni di diritti naturali della persona umana”9. L’attenzione alla dignità della persona – la persona senza alcuna discriminazione di età, sesso, razza, cultura, religione, classe sociale, la persona costitutivamente irripetibile, da rispettare nella sua unicità e differenza – rappresenta l’esigenza ineludibile di ogni cristiano che guardi alla politica e alla società. Lottare, operare per il bene dell’uomo di ogni angolo della terra. Lottare, operare per relazioni nuove tra gli uomini. L’uomo, l’uomo-persona, è “la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa e per cui Dio ha il suo progetto, cioè la partecipazione all’eterna salvezza”. Per questo la centralità dell’uomo diventa specie oggi “l’indicazione fondamentale e programmatica della dottrina sociale in vista del terzo millennio cristiano: da questa scaturiscono un metodo e un impegno variamente configurati in relazione ai molteplici ambiti nei quali tale dottrina viene studiata, diffusa e applicata”10. 5. Persona e società L’insistenza sulla persona non è però chiusura soggettivistica o intimistica. La centralità dell’uomo non può non farsi concreto impegno storico, un impegno che richiede discernimento ed esercizio affinchè il rispetto della dignità e della inviolabilità di ogni persona umana non sia una parola vana e si crei un ethos del rispetto della persona e delle persone tale da consentire ad ognuno di esplicare al meglio le sue potenzialità e le sue ricchezze, di esercitare la sua libertà. “La persona domanda essa stessa, in virtù della sua dignità come dei suoi bisogni, di essere membro di una società”11. Infatti “da un lato le persone umane, in quanto parti della comunità politica, si subordinano a questa e all’opera comune da compiere; dall’altro la persona umana, per il focolare stesso della sua vita di persona, è sovraordinata a questa opera comune e la finalizza”, “poiché il bene comune è un bene comune di persone umane, perciò stesso, ciascuno, subordinandosi all’opera comune, si subordina al compimento della vita personale degli altri, delle altre persone”12. La visione della persona appare dunque strettamente legata all’idea di società. “La concezione cristiana della persona comporta necessariamente una visione giusta della società. Infatti analizzando le ingiustizie, i conflitti e le aberrazioni cui può giungere l’uomo quando si volge contro Dio, si scopre che la loro radice comune sta in un errore antropologico. A questo errore vanno imputati: il rifiuto di rispettare la dignità di ogni persona umana, come avviene con la lotta di classe; il dominio delle cose sugli uomini, quale limite del capitalismo, la negazione della trascendente dignità della persona umana, radice del totalitarismo moderno; l’insensata distruzione dell’ambiente naturale, la distorsione e la corruzione del diritto”13. Risulta chiaro dunque che il richiamo alla persona possiede profonde radici sociali e ricadute politiche. Ciò appare tanto più essenziale in un tempo dominato dall’anonimato, dalla spersonalizzazione e dalla meccanizzazione dell’agire. Se persona è ogni uomo e fratelli sono tutti gli uomini sulla terra – anche quelli che verranno nel tempo futuro – ecco allora che emergono temi molto rilevanti quali la mondialità, la destinazione universale dei beni, la promozione dello sviluppo di tutti i popoli, la cooperazione tra i Nord e i Sud del mondo e del nostro Paese, la salvaguardia dell’ambiente, ecco allora la necessità di costruire una buona società in cui vivere, che sappia coniugare l’impegno per l’attuazione dei diritti “tradizionali” (diritto alla vita, alla proprietà, al lavoro, alla libertà religiosa...) con quello per la salvaguardia dei nuovi diritti (diritto alla tutela della privacy, alla verità dell’informazione…) e sia fondata su stili di vita personali non egoistici ma capaci di apertura e attenzione all’altro, non solo all’altro che mi è