Che cosa è l`Alzheimer? La malattia di Alzheimer è una sindrome a

Che cosa è l’Alzheimer?
La malattia di Alzheimer è una sindrome a decorso cronico e progressivo che colpisce circa il 5% della
popolazione al di sopra dei 65 anni. Rappresenta la causa più comune di demenza nella popolazione anziana
dei paesi occidentali. Il rischio di contrarre la malattia aumenta con l'età: si stima che circa il 20% della
popolazione ultra ottantacinquenne ne sia affetta. Non si tratta tuttavia di una malattia che colpisce i soli
anziani, esistono infatti casi sporadici di persone che possono presentare un esordio precoce della malattia
prima della quinta decade di vita.
Questa malattia prende il nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer (1864-1915) che nel 1907 ne
descrisse per primo le caratteristiche. Il tessuto cerebrale dei soggetti da lui osservati presentava riduzione
della cellule nervose e placche senili visibili anche a occhio nudo. Successivamente, con l'utilizzo di
procedure di osservazione microscopica con colorazioni chimiche, evidenziò su porzioni predefinite di
cervello la presenza di ammassi proteici non degradabili e solubili che compromettono la funzionalità
cerebrale. La malattia evolve quindi attraverso un processo degenerativo che distrugge lentamente e
progressivamente le cellule del cervello e provoca un deterioramento irreversibile di tutte le funzioni
cognitive superiori, come la memoria, il ragionamento e il linguaggio, fino a compromettere l'autonomia
funzionale e la capacità di compiere le normali attività quotidiane. L'inizio è generalmente insidioso e
graduale e il decorso lento, con una durata media di 8-10 anni dalla comparsa dei sintomi.
Le cause
Non sono ancora noti i meccanismi che causano la malattia di Alzheimer. Solo l'1% dei casi è
attribuibile a un gene alterato che ne determina la trasmissione da una generazione all'altra.
Ad oggi sono note alterazioni di tre diversi geni che possono portate alla malattia di Alzheimer.
Esistono inoltre alcuni fattori di rischio, fattori cioè che determinano una generica
predisposizione allo sviluppo della malattia, leggermente superiore a quella manifestata da
soggetti che non presentano tali fattori.
Generalmente, le forme ereditarie hanno un'alta penetranza, cioè molte persone di una
famiglia (3 o più) sono colpite dalla malattia. Inoltre, la maggior parte delle forme ereditarie
esordiscono in età relativamente giovanile (prima dei 65-70 anni) e l'età di esordio dei primi
disturbi è relativamente stabile all'interno della stessa famiglia. Maggiore è il numero di
persone affette nella stessa famiglia e maggiore è la probabilità che la malattia abbia una
causa ereditaria, così come più l'età all'esordio è giovanile e maggiore è la probabilità.
Esistono inoltre fattori ambientali che possono giocare un ruolo importante, come ad esempio,
traumi o esposizione a sostanze tossiche (alluminio, idrocarburi aromatici). Il fattore di rischio
più rilevante è l'età: come ampiamente dimostrato da numerosi studi, l'incidenza e la
prevalenza di questa malattia aumenta marcatamente con l'età.
Un alto grado di istruzione e un'occupazione che richieda un elevato livello di attività cognitiva
sembra avere un effetto protettivo sull'insorgenza della demenza, in quanto aumenta
l'efficienza dei circuiti neuronali e la cosiddetta brain reserve, ossia la capacità del cervello di
attivare al bisogno circuiti neuronali alternativi. Va però sottolineato che anche persone che
non abbiano un livello culturale o occupazionale elevato hanno le medesime possibilità di
proteggere la propria efficienza intellettiva mantenendosi mentalmente attivi attraverso attività
che tengano il cervello in esercizio e stimolino le capacità cognitive superiori.
Per l'insorgenza di demenze diverse da quella di Alzheimer, come la demenza vascolare, è
determinante la presenza di fattori di rischio vascolare, quali il fumo, l'ipercolesterolemia,
l'ipertensione, l'obesità e la presenza di patologie concomitanti importanti come il diabete
mellito e le cardiopatie.
I segni clinici
I segni clinici, a differenza dei sintomi che sono riferiti dal familiare o dal paziente, riguardano tutti quegli
elementi che vengono rilevati dal medico mediante la visita clinica.
