Il vocabolario biblico della povertà
I poveri nella Bibbia, diversamente dalla storia profana, occupano un posto di grande
rilievo. La nascita di Israele (Dt 8,3; Es 16) è segnata profondamente dalla povertà più
estrema, dalle privazioni e dagli stenti, così come i protagonisti del segmento
neotestamentario della storia della salvezza sono dei poveri: Gesù, sua madre e i suoi
seguaci. L’importanza del tema è suggerito anche dal ricco e diversificato lessico
adoperato dal testo sacro; spicca il termine anaw nell’AT, mentre si ricorre con più
frequenza, nel NT, alle radici ptòch-tapein.
A grandi linee si possono individuare alcuni filoni che innervano la riflessione sulla
povertà.
Il primo di essi riguarda la “benedizione-maledizione”. Lo stato d’indigenza viene
considerato come necessità e condizione per gustare la futura abbondanza della terra
promessa (Dt 8,14-18; 8,7-10). L’eliminazione della penuria di beni diventa la
concretizzazione della promessa e della benedizione di Dio (Dt 6,14-19; 28,1-6; 9,5s),
legata all’osservanza dei precetti del Signore (Dt 6,18). Anche i libri sapienziali esaltano la
ricchezza come frutto della benevolenza divina riservata ai giusti (Pr 3,16; 15,6; 19,23; Gb
5,24; 42,10ss). Al contrario la povertà è considerata conseguenza del castigo divino per i
peccati del popolo (Dt 28,15-46), esito fatale della sregolatezza e del vizio (Pr 6,6-11;
10,4): “l’incuria porta all’indigenza e alla miseria, perchè l’ignavia è madre della fame”
(Tb 4,13).
In secondo luogo il testo sacro sviluppa il legame “povertà-ingiustizia”.
Dopo l’ingresso nella Palestina si verificò una forte disparità di beni e ricchezze. Per
ovviare alle ingiustizie si creò l’istituzione del giubileo e dell’anno sabbatico (Es 21,1s; Lv
25; Dt 15,1-11), l’attenzione agli umili e agli indifesi (Es 23,6-9). Grandi figure
carismatiche espressero a gran voce la loro indignazione: Natan denunciò la prepotenza di
Davide (2Sam 12,1-12), Elia sfidò Acab per la vigna di Nabot (1Re 21,1ss). Tutti i profeti
si ersero, animati dallo Spirito, a baluardo contro lo scandalo della prevaricazione sociale
dei potenti. Tra di essi spiccano Amos (Am 2; 3 e 6),che profetizza il castigo divino verso i
ricchi proprietari d’Israele, le invettive di Osea (Os 12,8), di Isaia (Is 1,10-16) e Geremia
(Ger 7,1-11). L’apporto di queste figure generò una legislazione a difesa dei poveri (Dt
24). Gesù percorre lo stesso filone minacciando severamente i ricchi (Lc 6,24; Mc
10,23ss), seguito in questo dalle prime comunità cristiane (Gc 5,1-5).
La Bibbia non solo condanna le ingiustizie, ma inculca anche il dovere di soccorrere i
poveri per alleviarne la miseria: è il tema della “solidarietà” che si dispiega sia nell’AT che
nel NT.
Nel Pentateuco si invita a proibire l’interesse ai prestiti verso gli indigenti (Es 22,24ss), a
lasciare le spighe e i racimoli di vite ai miseri (Lv 19,9s), ad amare i forestieri (Lv
19,33ss), ad offrire ogni tre anni le decime dei raccolti ai bisognosi (Dt 26,12s). La
predicazione degli inviati da Dio non poteva omettere l’aiuto ai poveri (Is 1,17; Ger 22,3;
Is 58,6ss). L’AT ci offre esempi sublimi di carità (Ger 22,16; Gb 31,16-22; Tb 1,8) e i
saggi del popolo ebraico esortano a soccorrere i miseri (Pr 14,31).
Anche nel NT si annoverano indicazioni in questo senso: si esige l’elemosina (Mt 6,2ss), si
prospetta il giudizio finale misurato sulla carità (Mt 25, 34ss), si indica la perfezione come
distacco dai beni (Mt 10,21) mentre si condanna la ricchezza incapace di aprirsi ai
miserabili (Lc 16,19ss). Negli scritti di Luca sono offerti modelli di amore concreto verso i
disgraziati (Lc 10,30ss; 19,8; 3,11), che trovano risonanza nel comportamento delle prime
comunità cristiane (At 6,1ss; 9,36-39; 10,1ss;20,35).
La Bibbia insegna che Dio è attento al grido del povero, Dio “prende la parte” degli
indifesi, rende giustizia all’orfano e alla vedova. Alla luce della speciale protezione che
Dio accorda ai miseri, in Israele si è formata un’autentica spiritualità dei poveri; i salmi ne
sono la prova e la documentazione eloquente. In questa raccolta di preghiere i poveri sono
i pii, gli innocenti e i miti, contrapposti agli empi, ai malvagi e agli orgogliosi che
opprimono il prossimo e disprezzano il Signore. Proprio in questo contesto nasce la ricerca
della povertà come atteggiamento spirituale, come consapevolezza di riporre la propria
fiducia solo in Dio, come rapporto speciale con Lui: questo movimento trova l’espressione
suprema nella figura del Messia. Il Messia, prefigurato anche in altri modi, viene compreso
dalla corrente spirituale dei “poveri di Jhwh” come un mite, un mansueto (Sal 22), un
Servo sofferente (Is 53,4), vindice degli umili (Sal 72,4).
Gesù realizza in pieno tali aspettative (Lc 4,16-21), è modello della povertà assoluta e
radicale (Lc 2,4-7; Mt 8,20): non solo pratica il distacco dai beni terreni, ma vive
nell’atteggiamento del “povero di Jhwh”, abbandonandosi completamente all’amore del
Padre (Fil 2,5ss). Tra le esigenze del regno da Lui inaugurato figura la povertà. Gesù
proclama beati i poveri in senso sociale (la versione di Luca in Lc 6,20ss) e in senso
spirituale (la versione di Matteo in Mt 5,3-6), ma per tutti i vangeli c’è un legame speciale
tra il Regno di Dio e la povertà.
Gesù chiede ai suoi discepoli l’abbandono delle ricchezze (Mt 4,20ss; Mt 8,18s; Mc 10,21;
6,8s) e la prima comunità ha vissuto alla lettera questa indicazione (At 2,44s). Il mistero di
Cristo, nelle lettere di Paolo, è presentato come una scelta di “abbassamento” radicale,
d’impotenza e umiliazione suprema: è il mistero pasquale di annientamento e
glorificazione (2Cor 8,9). La sequela di Cristo consiste nel camminare dietro a Lui
portando la propria croce. Il Signore, che abbassa i superbi e i ricchi, esalta i poveri e gli
umili (Lc 1,52), come ha fatto con Maria (Lc 1,48) e con il Figlio suo (Fil 2,5ss).