La Consulta Nazionale di Filosofia ha assegnato il premio “Opera Prima di Filosofia” per l’anno 2011 al libro: Gianluca Verrucci, Ragion pratica e normatività. Il costruttivismo kantiano di Rawls, Korsgaard e O’Neill, Mimesis, Milano 2010 Si segnalano le seguenti opere ex aequo: Federico Ferraguto, Filosofare prima della filosofia. Il problema dell’introduzione alla dottrina della scienza di J. G. Fichte, Olms, Hildesheim-Zürich-New York 2010 Roberta Picardi, Il concetto e la storia. La filosofia della storia di Fichte, il Mulino, Bologna 2009 e l’opera: Alessandra Mazzei, Un patto «di specie particolare». Lo ius publicum civitatum kantiano tra diritto e storia, Cedam, Padova 2009 Gianluca Verrucci, Ragion pratica e normatività. Il costruttivismo kantiano di Rawls, Korsgaard e O’Neill, Mimesis, Milano 2010 Si tratta di un’ eccellente ricognizione critica di alcune delle teorie etiche più interessanti della seconda metà del ventesimo secolo - segnate da una ripresa della critica della ragione pratica kantiana -, che animano ancora il dibattito filosofico. La ricerca si apre con una discussione del concetto di costruttivismo che, a partire dal saggio di J. Rawls Kantian Constructivism in Moral Theory (1980), risulta subito intendere in due modi diversi il metodo, ispirato a Kant, della deduzione come giustificazione, ed è merito della ricerca aver messo lucidamente in primo piano questa differenza. La giustificazione può essere infatti intesa sia come «indagine sulla normatività delle ragioni che risultano dal processo deliberativo e che aspirano a guidare l’azione» (pp. 11-12), cosicché è possibile parlare di proceduralismo; sia come lo stesso ragionamento pratico «di tipo non-fondazionalista, che si avvale di strategie coerentiste e costitutiviste» (p. 12), per cui l’autorità della ragione si basa soltanto sui «requisiti strutturali interni che ne specificano la funzionalità» (ibidem). Questa duplicità di accezioni è da una parte all’origine dell’interesse suscitato dalla posizione di Rawls e dei significativi sviluppi che il suo pensiero ha avuto in Ch. M. Korsgaard e in O. O’Neill, ma è anche, d’altra parte, all’origine di ambiguità e debolezze che vengono puntualmente discusse. Il principale pregio del libro è infatti quello di essere una rigorosa e serrata ricostruzione storicocritica di questa significativa parte dell’etica contemporanea, di cui mette in particolare rilievo il ruolo fondazionale, o di giustificazione ultimativa delle ragioni, attribuito al ragionamento pratico in quanto procedura deliberativa; il metodo dell’equilibrio riflessivo, rilevando come anche di esso siano possibili due interpretazioni distinte, una descrittiva e una deliberativa (quest’ultima considerata preferibile, sulla scia dell’interpretazione di Scanlon, p. 31); il fondamentale collegamento tra principi morali e rappresentazione di sé. Rispetto allo stato della conoscenza del costruttivismo americano in Italia, la ricerca ha il merito di tener conto delle molte reazioni che esso ha suscitato, delle obiezioni e delle risposte dei suoi tre principali esponenti. In questo modo risulta possibile mettere in luce gli aspetti più solidi e quelli meno persuasivi del costruttivismo, e soprattutto quelli ancora fecondi, come il rapporto tra costruzione e oggettività, il rapporto tra accordo e requisiti di razionalità interni al ragionamento pratico (p. 47), il rapporto tra etica e psicologia, il rapporto tra principi metodologici e normatività e infine il più generale rapporto tra intuizionismo e costruttivismo. Per quel che riguarda il pensiero della Korsgaard, i problemi più interessanti messi in luce sono quello del nesso tra normatività e struttura riflessiva del pensiero umano, quello del significato di “realtà” nel caso dell’umanità come identità pratica e quello della definizione del concetto di valore come costruzione della ragion pratica (p. 211). Per quel che riguarda infine il pensiero di Onora O’Neill, il merito della ricerca è quello di aver saputo mettere in primo piano il problema della definizione del concetto di regola nella sua distinzione da algoritmi e meccanismi (pp. 228-9). Questo libro merita