La legittimazione del leader - Lavoro Prof. D`Anna

INDICE
CAPITOLI 1 - LA LEADERSHIP NELL’AZIENDA ................................................... 2
1.1 - Introduzione: definizione di leadership e quadro concettuale di riferimento 2
1.2 - La leadership nell’impresa ......................................................................... 11
1.4 - La leadership e lo stile con cui è condotta ................................................. 16
1.5 - Stili di leadership ....................................................................................... 22
1.6 - I compiti della leadership ........................................................................... 26
1.7 - Il processo di acquisizione della leadership............................................... 38
1.8 - Ripensare alla leadership .......................................................................... 42
1.9 - Leadership e potere .................................................................................. 49
1.10 - Le fonti di legittimazione .......................................................................... 50
CAPITOLO 2 - LA LEGITTIMAZIONE DEL LEADER: MODELLI .......................... 58
2.1 - Modello di Weber ...................................................................................... 58
2.1.1 - La leadership della burocrazia: razionale, carismatica o tradizionale?64
2.2 - Altri modelli e analisi: Etzioni, Likert e D’amico ........................................ 65
2.2.1 - Amitai Etzioni: le fonti di legittimazione ............................................... 65
2.2.2 Rensis Likert: Stili di leadership e linking pins....................................... 70
2.2.3 Renato D’amico: Management e Leadership ........................................ 75
CAPITOLO 3 - LEGITTIMAZIONE MORALE E LEADERSHIP ETICA ................. 78
3.1 – Legittimazione morale del leader .............................................................. 78
3.2 - La leadership etica e gestione delle risorse umane ................................... 81
3.3 – Le sette responsabilità manageriali verso l’interno dell’impresa ............... 88
BIBLIOGRAFIA ..................................................................................................... 91
SITOGRAFIA ........................................................................................................ 93
Capitolo 1
LA LEADERSHIP NELL’AZIENDA
1.1 - Introduzione: definizione di leadership e quadro concettuale
di riferimento
Prima di affrontare i vari modelli attraverso i quali possiamo proporci di leggere la
complessa fenomenica della leadership, converrà identificare alcune definizioni di
base anche al solo scopo di stabilire qualche convenzione di linguaggio. Per
quanto riguarda il termine leader, è facilmente realizzabile che si tratti di una
parola di provenienza inglese, di origine indoeuropea derivata dal verbo “to lead”,
condurre, guidare.
La piccola enciclopedia Hoepli del 1895 sottolinea una derivazione ippica: “leader
è il cavallo che si pone in testa nella gara e fa l’andatura”. Il suo significato è simile
dunque ad una delle possibili configurazioni della parola italiana “guida”, ovvero
“ciò che indirizza verso una meta determinata o suscita o provoca un determinato
effetto; ciò che indica il percorso da seguire; punto di riferimento; musa ispiratrice
(Grande Dizionario della lingua italiana, Utet)”. Ma se si scorrono più in dettaglio i
molteplici significati che la nostra parola “guida” può avere, si comprende come
mai la più specifica ed incisiva parola “leader” sia entrata nell’uso comune. Infatti,
la nostra parola “guida” può anche indicare un oggetto inanimato o astratto,
oppure una persona che ci conduce lungo un percorso. Ci si collega bene, su
questa base linguistico-etimologica, alle definizioni per così dire classiche di
“leader” che compaiono nella letteratura psicologica; esse sono riconducibili già
secondo English & English (1958) alle basilari seguenti:
1. Una persona che in un dato tempo e luogo modifica, dirige o controlla
mediante le proprie azioni, gli atteggiamenti o le azioni di uno o più seguaci.
Si tratta di una definizione che potremmo qualificare come descrittivorappresentativa;
2
2. Una persona che occupa un ufficio o una posizione tale da conferire ai suoi
consigli o comandi una certa autorità o un certo potenziale atto a controllare
il comportamento di un gruppo sociale; abbiamo a che fare con una
definizione di tipo situazionalista;
3. Una persona che possiede i tratti supposti necessari per la leadership.
Questi tratti vengono variamente definiti, tuttavia molte ricerche sembrano
indicare che non esistano tratti specifici di contrassegno della leadership. Si
tratta di una definizione che potremmo qualificare come personologica;
4. Sociometricamente parlando, si può definire il leader come la persona che
riceve il maggior numero di scelte sociometriche; questo significato può
essere indicato come statistico-strutturale.
Si è parlato fino a questo punto di leader con riferimento a persone fisiche dotate
di peculiari funzioni o compiti o capacità o responsabilità (più o meno definite che
siano). E’ tuttavia opportuno definire parimenti la leadership in quanto funzione;
almeno in prima istanza infatti si tratta di qualcosa che non è necessariamente o
sempre riferibile o legata ad una determinata persona fisica.
Anche per quanto riguarda la leadership sono rintracciabili a fondamento delle
molte esistenti alcune definizioni che possiamo considerare classiche. Per English
& English (1958) esse sono:
1. I tratti o le capacità caratteristiche dei leader o della funzione di conduzione.
Questo primo significato ignora la situazione come fattore determinante del
“chi” e del “come” guida e conduce, implicando che il leader sia
contrassegnato soltanto o prevalentemente dalle sue qualità intrinseche; si
tratta di una definizione chiaramente obliqua per non dire mistificatoria.
2. L’iniziazione, la direzione o il controllo delle azioni o degli atteggiamenti di
un’altra persona o gruppo, con la più o meno volontaria acquiescenza dei
seguaci; questo significato non implica che vi sia una categoria speciale di
persone che sono leader, né che speciali qualità o tipi di azione
conferiscano la leadership. Si tratta di una configurazione definitoria che è
3
libera da teoria; possiamo tuttavia inquadrarla e qualificarla come
funzionalista.
3. L’azione, qualunque essa sia, che influenza il gruppo nel perseguimento dei
suoi scopi; questo terzo significato appare come valutativo, e sembra
sottintendere che una leadership auto-centrata non è leadership autentica,
e che tutto si debba o si possa comunque ridurre ad un problema di
influenzamento, per di più ad una sola via. Si tratta in ogni caso di un tipo di
definizione
che
possiamo
qualificare
come
riduttivisticamente
e
comportamentivisticamente situazionalista.
A doverosa e interessante integrazione del testo di riferimento costituito
dall‘English & English (e a riprova della fondamentale esattezza della sintesi
significale in esso rappresentata) è utile riportare alcuni altri inquadramenti
definitori rintracciabili nella letteratura o da essa legittimamente ricavabili:
a) La leadership è l’attività volta ad influenzare le persone che si impegnano
volontariamente su obiettivi di gruppo (A. Etzioni, 1961)1.
b) L’influenza interpersonale esercitata da un principe in una determinata
situazione e rivolta in direzione del conseguimento di uno o più obiettivi
specifici (N. Machiavelli, 1513)2.
c) Il processo volto a influenzare le attività di un individuo o di un gruppo che
si impegna per il conseguimento di obiettivi in una determinata situazione
(P. Hersey e K. Blanchard, 1984)3.
d) La complessità dei processi psicologici che caratterizzano l’esercizio delle
funzioni di potere e di influenzamento nei gruppi (G. Trentini, 1980)4.
e) La leadership può essere riferita in senso lato alla relazione che corre tra un
individuo e un gruppo costituito intorno a un interesse comune, e che
ETZIONI A., “A comporative analysis of complex organization”, Free Press New York, 1961.
MACHIAVELLI N.,(1929), “Il Principe”, Le Monnier, Firenze.
3
BLANCHARD K., HERSEY P., (1984), “Lifecycle theory of leadership”, Training and development
journal, 23, pagg. 26-64.
4
TRENTINI G., (1990), “L’uno e i molti”, Milano.
1
2
4
induce a comportarsi secondo modalità dirette o comunque determinate
dall’individuo medesimo (K. Schmidt, 1933)5.
f) Il termine leader si riferisce alla persona che è stata eletta o incaricata o
che è emersa dal gruppo per dirigere e coordinare gli sforzi dei membri del
gruppo stesso in direzione di un dato scopo (F. Fiedler, 1987)6.
g) Una forma particolare di influenza. E’ quella in cui una persona (il leader)
influenza un altro o varie altre persone (i seguaci) disposti ad accettarne gli
scopi e le finalità, e a procedere tutti insieme nella direzione da lui indicata,
affermando la propria autorità grazie alla forza di convinzione (E. Jacques,
1990)7.
h) Il processo mediante il quale le attività dei membri di un gruppo sono
influenzate da una o più persone. Si tratta di un fenomeno di gruppo, indice
dello sviluppo, in senso sociale, secondo cui un individuo influenza gli altri
più di quanto non venga egli stesso influenzato. Le diverse modalità di
leadership si chiamano stili di leadership, cfr par. dedicato (E. Spaltro,
1981)8.
A livello di un primo commento è subito annotabile che le convenzioni definitorie
che abbiamo testé indicato come classiche sembrano propendere (pur in modo
non drastico) verso una impostazione prevalentemente personologica del
problema. In realtà le cose stanno o si pongono in modo diverso, come emerge
già dal riesame e dall’analisi accurata del saggio delle definizioni sopra riportate,
nonché dai dati delle ultime ricerche e riflessioni svolte nell’ambito delle discipline
interessate al problema. In proposito è anzi opportuno sistematizzare in una breve
panoramica le principali scuole di pensiero, cioè i principali orientamenti e punti di
vista teoretici adottati nell’affrontare la tematica della leadership.
Un comune rilievo emerge e attraversa tali correnti di pensiero (personologica,
interattiva e funzionale chi sia): esso riguarda ancora una volta la complessità che
SCHMIDT K., (1990), “Geschprach uber die Macht und den Zugang zum Machtaber”, Il Melangolo,
Genova.
6
FIEDLER F., ( 1987), “Leadership experience and leadership performance”, Wiley, New York.
5
7
8
JACQUES E., (1990), “A general theory of burocracy”, Hienaman London.
SPALTRO E., (1981), “Gruppi e cambiamento”, Etas Libri, Milano.
5
comunque interviene a questo livello dell’analisi del tema. Per fortuna si tratta di
una complessità che è anche riconducibile all’articolarsi di due soli e grandi
schieramenti, separati da un interessante antico spartiacque: quello del primato da
conferire all’individuo oppure al sociale. Si ritorna sempre al punto cruciale. Si nota
infatti l’esistenza nella considerazione teoretica della nostra problematica, dei due
seguenti versanti:

Il versante portato sulla fenomenologia psico-sociale, centrato sulla vita del
gruppo nella sua globalità e sulla sua conduzione o guida, nelle vicissitudini
situazionali che lo riguardano all’interno e all’esterno. Rientra in tale
versante anche ogni accenno o tentativo di analisi istituzionale di una
dinamica generale o speciale della leadership.