Di seguito sono riportati i criteri clinici (NINCDS-ADRDA) per la diagnosi di malattia di Alzheimer (McKhann
G. et al, Neurology 1984;34:939-44).
Malattia di Alzheimer (AD:Alzheimer Desease) probabile:
-Demenza stabilita dall'esame clinico e documentata da MMSE, dalla Blessed -Dementia Scale o da esami
simili, e con la conferma di test neuropsicologici
-Deficit di 2 o più aree cognitive
-Peggioramento progressivo della memoria e di altre funzioni cognitive
-Assenza di disturbi di coscienza
-Esordio tra i 40 e i 90 anni, più spesso dopo i 65
-Assenza di patologie sistemiche o di altre malattie cerebrali responsabili di deficit cognitivi e amnesici di
tipo progressivo.
La diagnosi di Mala ttia di Alzheimer probabile è supportata da:
-Deterioramento progressivo di funzioni cognitive specifiche quali il linguaggio (afasia), la gestualità
(aprassia), la percezione (agnosia)
-Compromissione delle attività quotidiane ed alterate caratteristiche di -comportamento.
-Familiarità positiva per analoghi disturbi, soprattutto se confermati neuropatologicamente.
-Conferme strumentali di: normalità dei reperti liquorali standard, EEG normale o aspecifico, come aumento
dell'attività lenta, atrofia cerebrale alla TAC con -Progressione documentata dopo ripetute osservazioni.
Altre caratteristiche cliniche compatibili con la diagnosi di AD probabile, dopo aver escluso cause alternative
di demenza:
-Plateau nella progressione della malattia
-Sintomi associati quali depressione. insonnia, disturbi di personalità, incontinenza sfinterica, reazioni
verbali emotive o fisiche di tipo catastrofico. -Disturbi sessuali, calo ponderale.
-Altre anomalie neurologiche. soprattutto nei casi con malattia in fase avanzata, comprendenti segni motori
quali ipertono, mioclonie, disturbi della marcia.
-Crisi epilettiche in fase avanzata di malattia.
-TAC normale per l' età.
Caratteristiche che rendono la diagnosi di AD probabile incerta:
-Esordio acuto
-Presenza di segni neurologici focali nelle fasi precoci di malattia
-Disturbi della marcia all'esordio o in fase iniziale.
Malattia di Alzheimer possibile:
- Sindrome demenziale in assenza di disturbi neurologici, psichiatrici o sistemici in grado di causare
demenza e in presenza di variazioni nell'esordio, nella presentazione o nel decorso clinico.
-Presenza di una patologia neurologica o sistemica concomitante sufficiente a produrre demenza, ma non
considerata la vera causa della demenza. (coesistono altre patologie oltre la dementigena)
-Dovrebbe essere utilizzata nella ricerca quando un deficit cognitivo isolato, progressivo e grave, sia
evidenziabile in assenza di altre cause identificabili.
Malattia di Alzheimer certa:
- Presenza dei criteri clinici per la diagnosi di AD probabile ed evidenza neuropatologica autoptica.
I primi sintomi
Le caratteristiche cliniche della malattia possono variare notevolmente da soggetto a soggetto, tuttavia il più
precoce ed evidente sintomo è in genere una perdita significativa della memoria che si manifesta all’inizio
soprattutto con difficoltà nel ricordare eventi recenti e successivamente si aggrava con lacune in ambiti sempre
più estesi. Oggi sappiamo che la perdita di memoria a livello neuroanatomico si accompagna alla perdita di
tessuto in particolari aree del cervello, come l'ippocampo, cruciali per la funzione mnemonica. Spesso, a questo
primo sintomo, si associano altri disturbi quali: difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane, con conseguente
perdita dell’autonomia; disturbi del linguaggio con perdita della corretta espressione verbale dei pensieri,
denominazione degli oggetti oppure impoverimento del linguaggio e ricorso a frasi stereotipate. Altre volte il
sintomo che si associa al disturbo di memoria può essere rappresentato anche dal disorientamento spaziale,
temporale e topografico.
Frequenti sono anche alterazioni della personalità: più precisamente l’anziano appare meno interessato ai propri
hobby o al proprio lavoro, oppure ripetitivo. La capacità di giudizio è diminuita spesso precocemente, cosicché il
paziente manifesta un ridotto rendimento lavorativo e può essere incapace di affrontare e risolvere problemi
anche semplici relativi ai rapporti interpersonali o familiari. Talvolta l’inizio della malattia è contrassegnato dalla
sospettosità nei confronti di altre persone, accusate di sottrarre oggetti o cose che il malato non sa trovare. Nella
grande maggioranza dei casi, solo a distanza di 1-2 anni dall’esordio della malattia il disturbo della memoria è
tale che i familiari ricorrono all’aiuto di uno specialista perché i sintomi iniziali dell’Alzheimer sono spesso attribuiti
all’invecchiamento, allo stress oppure a depressione.
