il-contributo-delle-coppie-borghese

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La formazione del consenso nell’età dell’industrializzazione
e della crescita delle funzioni statuali.
U.D. 2 - SCHEMA DELLA LEZIONE:
L’UTILIZZO DELLE COPPIE BORGHESE-OPERAIO, CITTADINO-ELETTORE , LIBERALE-SOCIALISTA,
PER LA DEFINIZIONE DI UNA CONTEMPORANEA QUESTIONE DEMOCRATICA
Il tema proposto rappresenta la possibilità di inserire, all’interno di un modulo didattico per
il quarto anno delle scuole superiori, una seconda unità capace di integrare le competenze acquisite
nella prima: la possibilità cioè di integrare un approccio strorico più rivolto allo studio della società
e della vita materiale, delle sue trasformazioni dal punto di vista delle conoscenze, delle culture,
delle mentalità, con un secondo percorso capace di descrivere ora da un punto di vista politico e
socio-economico questi processi. La rilevanza di queste dinamiche nel campo delle dottrine, delle
istituzioni, e soprattutto per il concetto di rappresentanza sociale e politica, nonché la loro influenza
sul formarsi delle moderne identità collettive, saranno oggetto di questa “proposta di lezione”.
Essa, come ogni U.D. richiede dei pre-requisiti, cioè delle conoscenze già assimilate circa i
principali avvenimenti di questo periodo. Nel nostro caso: il riassetto geopolitico nell’età della
Restaurazione; i moti del ‘20-’21, del ’30; il costituzionalismo; e in particolare la peculiarità
dell’evento 1848.
Riassunti dunque i caratteri salienti di questo periodo, già in parte esplorati dalla prima
U.D., e
cioè la trasformazione delle campagne, l’emigrazione, l’industrializzazione,
l’urbanizzazione e la crescita dei consumi, la formazione degli Stati nazionali, la cosiddetta
nazionalizzazione delle masse, e infine, l’emergere di sistemi politici fondati sulla rappresentanza
politica –prima parziale, poi tendenzialmente universale- cominceremo ad introdurre alle
conseguenze sociologiche e politiche radicali, che tutto questo avrà ben oltre i confini cronologici
dell’800, attraverso l’uso delle coppie concettuali espresse nel titolo (BORGHESE-OPERAIO,
CITTADINO-ELETTORE, LIBERALE-SOCIALISTA).
Successivamente prenderemo in considerazione questa eccedenza del fenomeno storico in
questione, il protrarsi cioè dei suoi effetti nel tempo - la sua lunga durata – nel significato
attribuitole da uno dei più riconoscibili allievi di Braudel, Immanuel Wallerstein, nel tentativo di
offrire agli studenti una categoria di interpretazione per la comprensione storica di alcune scelte
compiute in passato e particolarmente influenti sul presente, sulla sua crisi-transizione, ed anche sul
rapporto che lega i nuovi movimenti –definiti impropriamente movimenti antiglobalizzazione - alle
spinte democratiche dell’800 liberale (quelle che Wallerstein definisce spinte “antisistemiche”).
Testi Citati
P.Macry, Le società e le classi – dal manuale Donzelli P.109-110
Pierangelo Schiera, Società per ceti in Dizionario di Politica – UTET pp. 1067-1071
Eric J. Hobsbawm. Cap.XII La città, l’industria, la classe operaia in Il trionfo della borghesia 1848-1875
Alessandro Cavalli, Classe in in Dizionario di Politica – UTET p.146
M. Duverger, Giano: le due facce dell’Occidente, Ed. di Comunità p.23
Runciman, Ineguaglianza e coscienza sociale: l’idea di giustizia sociale nelle classi lavoratrici Einaudi 1972
I. Wallerstein, Il capitalismo storico. Economia, politica e cultura di un sistema-mondo (trad. Donzelli), Torino,
ARRIGHI G., HOPKINS T. K., WALLERSTEIN I., Antisystemic movements (trad Vecchi), Roma, 1992.
Revelli, Movimenti sociali e spazio politico in Storia dell’Italia repubblicana vol 2 tomo II, pp.392-398
Wallerstein, Dopo il liberalismo, Jaka book 1998
Società complessa e limiti del concetto di classe nel rapporto
Borghese-Operaio
È importante dunque che gli studenti riconoscano nell’800 un momento fondamentale per tutto un
processo di costruzione delle identità collettive, sì da permettere loro di passare alla domanda
successiva: quanto sarà capace, il sistema politico di tipo rappresentativo, di ricondurre a momento
di aggregazione, di identità e di potere, quella stratificazione sociale emersa attraverso il mercato?
Partiamo dunque dal concetto di Società complessa così come viene enucleato da P.Macry
nel saggio Le società e le classi: “Per motivi non sempre coincidenti, la diffusione del mercato e
l’ampliarsi dell’intervento statale sono i due fenomeni che tengono a battesimo la grande
trasformazione sociale. Alfabetizzazione, acculturazione, urbanizzazione e organizzazione ne sono
gli aspetti più vistosi. Emergono nuove figure sociali, nuove professioni, nuovi comportamenti
privati e pubblici. Quello che era stato per secoli un arcipelago di proprietari terrieri e di contadini
diventa una società complessa fondata sulla diversità e sulla stratificazione; in essa è più agevole
rispetto al passato il passaggio di persone, famiglie, gruppi da una condizione sociale all’altra, la
mobilità sociale. Questa società fa leva su opinioni pubbliche agguerrite, su gruppi professionali
organizzati, su sindacati e partiti che rappresentano quote di popolazione e hanno voce in capitolo
nei sistemi politici nazionali. Si avvertono, a fine secolo, i primi sintomi di quella che sarà la
novecentesca società di massa.” 1.
La stratificazione e la diversificazione sociale accompagna il passaggio decisivo da una
società per ceti ad una società per classi. Occorrerà dunque riassumere le caratteristiche di
entrambe prima di introdurre alla problematizzazione del concetto di classe esibita da Macry nel
saggio citato, la cui impostazione risente fortemente delle analisi di Weber.
Una società per ceti è un tipo di società nella quale le gerarchie tra i singoli individui e
gruppi sociali si determinano non in relazione al ruolo economico che essi svolgono ma in ragione
della stima, dell’onore e della dignità che possono anche non avere alcun rapporto con la
produzione. La società europea di ancien régime si divideva in tre grandi ordini, riecheggianti la
vecchia partizione medioevale. Alla società per ordini corrispose in una certa misura lo stato per
ceti. Questo sistema sociale e politico, che predominò in Europa tra il XIII e il XVII secolo, era
caratterizzato in particolare dall’esistenza di distinti centri di potere; il potere politico era solo uno
di questi. A differenza di quanto accade poi nello stato moderno, non vi era una volontà pubblica e
sovrana che si imponeva sugli interessi particolari, ma al contrario molte delle grandi decisioni
legislative e amministrative e sempre quelle fiscali scaturivano da una contrattazione fra parti (il re
e i ceti). Riprenderemo questo punto nella seconda sezione, con l’analisi elaborata da Duverger.