Il versante portato dalla fenomenologia individualista, centrato sulla vita e la
personologia del leader, sui suoi tratti e sulle sue attitudini e capacità più o
meno carismaticamente caricate. Rientrano in tale versante anche le
centrature sul comportamento del leader, così come quelle riguardanti le
vicissitudini della vita soggettiva ed intersoggettiva del leader.
Da almeno cinquant’anni, la considerazione della fenomenologia psico-sociale
(genericamente
sopravanzare
indicabile
quella
della
come
situazionista)
fenomenologia
ha
teso
individualista,
a
gradualmente
quantomeno
nel
richiamare la considerazione degli studiosi. A. Bryman9 ha tentato di
schematizzare tale evoluzione in una tavola (vedi Tabella 1), mirando a
semplificare storicamente il percorso. Ma, come abbiamo potuto vedere già fino a
questo punto, il caso è più complesso di quanto appaia a prima vista. Quanto al
sopra citato spartiacque, potrebbe venir pensato che esso tenda a coincidere con
il pur incerto confine tra natura e cultura, cioè con l’antica “vexata questio” se
leader si nasca o si diventi. Ma anche qui le cose non stanno proprio in modo così
semplice: sul versante psicologico-sociale, infatti, la fenomenologia della
leadership ripete puntualmente quella sintesi dinamica di natura e cultura che è
9
BRYMAN A., (1992), “Charisma and leadership in organizations”, Sage, Londra.
6
rintracciabile in ogni agire dell’essere umano in un dato ambito o società di altri
esseri umani; sul versante personologico-individualistico il riscontro è analogo:
basti ricordare che tutti i tratti caratteriologici e tutte le attitudini e capacità
derivano, perfino costituzionalmente, sia dal genotipo che dal fenotipo e per
questa duplice strada, in modo articolato e complesso, vengono trasmessi nonché
addestrati e affinati: la natura non rifiuta e non respinge certo la cultura e
viceversa. Ancora una volta, quindi, tra il determinismo genetico ed il
determinismo sociale l’unica scelta vera e possibile è quella di una connessione e
intersezione tra le due parti, all’insegna della complessità, e cioè all’insegna della
ragione del Bios, della biologia profondamente e propriamente intesa.
7
Tabella 1 - Tendenze nelle teorie e nelle ricerche sulla leadership secondo A.
Bryman
Denominazione
Periodo
Tipo di approccio
Fulcro di base
(secondo G.
Trentini)
Fino agli (ultimi)
Approccio basato
La capacità di
Orientamenti
anni ‘40
sui “tratti”
leadership è innata
personologici
L’efficienza della
Dagli ultimi anni
’40 agli ultimi anni
‘60
Approccio basato
sugli “stili”
leadership ha a
che fare con il
comportamento del
Orientamenti
interattivi
leader
In questo caso
Dagli ultimi anni
’60 ai primi anni
‘80
dipende: la
Approccio basato
leadership
Orientamenti
sulla “contingenza”
efficiente è
funzionalisti
determinata dalla
situazione
Approccio basato
Dai primi anni ’80
in poi
Nuovo
sulla nuova
I leader devono
funzionalismo
leadership
possedere la
(attenzione a certe
(includente anche
“vision”
valenze
quella carismatica)
personologiche)
Continuando e tirando le fila del discorso sul significato che la dottrina
organizzativo-sociologica ha tentato di attribuire alla nozione di leadership, è utile
analizzare ciò che, per esempio, Bernard Bass10 nel proprio manuale
sull’argomento propone come soluzioni alla questione. Egli elenca undici categorie
10
BASS B.M., (1981), “Stogdills handbook of leadership”, Free Press, New York.
8
di significati attribuiti alla leadership nel corso dell'ultimo secolo, che possono
essere considerate un compiuto sunto di tutte le diverse correnti di pensiero:
1. Leadership come focus della dinamica di gruppo: il leader viene visto
da alcuni autori come protagonista, punto di polarizzazione, centro focale di
gruppo. La tendenza che si riscontra in queste prospettive di studio è di
considerare il concetto di leadership strettamente legato a quello di struttura
e dinamica di gruppo stesso;
2. Leadership come personalità e suoi effetti: questa definizione fa parte
della teoria dei tratti secondo la quale si devono ricercare le caratteristiche
che rendono alcune persone più capaci di altre nell'esercitare la leadership.
Gli studiosi ricercano una definizione che descriva più le caratteristiche che
il leader deve possedere per essere tale, piuttosto che una spiegazione
gnoseologica del termine leadership;
3. Leadership come l'arte di indurre il consenso: la leadership è definita
come l'abilità di manipolare le persone così da ottenerne il meglio con i
minimi contrasti e la massima cooperazione attraverso il contatto face-toface tra leader e subordinati; viene quindi vista come un esercizio di
influenza unidirezionale, e pertanto sia il gruppo che i suoi membri vengono
messi in secondo piano e considerati alla stregua di meri soggetti passivi;
4. Leadership come esercizio dell'influenza: l'utilizzo del concetto di
influenza segna un passo decisivo nell'astrazione del concetto di
leadership; gran parte degli studiosi che operarono già negli anni '50
utilizzarono definizioni affini. Il concetto di influenza implica una relazione
reciproca tra individui, non necessariamente caratterizzata da dominio,
controllo o induzione del consenso da parte del leader;
5. Leadership come comportamento: questa definizione, caratteristica
dell'Organizational Behavior, emerse nello stesso periodo della precedente;
i ricercatori cercarono di spiegare quali fossero gli atti e i comportamenti
caratteristici dell'esercizio della leadership, ovvero quelli propri di un
individuo orientato alle attività di gruppo;
6. Leadership come forma di persuasione: è un tipo di definizione che
cerca di rimuovere ogni implicazione alla coercizione, focalizzando invece
9
l'attenzione alla relazione con i seguaci. Più recentemente la strategia
persuasiva è stata indicata come una delle modalità principali di leadership;
7. Leadership come relazione di potere: per spiegare questo tipo di
affermazione, gran parte degli studiosi che l'hanno adottata hanno utilizzato
due soggetti di riferimento, A e B, simulando tra loro relazioni di potere; se
A induce B ad attuare dei comportamenti per raggiungere un comune
obiettivo, allora si può affermare che A ha esercitato leadership su B;
8. Leadership come strumento per raggiungere l'obiettivo: quest'idea è
comune a molti studiosi che l'hanno inclusa nelle proprie definizioni, ma
alcuni più di altri hanno centrato la loro sul raggiungimento dell'obiettivo;
questi studiosi considerano la leadership come forza principale per
stimolare, motivare e coordinare coloro i quali si muovono per raggiungere
un obiettivo comune;
9. Leadership come fattore emergente dell'interazione: ciò che differenzia
questa affermazione dalle precedenti è il nesso di causalità; in questa si
nota che la leadership viene considerata un effetto dell'azione del gruppo e
non più un suo elemento formante. La sua importanza sta nell'aver messo
in evidenza che la leadership emerge dal processo di interazione tra
individui, e non avrebbe ragione di esistere senza di esso;
10. Leadership come ruolo di differenziazione: tale definizione fa parte della
teoria dei ruoli, secondo la quale ogni individuo interagendo con altre
persone o con un gruppo gioca un ruolo, solitamente diverso, dagli altri
individui. Diversi autori utilizzano definizioni che vedono nella leadership un
attributo che differenzia i membri all'interno di un gruppo;
11. Leadership come l'iniziazione di una struttura: con questa affermazione
si vuole intendere che la funzione di leadership è indispensabile per l'avvio
di una struttura e per il suo mantenimento e perseguimento di obiettivi nel
tempo.
A chiusura di questa trattazione, ci sentiamo di fare nostra un’unica e breve
definizione del significato del concetto di leadership come oggi appare più
aderente al contesto socio-economico; si può pertanto definire la leadership come
“una forma di problem solving organizzativo, che mira a raggiungere gli obiettivi
10
dell’organizzazione attraverso l’influenza sull’azione altrui”. Questa definizione
permette di calarsi in maniera più coerente nel quadro aziendalista, che in questa
sede assume maggior peso e rilievo; si noti però come racchiuda in sé i recenti
sviluppi funzionalistici, e le più profonde caratterizzazioni del leader nell’ottica
dell’impresa.
1.2 - La leadership nell’impresa
L'impresa è costantemente costretta a cambiare e adeguarsi alle trasformazioni
del mercato, ma, oggi, come nel passato, sono ancora poche le persone in grado
di modificare in modo significativo l'impresa. Queste persone possono essere
definite con l'espressione di leadership aziendale.
Ogni nuova idea nasce, generalmente, dal pensiero di un uomo ed è per questo
che, in un'epoca caratterizzata dalla creatività, la leadership assume un ruolo
ancora più importante che nel passato; il leader deve possedere una visione del
"mondo" tale, che gli consenta di vedere più avanti degli altri e di conseguenza di
agire in anticipo sui tempi.
Ogni impresa eccellente mira al raggiungimento di un ruolo di preminenza nei rami
di attività in cui opera; alla leadership spetta il compito di incubare, stimolare,
sostenere, conquistare questo obiettivo.
Per il conseguimento di questo target, la leadership deve metabolizzare una serie
di "valori":
 Possedere la vision mirata al raggiungimento del successo dell'impresa.
 Essere elemento trainante ed esempio per i collaboratori.
 Essere creativa.
 Essere in grado di determinare processi di cambiamento nell'impresa
finalizzati al coinvolgimento degli stakeholder.
 Riuscire a creare valore per l'impresa.
11
 Essere in grado di valutare lo stato di salute dell'impresa non tanto e non
solo dagli indicatori economico-finanziari, ma da indicatori di natura
intangibile o da segnali provenienti dal mercato e dall'impresa.
Spesso i manager, in particolare quelli delle grandi aziende, si attribuiscono
l'etichetta di leadership aziendale. Ma la leadership è cosa diversa dal
management.
Leadership e management sono due funzioni aziendali distinte e complementari,
entrambe necessarie per il successo della grande, come della piccola impresa. Al
management è affidata la gestione della complessità, alla leadership è affidato il
cambiamento; oggi in piena transizione dalla "vecchia" alla "nuova" economia la
maggior parte delle aziende di tutti i paesi industrializzati soffre di eccesso di
management e di carenza di leadership, conseguentemente ne risultano gravi
difficoltà nel gestire il cambiamento.
D'altra parte un lavoro svolto presso l'Mit ha mostrato che su 280 aziende
statunitensi di successo prese in considerazione, solo tre sono state in grado di
mantenere una posizione di preminenza di mercato per più di 18 anni; la causa del
decadimento è stato attribuita alla incapacità al cambiamento mostrato da tali
aziende.
Circa la longevità di un'impresa esistono punti di eccellenza, che vanno citati. La
Dupont, impresa nata ben duecento anni fa per la produzione della polvere da
sparo, nel 1920 era uno dei principali azionisti della General Motors e oggi è
essenzialmente un'impresa chimica.
La General Electric, che è oggi il maggiore gruppo industriale del pianeta, alla sua
nascita realizzava lampadine e trasformatori, dopo la seconda guerra mondiale
produceva centrali termiche, reattori nucleari, impianti, treni ed elettrodomestici,
oggi ricava la maggior parte dei suoi utili da attività di servizio nel campo della
finanza e dell'affitto di aeromobili a gran parte delle compagnie aeree del mondo.
La direzione di un'impresa comprende management e leadership, funzioni diverse
e complementari (Hinterhuber, 1999) le cui differenze possono essere così
riassunte.
12
La leadership:
 Scopre nuove opportunità e gli strumenti per attuarle o farle attuare.
 Crea nuovi paradigmi.
 Considera normale lavorare per breakthroughs.
 E' orientata alla creatività.
 E' in grado di cambiare radicalmente il sistema dell'impresa.
 Ha grande rispetto per le persone.
 E' in grado di motivare i collaboratori in modo da porli nelle condizioni di
fornire prestazioni di spicco.
 La sua autorevolezza deriva dalla condivisione della vision, della mission,
delle strategie e degli
atteggiamenti da parte dei collaboratori.
 Ha metabolizzato l'atteggiamento del servire.
 Pensa in modo pro-attivo.
 Sfugge all'identificazione (in un ruolo, ad esempio), mediante l'autoosservazione: vede dall'esterno il suo comportamento e lo adegua alle
necessità poste dagli eventi esterni.
Dai punti sopra elencati si evince che il compito più significativo che compete alla
leadership è attivare nel sistema aziendale salti qualitativi, che possano condurre
a vere e proprie rivoluzioni organizzative nell'impresa. Per ottenere questi obiettivi,
che potrebbero trovare ostacoli proprio tra i collaboratori, la leadership dovrebbe
agire facendo riferimento ai seguenti comportamenti (Kotter,1999):
1. Creare il senso dell'urgenza.
2. Attivare un gruppo di lavoro abbastanza autorevole.
3. Creare una vision adeguata e stimolante, capace di creare il consenso.
4. Comunicare la vision in modo chiaro.
5. Conferire ai collaboratori ampie responsabilità decisionali.
6. Cercare risultati positivi sul breve tempo, in modo da convincere gli scettici.
7. Affrontare i punti più delicati del cambiamento con slancio.
13
8. Incorporare nella cultura aziendale i nuovi comportamenti assunti per la
gestione del cambiamento.
Il management:
 Trova soluzioni ai problemi.
 Lavora all'interno di paradigmi definiti e accettati.
 Opera per cambiamenti incrementali.
 Adotta metodi e tecniche per porre cose e persone al posto giusto e al
momento giusto.
 Usa l'uomo come risorsa per conseguire degli obiettivi.
 La sua autorità deriva dalla posizione gerarchica e dalla competenza
specialistica.
 Ha metabolizzato l'atteggiamento del fare.
 Pensa in funzione dell'agire.
 E' orientato all'identificazione (in un ruolo ad esempio).
Da quanto detto la distinzione tra leadership e management non è né arbitraria né
semantica, è, all'opposto, molto forte.
Quelle aziende che confondono la leadership con il management saranno in grado
di gestire i piccoli miglioramenti incrementali, ma non saranno in grado di
introdurre modifiche di ampio respiro, quei breakthroughs, che possono consentire
di cogliere l'occasione di un nuovo business ed evitare il declino.
D'altra parte, i nuovi paradigmi della gestione d'impresa, impongono al manager,
pur riservandogli una funzione diversa da quella della leadership, la necessità di
una cultura maggiormente imprenditoriale; se non avviene questo cambiamento i
manager possono diventare l'anello debole delle imprese e fisiologicamente
essere estromessi ad ogni riorganizzazione aziendale o ad ogni mutamento del
business.
Ma spesso il cambiamento è stato affidato a manager, privi delle qualità della
leadership. Le ragioni dell'insuccesso di un cambiamento organizzativo possono
essere le seguenti (Kotter, 1999):
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1. Non aver creato un senso di urgenza sufficientemente forte.
2. Non aver creato un gruppo sufficientemente motivato e autorevole per la
gestione del processo.
3. La mancanza di una vision sufficientemente lungimirante, efficace e
comprensiva.
4. Non aver comunicato la vision in modo adeguato.
5. Non aver rimosso gli ostacoli che intralciano la nuova vision.
6. Non aver creato condizioni di successo sul breve termine.
7. Aver cantato vittoria troppo presto.
8. Non aver incorporato i cambiamenti nella cultura d'impresa.
Giova notare che, secondo il lessico convenzionale, esistono due tipi di leadership
che operano secondo due diversi paradigmi.
In base al primo paradigma, il leader è spinto da un'enorme energia, indica una
direzione chiara e i suoi collaboratori lo seguono come un eroe per raggiungere
l'obiettivo indicato.
Il secondo paradigma vede il leader come un saggio e gli elementi centrali che
creano il rapporto con i collaboratori sono la fiducia, l'atteggiamento orientato al
servizio, l'affiatamento, l'empatia.
I due paradigmi sembra che non possano convivere, ma essi potrebbero
rappresentare le due facce della leadership, da presentare in occasioni diverse
della vita dell'impresa, la prima quando è necessaria l'azione, la seconda quando
è necessario elaborare una strategia.
La leadership, come vedremo meglio, deve individuare e stabilire rapporti con tutti
i soggetti che possono contribuire alla crescita di valore dell'impresa o che,
indirettamente, hanno rapporti con l'impresa, ma un'attenzione particolare essa
dovrà avere con i propri collaboratori e con i clienti.
15
1.4 - La leadership e lo stile con cui è condotta
Alla luce di quanto è stato precedentemente enunciato è possibile affermare che
la capacità di svolgere compiti di coordinamento all’interno del gruppo si identifica
con il ruolo di guida del gruppo medesimo. Se tale capacità si manifesta in modo
continuativo essa costituisce una indispensabile premessa per l’attribuzione della
leadership a colui che la dimostra e la esercita.
La leadership è quindi una qualità, una dote che costituisce non solo un fattore di
apprezzamento per l’individuo, ma anche una risorsa preziosa per il gruppo.
Avviene solitamente che uno o più membri di una organizzazione ritengano
importante impegnarsi nella ricerca di una qualche influenza su altri membri; ciò
significa effettuare tentativi di esercizio di autorità. Qualora questi tentativi siano
coronati da successo e vengano ripetuti nel tempo, essi possono in realtà
conferire la leadership a colui che ne è risultato protagonista.
Il tipo e la consistenza dell’impegno profuso dagli appartenenti al gruppo
organizzato dipende in buona parte anche dalla posizione coperta originariamente
da ciascuno di essi. Infatti, nella generalità dei casi il ruolo di capo è attribuito
formalmente con un atto di investitura, spesso anche da individui o organismi
estranei alle operazioni sviluppate nel sistema. Per quanto il leader formale non
dimostri qualità sufficienti ad esercitare la guida del gruppo, è probabile che gli altri
membri non ritengano opportuno o conveniente cercare di opporsi all’autorità
precostituita, limitandosi ad uniformarsi alle disposizioni impartite da questa ultima;
la conseguenza di ciò è la crescente deresponsabilizzazione dei collaboratori del
capo, il quale difficilmente otterrà un riconoscimento sostanziale del proprio ruolo.
Di contro può accadere che lo stesso capo investito e non immediatamente
accettato si adoperi nello sviluppare bene il proprio compito per acquisire
consenso e prestigio. E’ pure possibile che la ricerca del consenso avvenga da
parte di coloro che, pur rivestendo ruoli di subordinati, mostrino qualità tali da farli
ritenere meritevoli di posizioni di livello gerarchicamente superiore.
È necessario,quindi, porre un’importante distinzione tra due concetti spesso
imprecisi nella letteratura sull’argomento: la leadership formale, che viene spesso
associata al leader imposto dall’esterno, nella psicologia del lavoro al manager, e
16
la leadership informale, derivante dall’interno del gruppo; tale distinzione
corrisponde, al limite, a quella che corre tra leader imposto dall'esterno (il
"sergente" della oleografia popolare) e il leader espresso dall'interno del gruppo (il
"profeta " o "guru" trascinatore). È possibile distinguere, in lingua inglese, la
leadership (che viene intesa come capacità di influenzare) dalla headship
(“capacità", saper essere a capo di, funzionare da "duce" di qualcosa).
Inoltre, occorre sottolineare che quando si parla di leadership ci si rende conto che
spesso l’influenza scaturita dai grandi leader non deriva dal diretto contatto con
esso, ma avviene attraverso alcuni intermediari. È necessario dunque porre una
chiara distinzione tra leadership diretta, che comprende le relazioni e le interazioni
fra un leader riconosciuto e i suoi immediati collaboratori e la leadership indiretta
detta anche leadership “a distanza”, che consiste nell’influenza di un leader
riconosciuto su persone che non sono subordinate direttamente a lui/lei.
In genere si può affermare che la leadership, per essere realmente acquisita, ha
bisogno di svilupparsi gradualmente attraverso un processo che conferisca al
soggetto interessato due essenziali strumenti operativi da far valere alla guida del
comportamento del gruppo. Nello specifico ci riferiamo a:

La capacità di collegare tra loro dati ed informazioni per costruire soluzioni
idonee all’esercizio di tale guida;

La padronanza di strumenti di persuasione e di comunicazione utilizzando
messaggi rivolti ai soggetti appartenenti al gruppo medesimo.
Gli studi psicologici hanno dimostrato che la personalità e le caratteristiche
comportamentali di un individuo sono determinate dai processi di apprendimento a
cui egli, nel proprio contesto sociale, è stato sottoposto durante l’intero arco di vita.
Da ciò, le disposizioni della personalità sono parte intima di un individuo
mostrando una certa stabilità nel tempo e nelle situazioni. Tuttavia, le disposizioni
della personalità non risultano immutabili, infatti possono cambiare come risultato
di un nuovo processo di apprendimento. Conoscere le differenti disposizioni della
personalità è una delle caratteristiche fondamentali di un leader in ambito
aziendale o progettuale, in quanto aiuta ad analizzare le proprie caratteristiche
17
personali e quelle dei propri colleghi o collaboratori, individuando punti di forza, di
debolezza e il potenziale che ognuno è in grado di esprimere. Essere in grado di
distinguere fra disposizione performance-oriented, sociale, cognitiva, disposizione
al potere e al cambiamento, è la base per capire in quali situazioni il talento e il
potenziale possono esprimersi liberamente. Se la personalità è in armonia con le
attività professionali, gli obiettivi e i desideri personali saranno soddisfatti e il
successo arriverà automaticamente. La comprensione delle disposizioni di
personalità aiuta a comprendere il modello comportamentale altrui, migliorando le
relazioni
interpersonali,
creando
le
condizioni
ottimali
per
un’efficace
collaborazione reciproca, per utilizzare la propria energia dove sarà più efficace,
per riconoscere le potenziali aree di conflitto con altre persone minimizzandole e
per creare l’ambiente professionale più proficuo per il successo.
I fattori di successo di un’unità organizzativa sono motivati da un sistema culturale
che ne determina struttura, equilibri interni e interazioni. I valori e le attitudini di
leader e collaboratori sono i fattori chiave di successo dell’unità organizzativa. La
cultura aziendale determina i comportamenti di leader e collaboratori, ma i
collaboratori e i leader costruiscono la cultura aziendale in un lungo arco
temporale. In ogni struttura sociale è naturale che chi ha poteri decisionali eserciti
particolari influenze sui valori, i ruoli e i comportamenti aziendali. In questo senso,
lo stile o la cultura di leadership influenza la cultura aziendale. La leadership
diventa efficace quando stile di leadership e valori aziendali sono allineati, ovvero
quando la leadership è compatibile con i valori aziendali percepiti e non sussistono
conflitti di valori fra le gerarchie.
La leadership può trarre fondamento da doti innate presenti nell’individuo,
derivanti da fattori caratteriali, sviluppati pure a seguito dell’assimilazione di valori
culturali appresi dal proprio gruppo originario di appartenenza. Si parla in
proposito, quindi, di qualità carismatiche che esprimono, all’interno di un contesto
organizzato, salienti differenze coerenti con la ricordata autorità di prestigio.
Tutto ciò porta a definire alcune qualità o requisiti che dovrebbero in ogni caso
essere presenti in coloro ai quali si ritiene opportuno attribuire il ruolo di leader.
Fra tali qualità possiamo sommariamente annoverare:
18
1. Elementi che contraddistinguono tratti della persona, quali l’aspetto ed il
comportamento abituale, che inducono la considerazione ed il rispetto
altrui. Si possono così attribuire sinteticamente all’individuo il caratteri di
predicatore – catalizzatore o quello di persuasore – dominatore;
2. Capacità di percepire e di gestire il cambiamento, nonché di modificare i
punti di riferimento del proprio gruppo. Il leader deve saper cogliere
tempestivamente i mutamenti strutturali dell’ambiente, capaci di provocare
trasformazioni nei valori culturali accettati dal gruppo di riferimento;
3. Coerenza con le caratteristiche dei seguaci. La capacità di guidare il
comportamento dei membri del gruppo dipende anche dalle caratteristiche
di questi ultimi; difatti il rapporto di leadership è caratterizzato dalla
biunivocità, dove la collaborazione è elemento essenziale per il
raggiungimento delle proprie prerogative;
4. Capacità di sviluppare azioni organizzative coerenti con le proprie idee
innovative e con i cambiamenti culturali sollecitati nei propri collaboratori;
5. Capacità di esprimere e trasmettere idee di successo per le proprie
iniziative. L’azione del leader per essere efficace ha bisogno di basarsi sulle
esperienze positive di risultati già conseguiti in passato.
Alcuni autori11 sostengono che i leader posseggano l’intelligenza emotiva, termine
omnicomprensivo utilizzato per indicare quei tratti della personalità che
condizionano il nostro modo di percepire gli altri e gli eventi esterni, e che
determinano il modo in cui gli altri si relazionano a noi. È la modalità di
elaborazione delle informazioni interpersonali e intrapersonali, ovvero la
consapevolezza e l’abilità di gestire la comunicazione fra le persone e con se
stesso. L’intelligenza emotiva si suddivide in cinque domini: consapevolezza,
automotivazione, autodisciplina, competenza sociale ed empatia.
La consapevolezza è la capacità di un individuo di percepire, comprendere e
accettare il proprio carattere, i propri valori e le proprie necessità e la capacità di
11
STUCCHI G, (2008), “Leadership, modelli e comportamenti”.
19
comprendere come questi influiscono sugli altri; induce all’armonia, all’autostima e
alla fiducia in se stessi.
L’automotivazione è l’entusiasmo per il proprio lavoro, quindi è la capacità di
trovare individualmente stimoli nella propria attività senza bisogno di incentivi. I
fattori chiave dell’automotivazione sono la desiderabilità e la realizzabilità. La
desiderabilità di un obiettivo è data dai benefici attesi sia nell’immediato che nel
lungo termine e dalla probabilità di raggiungere l’obiettivo; la realizzabilità è data
dal grado in cui le proprie azioni possono contribuire al raggiungimento
dell’obiettivo.
L’autodisciplina è la capacità di darsi regole e metodo per esercitare il proprio
lavoro in modo autonomo e indipendente; ogni individuo dovrebbe sentirsi capace
di realizzare i propri desideri e i propri obiettivi senza sentire il peso oppressivo di
fattori esterni.è
La competenza sociale è la capacità di stabilire e sostenere relazioni
interpersonali soddisfacenti e quindi si riferisce alle capacità della persona di
adattare il proprio comportamento dal livello individuale a quello sociale. Questo è
il tipo di competenza caratteristico dei leader nel contesto aziendale, in quanto
descrive la capacità di creare e mantenere uno spirito di gruppo, la motivazione
alla collaborazione e al raggiungimento di un obiettivo comune.
L’empatia è la capacità di un individuo di immaginare se stesso nella situazione
altrui per capire lo stato emotivo e le motivazioni di un’altra persona. Avere un
comportamento empatico significa anche reagire a fattori personali esterni in
modo appropriato.
I domini dell’intelligenza emotiva si concentrano in quattro disposizioni di
personalità con tratti caratteristici molto netti e distinti, fattori motivazionali e
tendenze
comportamentali
peculiari.
Queste
disposizioni
sono
riassunte
brevemente nei profili DISC (Dominante, Influente, Steady, Cauto), di cui la
Tabella 2 delinea, a grandi linee, le caratteristiche riassuntive.
20
Tabella 2 - Profili DISC
La leadership non deve essere intesa come una prerogativa “naturale”, bensì
come una posizione da conquistare attraverso un impegno consapevole e
prolungato nel tempo di individui che intendono ottenere consenso e prestigio nel
sistema di impresa. Inoltre tale posizione deve essere alleggerita di quei fattori
legati all’apparenza e alle capacità “magnetiche” dell’individuo, traducibili nel
cosiddetto carisma.
Tutto ciò consente di concentrare l’attenzione su alcune principali attitudini che il
leader dovrebbe sviluppare attraverso ogni possibile forma di apprendimento.
Nello specifico intendiamo in questo contesto riferirci a:
a) Attitudine a collegare realisticamente obiettivi da raggiungere e mezzi da
utilizzare. La principale dote del leader sarà quella di sintetizzare in specifici
21
piani operativi direttive che ottengano il consenso e la condivisione del
gruppo;
b) Capacità di esprimere fiducia nelle potenzialità del gruppo, trasmettendo ai
propri collaboratori messaggi ottimistici circa le attese dei risultati delle
azioni da intraprendere. La carica di fiducia e di entusiasmo che egli palesa
riguardo al successo realizzabile dal proprio gruppo può facilmente
trasmettersi a tutti i componenti interessati dal piano di azione, stimolando
una condivisione e una partecipazione sentite e generalizzate. Lo
scetticismo, la sfiducia e l’indifferenza del leader sono negatività assai
contagiose e provocano atteggiamenti di incertezza anche sui collaboratori
più motivati.
c) Idoneità a realizzare concretamente le azioni programmate. Il leader non
deve essere tentato da atteggiamenti di prudente attesa, esponendosi al
rischio insito nella “inazione”. E’ opportuno che si confronti di continuo con i
problemi di varia natura capaci di ostacolare l’inizio o la regolare
prosecuzione dell’azione, contrastando atteggiamenti di indifferenza e di
opposizione attiva sviluppati all’interno o all’esterno del proprio gruppo.
La leadership vera e propria non può essere conferita; non più di quanto possa
esserlo l’autorità.
Un dirigente che debba essere costantemente pressato all’azione perde
gradatamente la sua leadership a vantaggio di colui che lo stimola. Un vero leader
non aspetta che un problema gli venga sottoposto, non si adagia lasciando che le
cose vadano per loro conto, ne spera che qualcun altro dia l’avvio alle iniziative
necessarie. Al contrario, egli si dà da fare e va alla ricerca dei problemi da
risolvere. Egli è, in sostanza, un riformatore.
1.5 - Stili di leadership
La leadership è la combinazione di comportamenti individuali nell’esercitare
particolari ruoli e funzioni atti alla pianificazione, ai processi di decision-making,
all’implementazione e al controllo all’interno di un’organizzazione. Leadership
22
significa esercitare un’influenza deliberata sull’ambiente circostante, in particolare
sui collaboratori, al fine di raggiungere un obiettivo specifico. Tuttavia, la
leadership non esiste in modo isolato, è influenzata da fattori intrinseci quali la
cultura aziendale prevalente e la strategia aziendale, o esterni quali gli standard
sociali. Le attitudini fondamentali e personali di un leader influenzano il suo stile di
leadership.
La classificazione più nota è quella elaborata da KURT Lewin che distingue:
 Lo stile autoritario è caratteristico di coloro che confidano sulla propria
funzione gerarchica e che richiedono rigida subordinazione; questi leader si
ritengono i soli intitolati a prendere decisioni e si rivolgono ai collaboratori
con istruzioni e ordini. La conseguenza di questo stile è la mancanza di
fiducia reciproca, l’instaurarsi di tensioni e conflitti. I gruppi guidati da leader
autoritari mostrano di solito un'elevata produttività, che tende però a crollare
in assenza del leader ; inoltre presentano un clima emotivo solitamente
sgradevole. Si può far rientrare in questa categoria anche lo stile
persuasivo, definito successivamente da altri autori, nel quale il leader
tende a spiegare le motivazioni delle decisioni prese, per farle accettare
meglio ai collaboratori.
 Lo stile cooperativo riguarda quei leader che coinvolgono i collaboratori
nei processi decisionali, consentono agli altri di fare proposte per poi
scegliere l’opzione più adeguata, riconoscono le capacità dei collaboratori
usandone le competenze e i punti di forza in modo adeguato, e condividono
gli obiettivi e le modalità di conseguimento con i collaboratori. Il leader
cooperativo interviene in caso di deviazioni dagli obiettivi o quando
percepisce che questi non possano essere raggiunti e cerca il contatto
diretto e personale con i collaboratori. In seno al gruppo prevale un clima di
mutuo rispetto e l’atmosfera è rilassata e informale.
 Lo stile democratico è tipico dei leader che trattano i collaboratori come
propri pari, malgrado differenze di funzione, competenze, età. Costoro si
focalizzano
sul
potenziale
del
collaboratore
massimizzandone
la
produttività. I processi decisionali sono collegiali, sia il leader che i
23
collaboratori prendono le proprie decisioni condividendo un senso comune
di responsabilità. Questa responsabilizzazione induce il collaboratore a
lavorare con impegno anche quando il leader è assente. I gruppi guidati da
leader democratici mostrano di solito una bassa produttività iniziale che
tende però a crescere; inoltre il gruppo lavora anche in assenza del leader
e il clima emozionale tende ad essere piacevole;

