Note su La possibilità di cambiare di Aureliana Alberici di Dunia Pepe e Paola Terzaroli* “Lo sviluppo come libertà”1, è questa la prospettiva attraverso cui leggere il libro di Aureliana Alberici La possibilità di cambiare. Apprendere ad apprendere come risorsa strategica per la vita, Franco Angeli, Milano, 2008 Il libro si compone di due parti tra loro fortemente interrelate: la prima parte analizza i concetti ed i modelli legati all’innovazione dei modelli di apprendimento nella knowledge society; la seconda parte analizza alcune ricerche e sperimentazioni condotte a livello internazionale sulla dimensione dell’apprendere ad apprendere. Il libro rappresenta una significativa e ricca sistematizzazione del pensiero e delle teorie, elaborate nel corso degli anni, da Aureliana Alberici. L’autrice si preoccupa, in primo luogo, di definire la metacompetenza dell’ “apprendere ad apprendere” quale strumento fondamentale, perché estremamente flessibile ed adattivo, per poter vivere e per essere attori nella knowledge society. In secondo luogo, Alberici cerca di esplicitare la complessa natura del concetto di “apprendere ad apprendere”comprendente al tempo stesso fattori cognitivi, emotivi, evolutivi, biologici, sociali, di relazione, di empowerment e di crescita degli individui affinché questi possano acquisire diritti di cittadinanza sostanziale nella società contemporanea. Per ciò che riguarda l’aspetto teorico del testo, l’autrice concorda con Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, nel porre come fine da raggiungere per lo sviluppo dell’apprendimento la libertà reale dell’individuo, piuttosto che la mera * Dunia Pepe è ricercatrice presso l’Area Risorse Strutturali e Umane dei Sistemi Formativi Isfol; Paola Terzaroli collabora con Dunia Pepe alle attività di ricerca sull’innovazione dei modelli formativi. 1 Sen, A. cit. in Alberici A. (2008), La possibilità di cambiare. Apprendere ad apprendere come risorsa strategica per la vita, Franco Angeli, Milano, p. 11. 1 crescita economica. Espandere le libertà sostanziali della persona equivale ad ampliare la sua capacità di mettere in atto più stili di vita. Una persona che è libera di scegliere di “vivere quelle vite che hanno ragione di apprezzare e di ampliare le scelte reali che ha a disposizione”2 è una persona attiva, intraprendente, propositiva; tutte caratteristiche che contribuiscono allo sviluppo della società. Tuttavia la “fioritura umana”3, nell’era del cambiamento, assume il carattere della problematicità. La persona deve saper fronteggiare l’intensità, la velocità, la pervasività delle incessanti e continue trasformazioni che contraddistinguono l’odierno contesto di vita, se vuole godere delle proprie libertà. Per riuscire in tale intento è indispensabile che concetti quali conoscenza e apprendimento acquisiscano assoluta centralità. Learning society, società della conoscenza e/o dell’apprendimento sono, non casualmente, le metafore più diffuse per descrivere l’era della complessità. Se, nel modello di società industriale strutturalmente statico, la formazione si espletava nella prima fase di vita della persona e manteneva il proprio valore per il resto dell’esistenza dell’individuo, con l’avvento della società postindustriale ciò non è più valido. I continui mutamenti pongono la questione dell’obsolescenza dei saperi e delle conoscenze; di qui la necessità ineludibile per l’individuo di apprendere continuamente, durante tutta la vita, per vivere da protagonista e non accontentarsi della semplice sopravvivenza. “Il concetto di apprendimento si dilata, travalica la dimensione specifica dei percorsi di istruzione e di formazione, intesi come fasi distinte della vita degli individui, per declinarsi come una potenzialità che si può realizzare durante tutta la vita e in una pluralità di situazioni e di tempi” 4. È immediato pensare al nuovo ruolo strategico che la formazione ricopre. “La formazione si presenta come un processo permanente che va oltre le attività specificamente realizzate nelle istituzioni scolastiche e formative, coinvolgendo sempre più gli stessi soggetti in età adulta o comunque gli individui