Quando rivolgersi al medico
E’ esperienza comune, durante le prime fasi della malattia, notare nel nostro caro, alcuni comportamenti che
giudichiamo “non normali” , comportamenti che non ha mai mostrato prima e che ora rendono difficile lo
svolgimento di compiti quotidiani. Per esempio possiamo notare che il malato dimentica sovente i suoi
appuntamenti, non ricorda il posto in cui poco prima ha messo degli oggetti, dimentica parole comuni e ha
difficoltà nel concentrarsi e nel sostenere un dialogo. Non solo, spesso possiamo osservare un evidente
cambiamento della personalità per cui il soggetto è più confuso, impaurito, apatico, cambia improvvisamente
l’umore anche se non vi sono particolari eventi che scatenano questo comportamento.
Di fronte a questi segni la tendenza è quella di minimizzare l’importanza del problema attribuendolo alle
conseguenze naturali legate all’età, tuttavia, è meno facile che passino inosservati i problemi di memoria
presentati dai più giovani malati di Alzheimer, particolarmente se svolgono un lavoro che richieda l'uso della
memoria. E’ comunque consigliabile rivolgersi al proprio medico di base che valuterà la necessità di
un'ulteriore indagine medica. Una diagnosi precoce della malattia è di fondamentale importanza, benché non
sia attualmente ancora curabile, al fine di poter avviare precocemente un opportuno piano d'intervento
farmacologico e non farmacologico atto a mantenere il più a lungo possibile l'indipendenza, ridurre la disabilità
dell'individuo e consentirgli un buon livello di qualità della vita anche nelle fasi avanzate della
malattia.
Gli stadi della malattia
La suddivisione del decorso della malattia in fasi ha lo scopo unicamente di orientare chi si occupa del
malato sulle caratteristiche evolutive delle malattia al fine di consentirgli un'adeguata pianificazione
dell'assistenza e una maggior consapevolezza di quanto potrà accadere e come affrontarlo. Il decorso della
malattia varia infatti da persona a persona. Possiamo comunque individuare 3 principali fasi di malattia.
1. Demenza lieve (durata media 2-4 anni):
è caratterizzata da disturbi di memoria, come dimenticare i nomi e i numeri di telefono, ma, data la natura
non grave di questi segni, possono passare inosservati o essere giustificati come conseguenze naturali
dell'età. La perdita progressiva della memoria, soprattutto quella recente, può interferire con il normale
svolgimento degli impegni quotidiani. Il soggetto ha difficoltà ad orientarsi nello spazio e nel tempo, per
esempio può avere problemi a ritrovare la strada di casa. Anche il linguaggio comincia ad essere
compromesso: compaiono difficoltà a produrre frasi adeguate a supportare il pensiero, vengono utilizzate
pause frequenti per incapacità a "trovare la parola giusta". L’umore diviene più depresso a seguito della
consapevolezza della propria progressiva disabilità, oppure la reazione può essere caratterizzata da
manifestazioni aggressive e ansiose.
2. Demenza moderata (durata media 2-10 anni):
è la fase temporalmente più duratura in genere, ed è caratterizzata da un aggravamento dei sintomi
presentati nella fase precedente. Le dimenticanze sono sempre più significative; aumenta l’incapacità di
ricordare i nomi dei famigliari con la possibilità di confonderli, cosi come aumenta il disorientamento
topografico, spaziale e temporale. In questo stadio la necessità di supervisione e assistenza nelle attività
quotidiane si fa più urgente, il paziente tende a trascurare il proprio aspetto, la propria dieta e le attività
quotidiane; le turbe dell'umore e del comportamento divengono più rilevanti.
3. Demenza grave (durata media 3 anni):
è la fase terminale della malattia durante la quale la persona malata è completamente dipendente e
richiede assistenza continua e totale per mantenersi in vita. E' caratterizzata da una perdita totale della
capacità di parlare e capire, può però essere mantenuta fino a questa fase la capacità di esprimere
emozioni attraverso il viso. Il soggetto diviene totalmente incapace di riconoscere i propri famigliari, di
compiere gli atti quotidiani della vita come vestirsi, mangiare, lavarsi, riconoscere i propri oggetti personali
e la propria casa. Il movimento è ormai totalmente compromesso fino all'allettamento, non vi è più alcun
controllo sfinterico.