Lo stile “laissez-faire” è quello del leader che ha scarso interesse alle
necessità dei collaboratori o al raggiungimento di obiettivi; si mostra ai
collaboratori soltanto in caso di assoluta necessità, delega i controlli ad altri
collaboratori o ad altri leader. In questo modo la cooperazione risulta
difficoltosa e inefficiente, il leader perde parte del suo ruolo e si formano
sottogruppi con leader informali. I gruppi guidati da un leader laissez-faire
tendono a presentare un clima emozionale molto piacevole ma anche
scarsa produttività.
Gli stili di leadership12 che possono essere messi in opera variano da leader a
leader e da situazione a situazione. Il suddetto stile di guida può avere come
estremi l’essere “incentrato sul leader” o l’essere “incentrato sul gruppo”; ciò
dipende dalla misura in cui il leader condivide o meno con i propri collaboratori il
controllo del gruppo stesso.
Alcuni affermano che ci sia un momento opportuno per ognuno di questi cinque
stili. L’orientamento verso uno stile “incentrato sul leader” tuttavia, sarebbe
normalmente appropriato solo quando il gruppo manca della maturità e della
comprensione necessaria per prendere buone decisioni, o forse anche in una
situazione di crisi aziendale o decisionale.
I cinque stili di leadership più comunemente attuati nei vari contesti operativi
possono essere riassunti nelle seguenti macrocategorie:
1. Prescrivere: il leader identifica i problemi, considera le possibili soluzioni,
sceglie la più appropriata e indica ai suoi seguaci come comportarsi nel suo
perseguimento. Il leader può prendere in considerazione le opinioni dei
12
SPALTRO E., “Culture di coppia, di gruppo, di collettivo”, in Psciologia Sociale, Boringhieri, Torino.
24
membri, ma essi non partecipano direttamente nelle decisioni, e pertanto
accentra su di sé sia le procedure di “problem solving” che di “decision
making”.
2. Convincere: il leader prende delle decisioni in autonomia e tenta di
persuadere i membri del gruppo ad accettarle ed a supportarle. Un leader
che usi questo stile può, nel processo comunicativo, evidenziare di aver
considerato sia gli obiettivi dell’organizzazione che gli interessi dei membri
del gruppo, indicando come in qualunque caso il gruppo stesso trarrà
beneficio dalla decisione presa.
3. Consultare: imembri del gruppo hanno l’opportunità di influenzare il
processo decisionale sin dal suo inizio. Il leader che usa questo stile in
prima istanza presenta dettagliatamente la problematica e fornisce tutte le
informazioni necessarie per avere un corretto feedback dai collaboratori.
Egli poi invita il gruppo a suggerire possibili piani d’azione e una volta
concluso questo processo di “brain storming” individua le soluzioni più
interessanti e ad alto potenziale di “rewarding”.
4. Partecipare: il leader decide di partecipare alla discussione sulla
problematica oggetto di analisi come se fosse un comune membro del
gruppo, concordando in anticipo di condividere e perorare qualsiasi
decisione venga successivamente presa e concordata.
5. Delegare: il leader definisce i confini all’interno dei quali risolvere i problemi
o portare a termine la missione prefissata. A quel punto lascia che sia il
gruppo in completa autonomia a trovare le soluzioni e portare avanti il
lavoro così come deliberato.
E’ tuttavia necessario ricordare come nessuno di questi cinque stili sia giusto o
sbagliato in sé, e che pertanto ognuno deve essere valutato criticamente.
In campo militare, ad esempio, l’imposizione ai soldati della decisione sul da farsi
senza il minimo margine di discussione si rivela la soluzione ottimale. Questo di
solito accade quando è evidente il bisogno urgente di prendere decisioni. Tuttavia,
in circostanze normali, il leader che lavora con un gruppo deve saper discernere
25
quando ogni stile di leadership sia più appropriato, e maturare la capacità di usare,
quando è necessario, nuovi registri comportamentali.
1.6 - I compiti della leadership
Una volta definita e inquadrato compiutamente il concetto di leadership, è
opportuno analizzare una serie di compiti che competono alla leadership, e che
come si potrà subito intuire mal si conciliano con la gestione ordinaria dell’azienda.
In un circolo virtuoso, quanto più un imprenditore si libera di impegni operativi
affidandoli a collaboratori responsabilizzati, tanto più potrà occuparsi del futuro
della sua azienda. Un leader capace dovrà individuare le capacità distintive più
consone alle necessità della propria impresa e più adeguate alla creazione del
valore.
Compito del leader è possedere la vision più opportuna, che gli consenta di
tracciare la rotta dell’impresa e di dare un senso alle azioni di ciascun
collaboratore. La vision deve essere ovviamente associata ad ipotesi concrete e
dimostrabili, nonché alla capacità di essere comunicata in modo trasparente e
intuitivo. In questo modo i collaboratori accetteranno e condivideranno i valori che
la vision richiede, potranno identificare ed apprezzare il proprio ruolo in azienda,
migliorare le proprie competenze, e saranno invogliati ad assumersi responsabilità
partecipando alla creazione dell’intelligenza emotiva aziendale.
Giova sottolineare che la realizzazione di visions particolarmente ambiziose
(Kotter, 1999) infonde energia nei collaboratori, non solo perché li spinge nella
direzione giusta, ma anche perché soddisfa alcuni bisogni primari dell'uomo:
appagamento, appartenenza, riconoscimento, autostima.
In sintesi la vision rappresenta l'immagine aziendale desiderata nel lungo termine,
e viene, normalmente, esplicitata dalla leadership attraverso frasi chiare e concise
che ne definiscono l'essenza nei confronti di tutti gli stakeholder.
La mission è la ragion d’essere di un’azienda e deve essere pensata dal vertice
imprenditoriale in modo tale che ciascun individuo, pur con diversi gradi di
approfondimento, sia in grado di dare risposte precise relativamente ai suoi valori,
26
ai suoi clienti, ai suoi prodotti ed alle sue priorità strategiche. La leadership deve
garantire che la mission aziendale assicuri i seguenti requisiti:
 sia enunciata in modo chiaro e visibile;
 contenga le regole fondamentali della vita aziendale;
 sia rispettata da tutti;
 tenga conto della soddisfazione dei collaboratori.
La mission assolve, quindi, tre funzioni:
 La funzione di orientamento. Ogni stakeholder deve disporre di
informazioni chiare per il conseguimento degli obiettivi comuni; la
navigazione deve procedere su una rotta tracciata e nota a tutti.
 La funzione di legittimazione. La prima legittimazione viene normalmente
dall'imprenditore, ma, nell'impresa è ancora più importante la legittimazione
proveniente dagli stakeholder, per ciascuno dei quali la mission deve
prevedere un codice di comportamento, gli obiettivi e un sistema di valori.
 La funzione di motivazione. Fissando per ciascun collaboratore, in modo
chiaro e semplice, obiettivi raggiungibili, si stimola il collaboratore ad offrire
il massimo impegno nel raggiungimento del compito affidatogli, ma ancor
più a sviluppare un'autoanalisi volta a
riconoscere il proprio potenziale di crescita professionale. Il collaboratore, in
base alle sue potenzialità, dovrà essere in grado di dare una risposta alla
seguente domanda: «Che tipo di contributo posso offrire all'impresa per il
soddisfacimento degli stakeholder, innanzitutto i clienti?».
La mission ha valore se non si ferma al presente ma si proietta nel futuro, pertanto
essa deve essere flessibile e ripensata almeno ogni anno.
La leadership dovrà operare col fine ultimo che la propria impresa raggiunga
l’eccellenza grazie a competenze distintive che le consentano di essere diversa
dalle altre.
27
Esistono una miriade di Pmi che godono di questa realtà, ma, a titolo
esemplificativo, non si può non far riferimento alle competenze distintive di alcuni
grandi brands: McDonald's per la forza del marketing orientato ai giovani, Swatch
per il design ed il marketing, l'industria delle macchine fotografiche giapponesi per
la meccanica di precisione e per la microelettronica, Sony per la miniaturizzazione,
Benetton per la pubblicità, Microsoft per il software, Volvo per la robustezza delle
auto, Ikea per l'arredamento economico.
Come è già stato ampiamente descritto in letteratura, uno degli elementi del
vantaggio competitivo dell’impresa è rappresentato dalla differenziazione; questa
caratteristica può essere acquisita grazie al costante sviluppo delle competenze
dell’azienda. Le competenze distintive si manifestano in genere come asset
immateriali, e si sviluppano attraverso lo studio, l’addestramento, l’aggiornamento;
aiutano a migliorare l’autostima dei lavoratori e lo spirito di squadra. Al fine di
potenziare e di sfruttare le competenze distintive dell’impresa, la leadership dovrà
avere ben chiari alcuni concetti: qual’è il principale know how aziendale? Qual’è il
suo maggiore potenziale conoscitivo? Quale prodotto mette in evidenza il suo
potenziale distintivo? Quale segmento di mercato può meglio apprezzare tali
competenze, e quali altre opportunità di business possono nascere dal know how
posseduto?
La leadership dovrà inoltre ed infine preoccuparsi di sviluppare in azienda le
competenze emotive che consentano sia di trasmettere ai collaboratori il cuore,
l’entusiasmo, il senso di appartenenza e lo spirito di sacrificio, sia di evitare la
caduta nella routine, nella de-responsabilizzazione, nella burocratizzazione e nel
disimpegno emotivo.
È interessante in tal proposito leggere cosa afferma il sociologo Alberoni13
riguardo all’entusiasmo: “la parola entusiasmo deriva dal greco essere in Dio.
L’entusiasmo è quindi energia straordinaria, slancio, fede. È una forza che ci
spinge verso ciò che è elevato, che ha valore, è una spinta verso il futuro, una
fede nella propria meta, nelle proprie possibilità. L’entusiasmo è un esplosione di
speranza. Curiosamente sono pochi quelli che sanno accettare l’entusiasmo in se
13
ALBERONI F., (1968), “Status nascenti”, Il Mulino, Bologna.
28
stessi e coltivarlo negli altri. Molti si vergognano dei loro sentimenti, del loro
slancio vitale, pensano che possa indebolire la loro razionalità e la loro capacità di
auto controllo. Ma non è affatto vero. L’entusiasmo è una forza vitale che può
essere sprecata nell’inseguire sogni ad occhi aperti, ma che può essere incanalata
in un compito costruttivo, in una ricerca razionale. L’entusiasmo è fondamentale
per convincere gli altri; se non siete sicuri di voi stessi, se non siete convinti del
progetto che andate a proporre, come potete pensare di suscitare nell’altro
interesse perché possa ascoltarvi? L’entusiasta ha un nemico subdolo: il cinico, il
quale è appiattito sul presente, sul proprio egoismo, sulla propria pigrizia, sul
proprio utile e non crede perché privo di fantasia e generosità. Nelle imprese ci
sono molte persone di questo tipo, che fanno di tutto per spegnere l’entusiasmo di
altri, soprattutto dei giovani che arrivano in azienda pieni di fede e di valori”.
Alla base dei compiti di una leadership eccellente sta la creazione e la formazione
di un team di collaboratori da responsabilizzare e con i quali creare un clima di
affiatamento e trasparenza.
La cosiddetta "sindrome del cavaliere solitario", dell'imprenditore "faccio tutto io"
(2) deve tendere a scomparire, salvo rischiare la scomparsa delle aziende, specie
per i problemi generazionali connessi con la successione.
Creare un clima di collaborazione vuol dire trasmettere fiducia e sicurezza, la
fiducia di avere una leadership che sa dove sta andando, la sicurezza di poter
disporre del vantaggio competitivo di una leadership che sa guardare nel futuro
meglio dei concorrenti e che saprà dare sempre maggior valore all'impresa.
La leadership dovrà, inoltre, "preoccuparsi" dei clienti, approfondirne la
conoscenza, studiarne i bisogni manifesti e latenti, coinvolgerli nello sviluppo,
informarli sugli orientamenti strategici, cercare di stabilire con loro un rapporto
analogo a quello che avrebbe con i suoi collaboratori. Infatti, nell'ottica del
prosumer il cliente è per definizione un collaboratore e, nella "casa degli
stakeholder", il cliente è uno dei pilastri. Assicurata la necessaria attenzione allo
zoccolo duro dei clienti fidelizzati, che creano una gran parte del valore per
l'impresa, la leadership dovrà, costantemente, attivarsi per incrementare il numero
dei clienti e, possibilmente, diversificarne la tipologia. Non sono rari i casi di
29
aziende che si avviano verso un declino irreversibile, trascinatevi dalla crisi dei
propri key-client.
Un altro importante compito della leadership è analizzare la propria fornitura sulla
base della capacità di creare valore. La scelta dei prodotti chiave, il loro
rafforzamento e completamento e le relative strategie, di tipo offensivo, difensivo o
di disinvestimento, sono fra le decisioni più importanti che competono alla
leadership. La strategia necessaria per sostenere una fornitura dipende però
anche dal tipo di fornitura.
L’imprenditore dovrà verificare che tutti i collaboratori abbiano ben chiaro qual è il
core business dell’impresa e quali sono gli strumenti perché quel business crei
valore. Nell’analizzare la propria fornitura un aspetto di estrema importanza è
quello della valutazione del costo di produzione di ciascun prodotto. Una volta
acquisita la conoscenza della redditività di ciascun prodotto sta all’imprenditore
stabilire, per ciascuno di essi, una strategia di mantenimento oppure di
abbandono.
Un altro dei compiti della leadership è l’individuazione degli stakeholder.
L’imprenditore, una volta creata la rete dei soggetti che possono contribuire, in
modo più o meno rilevante, alla crescita del valore dell’impresa, dovrà anche
preoccuparsi del suo monitoraggio
Monitorando costantemente il sistema degli stakeholder, l’imprenditore sarà in
grado di comprendere quali ostacoli o problemi i singoli soggetti stanno
incontrando, o dovranno incontrare, e potrà pertanto introdurre una modalità proattiva di gestione.
In particolare, la leadership dovrà cercare di individuare:

I principali problemi operativi dell’area presidiata da ciascun soggetto della
rete;

Le cause di questi problemi;

Le principali urgenze da affrontare;

Gli interventi organizzativi necessari per superare gli ostacoli incombenti ed
evitare quelli in fieri.
30
La comunicazione all’interno dell’azienda è uno degli strumenti fondamentali per il
successo dell’impresa.
La fluidità della comunicazione interaziendale trova, spesso, ostacoli nelle
differenti esperienze del personale, nei diversi gradi di cultura, preparazione,
addestramento e mentalità, nelle diverse abitudini, nella sottostima dell'importanza
della funzione, nella volontà di non diffondere le informazioni, nella gelosia. Per
ottimizzare il processo della comunicazione, la leadership dovrà impegnare molte
energie al fine di sensibilizzare le persone a leggere e ad ascoltare, di creare un
clima per la libera circolazione delle informazioni e delle idee, di creare gli
strumenti per la circolazione delle informazioni, di far sì che la politica aziendale
sia recepita da tutti in modo chiaro. Quando si è parlato d'impresa eccellente è
stato più volte sottolineato il valore della responsabilizzazione dei dipendenti in
modo che essi, superato il ruolo della semplice dipendenza, si sentano portati a
giocare quello della partnership (Moglia, 1998); per arrivare a questa conquista
l'impresa deve comportarsi in modo trasparente e la comunicazione deve essere
chiara e tempestiva.
Ogni dipendente deve essere messo nelle condizioni di valutare come sta
andando lui stesso, il suo reparto, l'impresa; se non ha una chiara visione di che
cosa ci si attende da lui, di come può contribuire al raggiungimento dei traguardi
aziendali e se quanto fa non gli viene riconosciuto e non gli porta vantaggi concreti
non potrà mai diventare un partner dell'impresa.
Nel progettare il proprio processo di comunicazione l'impresa non può ignorare gli
aspetti psicologici ed emotivi delle relazioni che caratterizzano l'organizzazione
aziendale nel
suo insieme. L'impresa è costituita da relazioni e da persone e pertanto è pervasa
di ambiguità, vulnerabilità, conflittualità, ma gli studi più avanzati hanno
evidenziato che è possibile far scaturire energia positiva da valenze negative. È
necessaria una leadership in grado di favorire approcci comunicativi "caldi"
orientati a sollecitare dialogo, ascolto e fiducia. Solo attraverso il coinvolgimento
del "cuore" (Whyte,1997), oltre che della mente delle persone, è possibile ottenere
la condivisione del dettato strategico dell'impresa e quindi "produrre" l'energia
necessaria all'impresa per superare ogni tipo di difficoltà.
31
Se la leadership è stata capace di costruire un’adeguata rete relazionale, l’azienda
disporrà di quella che Derek Abell (Fiocca, 1994) chiama la «finestra strategica», e
cioè il sensore in grado di prevedere i cambiamenti che possono avvenire
nell’ambiente circostante, e sarà preparata alla difesa del proprio vantaggio
competitivo.
Un altro compito fondamentale che spetta alla leadership è la pianificazione, ossia
l’individuazione di tutti i possibili obiettivi aziendali e la scelta delle priorità.
La pianificazione aziendale deve partire da una bozza di piano poliennale, per il
quale potrebbero essere utili i seguenti criteri:

Definizione di obiettivi, azioni, mezzi e strumenti di monitoraggio attraverso
l’interlocuzione con i collaboratori;

Raggruppamento di obiettivi e di azioni per affinità;

Strutturazione gerarchica degli obiettivi; quelli di livello superiore devono
includere quelli di livello inferiore;

Posizionamento degli obiettivi e delle azioni sulla scala temporale,
attraverso relazioni di causalità;

Feedback su previsioni, informazioni e dati raccolti;

Individuazione degli strumenti necessari per la realizzazione del piano.
Nell’elaborazione del piano si dovrà evitare che questo sia il prolungamento
storico del passato: è cioè auspicabile che non si basi sui trend. Il piano dovrà
avere un impatto tale sull’impresa, da determinare un miglioramento sensibile
rispetto ai risultati tendenziali prevedibili.
Occorre, inoltre, sottolineare che l’immagine aziendale è come l’impresa, vuole
essere vista e percepita da terzi. Ciò comporta, da parte della leadership, di
essere in grado di dare risposte precise alle seguenti due domande: come ci vede
oggi il mondo esterno, cosa dobbiamo fare perché il mondo esterno ci veda come
vorremmo ci vedesse.
Le componenti che influenzano l’immagine aziendale sono sostanzialmente tre:
32

Il comportamento dei collaboratori. Le attività di ogni dipendente, siano
esse di vendita, di ricerca, di produzione, di segreteria, oppure di
assistenza, influiscono tutte sull’immagine dell’impresa, in relazione alla
capacità di ognuno di interfacciarsi con l’esterno. L’empatia dei venditori,
l’efficienza della centralinista, la gentilezza con cui si viene ricevuti, la cura
nel confezionamento, le modalità nello svolgimento del recupero crediti,
sono tanti piccoli tasselli che concorrono alla formazione dell’immagine di
un’impresa.

Il design. Esso è rappresentato dal logo dell’impresa, dai cataloghi, dalle
brochure, dal sito web, dallo stile di progettazione del prodotto, dalla sede
dell’azienda e dall’ambiente di lavoro.