al di fuori delle sedi cosiddette formali dell’istruzione. Con il concetto di apprendimento permanente si rinvia infatti alla possibilità di un processo di formazione/apprendimento che coinvolge gli individui lungo il corso della loro esistenza, abbracciando i diversi ambiti di vita, da quello professionale a quello familiare, da quello privato a quello sociale”5. Così l’apprendimento non si realizza più solamente nelle sedi ad esso deputate, ma si riconosce l’importanza anche di quegli apprendimenti concreti, che si realizzano nei luoghi più comuni, come può essere la cucina di casa nostra. “Sono rimasto per un attimo sconvolto, racconta Seymour Papert, quando un’amica con cui stavo cucinando ha calcolato i due terzi di una tazza e mezza di farina mediante il seguente procedimento: versare una tazza e mezza di farina sul tavolo, disporla a cerchio, dividere il cerchio in tre fette con taglio simmetrico e rimettere una fetta nel contenitore 2 Ibidem Per un apprendimento di questo concetto si rimanda a L. Bruni (2004), L’economia, la felicità e gli altri. Un’indagine su beni e benessere, Città Nuova, Roma, pp. 40-41. 4 Alberici, A. (2008), op. cit., p. 12. 5 Ibidem. 3 2 della farina”6 . Il contesto di vita degli individui è oggi completamente rinnovato. In una società in cui la riflessività, la criticità, la capacità di ri-orientare continuamente le proprie competenze, divengono gli elementi per la costruzione di società più libere e più eque, il lifelong learning viene, a ragione, inteso dall’autrice come “orizzonte di senso e percorso di metodo, individuale e collettivo, al fine di promuovere a livello planetario processi democratici e di sviluppo umano nella complessità della moderna organizzazione sociale” 7. A tal proposito, il primo asse tematico dei tre di cui si compone il libro considera il lifelong learning proprio come metodo per fronteggiare la complessità e sviluppare la democrazia. Infatti nella società della discontinuità, date le caratteristiche di intensità, velocità e pervasività dei cambiamenti, aumenta il divario tra coloro che possiedono conoscenze, saperi, competenze e coloro che ne sono sprovvisti; per questi ultimi si innalza il livello di difficoltà di apprendere e il rischio di venire emarginati dalla società. Stare al passo con i tempi è, oggi più che mai, complicato per coloro che non sanno cosa significa riflessività, flessibilità, autonomia. L’autrice, citando Dahrendorf, sottolinea che la giustizia, oggi, non deve essere intesa nel senso della redistribuzione, ma dell’inclusione. “In questo scenario la formazione si presenta come progetto politico, come trasformazione della cultura, ma anche come grande consapevolezza del valore primario del sapere nella società mondializzata, come fonte insostituibile di libertà individuale e di sviluppo sociale”8. Un apporto allo sviluppo della società in senso democratico deriva dall’assumere la riflessività quale strategia di vita. Le persone, in questa ottica, non disponendo più di punti fermi, vedono come unica strada per non sentirsi del tutto disorientate, la riflessione costante su se stesse, sul proprio rapporto con il contesto che muta continuamente; si pongono sempre nuove domande, alimentando il processo di apprendimento permanente e di conseguenza la possibilità di esercitare la cittadinanza attiva. La prospettiva dell’apprendimento permanente adottata dall’autrice assume il valore d’uso del sapere; ne deriva, quindi, il superamento della visione funzionalistica della formazione che consiste nell’assunzione della stessa formazione come valore di scambio in vista dello sviluppo economico. Il criterio economico-strumentale limita la formazione a semplice mezzo, non la pone come fine. Superata, quindi, l’interpretazione economica del modello del lifelong learning, l’autrice ne costruisce una formativa. Quest’ultima individua come paradigma del lifelong learning il costrutto di competenza strategica per l’apprendimento permanente come competenza per apprendere ad apprendere. È evidente che con apprendere ad apprendere “si fa riferimento non a una abilità specifica ma a una metacompetenza, intesa anche nel senso di potere di apprendere (learning power) o energia apprenditiva (learning energy) che è il risultato della capacità di mobilitazione di un complesso di dimensioni/direttrici del sapere, e dell’agire, integrate in modo significativo, che vanno a connotare il profilo culturale 6 Papert S. (1994), I bambini e il computer, Rizzoli, Milano, p. 125. Alberici A. (2008), op cit, p. 13. 