Per ora ci interessa capire che fu proprio l’eredità del XVIII secolo in termini di maggiore
considerazione sociale agli individui piuttosto che ai ceti a favorire l’articolazione di una società
basata sulle distinzioni di classe e che tuttavia il concetto di classe del XIX secolo si presta, secondo
Macry, ad un uso esplicitamente politico più che descrittivo di queste distinzioni:
“Quel che manca nell’antica Società per ceti e che eminentemente la caratterizza rispetto allo Stato
moderno è quell’elemento inteso da Max Weber come l’essenza stessa dello Stato: il monopolio
della forza legittima. Quest’ultima è dislocata (…) in numerosi punti, ciascuno dei quali ha diretta
efficacia politica, mancando del tutto la distinzione pubblico-privato. Non c’è in altre parole, lo
Stato come momento sintetico e unificante di titolarità e di esercizio del potere; di conseguenza
manca anche la società, come sede degli interessi privati e dei rapporti ad essi inerenti. La Società
per ceti è, in termini moderni, contemporaneamente Stato e società (…)”2.
Il concetto di ceto espresso da Weber in Economia e Società (1922) coprirà un ambito di
fenomeni molto vasto, dalle caste indiane agli ordini e alle corporazioni medioevali, dai gruppi e
1
2
P.Macry, Le società e le classi – dal manuale Donzelli P.109-110
Pierangelo Schiera, Società per ceti in Dizionario di Politica – UTET pp. 1067-1071
dalle minoranze etniche al clero, ai militari e ai grandi gruppi professionali delle società moderne:
copre in genere tutte quelle situazioni in cui la posizione sociale di un individuo non può venire
accuratamente prestabilita dall’ammontare della ricchezza di cui dispone, cioè, in termini weberiani,
dalla sua posizione di classe.
Le classi sociali sono dunque una conseguenza delle disuguaglianze sociali. Questa sembra
l’unica caratteristica esclusivamente descrittiva su cui gli studiosi convergono.
Per Marx le Classi sono espressione del modi di produrre della società nel senso che il modo
di produrre stesso è definito dai rapporti che intercorrono tra le classi sociali e questi rapporti
dipendono dalla relazione delle Classi con gli strumenti di produzione. Su questi rapporti si fonda la
distinzione Capitalismo-Proletariato. La borghesia incarna il capitalismo. “È la classe sociale che
detiene il controllo dei mezzi di produzione e il potere politico. Dunque, la classe sociale che
gestisce la grande modernizzazione ottocentesca (fabbrica, agricoltura mercantile, finanza, etc.)
prelevando i propri profitti da un sistema di sfruttamento economico. Il potere economico della
borghesia si sviluppa in ragione della quota di lavoro non pagata alla classe operaia (ciò che nella
teoria marxista viene detto plusvalore).
Le due classi, borghesia e proletariato, sono dunque storicamente antagoniste. La lotta che si
combatte fra di esse, la lotta di classe, è il cuore dell’analisi marxiana. Tuttavia –aggiunge Macry3tradotta in termini descrittivi questa analisi non è di grande utilità.”. E’ anche vero però i molti
modelli di stratificazione proposti dalla sociologia perdono in capacità interpretative ciò che
guadagnano in termini descrittivi.
Per questo motivo sarà utile continuare ad occuparsi, in questa prima sezione,
dell’affermarsi nell’800 di idee di tipo classista, di valori borghesi o valori anticapitalistici, di
un’identità proletaria e di un’identità borghese, del formarsi di identità collettive, prima di occuparsi
delle organizzazioni che intendono rappresentare politicamente ora l’una ora l’altra delle due classi.
Il modo in cui la coscienza di classe influirà sulla coppia Liberalismo-Socialismo segnerà il
passaggio di questa esposizione didattica dalla questione sociale alla questione democratica; ne
diamo parziale anticipazione rispondendo alla domanda sul perché questione sociale, socialismo, il
bisogno di politiche sociali emergano ora:
“Per due motivi principali. Sul piano sociologico, quel che sta accadendo è un aumento formidabile
della ricchezza sociale. Tale ricchezza sociale tuttavia non si distribuisce in modo equo fra coloro
che ne sono gli artefici, imprenditori e operai. Al contrario, il XIX secolo vede il paradosso di un
forte aumento contemporaneo della ricchezza e della povertà. (…) Il mondo appare più dinamico
ma anche più diseguale, e questo rompe equilibri antichi. La distanza sociale fra contadino e
proprietario terriero poteva apparire come una specie di dato naturale (…) Ma cosa può esservi di
tradizionale e naturale nel rapporto tra imprenditori e operai di fabbrica? Hanno status sociali
incomparabili. Vivono in mondi a parte. Sono legati da rapporti esplicitamente contrattuali. Ed è fin
troppo chiaro che l’arricchimento dei primi si fonda sul lavoro mal retribuito degli altri.”.4
L’incomparabilità di status sociale (terminologia weberiana), pur in presenza di un
aumento formidabile della ricchezza sociale rappresentano il fenomeno alla base delle diversità e
della stratificazione sociale che caratterizzano la società complessa. La ragione per cui accanto al
concetto di Classe appaiono, nella terminologia weberiana, i concetti di status o ceto e di partito
risiede nei limiti che il concetto di classe ha per Weber rispetto a Marx: essa assume rilievo soltanto
all’interno dell’ordinamento economico e le spaccature di Classe non corrispondono
necessariamente a quelle che si verificano all’interno dell’ordinamento politico e dell’ordinamento
sociale. Ad esempio, Macry sottolinea come forti differenze sussistano non solo tra borghesia e
proletariato, ma anche al loro interno. “Differenze esistono non solo tra operai qualificati” –quella
che Hobsbawm definisce aristocrazia operaia5- e operai non qualificati, ma fra operai e contadini,
3
Macry op. cit. pp. 119-120
ibidem p.116
5
cfr Eric J. Hobsbawm. Cap.XII La città, l’industria, la classe operaia in Il trionfo della borghesia 1848-1875
4
tra la i diversi mestieri, tra lavoratori immigrati e lavoratori del posto, tra lavoratori cattolici e
lavoratori protestanti.”6. Basti pensare al famoso saggio di Marx in risposta a Bauer, la Questione
ebraica. Insomma, la compresenza di operai qualificati e operai non qualificati ripropone una
stratificazione interna al mondo del lavoro, in qualche maniera analoga a quella che era stata
codificata dalle antiche corporazioni e le tendenze all’omogeneizzazione individuate da Marx “si
scontrano con processi di diversificazione sociale e culturale. (…) Gli operai qualificati non si
sentono simili ai lavoratori generici e tanto meno ai marginali che vivono in strada, tengono molto
alla rispettabilità loro e delle loro famiglie, non dilapidano i loro salari al pub, e caso mai provano a
creare dei club rispettabili ispirati al modo di vivere la socialità del ceto a loro immediatamente
superiore, la piccola borghesia”7. Allo stesso modo, la classe capitalistica presenta al suo interno
caratteri assai differenti e divergenze di interessi così inconciliabili, “che spesso le battaglie
politiche più aspre si combattono non già fra le due classi antagoniste di Marx, ma fra gruppi
specifici di borghesia economica. (…) La dislocazione del potere sociale e politico è insomma
molto più complessa di quanto non dica la parola magica di borghesia capitalistica”.8
Un altro esempio è rappresentato dalla figura dell’imprenditore, che fatica ad essere
compresa nel concetto di classe: eppure essa recita una parte di primo piano nelle trasformazioni
sociali ottocentesche. “Sono coloro che, disponendo di sufficiente capitale e sufficienti
informazioni, affrontano un mercato che si sta espandendo a vista d’occhio”.9
Stessa interpretazione per gli impiegati, i quali, seppur rappresentando un fenomeno
unitario della modernizzazione occidentale, sono “gruppi di recente origine, privi delle tradizioni
d’antico regime che in parte conservano ad esempio alcuni settori professionistici, organicamente
legati ai processi di mercato e, nel caso delle burocrazie pubbliche, alle istituzioni statali. Appaiono
perciò particolarmente disponibili ai nuovi modelli di comportamento e di consumo che si vanno
affermando nel XIX secolo e che, nella città moderna, segnano l’appartenenza alle differenti
condizioni sociali. Risiedono in quartieri decorosi, opportunamente distanti dai quartieri operai. Si
circondano di simboli di uno status conquistato e mai definitivamente acquisito. Evitano di avere
troppi figli e sono attenti a dare loro un livello di istruzione che gli permetta di conservare la
condizione sociale del capofamiglia e migliorarla. Sono numerosi e tuttavia disorganizzati.”10.