dunque il primo premio, perché porta la nostra attenzione su un territorio estremamente attuale e innovativo. L’analisi delle posizioni di Rawls e soprattutto della Korsgaard e della O’Neill fornisce, anche per gli aspetti non soddisfacenti individuati (cfr. per esempio p. 105, in riferimento a Rawls), un significativo contributo alla problematica della fondabilità dell’etica, come dimostrano le frasi conclusive sull’imperativo categorico in quanto possibile principio costitutivo dell’azione morale (pp. 283-284). Federico Ferraguto, Filosofare prima della filosofia. Il problema dell’introduzione alla dottrina della scienza di J. G. Fichte, Olms, Hildesheim-Zürich-New York 2010 Si tratta di un lavoro serio, ben documentato e informato per quel che riguarda la letteratura critica, che offre un utile contributo allo studio di uno specifico problema teoricamente molto rilevante del pensiero di Fichte, quello della introduzione alla Wissenschaftslehre - intesa «come arte della ragione: pensiero che si eleva al di sopra del reale e a questo ritorna progettando modelli per modificarlo razionalmente» (p. X) -, e più in generale allo studio dello sviluppo intellettuale del filosofo. Il lavoro si basa sui principali scritti e corsi introduttivi di Fichte nell’arco di tempo fra il 1794 e il 1813, con particolare attenzione alle lezioni introduttive degli ultimi anni nella nascente Università di Berlino (le Einleitungsvorlesungen in die Wissenschaftslehre dell’autunno 1813). Il lavoro offre precise e spesso illuminanti considerazioni su diversi nuclei di questioni. Il primo è quello per cui il problema dell’introduzione non si esaurisce nell’indagine sulla natura stessa della filosofia, ma diventa comprensione dei modi nei quali la filosofia come scienza rigorosa (p. 3) può agire sulla realtà. Così il modo in cui si dà l’inizio è «stimolo per un agire che realizza l’inizio» (p. 7). Il secondo è l’idea che «l’ipotesi da cui muove la Wissenschaftslehre è già sempre compromessa con la vita concreta del soggetto e, in questo senso, è “fondata” in essa. La definizione preliminare del concetto della Wissenschaftslehre mira a chiarire sotto quali forme, e mediante quale procedimento, tale fondazione può avvenire» (18). Il terzo è il nesso tra sapere e sentimento della necessità (p. 19), come aspetto del più fondamentale tema del rinvio alla “praticità” dell’autocoscienza da parte dell’intuizione intellettuale nella sua immediatezza; quest’ultima intesa come unità tra il prestare attenzione a se stessi e visione del se stesso cui l’attenzione si dirige. In quanto espressione di un rapporto immanente tra indagine filosofica e suo oggetto, l’autocoscienza immediata è anche fondazione immediata della ricerca trascendentale (p. 34). Su questi tre nuclei problematici il lavoro torna da diversi punti di vista, presentando elementi di approfondimento e di chiarificazione in modo sempre utile (anche se qualche volta ripetitivo): ciò vale in particolare per aver individuato la specifica funzione delle categorie di relazione, per il concetto di fenomenologia, per la nozione di riflesso e di riflessibilità, per il concetto di schema. In un gioco di specchi tra Einleitungsfrage, che rende necessario «comprendere il senso sistematico dell’introduzione come descrizione provvisoria del punto di vista trascendentale» (p. XI), e Wissenschaftslehre, il lavoro mette a disposizione un resoconto di materiali fichtiani utili a precisare e rideterminare temi basilari del pensiero del filosofo, che l’autore sa riproporre con finezza, individuandone interessanti sfumature. Roberta Picardi, Il concetto e la storia. La filosofia della storia di Fichte, il Mulino, Bologna 2009 Si tratta di una ricerca tematico-monografica di notevole spessore sia dal punto di vista filologico che ermeneutico; di un ampio studio sulla filosofia della storia di Fichte che offre un utile contributo, da diversi punti di vista, su questo tema, agli studi fichtiani. Il lavoro, condotto con consapevolezza delle premesse storiche e teoriche e dei risultati da raggiungere, si propone soprattutto di offrire nuovi elementi di comprensione della «tensione tra Weltplan e