I problemi più frequenti
La malattia colpisce la memoria e le funzioni mentali: si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma
può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento
spazio-temporale. Di seguito sono descritti i problemi più frequenti che si incontrano nel decorso della
malattia.
Disturbi del linguaggio: con l'aggravarsi della malattia il linguaggio si impoverisce e la capacità di
intrattenere attivamente una conversazione viene meno, soprattutto per la difficoltà a tenere a mente ciò
che è stato detto e comprendere il senso anche di semplici frasi. Nelle fasi avanzate della malattia
acquistano rilievo ed importanza soprattutto le modalità non verbali di comunicazione: lo sguardo, il
contatto fisico, il tono di voce.
I sintomi autoriferiti: il paziente che inizia a prendere coscienza della riduzione delle sua capacità di
memoria e di quanto ciò influisca sulla sua normale efficienza nel gestirsi la vita, può avere reazioni
emotive diverse. Una delle più tipiche è imputare le sue incapacità a una serie di sintomi più o meno
costanti e omogenei nel tempo. L'uomo abituato a gestire le proprie finanze con efficienza e puntualità, di
fronte alle sue mancanze dirà, ad esempio, che è tutta colpa di quel fastidioso mal di testa che da un po' di
tempo lo tormenta e gli impedisce di concentrarsi. Il mal di testa si potrà in altri momenti trasformare in
vertigini, difficoltà a prender sonno, preoccupazioni ricorrenti o in altri veri e propri sintomi somatici. Si
tratta di veri e propri sintomi da conversione somatica, sintomi cioè attraverso i quali il paziente traduce il
proprio disagio psicologico alla presa di coscienza dei suoi attuali problemi a gestirsi autonomamente la
vita.
Deliri: uno degli eventi più comuni ai pazienti che sono nelle fasi iniziali della demenza è dimenticare dove
sono state messe le cose e non riuscire a trovarle al momento del bisogno. Di solito la reazione più tipica a
questo evento è dire che sono state loro rubate. In termini tecnici questo comportamento è chiamato
“delirio di latrocinio” e non è altro che un modo di negare a se stessi e agli altri la propria incapacità di
ricordare. Sono deliri ben strutturati dove il paziente crede veramente di essere stato derubato, ma si tratta
di una manovra difensiva estrema per contrastare il disagio derivato dalla presa di coscienza dei propri
deficit. I deliri possono assumere anche forme diverse, ad esempio si possono strutturare in deliri di
gelosia, che si manifestano con un'attenzione morbosa nei confronti delle persone care, in particolare della
moglie o del marito, sui quali vengono proiettati i propri cambiamenti d'abitudine o di carattere. Quindi,
quando, ad esempio, sarà troppo difficile per il paziente ammettere di essere diventato irascibile,
impaziente, più difficile da sopportare a causa della malattia incombente, verrà facilmente da lui incolpato il
famigliare e tacciato di essere cambiato nel carattere, di essere meno paziente e amorevole. Un altro delirio
piuttosto frequente è il delirio di megalomania, il paziente sente di non essere più pienamente padrone di se
stesso e della propria vita, quindi può prendere decisioni avventate come spendere smodatamente i propri
risparmi, regalare o devolvere cifre ingenti di denaro, magari in proporzione assai superiore alle proprie
possibilità. Oppure, può arrivare a vendere o acquistare immobili, rischiando di sperperare in poco tempo i
risparmi di una vita o di cadere preda di approfittatori o disonesti. La negazione: una delle modalità più
tipiche adottate nei confronti della condizione di malattia dai pazienti che iniziano a soffrire di demenza è la
negazione dei loro deficit. Si tratta, anche in questo caso, di un meccanismo di difesa estremo che intende
salvaguardare l'integrità dell'individuo negando completamente la realtà di malattia. Il paziente , attraverso
la negazione, tutela la propria identità e integrità personale autoconvincendosi di star bene e proiettando
sugli altri i propri problemi, dicendosi e dicendo agli altri "non ho niente, sono solo stanco e un po' distratto,
siete voi i malati".