Pur non rappresentando un gruppo sociale coeso e sebbene dispersi nel chiuso di famiglie e
di economie familiari, gli impiegati, sono però un segmento importante del sistema economico e
dello stesso sistema politico per la conquista del consenso. Allo stesso modo non c’è da stupirsi se
l’altro settore socio-professionale pronto ad emergere ed irrobustirsi sull’onda dell’allargamento
dello Stato e del mercato saranno i professionisti: l’altra figura che maggiormente caratterizzerà la
città ottocentesca, cioè quel luogo di “produzione” di borghesia che solo indirettamente ha a che
vedere con i processi di industrializzazione e che piuttosto va ricondotta all’ambiente cittadino
come nuovo contesto della modernità.
“Val la pena di soffermarsi su tre aspetti della questione. In primo luogo, la nascita o forte crescita
di settori professionali e lavorativi specificamente legati alle funzioni che vengono richieste dalla
vita urbana. In secondo luogo, l’emergere di una sorta di coscienza urbana, la quale finisce per
collegare gruppi e condizioni sociali pur differenti e che potremmo definire come una nuova
sensibilità al consumo. I cittadini sono consumatori. In terzo luogo, la tendenza della vita urbana ad
agglomerare ed uniformare i comportamenti e le opinioni, cioè dalla massificazione dei processi
sociali che avrà il proprio teatro compiuto, come’è noto, nel XX secolo”11.
In buona sostanza, sia nel caso della nuova borghesia urbana, sia nel caso della “aristocrazia
operaia” descritta da Hobsbawm, l’elemento che differenzia la stratificazione sociale dei secoli
precedenti dalla società complessa fin qui delineata è rappresentato da una forte mobilità sociale,
cioè lo spostamento di individui o gruppi da una posizione sociale ad un’altra.
6
Macry op. cit. pp. 116-117
ibidem
8
ibidem p.120
9
ibidem p.121
10
ibidem p.124
11
ibidem p.122
7
Legittimità del potere, coscienza di classe e formazione del consenso:
il Cittadino-Elettore
Si è parlato della formazione di un nuovo centro del potere, lo Stato Liberale e di come
categorie sociologiche e categorie politiche possano determinare punti di vista differenti.
Allo stesso modo, introducendo il concetto di potere, da un punto di vista riconducibile alle
tre dimensioni della diseguaglianza tra strati sociali –ricchezza, prestigio e potere – possiamo dire
che i rapporti tra le classi sono rapporti di potere e, in quanto tali, risulta arduo costruire degli strati
a seconda non della distribuzione di certi valori, ma a seconda del grado in cui una società è
distribuito il potere. “Il potere è un valore particolare non solo perché determina la distribuzione di
tutti gli altri valori, ma soprattutto perché, dato che si esercita su altri uomini, vi è chi lo subisce ed
è quindi difficile considerarlo una risorsa che si distribuisce sia pure in modo diseguale tre tutti i
cittadini. (…) Se quanto affermato è vero, cioè che il potere è un valore a somma zero e determina
la distribuzione degli altri valori sociali, possiamo dire che i rapporti di classe sono essenzialmente
rapporti di potere e che quindi il concetto di potere fornisce l’aspetto unificante per identificare in
modo sintetico la strutturazione delle diseguaglianze sociali.”12.
Da un punto di vista storico politico, anche la capacità di contrattazione che i ceti
dimostrarono avere nei confronti del re ci dà un’idea del rapporto col potere che la “classe”
borghese riuscì a costruire. La dipendenza del potere politico da quello economico, infatti, permise
alle assemblee di rappresentare il cavallo di Troia della borghesia nei confronti del potere costituito.
Come scrive Duverger “l’evoluzione globale della società tende all’instaurazione della
plutodemocrazia”13 intendendo per questa il regime occidentale in cui il potere poggia
contemporaneamente sul popolo (demos) e sulla ricchezza (plutos). È la storia del sistema
aristomonarchico che vede nei secoli l’emergere della borghesia; prima nei comuni, poi, elevandosi
dal piano municipale al piano nazionale, nelle assemblee degli stati (ordini o ceti).
Nell’aristomonarchia due vie si aprivano alla borghesia “per farsi un posto nel sistema esistente.
Essa può allearsi all’aristocrazia facendo delle assemblee di stati un vero parlamento che controlii e
limiti il potere monarchico. O, al contrario, aiutare il re a sbarazzarsi della tutela dei nobili, il che
porterebbe alla scomparsa delle assemblee di stati per lo smembramento delle loro componenti, e
all’instaurazione della monarchia assoluta. Grosso modo, la prima via sarà seguita in Gran Bretagna
e la seconda sul continente.”14 . Allo stesso modo, “possiamo dire che prima del 1848 la borghesia
combatte su un solo fronte e che successivamente combatte su due fronti, il secondo dei quali
diventerà molto presto più importante del primo.”15 .
La grande forza della borghesia risiede in questa capacità di trasformare a suo vantaggio gli
equilibri precedenti, il concetto di consenso che i signori contrapponevano al diritto ereditario del
re, i contrappesi che il suo potere doveva avere, sono temi che i liberali riprendevano riadattandoli
come avevano fatto con le assemblee e la rappresentanza feudale. È cosi che in Europa si sviluppa
la teoria della superiorità del parlamento. “Ciò dipende non soltanto dal suo ruolo storico nella
formazione della democrazia liberale, ma esprime soprattutto la volontà di proteggersi contro la
pressione popolare, sostituendo i deputati agli elettori come depositari della sovranità nazionale.