8 Ivi, p. 15. 7 3 adulto, funzionale rispetto alle istanze di riflessività dei contesti di vita” 9. Con la meta competenza dell’apprendere ad apprendere si fa riferimento alla potenzialità del soggetto di apprendere anche il proprio processo di apprendimento. Ne deriva che l’apprendere ad apprendere è inteso dall’autrice come una competenza di secondo livello essenziale a tutti per essere lifelong learner. “L’apprendimento permanente e l’educazione degli adulti divengono quindi l’insieme delle attività e i processi attraverso cui gli individui si dotano degli attrezzi (competenze) culturali, professionali, sociali necessari ad affrontare il proprio lavoro, la propria vita e a partecipare alla vita sociale a tutti i livelli” 10. I concetti essenziali nel vocabolario della formazione diventano i concetti di accoglienza, cura, orientamento, empowerment, riflessività, relazione, soggettività, responsabilità, conciliazione, reciprocità, tempo e tempi, biografie, calendari di vita 11. Le metodologie formative tendono a mettere al centro il soggetto con la sua capacità progettuale e la sua dimensione relazionale. Tali metodologie comprendono come si è detto i metodi narrativi e autobiografici, ma anche altre metodologie attive e progettuali quali il bilancio di competenze e l’empowerment. I concetti centrali dell’universo formativo sono necessariamente dei concetti in azione. La formazione lifelong tende davvero a configurarsi come una formazione for all, per la crescita delle organizzazioni e l’innalzamento complessivo dei livelli di civiltà. Nel secondo asse di riflessione del libro l’autrice, assumendo il lifelong learning come punto di vista attraverso il quale comprendere la complessità sociale e favorire lo sviluppo democratico, si sofferma sulla centralità della riflessività nella formazione. La molteplicità dei punti di vista, le loro inevitabili interconnessioni, che costituiscono la specificità della moderna società globale, per trovare la loro espressione libera e pacifica, pongono come condizione l’apprendimento permanente. Difatti, non è detto che trovarsi a vivere insieme ad una moltitudine di persone straripante di differenze relativamente ai vari aspetti dell’essere umano (fisico, ideologico, etc.) faccia sentire le persone legate le une alle altre o, quanto meno, concordi sugli elementi basilari della convivenza civile. Jacques Delors, negli anni Novanta, ci ricorda Alberici, contemplava già l’apprendimento permanente come presupposto per il progresso civile della società. In continuità con queste riflessioni, Ocse e Unesco avvalorano la tesi per cui l’educazione permanente sia la “condizione per i diritti di cittadinanza, strumento di convivenza civile e risorsa per lo sviluppo economico sociale dei Paesi” 12. “Se è vero infatti che oggi, di fronte alle grandi sfide della vita, fame, pace, lavoro, inclusione/esclusione, solidarietà, libertà, equità è necessario puntare sullo sviluppo umano e sulla possibilità, per un numero sempre maggiore di donne e di uomini, di saper produrre pensiero riflessivo, divergente, innovativo, allora la formazione cambia radicalmente natura, genere, e diviene un processo finalizzato sempre più alla crescita 9 Ivi, p. 47. Alberici A. (2004), “Prospettive epistemologiche. Soggetti, apprendimento, competenze” in Alberici A. (2004) (a cura di), Istituzioni di educazione degli adulti. Saperi, competenze e apprendimento permanente, Guerini, Milano, p. 203. 11 Alberici A. (2005), “Prefazione” a S: Cerrai e S. Beccastrini, Continuando a cambiare. Pratiche riflessive per generare e valorizzare le metacompetenze nelle organizzazioni, Arpat, Firenze, p. VII. 12 Alberici A. (2008), op. cit., p. 19. 