Attaccamento patologico: il senso di insicurezza che si accompagna all'aggressione della malattia può
portare il paziente alla sensazione di una totale incapacità a gestire la propria vita e questo può indurlo a
una totale dipendenza dai famigliari, anche per le cose più semplici che ha sempre fatto e che ancora
saprebbe fare autonomamente. Ad esempio, il malato può sentire il bisogno di essere accompagnato
ovunque e non tollerare che il famigliare si allontani senza di lui neanche per poco. Quindi lo assillerà
continuamente con domande insistenti su dove debba andare e perché, facendogli vere e proprie scenate
per ritardi inesistenti o insignificanti. Questo aumenta ancora di più, come in un circolo vizioso, la disabilità
e la dipendenza ed è estremamente controproducente in quanto aggrava e accelera i processi di
regressione tipici della malattia. Inoltre, questo atteggiamento rende estremamente pesante la quotidianità
dei famigliari che si sentono seguiti in ogni momento e non hanno più un attimo per se stessi.
Problemi gestionali: anche se la persona malata ha la necessità di essere accudita attraverso un’assistenza
esterna, molto spesso oppone forte resistenza ad accettare che degli estranei invadano il suo spazio fisico
gestito da anni in modo indipendente. Questo può essere anche la conseguenza di una tendenza alla
sospettosità e all’aggressività che accompagnano la malattia.
Come comportarsi con il malato
1. Riprogrammare la vita: le persone affette da demenza necessitano di aiuto e assistenza da parte di chi si
prende cura di loro in modo progressivamente più intenso, a causa dell'evoluzione della malattia. I
famigliari di queste persone devono quindi pianificare le modalità assistenziali più adeguate secondo le
diverse fasi della malattia, senza dimenticare che c'è sempre la possibilità e il dovere di permettere, anche
al malato più grave, il mantenimento di una vita dignitosa. Un sentimento diffuso nei famigliari è spesso un
forte senso di impotenza e una difficoltà a riorganizzare i propri impegni in base alle necessità spesso
gravose del proprio assistito. È necessario quindi mantenere un rapporto continuativo con il medico di
fiducia o la struttura clinica d'appoggio, in modo da potersi confrontare con personale esperto e qualificato
sulle decisioni da prendersi rispetto alla gestione dei problemi essistenziali. Non solo, questo collegamento è
importante anche per ottenere appoggio e un conforto nei momenti di frustrazione cosi da mantenere una
prospettiva costruttiva nell'affrontare le difficoltà quotidiane, che si può ottenere solo vincendo il senso di
impotenza, il disfattismo e la tentazione di rifugiarsi in false speranze e facendo appello alle proprie energie
umane e morali.
2. Parlare al malato. Dalla parola alla carezza: è necessario che il famigliare si renda conto che il proprio
caro affetto da demenza non è più in grado di recepire e decodificare correttamente quanto gli viene detto.
E' importante dunque adattare continuamente, con elasticità e sensibilità, le proprie modalità comunicative
in rapporto alle capacità di comprensione del malato. Si deve soprattutto tener presente che per il malato è
molto frustrante e addirittura controproducente pretendere da lui prestazioni che non è più in grado di dare.
Sottolineare ciò che la persona era in grado di fare ma che ora non riesce più a portare a termine, oppure
imputare il fallimento a mancanza di volontà o di impegno provoca inutile sofferenza e acuisce la
depressione e il disorientamento.
3. L’ereditarietà: uno dei quesiti più ricorrenti nei famigliari delle persone affette da demenza è se ci sia il
rischio di contrarre la malattia anche per loro o se ci siano esami genetici atti a evidenziare questo rischio.
Oggi sappiamo che le forme di Alzheimer ereditario rappresentano meno dell'1%. Del rimanente 99%, solo
il 25% è imputabile a una predisposizione famigliare, peraltro non completamente identificata, ma
verosimilmente analoga a quella che può esserci per altre patologie, quali l'ipertensione arteriosa e il
diabete. Esiste cioè una maggior vulnerabilità famigliare allo sviluppo di queste patologie. Per quanto
riguarda gli esami effettuabili per l'Alzheimer veramente ereditario (1% circa, ricordiamo) sono state
identificate alterazioni specifiche su tre geni. Queste forme ereditarie di Alzheimer di solito esordiscono in
giovane età (40-50 anni) ed hanno una chiara distribuzione famigliare (tre o più membri consanguinei della
famiglia sono colpiti). In questi casi specifici trova giustificazione l'approfondimento.