(…) La fonte del potere politico non è nei cittadini, ma nella nazione, entità misteriosa ed astratta
che si esprime nelle assemblee. Si passa così dalla sovranità popolare alla sovranità nazionale e
dalla sovranità nazionale alla sovranità parlamentare.”16. Per Duverger, questa abile costruzione
ideale tende a risolvere la contraddizione tra ideologia liberale, che fa del popolo la base del potere,
e la paura della borghesia di esserne sommersa. “Il prestigio che i liberali conferiscono al
cfr Alessandro Cavalli, Classe in in Dizionario di Politica – UTET p.146
M. Duverger, Giano: le due facce dell’Occidente, Ed. di Comunità p.23
14
ibidem p.26
15
ibidem p.49
16
ibidem p.74
12
13
parlamento e alla legge non è pericoloso per gli uomini di affari. In teoria, questa artiglieria pesante
potrebbe distruggere il capitalismo e instaurare un regime collettivistico. In pratica, una simile
rivoluzione attraverso la legge è impossibile a quell’epoca. I partiti operai non tentano di ottenere
per sé soli la maggioranza parlamentare e non immaginano neppure di poterci riuscire. In ogni
modo, le assemblee non sarebbero in grado di dirigere un’economia socialista, giacchè per loro
stessa natura sono inadatte a svolgere compiti di questo tipo”17.
Al contrario, esse sono fatte proprio su misura per le funzioni che lo stato liberale assegna ai
pubblici poteri: stabilire l’eguaglianza nei diritti dei cittadini per permettere l’iniziativa di ciascuno
e la concorrenza di tutti; proteggere la proprietà e definire i principi della sua acquisizione e della
sua devoluzione; fissare i termini dei contratti commerciali e sanzionare la loro inadempienza;
regolamentare i rapporti familiari e le eredità al fine di garantire i patrimoni privati senza permettere
la ricostituzione di privilegi feudali; assicurare le libertà pur proteggendo l’ordine pubblico contro
gli autori di crimini e delitti. “La struttura delle assemblee, che rende loro difficile la direzione
dell’economia ne fa invece un eccellente strumento di legislazione civile, penale, e politica”18.
Il potere si fonda dunque “in Francia come in Inghilterra e negli Stati Uniti, e poi in tutta
l’Europa occidentale, su una sovranità popolare riconosciuta da carte costituzionali o esercitata di
fatto. I parlamenti controllano i governi. La classe politica viene scelta dagli elettori. E sebbene il
diritto di voto non sia certamente universale, le trasformazioni del sistema politico –conviene
Macry- danno voce alla società e ne provocano il progressivo organizzarsi.”19.
Questo determina la nascita della questione del consenso. Fin dal XIX secolo infatti i
governi non mancheranno di utilizzare “l’ansia di mobilità sociale e la ricorrente insicurezza dei ceti
impiegatizi, enfatizzando una distanza dalle classi del lavoro manuale che talvolta è un puro
elemento ideologico, illusorio, più che un dato reale.”20. Gli impiegati, per i loro obblighi di fedeltà,
diverranno un elemento importante del consenso raccolto dai governi attraverso i sistemi elettorali
ancora legati al reddito –ancora di più, durante i totalitarismi.
La fonte del potere politico non è ancora nel cittadino-elettore, ma nel deputatoparlamento e il professionista ha tutti i numeri per impersonare il tratto di passaggio da un sistema
politico di antico regime, fondato sulla nascita e sul potere locale, il cosiddetto notabilato, ad un
sistema politico di tipo rappresentativo. Costruisce “le proprie influenti reti di conoscenze personali
utilizzando l’ambiente familiare di provenienza, le amicizie coltivate in scuole superiori e college
esclusivi e poi, soprattutto le clientele legate alla stessa professione. (…) Chi meglio degli avvocati
potrà sedere nella Camera italiana o nell’Assemblea parigina e tradurre in leggi e regolamenti
esecutivi la nuova politica rappresentativa di tipo liberale?”21 .
Ed è dopo il 1848, - dirà Duverger, ma anche Wallerstein o ancora, seppur in toni diversi,
Hobsbawm – che la borghesia e il sistema liberale cambiano atteggiamento rispetto alle masse
popolari. C’è un elemento nuovo ora, che rischia di rompere quella che, da un punto di vista
sociologico, Runciman chiama la falsa coscienza. Da un punto di vista politico questo elemento è
rappresentato dall’acquisizione di una coscienza di classe. Se operai e lavoratori non manuali sono
soggetti, nella società in cui vivono (e dunque ancora una volta da un punto di vista sociologico), a
ineguaglianze sociali, politiche, ancora nel XX secolo, quasi mai l’insoddisfazione e il risentimento,
per quanto acuti, corrispondono alla reale entità dell’ineguaglianza.
Il consenso del cittadino-elettore sarà, in epoca liberal-democratica, notevolmente
influenzato dai meccanismi usati dalle classi dominanti per frenare lo sviluppo di uno scontento
potenzialmente egualitario, dalla frustrazione della classe media, dalle trasformazioni della
coscienza operaia, dalle motivazioni con cui le organizzazioni che rappresentano gli interessi di
17
ibidem p.72
ibidem
19
Macry, p.118
20
ibidem p.124
21
ibidem p.123
18
classe propongono rivendicazioni e riforme. E tuttavia, come il Terzo stato per l’ancien régime, c’è
ora un Quarto stato che avanza e che pur rimanendo sostanzialmente imbrigliato nelle maglie del
parlamentarismo liberale, contribuirà a scardinare il meccanismo di voto dei regimi liberalcensitari.
Da questo punto di vista, la classe , seppur con tutti i suoi limiti ad essere utilizzata per una
descrizione puramente sociologica, è l’elemento di più valida unificazione di quei fattori comuni a
tutti gli operai: “l’esperienza della disoccupazione congiunturale, effetto di cicli economici
sfavorevoli che in questo secolo sono scarsamente contrastati da ammortizzatori sociali; e, quasi per
tutti, i salari sono esposti a dure fluttuazioni, specie laddove esista un esercito industriale di riserva,
cioè una massa di disoccupati, di contadini, di immigrati disponibili ad entrare nel processo della
produzione industriali a prezzi stracciati. Alcune delle lotte più dure e violente oppongono così gli
operai ai crumiri, cioè ad altri lavoratori reclutati per sostituirli quando essi si mettono in
sciopero.”22. Quella fascia di popolazione che, non avendo la proprietà dei mezzi di produzione,
vende il proprio lavoro ad un imprenditore in cambio del salario diventa il proletariato che il
movimento operaio intende rappresentare. La sua coscienza di essere classe troverà nell’ideologia
socialista e nel partito il suo collante più forte.
