L`intervento del Vescovo ausiliare alla veglia diocesana di preghiera

L’intervento del Vescovo ausiliare alla veglia diocesana di
preghiera in occasione della XVII Gmg
Testimoni
della
luce
Carissimi giovani,
siamo radunati questa sera per unirci in preghiera al Santo Padre e alle
centinaia di migliaia di giovani, provenienti dai cinque continenti, che a
Toronto si preparano a celebrare la XVII Giornata mondiale della gioventù.
Espressione eloquente della cattolicità della Chiesa. Pur essendo in tanti,
costituiamo solo una rappresentanza dei giovani napoletani. Alcuni sono a
Toronto, altri, per evidenti difficoltà di spostamento, vegliano in preghiera
nelle loro parrocchie. Ma siamo un cuor solo ed un’anima sola. E
spiritualmente quest’unica assemblea orante, formata dai giovani della Chiesa
di Napoli, la guida il suo Pastore, il Cardinale Arcivescovo, che, fuori sede per
un breve periodo di riposo, mi ha incaricato di trasmettervi il suo saluto, il suo
affetto, la sua vicinanza e la sua benedizione.
Il Papa ha voluto come tema di questa Giornata mondiale l’espressione
evangelica «Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo» (Mt
5,13-14). Così disse Gesù ai suoi discepoli e così ripete a noi, a voi, suoi
discepoli di oggi.
Ma in che senso i discepoli di Gesù sono sale e luce? Non certo per se stessi,
ma in quanto partecipano alla luce che è Cristo. Da noi non siamo se non
tenebre. Egli solo è sale e luce. Illuminati dalla sua parola, i discepoli possono
e devono riverberare tale luce sugli altri, un po’ come la luna riflette la luce del
sole dopo che il sole è tramontato.
Mi soffermo brevemente sulla metafora della luce.
La luce che abbiamo ricevuto è la fede. «Fratelli - scrive Paolo agli Efesini
- un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore» (Ef. 5,8). Ma siamo
davvero ora tutti e solo luce? Perché, allora, quel grido, come nella notte, che
ci è rivolto da Paolo: «Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti
illuminerà»? (Ef. 5, 14). La verità è che noi siamo in parte nella luce e in parte
ancora nelle tenebre. Abbiamo sì ricevuto, nel battesimo, la virtù della fede,
ma come un germe che deve crescere, una possibilità da sviluppare. Il resto è
tutto da fare tra Dio e la nostra libertà.
La nostra posizione è veramente paradossale. Siamo come su quel filo che
divide una zona luminosa da una in ombra: dovunque ci spostiamo, portiamo
attaccata a noi quella zona d’ombra. È la nostra umanità non ancora riscattata,
non evangelizzata. Siamo le spinte tenebrose che San Paolo chiama «le opere
infruttuose delle tenebre». Di quello che si agita in questa zona d’ombra è
vergognoso perfino parlarne: «fornicazione, idolatria, inimicizia, discordie,
gelosia, dissensi, invidia, ubriachezze» (Gal 5, 19-21).
Luce e tenebre indicano, dunque, qualcosa di più che le verità di fede che
già conosciamo e le verità che ancora ignoriamo. Designano invece le opere
concrete, le scelte evangeliche o contrarie al Vangelo, che compiamo giorno
per giorno.
C’è, però, un altro simbolismo della luce che non possiamo stasera lasciare
inesplorato. Perché la nostra fede è paragonata ad una luce? Che cosa fa la
luce? Essa ci rivela le cose, ci dà il senso delle distanze e delle proporzioni, ci
dà l’orientamento. È capitato certamente a tutti noi di trovarsi, qualche volta, al
buio in una stanza e non vedere più nulla, non sapere più dov’è la via d’uscita,
e con la continua paura di andare ad urtare contro qualche ostacolo.
Ora così - ci dice Paolo - avanzava nella vita l’uomo pagano prima di Cristo:
«Come a tentoni» (At 17,27). È venuto Cristo ed è stato come il sorgere di una
grande luce. Egli ha rivelato agli uomini il Padre, il senso della vita e del
mondo. Ha dato una risposta a quegli interrogativi che l’uomo da sempre si
pone: «Chi siamo? Donde veniamo? Dove andiamo?». La fede offre, dunque,
al credente una visione della vita.
È forse strano che anche oggi il credente, il giovane credente, domandi alla
sua fede di dargli una visione del mondo e dei problemi della vita? È strano
che il cristiano ricerchi nella sua fede una risposta a problemi come quelli della
giustizia sociale, dei rapporti di lavoro, della malattia, della sofferenza, del
matrimonio, della vita, delle questioni legate al suo inizio e alla sua
conclusione?