10 4 de soggetti responsabili e autonomi, proattivi. Ne deriva la necessità di puntare sulla formazione for all, come valorizzazione delle risorse umane, facendo leva sulla centralità del soggetto, sui suoi saperi e sulle sue competenze di vita e di lavoro, sulla sua riflessività, sulle capacità sociali e di relazione, sulla responsabilità, su quelle che possiamo definire come le competenze strategiche per la vita in quanto è con il loro possesso, sviluppo e crescita lifelong che donne e uomini divengono capaci di affermare i loro diritti di cittadinanza sostanziale” 13. La “razionalità riflessiva”, la “critica non omologante”, ovvero, “divergente”, devono caratterizzare, quindi, il panorama odierno della formazione se questa vuole rivolgersi ad individui consapevoli dei propri apprendimenti, persone che sappiano distinguere il valore d’uso della formazione, attori sociali che riconoscano la formazione come bene in sé, non come valore di scambio, insomma protagonisti capaci di recuperare una logica della formazione di tipo locale. Sono proprio i localismi identitari che acquisiscono grande rilievo si parla nella società post-industriale. A tale riguardo Gianni Vattimo spiega come “caduta l’idea di una razionalità centrale della storia, il mondo della comunicazione generalizzata esplode come una molteplicità di razionalità locali - minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche – che prendono la parola, finalmente non più tacitate e represse dall’idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti… L’effetto emancipativo della liberazione delle razionalità locali non è tuttavia solo quello di garantire a ciascuno una più completa riconoscibilità e autenticità” piuttosto è legato allo spaesamento che segue il primo effetto di identificazione14. Con queste problematiche abbiamo introdotto il terzo asse su cui si concentra Aureliana Alberici. In particolare, l’autrice sostiene che non è possibile parlare di identità maschile e di identità femminile, considerando i processi identitari femminili tutti alla stessa stregua e così quelli maschili; piuttosto si deve parlare di tante identità plurime, multiformi, in transizione, che si costruiscono continuamente. Le storie di vita non sono più prevalentemente lineari, quindi assimilabili tra di loro; non è possibile delineare un ritratto univoco della donna e dell’uomo contemporanei. La velocità, l’intensità, la pervasività dei cambiamenti della società si riflettono sulla vita dei singoli che risulta a sua volta discontinua e frammentata. Il lavoro non è sempre lo stesso durante tutta la vita, i luoghi della sua realizzazione variano in continuazione. All’interno di questa prospettiva, si deve anche superare la “concezione dell’identità, come identità sessuata, un dato che si presenta come il semplice e indiscutibile riconoscimento dell’esistenza dei due sessi, per assumere il concetto di differenza, per cui identità e differenza si presentano come processi che si costruiscono durante l’intera esistenza umana, dall’infanzia all’adultità e oltre” 15. Differenza, differenze sono presupposti da cui partire per andare contro il rischio di omologazione della società globalizzata, per staccarsi dalla pura logica di mercato e per intraprendere la strada che porta all’ampliamento delle libertà individuali. Tale Alberici A. (2005), “Prefazione” a S. Cerrai e S. Beccastrini, Continuando a cambiare, op. cit., p. VI. Vattimo G. (2000), La società trasparente, Garzanti, Milano, pp. 17-18. 15 Alberici A. (2008), op. cit, p. 24. 13 14 5 complessità sociale va fronteggiata attraverso il modello della riflessività il solo capace di sviluppare il processo di apprendimento permanente. “Ciò comporta l’esigenza di fare leva sulla capacità degli individui di puntare e di volere mobilitare le loro risorse, i loro saperi e le loro competenze di vita e di lavoro, la loro riflessività, le loro capacità sociali e di relazione, la loro responsabilità. In una parola, di investire su quelle che si possono definire come le competenze strategiche per la vita in quanto è con il loro possesso, sviluppo e crescita lifelong che donne e uomini possono divenire capaci di essere titolari dei diritti di cittadinanza