In questo senso la teoria marxista sosterrà che un partito è proletario perché difende gli
obiettivi del proletariato anche se non è sostenuto dalla maggioranza dei proletari per mancanza di
una sufficiente coscienza di classe: “Le classi dominanti si sforzano sempre di frenare lo sviluppo di
questa coscienza nelle classi dominate, al fine di indebolire la posizione dei loro avversari. Esse
riescono a far più o meno sostenere l’ordine costituito da una parte di coloro che esse dominano, e
che dunque combattono contro i loro stessi interessi. La lotta del sistema occidentale contro
l’aristomonarchia offre numerosi esempi di una siffatta situazione. Questa lotta non oppone
sfruttatori e sfruttati, ma la classe dominante dell’economia agraria tradizionale e la classe
dominante in una economia capitalistica. Tuttavia, le classi oppresse sono interessate a tale lotta
nella misura in cui la plutodemocrazia offre loro mezzi più efficaci di resistenza all’oppressione
(elezioni, libertà pubbliche, partiti operai, sindacati, sviluppo dell’istruzione.). E’ comprensibile
dunque che le classi popolari abbiano appoggiato la borghesia nella sua battaglia, sebbene esse
siano state sfruttate da questa stessa borghesia nel significato marxista del termine. (…) E’ meno
comprensibile che l’aristocrazia abbia trovato un ampio sostegno nelle masse contadine che non
potevano avere alcuna speranza di liberazione nel mantenimento del vecchio sistema politico.”23 .
È proprio questa anomalia, questa falsa coscienza, a rappresentare l’oggetto di indagine
sociologica di Runciman in Ineguaglianza e coscienza sociale: l’idea di giustizia sociale nelle
classi lavoratrici: “L’insoddisfazione per il sistema di privilegi e di compensi di una data società
non viene mai provata in proporzione al grado di ineguaglianza cui sono soggetti i suoi diversi
membri. Molti che stanno in basso hanno meno risentimenti verso il sistema di quanto non sembri
giustificato dalla loro effettiva posizione, e molti più vicini al vertice ne hanno di più. Il contadino
reazionario, il radicale benestante, il povero rispettoso, si ritrovano nella storia di molti luoghi e di
molte epoche: in tutti questi casi c’è una discrepanza tra la posizione di ineguaglianza e la sua
accettazione o il suo rifiuto.”24 .
La domanda di Macry è allora: che relazione c’è tra questa stratificazione socio-culturale
interna alle classi operaie e le forme politico-sindacali che nel corso del XIX secolo assume il
movimento operaio? Qui la risposta si fa insidiosa, al punto che l’interpretazione data dallo stesso
Macry risulta parziale e poco convincente rispetto all’analisi secca che ne dà Wallerstein e che
riprenderemo in conclusione (terza sezione). In buona sostanza, Macry si attiene alla lettura
leninista che vede nell’operaio qualificato la base sociale del riformismo della Seconda
Internazionale (1889) ma non rende ragione della sua presenza in episodi più rivoluzionari (1830,
1848-49, 1871).
22
ibidem p.118
Duverger, pp. 49-50
24
Runciman, Ineguaglianza e coscienza sociale: l’idea di giustizia sociale nelle classi lavoratrici p.3
23
D’altra parte l’elemento di riforma sociale rappresentato dall’istituzione delle società di
mutuo soccorso, dalle prime Trade Unions, la pratica del closed shop e dello sciopero è
riconducibile sicuramente a questa figura dell’aristocrazia operaia, che gli altri operai prenderanno a
modello e che condurrà ai sindacati di mestiere. E tuttavia la distinzione tra aristocrazia operaia e
proletariato sovversivo (in questo conviene anche Macry) è debole: consiste più in una distinzione
dei metodi di lotta ed in fondo anche i sindacati di mestiere si distingueranno tra di loro su questa
base, rimanendo accomunati forse solo dal loro rifiuto del partito come partner del sindacato: questo
almeno fino a quando l’avvento dei sindacati d’industria e la loro vicinanza ai partiti non darà
all’ideologia socialista un’inedita e molto più articolata capacità di lettura e di rappresentanza della
società.
È necessario, dunque, che alla parola d’ordine liberista e individualista del laissez faire
cominci a fare da contraltare un’idea di eguaglianza sostanziale e di giustizia sociale, perché si
affacci l’esigenza dell’allargamento del voto, traghettando la società complessa da un sistema
liberal-censitario ad un sistema liberal-democratico:
“Gli abitanti dei paesi dove si affermano le dottrine liberali diventano cittadini ed elettori. A dire il
vero, si tratta di processi lunghi. I diritti di cittadinanza e soprattutto i diritti politici verranno
riconosciuti con grande cautela e gradualità. Eppure, allo scoppio della Grande Guerra, forme di
suffragio allargato universale sono ormai operanti in Gran Bretagna e in Scandinavia, in Francia e
Germania, in Italia e nell’Impero Asburgico oltre che negli Stati Uniti. Il diritto di voto allargato
provocherà processi di aggregazione delle opinioni pubbliche, di coesione sociale, di
organizzazione. E nondimeno spingerà i governi a promuovere politiche capaci di generare
consenso nella popolazione o in settori importanti di essa.”25 .
Supplemento storiografico
I tempi della storia Breve e lunga durata.
Mappa della Scuola degli "Annales" (dal 1929): la storia come una delle scienze umane, fra la sociologia, la geografia e l'economia.
Personaggi: Marc Bloch (trae da Emile Durkheim il concetto di "rappresentazioni collettive"), Georges Lefebvre, Lucien Febvre,
Emmanuel LeRoy Ladurie, Fernand Braudel.
Lo storico francese Fernand Braudel (1902-1985) ha pubblicato nel 1949 La Méditerranée et le monde méditerranéen à l'époque de
Philippe II (titolo italiano Civiltà e imperi nell'età di Filippo II), diviso in tre parti: L'ambiente (paesaggio, clima, mondo urbano ecc.),
Destini collettivi e movimenti d'insieme (economie, imperi, società, civiltà, ecc.), Gli avvenimenti, la politica e gli uomini (vicende storiche
seguite cronologicamente).
Le tre sezioni del libro di Braudel coincidono con le tre diverse velocità della storia (la storia, un'autostrada a tre corsie).
Dalla prefazione: "Questo libro è diviso in tre parti […] la prima tratta una storia quasi immobile, quella dell'uomo nei suoi rapporti con
l'ambiente: una storia di lento svolgimento e di lente trasformazioni, fatta spesso di ritorni insistenti, di cicli incessantemente ricominciati
[…]. Al di sopra di questa storia immobile, una storia lentamente ritmata […], una storia sociale, quella dei gruppi e degli aggruppamenti
[…]. La terza parte, infine, è quella della storia tradizionale, se si vuole della storia secondo la dimensione non dell'uomo, ma
dell'individuo, la storia "événementielle" […]. In tal modo, siamo giunti a decomporre la storia in piani sovrapposti. O, se si vuole, a
distinguere nel tempo della storia, un tempo geografico, un tempo sociale, un tempo individuale".