dinanzi, ma anche all’altro che mi è estraneo. “Sotto il termine altro bisogna distinguere due idee distinte: l’altro e il ciascuno; l’altro dell’amicizia, il ciascuno della giustizia. Nello stesso tempo non li si separa nella misura in cui appartengono all’idea di ethos che abbraccia, in un’unica formula ben articolata la cura di sé, dell’altro, dell’istituzione”14. Hanno così egualmente valore e si rafforzano a vicenda sia la relazione con il tu, il cui volto è concretamente alla mia presenza, sia la relazione con il ciascuno “senza volto”, essere umano anonimo, tuttavia soggetto reale, bisognoso di giustizia, per il quale è indispensabile l’impegno delle istituzioni. Nasce di qui l’esigenza di una nuova “cultura della responsabilità”15, della responsabilità per l’altro, che può far cogliere contemporaneamente il valore della sussidiarietà (“Il vero senso del principio di sussidiarietà è che non può essere usurpata l’iniziativa che spetta originariamente ai soggetti sociali”) e della solidarietà (“Il riconoscimento reciproco della dignità umana, la condivisione dei bisogni e dei problemi, l’individuazione di politiche che realizzino tali obiettivi, l’ordinamento dei rapporti nel senso della giustizia sociale”)16. Responsabilità, sussidiarietà, solidarietà: tre poli della dottrina sociale cristiana, tre dimensioni essenziali dell’impegno politico del cristiano per la promozione dell’uomo, di ogni uomo. 6. Bene comune e partecipazione Promozione dell’uomo significa contribuire a dare ad ogni uomo una degna dimora, condizioni degne di vita sia in senso materiale che culturale. Ma ciò non è possibile senza uno sforzo sempre nuovo di coniugazione tra “gli essenziali immutabili principi della convivenza umana” e la loro attuazione, tra idee e vita, tra progetti e storia, uno sforzo che impone la “necessità di attrezzarsi spiritualmente, intellettualmente, moralmente, tecnicamente per cogliere il modo nel quale quei principi possono e debbono trovare applicazione”17. La ricerca del bene comune si alimenta nella conoscenza degli uomini e delle donne del proprio tempo, e nell’aver fiducia in essi, nello spendersi con passione per coinvolgere e motivare persone cercando ed elaborando prospettive di incontro e di dialogo, scommettendo sulla possibilità di una convivenza che sia arricchimento reciproco e non difesa dell’acquisito, prevaricazione dei più forti sui più deboli. La ricerca del bene adeguato alla costruzione della casa comune non può limitarsi infatti ad una statica difesa e reiterazione di equilibri consolidati, talvolta, nel rifiuto di confrontarsi con ciò che costituisce elemento di novità e differenza. Deve invece trovare esplicazione nell’apertura di nuovi spazi, di nuove piazze nelle quali facilitare e organizzare l’incontro tra realtà diverse tra loro, richiedendo contemporaneamente la fantasia di disegnare scenari nuovi e di produrre nuovi linguaggi. È infatti la strada della promozione di un senso nuovo della partecipazione che anche i cristiani devono percorrere. Ritrovare il senso e il valore di una partecipazione popolare può contribuire non poco al ripensamento della politica. Ed è in questa direzione che si coglie l’apporto essenziale che la comunità cristiana è chiamata a dare. Se l’istanza della partecipazione è permanente provocazione per il cristiano, alla comunità cristiana è chiesto di promuovere il rilancio di una formazione sociale e politica del laico cristiano, perché rinasca, nella società, il senso della cura per ciò che è comune. Ciò significa un’attenzione stabile e non occasionale alla dimensione socio-politica nell’ambito degli itinerari di catechesi e dei cammini formativi, nell’ambito della vita ordinaria delle parrocchie e delle diocesi, una maggiore qualificazione delle proprie istituzioni scolastiche, culturali e accademiche. Ma significa anche rilanciare gli organismi di partecipazione