La comunicazione. La comunicazione aziendale è lo strumento con il
quale si trasmette all’esterno l’immagine dell’impresa ed è essa stessa
l’immagine dell’impresa. Non per nulla, il guru della comunicazione
aziendale, Marshall McLuhan, sostiene che il mezzo è il messaggio.
L’immagine aziendale deve essere chiara ai clienti, ma anche a tutto il sistema
degli stakeholder. Essa deve, in primo luogo, mettere in evidenza che le
competenze distintive dell’impresa sono fondamentali per la soddisfazione del
segmento di clientela obiettivo e che essa si basa su prove che hanno suscitato
testimonianze da parte dei clienti.
Un’accorta
gestione
dell’immagine
viene
confermata
dalla
fierezza
dell’appartenenza che mostrerà il personale e dal compiacimento dei clienti di
essere serviti da quell’impresa.
È opportuno curare l’armonia fra la sfera interiore e il mondo esterno. Questa
responsabilità, che compete al leader, potrebbe sembrare un elemento esterno ai
problemi della gestione aziendali e al rapporto con i collaboratori, ma in realtà non
lo è. Se il leader riesce a trovare condizioni di vita che si adattino alla sua
personalità e alle sue aspirazioni, riuscirà a vivere in armonia con se stesso, e
quindi anche con il mondo esterno, e sarà in grado di gestire la propria impresa in
modo ottimale.
33
Contestualmente la leadership dovrà preoccuparsi che i propri collaboratori
godano anch’essi di una buona armonia fra il mondo interiore e quello esterno.
Questo obiettivo è conseguibile facendo sì che i collaboratori trovino una
convergenza fra i propri valori personali e quelli dell’impresa.
La leadership dovrà quindi costruire una cultura d'impresa progettata su valori; se
si vuole ottenere quella convergenza il percorso è lungo e difficile, ma al termine di
quel percorso l'impresa avrà acquistato "un'anima" e conseguito un comune
sentire tra tutti i membri dell'organizzazione. Nella formulazione della vision e della
mission aziendale l'impresa eccellente dovrà quindi lavorare sulla base di valori
condivisibili non solo da tutti i collaboratori, ma anche da tutti gli stakeholder; il
processo dovrà quindi essere condotto seguendo il circolo virtuoso topdown/botton-up/top-down.
Le più recenti indagini sugli "imprenditori di successo" mettono in luce che il
compito fondamentale del leader è quello di innescare sentimenti positivi nei propri
collaboratori (Goleman, 2002). Ciò accade quando sanno creare una riserva di
positività che consente di liberare quanto c’è di meglio in ogni individuo; nella sua
essenza, quindi, il compito fondamentale della leadership è di tipo emozionale.
Sebbene questa dimensione della leadership sia spesso invisibile o ignorata, il
successo dell’imprenditore, della sua impresa e la soddisfazione dei collaboratori
dipende proprio da essa. Pertanto, l’intelligenza emotiva, ossia la capacità di
essere intelligenti nella sfera delle emozioni, ha un’enorme importanza; compito
fondamentale del leader è quello di esercitare la propria intelligenza emotiva.
Da alcuni anni i più noti psicologi del lavoro hanno dimostrato che l’intelligenza
emotiva, nel contesto lavorativo, è essenziale ai fini del successo in qualsiasi
organizzazione. L’importanza dell’intelligenza emotiva viene peraltro ricondotta al
principio ancestrale dell’organizzazione degli esseri primitivi aggregati in bande,
accomunati da vincoli di protezione reciproca, la cui sopravvivenza dipendeva
dalla comprensione e dalla stretta collaborazione.
Per molto tempo imprenditori e manager hanno considerato le emozioni alla
stregua di un rumore di fondo che disturbava il normale esercizio dell’impresa, ma
l’epoca in cui le emozioni erano ignorate, perché considerate irrilevanti ai fini
aziendali, è ormai tramontata. Oggi, in qualunque settore operino, le aziende
34
hanno bisogno di raccogliere i vantaggi offerti da leader in grado di generare
nell’impresa quella "risonanza emozionale" che consenta a ciascuno di realizzare
le proprie aspirazioni e di rendere concrete le proprie potenzialità. È importante
notare che, se può essere semplice realizzare una soddisfazione emozionale
individuale e privata, il compito è più complesso quando un leader voglia creare
una risonanza emozionale nel gruppo dei propri collaboratori.
Giova innanzitutto constatare che la presa di coscienza delle proprie singole realtà
emozionali rappresenta, per l’intera organizzazione dell’impresa, l’inizio di un’utile
analisi delle abitudini comuni su cui quelle realtà emozionali si fondano e dalle
quali sono alimentate. È proprio questo, infatti, il punto di partenza del leader che
voglia diffondere l’intelligenza emotiva nella sua organizzazione.
Un gruppo di persone può infatti intraprendere il cambiamento solo quando avrà
compreso appieno la realtà dei propri meccanismi interni e, soprattutto, quando i
singoli membri dell’impresa saranno consapevoli delle situazioni dissonanti o di
disagio in cui stanno eventualmente operando.
La comprensione di tali realtà, a livello emozionale, è di fondamentale importanza;
tuttavia, la consapevolezza dell’esistenza di dissonanze e disagi non è sufficiente
per realizzare un cambiamento. È infatti necessario che i membri del gruppo
risalgano alla causa del malcontento, una realtà emozionale che di solito non ha
origine in un dissidio con il leader ma, molto spesso, nelle regole di base e nelle
abitudini consolidate e assimilate dal gruppo. Partendo dalla comprensione della
realtà emozionale, delle regole e delle abitudini che esistono nell’organizzazione,
sarà possibile elaborare una "visione ideale collettiva" che, per coinvolgere
effettivamente tutti, dovrà essere in sintonia con quella personale di ciascuno.
Una volta che sia stata compresa la realtà aziendale e individuata una visione
ideale collettiva, si potrà poi valutare qual è il divario esistente fra le due e
pianificare una strategia per portarle a combaciare. Sintonizzando realtà e ideale
si crea il contesto per trasformare un gruppo dissonante in un gruppo dotato di
intelligenza emotiva più efficace.
Quando il leader identifica le realtà emozionali e le abitudini di un’azienda può
avviare un diffuso processo di trasformazione orientato all’intelligenza emotiva
(Goleman, 2002).
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Ricapitolando, il primo passo verso l’azienda "orientata all’intelligenza emotiva" è
la messa a nudo delle verità e delle realtà aziendali. Purtroppo, spesso i leader
non riescono a far emergere la realtà e rischiano così di essere sopraffatti dalla
sindrome della reticenza, di essere tagliati fuori e di risultare in disarmonia. Ciò
accade perché hanno scarsi contatti con il personale, vivono in un’atmosfera
rarefatta e sono esclusi dalla realtà emozionale della vita quotidiana, oppure
perché utilizzano metodi autoritari e gerarchici, costringendo i dipendenti a
chiudersi in un rancoroso silenzio, silenzio che può costare molto caro all’impresa.
Quando i leader operano con stili prepotenti, autoritari e dissonanti, la cultura
aziendale che si produce è, inevitabilmente, tossica. Che effetto fa lavorare in
un’organizzazione priva di intelligenza emotiva? Spesso, alla bassa efficienza
complessiva si sommano malattie psicosomatiche che abbattono ulteriormente i
lavoratori. Le abitudini deleterie dell’azienda danno luogo a una cultura in cui
nessuno si chiede più il come e il perché di quello che sta facendo. Tutti tirano a
campare, giorno dopo giorno, spinti da atteggiamenti, norme e politiche nocivi.
L’aspetto più negativo della dissonanza all’interno di un’azienda è infatti il suo
effetto sui singoli individui: quando la loro passione si affievolisce, questi possono
perdere la consapevolezza delle proprie qualità. Invece di riscontrare eccellenza e
fiducia, quando ci si imbatte in un’azienda "tossica" si trovano spavalderia, ottuso
conformismo, aperto risentimento e celate frustrazioni. I dipendenti sono sul posto
di lavoro, ma si sente chiaramente nell’aria che il loro cuore e la loro anima sono
rimasti fuori dall’azienda.
Spesso il leader di un’azienda tossica è schiavo della cosiddetta sindrome della
rana bollita: "Se si immerge una rana in una pentola di acqua bollente la rana salta
fuori istantaneamente, se invece la si mette in una pentola d’acqua fredda la rana,
lentamente, finisce bollita". Il destino di alcuni leader non è molto diverso da quello
della rana: si adeguano alla routine quotidiana, lasciano che piccole abitudini si
consolidino e, così facendo, decadono lentamente nell’inerzia.
Queste considerazioni non devono far pensare che un’organizzazione "tossica"
non possa cambiare; il problema è che il percorso verso l’impresa orientata
all’intelligenza emotiva è più arduo.
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Il leader, se è realmente tale e se possiede intelligenza emotiva, prima o poi si
accorge che deve costruire un ponte verso i propri dipendenti.
Per avviare il processo di disintossicazione il leader deve iniziare con il "guardarsi
dentro" per prendere atto del "sé" reale. È come guardarsi in uno specchio opaco:
è difficile capire come si è realmente. Il leader deve evitare sia l’autoinganno, una
potente trappola psicologica capace di sviare i tentativi di autovalutazione e di
dare un’immagine distorta del sé, sia le menzogne vitali6. Un aiuto nel processo di
autovalutazione può venire da colloqui aperti e informali con le persone che ci
sono più vicine, sia sul piano del lavoro, che sul piano privato, non crogiolandosi
nei rassicuranti feedback positivi, ma facendo molta attenzione a quelli negativi.
Il passo seguente è l’identificazione del sé ideale, ossia del tragitto che si vuole
veramente percorrere. Una volta individuato il sé ideale si accende il fuoco della
speranza, l’antidoto contro l’inerzia indotta dalla routine e dalle abitudini
consolidate.
Successivamente il leader dovrà cercare di cogliere ciò che sente, pensa e
percepisce della sua organizzazione, dovrà usare l’intelligenza emotiva per
osservare e per interpretare gli impercettibili indizi di ciò che sta realmente
accadendo, dovrà diventare un potente sensore, sia per rilevare ciò che l’azienda
è, e ciò che potrebbe essere, sia per intercettare la potenziale visione ideale.
Dopo avere fotografato la realtà, dovrà passare alla fase della condivisione della
visione ideale di ciascun collaboratore, quella visione che ognuno ha in sé, sia
come individuo, sia come membro di un’organizzazione.
Accade, però, che talvolta, per creare risonanza emotiva il leader debba prima
sconfiggere l’inerzia e le viscosità intrinseche dell’azienda. Egli dovrà pertanto
creare i presupposti, sia per innescare conversazioni, apparentemente avulse dai
problemi aziendali, sia per fare domande allo scopo di capire i sentimenti delle
persone. Da queste conversazioni iniziali, a poco a poco, scaturiscono tematiche
più significative e meno generiche, tematiche che tendono a innescare discussioni
mirate sulla realtà dell’organizzazione. Ma, quel che più conta è che quando le
persone parlano delle problematiche dell’azienda, della sua realtà emozionale e di
come ci si sente a lavorarci dentro, tendono, in qualche misura a fare propri i
problemi e i sogni dell’imprenditore, e si avvia il processo di transizione dal reale
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all’ideale. Si tende a creare un linguaggio condiviso che genera, a sua volta, un