Una teorizzazione di questa esperienza di ricerca e di scrittura in F. Braudel, Storia e scienze sociali. La "lunga durata" (1958): "Dalle
recenti esperienze e tentativi della storiografia, si sviluppa […] una nozione sempre più precisa della molteplicità del tempo e del
significato eccezionale del tempo lungo […]. La storiografia tradizionale interessata ai ritmi brevi del tempo, dell'individuo, dell'
événement, ci ha abituati da tempo al suo racconto frettoloso, drammatico, di breve respiro. La nuova storiografia economica e sociale
pone al primo posto, nella sua ricerca, le oscillazioni cicliche, e punta sulla validità delle loro durate: è rimasta presa dal miraggio,
nonché dalla realtà delle ascese e discese cicliche dei prezzi […] in cui il passato viene chiamato in causa sulla trama di ampie
partizioni, di decine, ventine o cinquantine d'anni. Molto al di là di questo secondo recitativo si colloca una storia di respiro ancora più
sostenuto, di ampiezza secolare, stavolta: la storia di lunga, addirittura di lunghissima durata […]. Ammetterla al cuore del nostro
mestiere […] significa familiarizzarsi con un tempo rallentato, a volte quasi al limite dell'immobilità".
Bibliografia: F. BRAUDEL, Scritti sulla storia, Milano, Mondadori, 1973
25
Macry p.125
Il riformismo e l’Analisi dei Sistemi Mondo: come rileggere la contrapposizione
Liberale-Socialista
Con quest’ultima sezione tentermo, attraverso l’utilizzo dell’ultima coppia Liberalismo-Socialismo,
di completare il senso emerso nella prima: che cioè un approccio che guarda alla ‘primordialità’ del
rapporto tra borghese e proletario quale spiegazione della lotta di classe è una rappresentazione
ideologica che non coglie la complessità dei processi attraverso i quali si realizza l’appropriazione
di un plusvalore da parte di alcuni soggetti sul lavoro di altri soggetti.
Il sistema liberale rappresenta la nuova dimensione all'interno della quale considerare le
politiche sociali nella società dominata dal modo di produzione industriale. Questo nuovo modo di
produzione richiede agli operai di fabbrica di piegarsi ad una serie di regole che costituiscono il
regime di fabbrica. Quanti sono assunti, sulla base di contratti individuali "liberamente" sottoscritti,
debbono non soltanto apprendere nuovi modi di eseguire il lavoro attraverso l'utilizzazione delle
macchine automatiche, ma è necessario che si assuefacciano ai nuovi orari e ai nuovi ritmi e si
sottomettano a forme di regolamentazione e controllo del lavoro attraverso le quali si realizza una
"disciplina di caserma" come scrive Marx nel cap. XIII del primo libro de Il Capitale.
Nella seconda sezione abbiamo cercato di spiegare la formazione del consenso col fatto che
nella società industriale l'attenzione delle élites nazionali si sposta dalle classi povere alla classe
operaia in quanto: la classe operaia, unitamente agli imprenditori capitalisti, è la protagonista della
rivoluzione industriale; il conflitto industriale oltre una certa soglia è destabilizzante del sistema
capitalistico; le workhouses della classe operaia sono le fabbriche, cioè il luogo nevralgico del
processo di produzione capitalistico; il capitalismo industriale - nella sua esigenza di sviluppo - può
essere garantito soltanto dal consenso di chi opera nella struttura produttiva. La drammaticità delle
condizioni della classe operaia, insieme al rifiuto da parte delle classi dominanti di estendere ad essa
i diritti politici, costituisce quella miscela, potenzialmente esplosiva, che spiega la mobilitazione
delle classi subordinate e il conflitto da esse promosso. Il riformismo, per altro, non nasce
all'improvviso ma è tutto interno all'esperienza storica del socialismo e alla sua evoluzione
programmatica che nella sostanza si svolge in modo simmetrico rispetto al conflitto.
Schematizzando possiamo dire che nella società industriale l'andamento del conflitto descrive una
parabola che passò per tre stadi fondamentali e successivi:
- prima fase: E' il conflitto post-corporativo proprio della prima industrializzazione che avviene
in corrispondenza del passaggio dallo status al contratto. Pur costituendo un'importante
innovazione il contratto - in particolare il contratto di lavoro salariato - a causa delle notevoli
differenze nei rapporti di potere esistenti tra le parti stipulanti, mette in evidenza una relazione
essenzialmente coercitiva, altamente asimmetrica, le cui parti sono necessariamente ostili l'una
all'altra. Di conseguenza in questa fase i conflitti di lavoro si fanno frequenti anche se non
assumono immediatamente le caratteristiche che saranno proprie dell'azione sindacale e politica in
quanto non sono ancora operanti organizzazioni rappresentative degli interessi economici,
professionali e politici della nuova classe lavoratrice impegnata nel sistema di fabbrica.
- seconda fase: un progressivo passaggio al conflitto antagonistico in seguito alla polarizzazione
che si viene a introdurre all'interno della società industriale per il rifiuto di riconoscere diritti politici
e sociali alla classe operaia. Il conflitto antagonistico è pertanto finalizzato a realizzare
l'eguaglianza di quei diritti che possono conferire alle classi lavoratrici lo status di membro a pieno
titolo della comunità nazionale. Sul piano della storia del pensiero politico, poi, il conflitto
antagonistico diviene l'elemento fondante della teoria socialista di superamento dello stato
liberale. I rischi per il sistema capitalistico derivanti da questo conflitto sono dovuti non solo alla
prospettiva eversiva sottostante alla sfida ma anche alla strategia posta in atto che coniuga il
conflitto nei luoghi di lavoro con quello all'interno delle istituzioni. Le lotte di classe, infatti, come
nota Wallerstein26, hanno avuto luogo in due sedi: nel campo economico (sia nel luogo effettivo del
lavoro, che nel più largo e amorfo mercato), e nel campo politico. Il quadro politico - estremamente
complesso - che si viene a configurare in questa fase può essere descritto, semplificando, attraverso
tre paradossi: 1. borghesia industriale e classe operaia sono collaboratori necessari nella sfera della
produzione e soggetti conflittuali in quella dei diritti politici e sociali; 2. la borghesia liberale
proclama libertà, eguaglianza e fraternità come principi universali e fondamento dei diritti
dell'uomo ma riconduce alla proprietà privata la fonte dei diritti di cittadinanza che vengono negati,
in tal modo, alla classe operaia; 3. la classe operaia e le teorie socialiste rivendicano l'estensione dei
diritti politici e sociali iscritti nel codice genetico del liberalismo ma per conseguirli sono costretti
ad elaborare e a mettere in atto un'iniziativa anti-liberale quale l'eversione del sistema capitalistico
per realizzare la soppressione della proprietà privata.