sostanziale” 16. Questa pedagogia appare come l’unica capace di rispondere adeguatamente alle caratteristiche essenziali della società globale. Il processo formativo deve essere capace dunque di superare la linearizzazione dei saperi per poter tener conto degli elementi di trasversalità e di differenza: la democrazia politica fondata sulla partecipazione, la mobilità sociale, il continuo rinnovamento delle conoscenze tecnico-scientifiche e delle competenze professionali e sociali, la necessaria convivenza e contaminazione di diverse fedi e di diversi valori in un mondo sempre più globale e interculturale. Un aspetto metodologico si configura, all’interno di questo contesto, come fondamentale. Si tratta di una concezione della formazione che pone al centro la soggettività e la capacità, da parte di chi apprende, di attribuire senso agli eventi ed alle situazioni esperite quotidianamente. Il riconoscimento dell’importanza della riflessione sull’esperienza porta a considerare la formazione “come costruzione di senso, di un senso che non è dato ma che chiede di essere messo in parola, di essere riconosciuto e narrato dai soggetti di volta in volta coinvolti”17. L’apprendimento durante il corso della vita, con il nuovo modo di concepire il tempo della formazione, si intreccia con l’intero ciclo vitale, si presenta come una necessità per la vita dei singoli e per la crescita economico-sociale. Le categorie essenziali del fare formazione riguardano la centralità del soggetto; l’apprendimento come processo segnato dalla biografia di ogni individuo; il ruolo dell’autoformazione; la durata nel tempo e la pervasività della formazione nei diversi luoghi (formali, non formali ecc.) e nelle diverse fasi delle biografie individuali; il bisogno di attribuzione di significato; l’importanza dell’esperienza di vita come risorsa per la formazione; la competenza come sapere in azione e le dimensioni procedurali dell’agire umano; la rilevanza dell’empowerment vale a dire della possibilità, per ogni individuo, di sviluppare le proprie potenzialità grazie alla crescita delle conoscenze e della consapevolezza del sé; il bisogno e la possibilità concreta di raggiungere una cittadinanza sostanziale. Ciò che sembra contraddistinguere la conoscenza al giorno d’oggi, secondo Pastore, è l’enfasi sulla sua valenza sociale, tendenza che finisce per fare della conoscenza stessa un’attività sociale primaria18. La rilevanza sociale della conoscenza spiega adeguatamente perché uno dei temi centrali della dialettica politico-culturale, degli anni a venire, sarà quello relativo al possesso dei mezzi d’apprendimento. Le sfide della 16 Ivi, p. 25. Alberici A. (2007), “Competenze strategiche e apprendimento permanente” in C. Montedoro e D. Pepe (a cura di), La riflessività nella formazione: modelli e metodi, Isfol, Roma. 18 Pastore, S. (2005), “Oltre il significato tecnico della competenza”, in Formazione e cambiamento, Web magazine sulla formazione, anno V, n. 38. 17 6 formazione, poste dagli accadimenti degli ultimi decenni, paiono essere essenzialmente tre: apprendere a cambiare, apprendere ad apprendere, apprendere da sé. Sul piano dei metodi, le sfide corrispondenti sembrano essere rappresentate dalla ricerca di una prospettiva di forma-azione, vale a dire di un recupero di profondità e di senso dell’esperienza soggettiva, di una sinergia e di un innesto lifelong. “L’apprendimento delle competenze, osserva L. Guasti, deve necessariamente passare attraverso una formazione incentrata sulle situazioni della vita, sulle esperienze, sulle strategie di apprendimento, sulla dinamica continua tra apprendimenti occasionali e sistemazioni sempre più ampie e sempre più coerenti del sapere, validazione e certificazione delle competenze”19. L’acquisizione-sviluppo delle competenze è indubbiamente legato alla costruzione di conoscenze ed abilità significative, allo sviluppo di disposizioni interiori, ma la loro effettiva acquisizione si deve essenzialmente alla pratica ed all’esercizio che ne costituiscono la base. Ed è proprio questo rapporto a spirale tra teoria e pratica, tra sapere e azione, che costituisce il significato