senso di aggregazione e di risonanza, dal quale nasce lo stimolo necessario per
passare dalle parole all’azione.
1.7 - Il processo di acquisizione della leadership
La continuità del sistema organizzativo è collegata alla competenza ed alla
“sicurezza” con le quali viene guidata l’azione. Tali capacità devono essere
assicurate e mantenute o incrementate nel corso del tempo. Si richiedono così
provvedimenti che individuino soggetti particolarmente motivati ad assumere il
ruolo di leader.
Ciò significa promuovere un vero e proprio processo di acquisizione della
leadership. I requisiti base non sono necessariamente identificati nelle doti innate
del leader. Possono essere ritenuti sufficienti una notevole carica motivazionale
alla guida, il forte convincimento circa la bontà della missione aziendale, la volontà
di apprendere e di sperimentare le proprie capacità.
L’iniziativa di dar vita al processo proviene principalmente dagli stessi soggetti
interessati.
Le azioni che caratterizzano il percorso in oggetto sono:
1. L’aspirante leader deve sviluppare la propria conoscenza, appropriandosi
degli strumenti concettuali che lo mettano in grado di valutare criticamente
le esperienze da egli maturate.
2. E’ poi opportuno che sviluppi le comunicazioni fra sé e gli altri membri del
gruppo, cercando di occupare qualche nodo centrale o sviluppando nuove
“maglie” della stessa rete.
3. Un passo ulteriore riguarda la disponibilità del soggetto nel proporsi alla
soluzione di problemi anche parziali, cioè l’aspirante leader può
autocoinvolgersi sfruttando le conoscenze acquisite per proporre interventi.
Egli così è in grado di sviluppare le proprie capacità decisionali acquisendo
38
nel gruppo un prestigio legato all’esperienza di iniziative di successo
proposte e realizzate.
4. Sarà poi importante appropriarsi degli strumenti e delle metodologie idonee
a costruire un numero di soluzioni superiore a quello proposto da altri. La
numerosità delle alternative non è legata alla numerosità delle informazioni
raccolte, quanto all’abilità di saperle opportunamente impiegare. Ai fini di
un coerente percorso decisionale appare controproducente accumulare
troppe informazioni.
5. Il leader deve coinvolgere attivamente tutti i membri del gruppo durante la
formulazione delle decisioni. Far emergere la propria decisione da
un’aperta discussione nella quale si sollecita il contributo di tutti facilita il
buon esito di qualsiasi proposta.
6. A questo punto l’individuo ha maturato una capacità decisionale scissa da
una concreta traduzione operativa delle soluzioni proposte. Solo lo
sviluppo di doti di attenzione e di tempestività nell’individuazione dei rischi,
consente di maturare la necessaria capacità realizzativi. Tali doti risultano
legate all’esperienza. L’azione deve essere svolta senza impazienza ma
anche senza indugio. Il successo e la reputazione del leader sono legati
indissolubilmente ai risultati e questi dipendono anche dal tempo in cui si
svolge l’attività pianificata.
7. Infine, un carattere sostanziale del comportamento dell’individuo che
intende assumere funzioni di guida del gruppo è la assoluta correttezza ed
onestà intellettuale ispiratrici delle proprie azioni. In ogni circostanza è
opportuno che il leader potenziale mostri un elevato rispetto di se stesso,
non avventurandosi in operazioni per le quali non avverta una sufficiente
competenza propria o dei propri collaboratori. Nel contempo, appare di
analoga importanza mantenere il rispetto per gli altri, siano essi individui
interni o esterni al sistema. Ciò significa ispirarsi a principi di chiarezza e
trasparenza, cercando di non alimentare il clima di ambiguità spesso
presente in misura eccessiva nelle organizzazioni. Tacere su fatti e
situazioni di rilevante importanza per il gruppo o addirittura riferirli in modo
alterato, non può essere mai considerato indice di riservatezza o di
39
assunzione di una responsabilità esclusiva, che non si intende condividere
con altri. Al contrario, emergono in tal caso l’insicurezza e la tendenza al
raggiro, assai lontane dal carattere di un capo che per essere accettato
deve principalmente ispirare fiducia. Egli deve affermare e riconoscersi con
i principi di comportamento etico e di conformità ai codici morali in uso
nell’ambiente sociale. Questi ultimi sono da considerare sempre più
irrinunciabili nell’attuale contesto economico, nonché fattori in grado di
assicurare la sopravvivenza dei sistemi organizzati nel medio – lungo
andare.
Il percorso descritto si sviluppa, in genere, in modo assai graduale e contrassegna
le tappe della carriera dell’individuo interno al sistema di cui fa parte. E’ possibile
riassumerlo attraverso un processo di acquisizione della leadership:
a) L’aspirante leader possiede una spiccata carica motivazionale alla
guida ed una volontà di apprendimento;
b) L’interessato acquisisce gli strumenti concettuali che gli consentono
di sviluppare la propria conoscenza;
c) Sviluppa le comunicazioni fra se e gli altri membri del gruppo;
d) Si propone alla soluzione di problemi, acquisendo un prestigio
legato alle iniziative di successo;
e) Costruisce un numero di soluzioni superiore a quello proposto da
altri, all’interno del gruppo;
f) Attiva i membri del gruppo stimolando la loro partecipazione alla
formulazione delle decisioni;
g) Matura la necessaria capacità realizzativi;
h) Palesa nella propria azione un’assoluta correttezza ed onestà
intellettuale;
i) L’individuo è accettato come leader.
La ricerca di un coinvolgimento e di una collaborazione sempre più ampi all’interno
del gruppo appaiono coerenti con l’attuale contesto concorrenziale, nel quale i
40
sistemi
d’impresa
adeguatamente
devono
pure
il
costruire
tessuto
di
basi
operative
relazioni
solide
instaurabili
sfruttando
all’esterno
dell’organizzazione.
E’ importante agevolare allora un gioco di squadra, nel quale tutti nel gruppo
prodighino al meglio il proprio impegno per far acquisire posizioni di vantaggio al
sistema di cui fanno parte.
Ciò si traduce in una progressiva degerarchizzazione con cui si confrontano molte
organizzazioni del nostro tempo, le quali tuttavia non mostrano di trascurare il
problema della leadership. Essa è tuttora considerata un fattore insostituibile di
ogni schema organizzativo, una qualità da conservare o da incentivare al fine di
promuovere il miglior sfruttamento possibile delle risorse umane presenti nel
sistema.
L’attenuarsi della formalizzazione della guida ha sviluppato la necessità di disporre
di competenze orientate a favorire la massima integrazione possibile fra i pari
grado inseriti all’interno di aggregati, gruppi, nuclei operativi.
Il moderno leader è un organo non sempre unipersonale, che pur conservando un
generico ruolo di indirizzo, si qualifica essenzialmente per la conduzione di due tipi
di processi, destinati ad incidere sulla qualità delle risorse umane, sulla loro
umanizzazione e sugli stessi risultati conseguibili. Si tratta in pratica di:
1. Condurre un’azione di comprensione – contenimento, tramite la quale il
leader non deve tendere ad uniformare i pareri ed i punti di vista sviluppati
nel gruppo bensì cogliere ed esaltare le differenze esistenti; se un tempo la
protezione dei singoli avveniva attraverso norme ed ordini precisi da
seguire in modo deresponsabilizzato, oggi la destrutturazione lascia
ciascuno alle proprie responsabilità ed al proprio senso discrezionale, ecco
allora l’importanza di un opera di contenimento, da intendersi come una
modalità attraverso cui sono tenuti insieme parti o frammenti, ovvero come
un’attività volta a plasmare in modo definito un sistema che si presenta
informe e non ben precisato.
2. Ricorrere ad un’opera di simbolizzazione, tramite la quale si cerca di
superare le inquietudini di chi agisce all’interno delle moderne strutture
41
organizzative, confrontandosi di continuo con il timore della propria
inadeguatezza o incompetenza professionale. Tale sentimento può
spronare
l’individuo
verso
l’incremento
delle
proprie
competenze,
attraverso la cosiddetta formazione continua, ma può condurre anche a
stati depressivi e ad una progressiva demotivazione.
Il leader moderno deve far si che i membri del proprio gruppo individuino significati
simbolici nelle più salienti azioni da loro sviluppate, assegnando ad esse un valore
coerente con la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema da un lato e con una
sostanziale accettazione da parte dell’ambiente dall’altro.
1.8 - Ripensare alla leadership
In un periodo di forti incertezze e diffuse criticità come quello che stiamo
attraversando, è tempo di ripensare alla leadership come fonte e strumento di
guida nello sviluppo delle risorse umane in azienda. Guarderemo pertanto alla
leadership come al risultato dell'attività di un "effective leader", ossia colui che è
capace di innovare sia in termini di prodotto che di cultura organizzativa; un leader
che persegue il miglioramento della sua organizzazione e che non ha paura di
intraprendere nuove strade; un leader che rende eccitante e stimolante la giornata
lavorativa creando significato e scopo per e con i suoi collaboratori.
Le realtà organizzative contemporanee si trovano a operare in ambienti che la
globalizzazione ha reso particolarmente complessi: la velocità e il tasso di
cambiamento non hanno eguali nel passato sia recente che lontano; la
conoscenza diffusa a tutti i livelli della struttura mal si accompagna con modelli
organizzativi di tradizione top-down; il collasso dei sistemi di welfare; l'affermarsi
del multiculturalismo, che se da un lato arricchisce le organizzazioni, dall'altro
richiede loro una maggiore sensibilità e competenza per far funzionare più
efficacemente la macchina. Insomma, una vera rivoluzione che pone molti quesiti
sulla natura e le caratteristiche della leadership per il futuro. Risulta dunque
evidente che, aumentata la complessità del contesto nel quale si trovano ad
operare, oggi i leader, più che nel passato, si trovano ad affrontare l'incognita del
42
futuro e la complessità del presente con maggiori difficoltà. Così, l'immagine
gerarchizzata di un leader al vertice della piramide, sufficientemente capace,
creativo
e
competente
per
condurre
un'organizzazione
sembra
essere
anacronistica rispetto alle mutate condizioni ambientali: appare oggi più consona
quella di un facilitatore della conoscenza e di un negoziatore delle idee e della
volontà proveniente da tutti i livelli della sua organizzazione.
E' evidente che un tale stile di leadership richiede l'apprendimento di competenze
e l’acquisizione di una sensibilità diverse da quelle tradizionali. Gli studiosi di
leadership affermano che, nella knowledge economy, i tradizionali modelli di tipo
command and control sono inadatti a sfruttare le potenzialità offerte da quello che
oggi viene considerato il vero capitale di impresa: la conoscenza. Cosa significa
dunque essere un buon leader in questa nuova realtà?
Innanzitutto è necessario definire cosa s'intenda per leadership. Oggi la leadership
è più che mai la continua ricerca della migliore integrazione tra comportamenti,
contesto e bisogni, che condurranno al processo decisionale in un percorso
mutante e in continuo adattamento alle realtà emergenti. In sintesi, la leadership