-la terza fase: il conflitto istituzionalizzato che si apre con le politiche riformistiche dei partiti
socialisti
Il quadro così definito rende evidente l'insostenibilità della situazione che i paradossi
descrivono. In questa fase in cui il conflitto si. fa più esplosivo assistiamo alla convergenza di due
processi. Innanzitutto il realismo politico indusse i liberali a considerare necessaria l'adozione di
politiche sociali realizzando, in tal modo, un progressivo abbandono del principio dello "stato
minimo" insieme a quello del "suffragio ristretto". Realizzarono così una conciliazione tra le
logiche della democrazia e quelle del liberalismo, (i due termini "inseparabili e nemici i cui
disaccordi e le cui pacificazioni travaglieranno il pensiero politico del XIX secolo ed anche del
nostro").
Il rinnovamento del liberalismo avverrà, a cavallo tra i due secoli, con il riconoscimento che
la libertà è non solo e non tanto un diritto dell'individuo ma una necessità sociale per cui non basta
proclamare in suo nome eguali diritti innanzi alla legge, ma occorre riconoscere anche una equality
of opportunity.
Al tempo stesso si verifica un cambiamento di rotta negli orientamenti dei partiti socialisti
costretti dall'urgenza degli avvenimenti ad affrontare il nodo riforme-rivoluzione. Questo dilemma
sarà sciolto da quasi tutti i partiti socialisti dell'Europa occidentale attraverso una formula
temporanea e compromissoria rappresentata dal "riformismo" il quale concilia la fedeltà al
marxismo e ai suoi dogmi con la ricerca di migliori condizioni per la crescita della classe operaia.
Ciò comporta "sporcarsi le mani", per usare un termine sartriano, collaborando con i partiti borghesi
progressisti per il raggiungimento di questo fine. Con il ‘riformismo’ o con la ‘rivoluzione’, con il
contributo degli ‘esperti’ o con il ruolo primario della ‘masse’, alla base di queste proposte vi era
l’idea, fattasi dottrina sociale, di un ‘progresso’ inarrestabile e inevitabile che avrebbe alla fine
prevalso e garantito a tutti un futuro di prosperità.
Sulla reazione a questa idea di progresso ruota l’Analisi dei Sistemi Mondo (WSA) di
Wallerstein, direttore del ‘Fernand Braudel Center for the study of Economies, Historical Systems,
and Civilizations’: un progetto che aggrega altri studiosi orientati su questi temi (tra i quali
Hopkins, Giovanni Arrighi, Samir Amin, Gunder Frank) provenienti dai nuovi orientamenti
intellettuali critici verso le ‘teorie sviluppiste’ di matrice sia liberale sia marxista. Se a divergere
erano le strategie e le soluzioni che avrebbero portato alla costruzione di un ‘mondo migliore’,
l’obiettivo e la promessa implicita comuni alle teorie sviluppiste consistevano nell’individuazione
di percorsi che, una volta risolta la ‘questione nazionale’ attraverso la decolonizzazione e la
costruzione degli stati-nazione, avrebbero finalmente condotto anche queste realtà a risolvere la
‘questione sociale’ interna e a ‘colmare il divario’ esistente rispetto ai paesi industrializzati.
26
Wallerstein, I. 1983 Il capitalismo storico, Torino, Einaudi p.46
Qual è dunque l’oggetto di’indagine della Analisi dei sistema-mondo? È innanzitutto un
sistema sociale, in sè un ‘mondo’ perché caratterizzato da una autonomia in quanto entità
economico-materiale; in esso esiste una ampia “divisione del lavoro comprensiva di un’eterogeneità
di gruppi sociali discriminabili sia verticalmente (culturalmente, etnicamente, per nazionalità), sia
orizzontalmente (in termini di classi sociali).”27. Questa entità economica e le culture che la
caratterizzano si collocano in uno spazio geografico che non è necessariamente il mondo intero: i
suoi confini sono cioè rilevabili empiricamente dal reticolo dei processi produttivi più o meno
interdipendenti, dalle ‘catene di merci’ che lo percorrono. È, inoltre, un sistema sociale
caratterizzato da una storicità, un ‘divenire’ in cui questi confini e la loro interazione con quelli
definiti da altre dimensioni sociali, (in particolare dalla dimensione politico-legale e da quella
culturale) , sono mutevoli e cambiano nel tempo.
Spazio e tempo in questo caso sono ridefiniti in nuove categorie concettuali. Ripercorrendo
Braudel28, Wallerstein assegna degli spazi a quei tempi (il tempo episodico, il tempo congiunturale,
il tempo strutturale della longue durée) che per lo storico francese segnano la storia e, dunque, il
cambiamento sociale. Emerge così il concetto di ‘spazio-tempo’ attraverso il quale possiamo
percepire un sistema storico reale. Se esistono dei processi ciclici che governano un sistema sociale,
(in quello che per Braudel è il tempo congiunturale, o ciclico, a cui Wallerstein associa uno spazio
‘ideologico’), esiste anche uno ‘spazio-tempo strutturale’ entro cui questo sistema ha origine, si
evolve, e, attraverso lo ‘spazio-tempo trasformazionale’, cessa di esistere o muta radicalmente la
propria natura.
Un punto di svolta, per Wallerstein, è rappresentato dalla rivoluzione francese: l’eredità di
questo evento e il significato che essa assume non è borghese, bensì antiborghese. Infatti, la
borghesia credeva nel profitto e non nell’ideologia liberale: quest’ultima ha rappresentato
piuttosto “lo sbocco strutturale del processo capitalistico, l’imborghesimento finale delle classi più
elevate”29, la piena maturazione dell’era borghese e capitalistica. L’elemento politico che emerge
dalla rivoluzione francese è che essa annunciò il futuro, portando alla luce la forza delle “masse popolari, che per la prima volta sembravano pensare seriamente all’acquisizione del potere statale.”.
Essa “in piccola parte fu un successo, in gran parte un fallimento” , ma le sue parole d’ordine
rappresentano il “fondamento spirituale di tutti i successivi movimenti antisistemici.”. L’autonomia
e l’efficacia di queste lotte, che miravano a modificare e a sovvertire ‘lo stato di cose presenti’, si
dimostrano a partire dal 1848 con la costruzione di movimenti sociali organizzati mai esistiti prima:
“gruppi di persone coinvolte in attività antisistemiche iniziarono a creare nuove istituzioni politiche
[...], organizzazioni stabili con quadri, sedi e specifici obiettivi politici (sia a breve che a lungo
termine).”30
In questo punto risiede la maggiore completezza dell’analisi di Wallerstein rispetto quella di
Macry, sul ruolo dell’aristocrazia operaia riformista nel 1848 – che per Wallerstein, ma anche per
Revelli31 rappresenta, così come il 1968, una rivoluzione mondiale – “dai fallimenti del 1848 i
socialisti impararono che era improbabile che si potessero ottenere risultati soddisfacenti facendo
affidamento o sulle insurrezioni politiche spontanee o sul rifiuto del dialogo.” 32. Se i socialisti ne
derivarono la strategia dei due stadi (prima di tutto ottenere il potere dello Stato e, quindi, usare
questo potere per trasformare la società o per giungere al Socialismo), d’altro canto, i conservatorirestauratori capirono che era pericoloso che rivoluzioni sociali e rivoluzioni nazionaliste –pur
27
I. Wallerstein, Il capitalismo storico. Economia, politica e cultura di un sistema-mondo (trad. di Carmine Donzelli),
Torino, 1985, Appendice “Il concetto di spazio economico”, p. 98.