ecclesiale (consigli pastorali…) come occasioni in cui si fa esperienza della cura per ciò che è comune e inventare nuovi luoghi, iniziative, momenti attraverso i quali imparare ad amare di più la città a cui si appartiene. Significa, ancora, aiutare le diverse aggregazioni di laici impegnate nella vita della Chiesa a riscoprire il fondamentale valore sociale del loro stare insieme, superando rischi sempre incombenti di autoghettizzazione. Un’autentica vita di gruppo, una buona vita associativa, infatti, può essere già di per sé una forma – sia pure indiretta – di preparazione per l’impegno sociale e politico se diventa concreto esercizio di apertura all’altro, se fondata su ascolto e accoglienza dell’altro, condivisione operativa (ciascuno a sua “misura”) di un progetto comune e autoresponsabilizzazione, rispetto dei ruoli e senso delle istituzioni, recupero delle radici e apertura al futuro. Ma alla comunità cristiana è chiesto soprattutto di diventare luogo in cui apprendere in concreto uno stile di discernimento comunitario attraverso l’ascolto attento e partecipe della vita degli uomini e della parola del Signore che la illumina, lasciandosi guidare dall’autorevole sapienza del Magistero. “Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Come l’amore di Dio incomincia con l’ascoltare la sua Parola, così l’inizio dell’amore per il fratello sta nell’imparare ad ascoltarlo”18. L’esercizio del discernimento comunitario, proprio della comunità cristiana, può diventare, infatti, prospettiva esemplare affinché l’operosa ricerca del bene comune possa farsi progetto che unisce persone diverse e che proprio per questo diventa capace di guardare avanti, di guardare al futuro con speranza. La rifondazione della politica, la sua stessa possibilità di ridirsi nell’oggi, passa sicuramente e forse soprattutto, attraverso la tessitura di relazioni, di vincoli interpersonali e comunitari che aiutino a ritrovare il senso autentico della comunità sociale e politica in un legarsi per il bene comune. 1 CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 22. 2 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 50. Roma, Studium, 1982, p. 84. 3 A. MORO, Al di là della politica e altri scritti, a cura di G. CAMPANINI, 4 COMMISSIONE SOCIALE EPISCOPATO FRANCESE, Riabilitare la politica. 5 L. PIZZOLATO, Una regola d’amore nella politica, in “Segno nel mondo 7”, 14/99, p. 17. 6 A. MORO, L’intelligenza e gli avvenimenti (testi 1959-1978), Garzanti, Milano 1979, p. 223. 7 A. MONTICONE, L’ascolto della storia, in In ascolto della 8 Quale società civile per l’Italia di domani, Documento storia, Studium, Roma 1984, p. 177. preparatorio XLII Settimana sociale dei cattolici italiani, Napoli 16-20 novembre 1999, n. 37. 9 Conclusioni della XXXVI Settimana Sociale, Pescara 30 maggio–4 giugno 1964 in Il cammino delle Settimane sociali, ed. Dehoniane, Roma 1989, p. 289. 10 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzare il sociale, Orientamenti e direttive per la pastorale sociale e del lavoro, n. 39. 11 J. MARITAIN, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1990, p. 29. 12 J. MARITAIN, Umanesimo integrale, Borla, Torino 1962, p. 231. 13 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzare il sociale, cit., n. 39. 14 P. RICOEUR, Persona, comunità, istituzioni. Dialettica tra giustizia ed amore. Ed. Cultura della pace, San Domenico di Fiesole 1994, p. 82. 15 G. CAMPANINI, Una cultura della responsabilità, in Fede, libertà, intelligenza, Forum del progetto culturale, Piemme, Casale Monferrato 1998, p. 145. 16 COMMISSIONE ECCLESIALE GIUSTIZIA E PACE-CEI, Stato sociale ed educazione alla socialità, nn. 44-45. 17 V. BACHELET, L’educazione al bene comune, in La responsabilità della politica. Scritti politici, a cura di R. Bindi e P. Nepi, AVE, Roma 1992, p. 54. 18 D. BONHOEFFER, La vita comune, Morcelliana, Brescia 1969, p. 124.