4. Come affrontare i disturbi comportamentali: è possibile che la persona affetta da demenza, a fianco della
progressiva perdita di autonomia e delle proprie facoltà mentali superiori, mostri dei disturbi
comportamentali quali ansia, agitazione, aggressività e, in alcuni casi, specialmente in alcune forme di
demenza quali la demenza frontotemporale o la demenza a corpi di Lewy, disinibizione o manifestazioni di
tipo psicotico come deliri, allucinazioni o comportamenti auto od eterolesionisti. Le persone che si prendono
cura dei pazienti dementi devono quindi fare i conti anche con la possibile gestione di queste
manifestazioni, spesso molto difficili da affrontare. E' importante innanzitutto sottolineare che ogni iniziativa
farmacologica deve essere sempre presa sotto stretto controllo del proprio specialista di fiducia, che sarà in
grado di consigliare la miglior terapia per i disturbi specifici del paziente e dare gli opportuni suggerimenti
per affrontare i problemi di gestione. Infatti, anche se oggi esistono validi preparati farmacologici che
possono controllare i disturbi più gravi, ad essi vanno sempre affiancati i comportamenti adeguati da parte
dei famigliari. Esistono alcune regole comportamentali che è bene conoscere e che possono aiutare
nell'affrontare i disturbi comportamentali. Ad esempio, quale deve essere l'atteggiamento del famigliare di
fronte ai sintomi autoriferiti, ai deliri, alla negazione, all’attaccamento patologico e ai problemi gestionali?
Proviamo a rifletterci insieme:
- Sintomi autoriferiti. Alle tipiche giustificazioni del malato alle sue numerose incapacità, la reazione più
sbagliata è certamente contrariare il paziente dicendogli che si sta inventando tutto per far perdere tempo o
fare altre affermazioni che sviliscano il paziente e lo frustrino. Questi sintomi, anche se il paziente non ne è
pienamente consapevole rappresentano un meccanismo di difesa alla propria disabilità.
- Deliri. Di fronte ad un tipico delirio è innanzi tutto importante acquisire la capacità di leggere questo
disturbo come una modalità difensiva del malato, che, come tale, non va contrastata, avversata, negata o
ridicolizzata, ma colta nel suo significato comunicativo. Il paziente va rassicurato, in merito ai suoi dubbi e
alle sue preoccupazioni, in modo che senta che non è solo e le sue incapacità non rappresentano una
minaccia finché c'è qualcuno su cui può contare.
Nei casi in cui il paziente è spinto a sperperare il denaro in quanto preda di un delirio di megalomania,è
bene persuadere il paziente a consigliarsi con il famigliare sull'amministrazione delle proprie finanze, si
tratta del primo passo verso una delega, che, nella maggior parte dei casi diviene, in breve, e
necessariamente completa in modo del tutto naturale, ma è proprio questa prima fase del "passaggio delle
consegne" che deve essere curata in modo particolare onde non far sentire il paziente un incapace. Si può
ad esempio farlo riflettere su quanto sia più comodo avere la pensione direttamente accreditata sul conto
corrente, piuttosto che doversi recare personalmente all'ufficio postale, con tutti i disagi che può
comportare doversi muovere a una certa età, facendo code e rischiando di essere derubati oppure avere
qualcuno che si occupa delle scadenze in modo che il paziente debba solo controllare e conservare le
bollette o i conti.
- La negazione. Quando il paziente usa come modalità difensiva la negazione dei suoi deficit, il famigliare
può sentirsi eccessivo nelle sue preoccupazioni, ma ciò che può trarre in inganno è proprio il fidarsi della
capacità di giudizio del paziente. E' bene quindi che il famigliare si affidi al proprio giudizio personale nel
valutare le capacità e l'evoluzione dei problemi del paziente così come l'opportunità di farlo valutare da
personale specializzato. Ci si può stupire di quanto possa essere accanito un paziente nel negare i propri
sintomi, benché si trovi ancora in una fase di malattia in cui si suppone che la consapevolezza riguardo se
stesso sia integra. Quindi, sottovalutare la valenza della negazione può essere un elemento aggravante
della condizione di patologia. In realtà la negazione è inconscia quindi non direttamente correlabile alla
capacità di giudizio e, come tale, non va avversata, ma capita e attenuata, rispondendo ai bisogni di
rassicurazione e protezione del paziente.