Perché pretendere dal cristiano che nasconda, per così dire, la sua fede e le
sue certezze, quando dalla preghiera passa alla prassi e dalla chiesa alla strada?
Non sarebbe questo stile di vita proprio quell’atteggiamento condannato dal
Vangelo, un «accendere la lucerna e riporla poi sotto il moggio»? (cf Mt
5,15).
Cristo non la pensava certamente così: egli, anzi, ha parlato di una luce che
dev’essere posta sul candelabro per illuminare quelli che sono nella casa. Una
luce cioè che deve servire non solo al discepolo, ma anche agli altri abitatori
del mondo che magari non credono ancora. Il cristiano, cari giovani, non può
contentarsi di essere “un illuminato”; deve essere anche “un testimone della
luce”. Nessuno può chiedere ad un cristiano, a noi, a voi, una tale rinuncia
come prezzo per la collaborazione.
In un dramma di un autore francese del secolo scorso, una giovane ebrea
cieca chiede ad un cristiano. «Voi che ci vedete, cosa ne avete fatto della
luce?». Già, che uso stiamo facendo, noi discepoli di Cristo, della luce
ricevuta? È possibile accorgerci, standoci vicino, sentendoci parlare, che siamo
uomini e donne di fede, che giudichiamo le persone e gli eventi del mondo con
i criteri che ci vengono dal Vangelo? Camminiamo davvero «come figli della
luce», cioè viviamo la nostra esistenza in modo onesto, schietto, condita dal
sale dell’amore, che, come ci ha ricordato San Paolo nella prima lettera, supera
ogni carisma?
Gli occhi di tutti ricevono la luce, ma i nostri devono anche donarla; il
nostro occhio - ha detto Gesù - deve essere una lucerna (cf. Mt 6,22).
Cosa ne avete fatto della luce? È l’inquietante interrogativo che affido a voi,
cari giovani, alla vostra coscienza che so essere desiderosa di verità, di
autenticità, di coerenza.
Ed ora i nostri occhi - i miei ed i vostri che siete “le sentinelle del mattino” desiderano volgersi verso Colei che è la stella luminosa di un radioso mattino,
l’aurora di un giorno nuovo, nel quale il sole brilla senza mai tramontare e nel
quale ogni uomo alla ricerca di pace, giustizia, serenità vuole vivere, la nuvola
che pura e trasparente sale dal mare e fa piovere su una terra arida ed
un’umanità assetata la pioggia ristoratrice. Si posano su di Lei, su Maria.
E d’altra parte, carissimi, come potremmo, in questa veglia di preghiera, che
si colora di grande speranza, di giovanile entusiasmo, di una legittima ansia di
felicità, non contemplare la Giovane Donna di Nazareth? Come potrei io
pastore non affidare a Lei tutti e ciascuno di voi, con i suoi sogni, i suoi
progetti, le sue ansie, le sue speranze, i suoi desideri, le sue difficoltà, le
incomprensioni di cui si sente vittima? Come potrei non invitare tutti e
ciascuno di voi ad affidarsi a Lei perché sia Lei, la Vergine Maria, quale Madre
premurosa ed amorevole sorella, a suggerirvi i cammini giusti, le scelte che
veramente vi aiutino a realizzarvi come uomini e come credenti, ad infondere
nel vostro cuore il coraggio necessario per affrontare le prove e le asprezze
della vita, ben simboleggiate dalla croce che abbiamo accolto ed adorato, senza
cedere a vacue illusioni e letali tentazioni, a farvi pregustare la gioia che si
prova nel dare, più che nel ricevere, nel donarsi, vincendo ogni egoismo e
chiusura, nel farsi costruttori di una società più umana e cristiana piuttosto che
nel distruggere, con la fuga dagli impegni e anche con l’indifferenza, il grano
che pur è spuntato e biondeggia in mezzo alla zizzania?
E concludo facendo mie le parole pronunciate in questa piazza da Giovanni
Paolo II nel novembre del 1990: «Affido i buoni propositi di ciascuno alla
Madonna del Carmine, protettrice della Città. Maria, madre della santa
speranza, incoraggi e sostenga gli sforzi comuni, affinché Napoli ritrovi lo
splendore dei suoi tempi migliori» grazie anche all’impegno vostro, della
vostra generazione, del vostro contributo di mente, di cuore e di opere. Così
sia.
+ Filippo Iannone
Vescovo ausiliare di Napoli