della formazione oggi nella misura in cui tocca gli individui, il loro agire, le loro relazioni con i diversi contesti della vita e del lavoro, cioè le organizzazioni, le collettività, la società in genere 20. Nella seconda parte del libro, Cristina Stringher 21 descrive quattro sperimentazioni realizzate nel contesto internazionale nell’ambito dell’educazione degli adulti e nella prospettiva del lifelong learning. Il progetto di Helsinki, finanziato dall’Unione Europea alla fine degli anni Novanta, mira alla valutazione della competenza dell’apprendere ad apprendere, ovvero, l’intento è quello di rendere i decisori politici in grado di valutare la capacità dei cittadini di apprendere in autonomia e con consapevolezza. La valutazione cui si propone di pervenire il modello di Helsinki non si limita all’apprendimento scolastico, ma riguarda l’apprendimento permanente. L’approccio adottato è, dunque, quello evolutivo. Strutture concettuali, abilità procedurali, strategie di apprendimento, funzioni di autoregolazione e orientamenti motivazionali sono le componenti considerate. Gli aspetti indagati sono principalmente tre: credenze relative al contesto di apprendimento, credenze relative al sé, specifiche competenze relative all’apprendimento. Si riscontrano diversi pregi e limiti di questo modello: in particolare, il suo pregio è legato al fatto che esso rappresenta un’indagine a livello nazionale, laddove il suo limite fondamentale è legato alla natura quantitativo-statistica della valutazione. Il progetto Alberta, realizzato nello stato di Alberta in Canada, nell’ambito dell’Educazione di Base per gli Adulti, ha portato ad una classificazione delle abilità ritenute strategiche per il concetto di apprendere ad apprendere in età adulta. Il processo di costruzione degli indicatori di questa competenza ha inizio con l’analisi dei bisogni di apprendimento degli adulti che detengono bassi livelli di alfabetismo funzionale. Il Catalogo delle Abilità di Base per gli Adulti finisce per comprendere 946 elementi. 19 Guasti L. cit. da S. Pastore (2005), op. cit. Ibidem. 21 Stringher C. (2008), “Definizioni e modelli dell’apprendere ad apprendere per il lifelong learning” in A. Alberici, op. cit., p. 87. 20 7 L’apprendere ad apprendere vi è considerato nei termini di una competenza comprendente 150 abilità, sottoabilità e relativi indicatori. La metodologia impiegata per realizzare il modello è molto valida, ma i lunghi elenchi di abilità prodotti sono poco pratici. Degna di nota è la concertazione tra esperti, ricercatori ed adulti con la finalità di accompagnare gli adulti in formazione nel loro processo di empowerment. Il progetto LHTL - Learning How To Learn – riguardante le stesse problematiche dell’ “apprendere come apprendere” si fonda sul cubo di Maurice Gibbons sull’apprendere ad apprendere. “Apprendere come suggerisce il processo, mentre apprendere qualcosa suggerisce un contenuto, ma quando il contenuto è un processo la distinzione si fa estremamente labile” 22. L’apprendere come apprendere non considera solo gli aspetti cognitivi, ma anche quelli emotivi ed intenzionali; in esso si trovano avviluppate le relazioni tra la dimensione naturale e biologica dell’apprendimento, quella formalescolastica e quella personale. “Centrale nell’argomentazione di questo autore sembra essere la ricerca e la creazione di senso sottesa a tutte le operazioni connesse all’apprendere ad apprendere” 23. Il modello trova i propri destinatari non solo tra i bambini ed i ragazzi in età scolare, ma anche negli adulti ed orienta verso l’acquisizione del potere interno ad ognuno di noi. La motivazione ad apprendere e la valutazione dell’apprendimento nell’ottica socioculturale e del lifelong learning descrivono la natura del progetto ELLI - Effective Lifelong Learning Inventory -. “La motivazione cui si fa riferimento è necessaria all’apprendere ad apprendere e ad un atteggiamento positivo verso l’apprendimento per tutto il corso della vita. Si tratta di un concetto allineato con la volontà di apprendere, e derivante dal bisogno individuale di creare senso e di perseguire uno scopo. Tale motivazione