- Attaccamento patologico. Di fronte all’ insicurezza e alla sensazione di una totale incapacità a gestire la
propria vita da parte del paziente, che lo porta ad una continua richiesta di supporto e dipendenza dai
famigliari, bisogna contrastare questo atteggiamento stimolando il soggetto a fare da solo le cose che
ancora è in grado di fare, dandogli piccoli incarichi e responsabilità che lo gratifichino e migliorino in tal
modo anche il tono dell'umore
Trattamento
A tutt’oggi non esiste un trattamento in grado di curare la malattia di Alzheimer, cioè di guarirla e restituire
al paziente la memoria e le altre funzioni cognitive che sono state perse. Quello che si può fare con i
farmaci e le terapie riabilitative attualmente disponibili è prendersi cura del malato, migliorando i sintomi
della malattia e cercando di rallentarne la progressione.
Trattamento farmacologico
Attualmente sono disponibili dei farmaci (gli inibitori dell’acetilcolinesterasi) che possono migliorare i
sintomi della malattia e rallentarne la progressione. Essi agiscono migliorando la comunicazione tra le
cellule nervose e questo permette da un lato di migliorare la memoria, l’attenzione, la partecipazione (il
paziente sembra ritornato quello che era alcuni mesi, fino ad 1 anno, prima) e dall’altro di mantenere un
livello di autonomia e di indipendenza maggiore che nel decorso naturale della malattia, allontanando nel
tempo il ricorso al ricovero in casa di riposo. Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, che vengono attualmente
prescritti gratuitamente da centri specializzati ai pazienti con malattia di Alzheimer di gravità lievemoderata, sono il donepezil (aricept o memac), la rivastigmina (exelon o prometax) e la galantamina
(reminyl). L’efficacia di questi farmaci è simile, quello che cambia è la modalità di somministrazione (il
donepezil va assunto in un’unica dose una volta al giorno, rivastigmina e galantamina più volte al giorno e a
dosi crescenti) e il profilo degli effetti collaterali, quali nausea, vomito, diarrea (alcuni di questi farmaci
vengono tollerati meglio degli altri).
Per il trattamento della malattia di Alzheimer di gravità da moderata-severa a severa è stato recentemente
approvato un nuovo farmaco, la memantina (ebixa).
Infine, vi è un ampio spettro di farmaci che permettono di controllare i sintomi più invalidanti e disturbanti
della malattia, come la depressione, i disturbi del sonno, i disturbi comportamentali (deliri, allucinazioni,
agitazione). Il controllo di questi sintomi consente una condizione di convivenza più accettabile del paziente
con i famigliari e permette un adeguato accudimento del paziente alla propria abitazione.
L'uso dei farmaci è regolato dall'osservanza delle linee guida internazionali sulla terapia della malattia di
Alzheimer e delle altre demenze. Ciò garantisce che il trattamento prescritto e attuato sia basato sulle più
recenti e avanzate conoscenze scientifiche della medicina basata sull'evidenza e non sull'opinione
soggettiva di singoli medici.
La riabilitazione: individuale
Di seguito sono sinteticamente descritti diverse attività riabilitative individuali e di gruppo diversificate per
tipologie di pazienti e per grado di compromissione cognitiva e funzionale dei pazienti.
Memotecniche
Sono rivolte a pazienti con disturbo isolato di memoria a cui non è stata fatta diagnosi di demenza e che
mantengono una discreta autonomia. L'intervento consiste nell’insegnamento di particolari tecniche e
strategie per ricordare più facilmente. Il paziente potrà successivamente utilizzarle al domicilio quale valido
supporto nella vita di tutti i giorni. Vengono apprese dal paziente in regime di Day hospital per una durata
di 12 incontri di circa 60 minuti l'uno.
Training cognitivi computerizzati
Sono rivolti a pazienti affetti da demenza lieve. L'intervento si pone come finalità la stimolazione e il
rinforzo di funzioni cognitive specifiche. Al paziente vengono proposti esercizi da tavolo con la carta ed
esercizi al computer. I training cognitivi computerizzati vengono svolti in regime di Day hospital per una
durata complessiva di 12 incontri per 60 minuti l'uno.
Memory Training (ciclo di esercizi per la memoria)
É rivolto a pazienti affetti da demenza medio-lieve senza disturbi comportamentali. L'intervento viene svolto
dall’educatore professionale in presenza del familiare allo scopo di stimolare e migliorare la memoria
procedurale del paziente coinvolgendolo nelle attività di base e strumentali della vita quotidiana (la cura e
l’igiene personale, l’abbigliamento, ecc…) e formare il familiare del paziente al fine di fargli apprendere le
tecniche di stimolazione per poter proseguire l'intervento a domicilio. Il memory training ha una durata di
minimo 8 incontri di 45 minuti ciascuno e viene svolto in regime di Day-hospital.