libertà» (p. 13). Evidente è considerata «la continuità con Kant: Fichte stesso utilizza, in riferimento al proprio concetto a priori di piano cosmico, il termine “Leitfaden”, di chiara derivazione kantiana» (ibidem; cfr. anche p. 354) ). Il lavoro è molto ben informato e la letteratura critica è sia citata che discussa, con la conseguenza però che appunto per esempio il rapporto di Fichte con Kant è più evocato attraverso la letteratura che affrontato direttamente sui testi (e si tratta di un rapporto di grande interesse, in particolare a proposito della distinzione tra Historie e Geschichte, tanto più che l’autrice dichiara che Fichte resta «tutto sommato più vicino a Kant che a Schelling nel modo di intendere il rapporto tra costruzione filosofica e storiografia», p. 60). Affrontando il nodo del rapporto tra «piano cosmico – a priori ed atemporale – e la sfera a posteriori del concreto materiale storico» (p. 62), la ricerca offre un contributo molto utile, attraverso la rilettura di testi fichtiani e la discussione della bibliografia, allo studio della «indeducibilità del dato storico» (ibidem), come nelle pp. 87 sgg. sull’impulso e nei capitoli dedicati al mondo antico e moderno. Vengono così introdotti elementi di novità specialmente nella considerazione delle analisi storiche concrete proposte da Fichte, per cui la concezione dello sviluppo storico europeo viene presentata nella sua complessa articolazione, per esempio in ordine alla sua radice cristiana e al suo rapporto con la modernità. Alessandra Mazzei, Un patto «di specie particolare». Lo ius publicum civitatum kantiano tra diritto e storia, Cedam, Padova 2009 La tesi del libro è che Kant risolve il problema della coesistenza tra stati sovrani non riconducendoli sotto un diritto civile globale, in un ordinamento onnicomprensivo dotato di autorità sovraordinata, cioè sotto il diritto di uno stato mondiale, ma fornendo i principi razionali - e quindi a priori - che consentano di pensare ad una forma giuridica di relazioni tra gli Stati in conformità al principio del reciproco rispetto della libertà. Muovendo dall’idea della storia come luogo della interazione di libertà e natura, si ritiene che la riflessione storico-filosofica kantiana risponda, attraverso l’illustrazione del progresso della cultura, alla domanda sulle condizioni di possibilità di un assetto in cui le disposizioni naturali dell’uomo possano svilupparsi completamene (p. 26). Il fatto dell’antagonismo o dell’insocievole socievolezza e l’ideale di una costituzione civile universale orientano il corso della storia verso la conciliazione di legalità e libertà. Si tratta di uscire dallo stato di natura come stato di guerra e di entrare in una condizione giuridica: gli Stati devono rinunciare volontariamente al proprio arbitrio e conformarsi a leggi collettive, riconoscendo l’idea regolativa di una Weltrepublik come unica condizione possibile per l’istituzione di una pace universale e duratura (p. 87). Particolarmente interessante è il paragrafo finale del III capitolo dedicato allo Ius cosmopoliticum, che garantisce le condizioni dell’ospitalità universale e di una comunicazione universale tra uomini e popoli in vista dell’ideale della pace perpetua (pp. 112-114). Questo lavoro si caratterizza per la sobrietà dello stile, per la chiarezza, per la coerenza con cui sviluppa la tesi proposta. Dimostrando conoscenza dei testi e, anche se in misura ridotta, della letteratura critica, l’autrice fa emergere il progetto kantiano non certo di istituire uno stato civile mondiale, ma di definire «le condizioni affinché la reciproca fiducia nell’osservanza delle norme del diritto delle genti possa trasformarsi in certezza, rendendo in tal modo perentoria la massima fondamentale pacta sunt servanda» (p. 3); ciò è possibile perché l’uomo kantiano «non è un uomo dimidiato; è piuttosto un uomo che faticosamente sviluppa le sue disposizioni antagonistiche cercando di comporne la relazione, affinché la sua natura animale non si opponga alla sua natura morale» (p. 4), la quale, evoluta in personalità morale, può essere fatta propria anche da quei peculiari individui che sono gli Stati (p. 5).