può essere definita come un’energia che spinge l’individuo ad agire su ciò che per lui ha un significato” 24. Gli obiettivi del progetto ELLI tengono presente le considerazioni di Carr e Claxton sul fatto che la sfida dell’educazione oggi consiste nel preparare gli individui ad affrontare i continui cambiamenti. Ma il progetto ELLI si spinge oltre e si propone di ricercare le caratteristiche del lifelong learner, di costruire uno strumento capace di distinguere i soggetti in base alle caratteristiche misurate in un tempo determinato e di impiegare le indicazioni ottenute per intervenire a favore dello sviluppo del potere di apprendere o energia apprenditiva dei soggetti stessi. In sintesi, il progetto ELLI si concentra sul concetto di “potere di apprendere” - learning power - o “energia apprenditiva” - learning energy - . “Il potere di apprendere è un complesso di disposizioni, esperienze vissute, relazioni sociali, valori, atteggiamenti e credenze le quali concorrono a formare il modo in cui un individuo si impegna in una particolare situazione di apprendimento” 25. Lo strumento di misurazione del potere di apprendere si compone di sette dimensioni fondamentali che tengono conto dei fattori emotivi e cognitivi individuali, del contesto socio-storico e della variabile tempo. Altre dimensioni considerate, comuni agli altri progetti, riguardano la motivazione, il senso di self-efficacy, la dimensione sociale dell’apprendimento. 22 Ivi, op. cit., p. 92. Ibidem. 24 Ivi, p. 93. 25 Ivi, p. 94. 23 8 Il capitolo conclusivo del libro, scritto da Paolo Di Rienzo 26, offre una nuova prospettiva ed avvolge in un rinnovato sguardo di insieme la ricchezza di concetti e strumenti presentati dall’intero volume. In particolare Di Rienzo pone il concetto di apprendimento in relazione alla teoria dei sistemi complessi, teoria che ci consente di capire la grande varietà e la grande ricchezza di significati cui il concetto stesso di apprendimento appare legato. Ispirandosi alla prospettiva ecologica di Gregory Bateson, Di Rienzo fa riferimento ai contesti di significato in cui nascono le idee e le emozioni. All’interno di questo punto di vista, il concetto di apprendere ad apprendere ci introduce nella dimensione della relazione. “Subentra infatti una categoria logica ricorsiva e una modalità di fare significato relative alla possibilità di essere capaci di vivere con appropriatezza e armonia nei contesti” 27. La persona apprende ad apprendere quando “apprende a dirigersi verso certi tipi di contesto, o acquista un certo intuito per il contesto del risolvere problemi… il soggetto ha acquisito la capacità di cercare contesti e sequenze di un tipo piuttosto che di un altro, un’abitudine a segmentare il flusso degli eventi per evidenziarvi ripetizioni di un certo tipo di sequenza significativa” 28. L’apprendere ad apprendere, dunque, “genera un punto di vista utile per gettare una nuova luce sulla dimensione epistemologica della formazione come processo vitale … bisogna acquisire una visione ampia sull’apprendimento, che metta in gioco gli atteggiamenti, le teorie della conoscenza, le prospettive di significato: parliamo appunto di epistemologia ...” 29. Nell’era della complessità “l’agire formativo non può essere considerato se non come indagine pratica di tipo riflessivo… devono essere richiamate capacità riflessive di tipo cognitivo, emotivo e relazionale, che costituiscono gli elementi di fondo delle competenze epistemologiche”30, ispirandosi al paradigma costruttivista occorre infine considerare, da un lato, i soggetti attori della conoscenza quali responsabili del processo di creazione dei significati e, dall’altro, la natura generativa della competenza di apprendere ad apprendere. Di Rienzo P. (2008), “Una visione ecologica dell’apprendimento. Contesti formativi dell’apprendere ad apprendere” in A. Alberici, op.cit., p. 121. 27 Ibidem. 28 Bateson G (2002), Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, p. 207. 29 Di Rienzo P. (2008), “Una visione ecologica dell’apprendimento. Contesti formativi dell’apprendere ad apprendere” in A. Alberici, op. cit., pp. 125 – 126. 30 Ivi, p. 127. 26 9