Musicoterapia individuale
É rivolta a pazienti affetti da demenza di grado moderato-severo, associata a problemi di linguaggio.
L’obiettivo è la stimolazione cognitiva attraverso l'utilizzo di elementi sonoro-musicali e lo sviluppo di un
processo di relazione all'interno di un contesto non verbale. Il programma terapeutico si basata sull'ascolto
della musica che favorisce l'evocazione di ricordi, facilita le associazioni e permette un aumento della
comunicazione verbale e non verbale. L'intervento può essere svolto sia con pazienti ricoverati in regime di
Day hospital che nell'unità di degenza. La durata dell'intervento è di 15 incontri di un'ora ciascuno.
Terapia della valorizzazione individuale
É un intervento rivolto a pazienti con demenza grave associata a disturbi comportamentali. Ha come
obiettivo la valorizzazione delle capacità affettive residue della persona: l'operatore affronta stati d'animo e
sentimenti del paziente accettandoli e valorizzandoli attraverso l'utilizzo di tecniche basate sul dialogo, sulla
musica e sulla gestualità. L'intervento dura sei settimane con incontri giornalieri di circa 10-20 minuti l'uno
e si svolge in regime di ricovero presso l'unità di degenza.
La riabilitazione: di gruppo
Terapia di riattivazione globale
É rivolta a pazienti affetti da demenza medio-lieve, senza disturbi comportamentali e deficit sensoriali.
L’obiettivo è il riorientamento del paziente attraverso stimolazioni legate allo spazio e al tempo; la
stimolazione della memoria mediante argomenti legati al passato e all'attualità; la rimotivazione attraverso
la discussione di alcune tematiche legate alla vita attuale del paziente.
La terapia di riattivazione globale viene svolta in Day-hospital, un'ora al giorno per quattro settimane.
Terapia occupazionale
É rivolta a pazienti con demenza moderata e iniziale compromissione funzionale. L’obiettivo è la
stimolazione delle capacità funzionali, cognitive e della creatività. L'intervento riabilitativo viene svolto in
regime di Day-hospital e ha una durata di 4 settimane per un'ora al giorno.
Terapia di orientamento alla realtà informale
É rivolta a pazienti dementi indipendentemente dal grado di compromissione cognitiva (ne sono esclusi i
pazienti con demenza grave e con disturbi comportamentali). L’obiettivo della terapia è il ri-orientamento e
la sollecitazione della memoria del paziente mediante argomenti legati al passato e all'attualità. L'attività si
svolge tutti i giorni con i pazienti ricoverati nell'unità di degenza. La durata della terapia varia dai 20 ai 30
minuti e si propone ai pazienti sempre allo stesso orario.
Musicoterapia di gruppo
É un intervento riabilitativo rivolto a pazienti con demenza moderata. Si pone come obiettivo la
stimolazione cognitiva attraverso l'utilizzo di elementi sonoro-musicali e lo sviluppo di un processo di
relazione all'interno di un contesto non-verbale.
La musicoterapia di gruppo si svolge in regime di Day-hospital per 16 incontri di un'ora ciascuno.
Terapia della valorizzazione di gruppo
É un intervento rivolto a pazienti con demenza grave con associati disturbi del comportamento. Si pone
come obiettivo la valorizzazione delle capacità affettive residue del paziente attraverso l'instaurarsi di una
relazione empatica con l'educatore.
Si svolge con i pazienti ricoverati nell'unità di degenza e ha una durata di 4 settimane con incontri
quotidiani di 30 minuti.
Terapia di riattivazione di gruppo per pazienti
É un intervento rivolto a pazienti con demenza lieve-moderata e a pazienti con demenza moderata. Si
propone di riattivare la memoria dei pazienti attraverso il coinvolgimento in argomenti legati alla vita
passata e all'attualità; favorire la socializzazione tra i componenti del gruppo; e fornire stimoli che
consentano ai pazienti di esprimere le proprie capacità.
Si svolge con i pazienti ricoverati nell'unità di degenza tutti i giorni per l'intera durata dell'ospedalizzazione.
I gruppi sono composti da un massimo di 5 pazienti.