28
Fernand Braudel, 1902-1985. Figura centrale della scuola delle ‘Annales’, autore di ‘Civiltà e imperi del
mediterraneo nell’età di Filippo II’ e di ‘Civiltà materiale, economia e capitalismo’, ha trasformato il modo di concepire
e scrivere la storia, utilizzando gli apporti delle scienze sociali, in contrasto con una storia ‘politico-diplomatica’.
29
Wallerstein, Il sistema mondiale, vol. 3, p. 52.
30
Arrighi, Antisystemic movements, p. 31.
31
Revelli, Movimenti sociali e spazio politico in Storia dell’Italia repubblicana vol 2 tomo II, pp.392-398
32
Wallerstein, dopo il liberalismo p.100
diverse tra loro- si sovrapponessero: capirono la necessità, per una maggiore stabilità, di costruire
società nazionali più integrate.
In buona sostanza, in seguito alla rivoluzione francese, nei paesi del centro dell’economiamondo iniziano a delinearsi tre grandi ideologie: il conservatorismo, il liberalismo e il socialismo;
se nessuna di queste correnti di pensiero si è mai cristallizzata in una versione definitiva,
rappresentando piuttosto delle linee di tendenza, l’unità vera di ogni gruppo ideologico era da
ricercare solo in ciò contro cui esse lottavano.
La prima ideologia ad emergere, quale reazione alla pericolosità delle nuove verità della
‘liberazione’, è stata quella conservatrice: in un primo momento essa ha negato la realtà e la
portata innovatrice dei fatti francesi basandosi sull’idea che legittimare il cambiamento poteva avere
solo conseguenze sociali nefaste. Dal rifiuto totale, si è giunti successivamente a quella posizione
che oggi riconosciamo come conservatorismo: “il cambiamento ‘normale’ doveva realizzarsi il più
lentamente possibile e doveva essere incoraggiato solo a condizione che, dopo attenta analisi, lo si
fosse giudicato una misura necessaria a pre-venire un maggiore sovvertimento dell’ordine
sociale.”33 Per i conservatori, contrari all’avvento della modernità e difensori della ‘tradizione’,
l’idea centrale è sempre stata quella di preservare i valori tradizionali poiché essi incarnano la
saggezza.
Il liberalismo nasce in opposizione alle idee conservatrici, costituendosi quale “ideologia
naturale della normalità del cambiamento” . La liberazione dalla ‘irrazionalità’ del passato da un
lato, e il ‘progresso’ ritenuto inevitabile, dall’altro, andavano perseguiti con l’intervento dell’uomo,
attraverso una “politica di cosciente, costante e intelligente riformismo” . Il liberalismo si collocò
così sempre al centro della scena politica proclamando la propria universalità e cercando di
diffondere le proprie idee e di imporre la propria logica a tutte le istituzioni sociali.
Infine, in contrasto con l’ideologia liberale, il socialismo si definisce a partire dal 1848
accettando la premessa fondamentale dell’ideologia liberale, la “inarrestabilità del cambiamento (o
progresso)”, ma aggiungendovi due specificazioni cruciali sufficienti a dar vita ad un programma
politico del tutto diverso: “il progresso era considerato come qualcosa che si realizzava non in modo
continuo ma discontinuo, vale a dire con la rivoluzione” e con un programma politico capace di
accelerare il corso della storia attraverso la mobilitazione popolare. Inoltre il capitalismo e la
‘società borghese’ rappresentavano non l’ultimo ma il penultimo stadio “nell’ascesa verso la società
giusta o perfetta”.
Questi tre raggruppamenti hanno costituito “lo spettro ideologico trimodale”
dell’economia-mondo capitalistica, la sinistra, il centro e la destra, entro cui le forze politiche (e la
mentalità della gente) si sono schierate nella lotta politica e la cui attenzione si è concentrata
piuttosto sull’‘oggetto’ delle loro strategie, lo stato, che rappresentava il luogo dove la sovranità
popolare andava esercitata. In questo modo, il concetto di popolo è venuto definendosi quale
riflesso della difesa degli interessi della società contro lo Stato, proclamata e teoricamente
perseguita da tutte e tre le correnti ideologiche.
In altre parole, per portare avanti i propri programmi politici “tutte e tre le ideologie rilevarono di
non poter fare a meno dei servizi dello Stato” , determinando così il successo della strategia liberale
che “fu messa in atto grazie all’impegno congiunto di conservatori e socialisti.”
I terreni principali su cui questa convergenza si è prodotta sono stati quelli della costruzione dello
spirito nazionale, del progressivo allargamento del suffragio, dell’avvio della costruzione dello stato
sociale. Il terreno su cui il Liberalismo prevarrà a lungo sulle altre culture.
Ma se, con le parole di Wallerstein, ‘la cultura è il sistema-mondo’, il percorso secolare di ascesa
dell’economia-mondo europea e la sua espansione in tutto il globo hanno significato anche la
costruzione e l’ affermazione di una particolare e consona ‘visione del mondo’, capace di garantire
il prevalere, su altri e diversi obiettivi, dell’accumulazione di capitale.
33
ibidem p.71
In altri termini, le dinamiche del capitalismo storico hanno prodotto e progressivamente imposto
una ‘geocultura’ che è culminata, nei secoli XIX e XX, nella dottrina globale del liberalismo.
L’evidenza che “la maggioranza dei quadri del sistema continua ad accettare attivamente questi
valori, e la maggioranza della gente comune non converte in azione il proprio scetticismo” significa
oggi che questa “geocultura esiste e che i suoi valori prevalgono.”34
Poiché ogni U.D. non dovrebbe terminare in una conclusione ma con dei problebi che aprano nuovi
percorsi, può essere interessante richiedere agli studenti, a mò di resoconto-ricerca, uno studio
comparativo dei termini emersi nelle tre sezioni di questa U.D.2: geocultura, falsa coscienza,
coscienza di classe.
Al di là di ciò, il contributo che questa “proposta di lezione” vorrebbe lasciare agli studenti,
invitandoli ad interessarsi alla definizione della questione democratica del presente, risiede tutto
nell’atteggiamento che sembra caratterizzare uno storico come Wallerstein. L’attenzione e la
sensibilità verso i movimenti, i popoli e le culture, sono alla base della sua attività intellettuale. Da
un lato il suo invito è quello di pensare al ‘futuro che vogliamo’, rivisitando concetti quali sviluppo,
progresso, dominio sulla natura, in nome di una razionalità non ‘oggettiva’ ma sostenibile.
Dall’altro egli ci invita anche a ripensare concetti come democrazia, libertà e uguaglianza, i quali, in
un mondo sempre più a ‘modello unico’, tendono oggi a mascherare i privilegi di una minoranza
della popolazione mondiale.
34
Wallerstein, Dopo il liberalismo, p. 151.
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