ottimale non è quella definita in un elenco di attributi che un leader deve avere;
piuttosto, é semmai la sua capacità di "leggere" gli eventi insieme alla sua
organizzazione e di adattare velocemente l'attività organizzativa al nuovo
presente.
Nel passato la leadership era sostanzialmente identificabile in ciò che i leader
facevano e questo rendeva difficile distinguere tra leader "nominali", ossia coloro
che guidano senza averne in effetti le capacità, e leader "strategici" di qualità ,
ossia quei soggetti capaci di identificare una missione e renderla operativa con la
finalità di produrre crescita e valore per gli stakeholders.
E' difficile identificare storicamente il passaggio attraverso il quale i leader hanno
iniziato ad essere scelti per le loro capacità e non per la loro appartenenza di
classe; da quando, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, si sono
sviluppati compiuti studi sulla leadership, l'attenzione si è spostata da modelli
adatti alla produzione fordista (e molto simili a quelli dei generali degli eserciti command and control) a studiare e individuare, verso la fine degli anni '70,
soprattutto con gli studi di Hersey e Blanchard, modelli di situational leadership:
43
questi ultimi sono in sostanza adattamenti dello stile di leadership alla situazione
di business nella quale i leader operano (bisogni del mercato, tipologia di
personale, etc.).
Moltissime ancora oggi sono le organizzazioni che utilizzano questo approccio,
che evidenzia il limite di accentrare nel leader tutto il processo decisionale e di
interpretazione delle condizioni ambientali nel quale il suo business opera. Alcune
delle più comuni posizioni circa la buona leadership evidenziano che lo stile
migliore è quello che integra qualità ottimali con la capacità di adattare il
comportamento alle situazioni emergenti, mettendo in evidenza che ciò che è
valido in un ambiente può non esserlo in un altro.
Cosa accade quando non si hanno sufficienti informazioni, quando i cambiamenti
sono così veloci da rendere impossibile programmare a lungo termine, e quando
si ha una prospettiva specifica valida, ma non si hanno tutte le informazioni per
implementarla? Quando le conoscenze tecniche non sono più sufficienti a capire
od interpretare il futuro?
Da qui nascono gli stili di leadership che si fondano sull'empowerment, ossia sulla
delega dei processi decisionali: questo strumento ha ancora parzialmente un
elemento di carattere centralistico, poiché un soggetto al vertice decide se e
quando delegare potere e in che misura; inoltre non sempre empowerment a
parole significa poi empowerment in pratica; anzi, moltissime organizzazioni si
sono trovate a dover gestire comportamenti "disfunctional" dei loro leader, proprio
perché era stato dapprima proclamato a parole un nuovo modello (quello
dell'empowerment) che non era poi stato attuato nella pratica (empowerment
predicato, command e control praticato).
La moda dell'empowerment è andata negli anni scemando, e allora molti studiosi
hanno spostato il fuoco delle loro indagini sulla caratteristiche della buona
leadership nelle imprese. Tali studi, perlopiù di tipo qualitativo, hanno adottato
varie metodologie: dalle impressioni casuali, alle interviste sistematiche e
all'osservazione. Seppure le varie analisi abbiano suggerito (evidentemente), punti
di vista diversi, appare in tutti presente un'idea comune: una leadership effettiva
identifica una vision, stabilisce gli standard della performance da
raggiungere e indica un focus e una direzione per l'impresa.
44
Alcuni studiosi, tra cui Clifford, Cavanagh, Peters ed Austin, evidenziano nelle loro
ricerche che gli effective leader hanno anche la caratteristica di saper comunicare
efficacemente una vision, spesso attraverso l'uso di simboli. Scoppia così agli inizi
degli anni '90 negli Stati Uniti (e solo recentemente in Europa) l'utilizzo delle
metafore nello sviluppo organizzativo. Viene quindi promosso l’uso di metafore
che riguardano le arti figurative e il teatro fino ad arrivare, in alcuni casi, a riflettere
sulla validità della metafora musicale, in particolare del lavoro svolto dal direttore e
dalla sua orchestra.
Il leader, come il direttore d'orchestra diviene così un facilitatore che aiuta i
concertisti a raggiungere un elevato livello interpretativo e stilistico attraverso il
dialogo, in modo da trasformare una performance ordinaria in una esecuzione
straordinaria, con l'obiettivo di far emergere l'unicità del prodotto e l'inconfondibilità
del suono. L'unicità del suono prevede, tuttavia, la presenza di uno spartito sul
quale esercitarsi e di una musica da poter interpretare; ossia una forte capacità
interpretativa in un futuro già disegnato (lo spartito). Questo modello,
estremamente valido e utile rispetto al contesto nel quale è nato, sembra essere
meno congruente con la realtà odierna. Oggi infatti i cambiamenti sono così rapidi
che talora appare più importante saper comporre velocemente la musica, che non
saperla interpretare correttamente. I tempi di reazione sono ridotti rispetto al
passato, un'organizzazione solo reattiva agli input della leadership rischia di avere
tempi di risposta al mercato troppo lunghi e di farsi velocemente scalzare dalla
concorrenza.
Cosa accade quindi, se il nostro leader non ha l'abilità o non può per mancanza di
informazioni comporre la musica (non ha la vision) che il resto degli orchestrali
deve eseguire? Come é possibile far esplodere tutto il talento latente dei musicisti,
se non si ha lo spartito sul quale lavorare, le note sulle quali provare le diverse
possibili interpretazioni? Quali opportunità creative si aprono oggi per la
leadership?
I leader devono trovare la chiave per poter serenamente ed efficacemente operare
in presenza di un elevato livello di incertezza e di forte ambiguità. Siamo quindi in
presenza di un modello emergente di leadership, che non opera sulla base di
istruzioni o informazioni particolari, ma trae piuttosto la sua forza dalla capacità di
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agire con efficacia sulla base di informazioni minime. Una leadership che capisce
come condurre oggi significa avere un approccio "let it go" con il controllo, ossia
condurre efficacemente significa aiutare a divenire autonomi, secondo un modello
di leadership che ha più le peculiarità del coaching che non dell'istruzione
cognitiva.
In un recente incontro con Dominic Alldis - professore di improvvisazione jazzistica
alla Royal Academy of Music di Londra – è stata esplorata la possibilità di
utilizzare la metafora jazzistica come strumento di sviluppo organizzativo in
un'epoca nella quale i nostri leader non hanno più la capacità di individuare
sempre con sicurezza la via da percorrere. L'elevato livello di incertezza, la forte
ambiguità dei mercati ed il crescente livello di conoscenza - diffuso a tutti i livelli
dell'organizzazione - sono tali da condizionare fortemente la validità del processo
decisionale al vertice e la sua implementazione a cascata fino alla base della
piramide.
Cosa possiamo apprendere dall'osservazione di un'orchestra jazzistica, senza
pretendere che questa divenga la ricetta finalizzata a curare tutti i mali
organizzativi, ma costituisca piuttosto uno spunto di riflessione che può innescare
la miccia del cambiamento nelle modalità attraverso le quali pensiamo ed
esercitiamo alla leadership?
Come evidenzia Dominic Alldis, le orchestre jazz sono organizzazioni protese
verso l'innovazione e la creazione di novità e sono disegnate, dunque, per
massimizzare l'apprendimento. I jazzisti sono professionisti che operano
serenamente in un ambiente caotico e turbolento, capaci di processi decisionali
rapidi,
efficaci
ed
irreversibili;
sono
musicisti
fortemente
interdipendenti
nell'interpretazione di informazioni equivoche.
Così come per i musicisti jazz, capaci di suonare con una struttura minima, anche
per molte organizzazioni nasce l'esigenza di operare efficacemente con
pochissime informazioni, lavorando pertanto sull'emergente. Nokia e Gore (la
società produttrice di giacche e abbigliamento impermeabile), sono esempi tipici di
organizzazioni che massimizzano il contributo offerto dal loro capitale intellettuale.
I loro leader hanno la straordinaria sensibilità di esercitare una leadership
facilitativa, una leadership ove le decisioni sono co-create con i rispettivi team, con
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i collaboratori, secondo un modello che trae la sua forza dalla profonda capacità di
ascolto e valorizzazione dei singoli contributi. In particolare, Gore ha creato un
sistema di coaching interno che da oltre venti anni ha contribuito a garantire
un'incontrastata posizione dominante della società nel mercato dei materiali per
l'abbigliamento impermeabile e di alta montagna.
Il modo di operare di queste due organizzazioni ha molte similarità con quello delle
orchestre jazz. I jazzisti infatti assorbono costantemente le idee degli altri musicisti
aprendo così nuove vie alla continua possibilità di trasformazione, in modo da far
emergere dall'inaspettato nuove direzioni imprevedibili. Le idee di ciascun membro
dell'orchestra sono contestualizzate e rapidamente valutate per la loro capacità di
creare ostacoli o, al contrario, opportunità dirette all'insorgere di nuove sonorità.
L'orchestra è cosi capace di lavorare sia sull'armonia che sulla distorsione
armonica, o su quella che ad un orecchio inesperto può apparire tale.
La fusione di suoni diversi concorre alla formazione di una nuova armonia che
risulta dalla perfetta integrazione e dal contributo di tutte le voci; è in questo
particolare momento che avviene il processo creativo, che risulta dal contributo
collettivo. Quali sono le opportunità per le organizzazioni? Cosa possiamo
apprendere da un orchestra jazz? Cosa significa co-creare, come avviene per
l'interpretazione jazzistica?
Se le metafore facilitano la comprensione della realtà, d'altro canto bisogna anche
evidenziare che queste non sono da sole sufficienti a fornire una visione
complessiva ed esaustiva dei fenomeni. Infatti, come evidenzia Mary Jo Hatch : "le
metafore possono talora rivelare le similitudini tra due cose, ma non le loro
differenze”. E' bene quindi riconoscere il limite delle metafore perché un uso
improprio delle stesse potrebbe creare un'idea fuorviante e semplicistica della
realtà.
Pur
tuttavia,
le
metafore
contribuiscono
alla
conoscenza
delle
organizzazioni e, almeno in parte, ci possono aiutare a leggere più chiaramente le
realtà organizzative.
E' evidente come si apra così per le organizzazioni intelligenti e capaci di
raccogliere la sfida, la possibilità di creare maggiore stabilità in condizioni
ambientali di elevata complessità e turbolenza.
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L'evoluzione nello stile di leadership verso modelli di natura facilitativa e di cocreazione, presuppone forti investimenti in termini di cambiamento ma soprattutto
di evoluzione culturale, di sfida agli assunti mentali attraverso i quali pensiamo alla
leadership e, più in generale alla figura del leader.
Nelle organizzazioni dove si reputa necessario operare anche senza mappe
predefinite, e quindi ridurre la complessità e l'incognita del futuro attraverso stili di
leadership maggiormente inclusivi, che valorizzano gli importanti contributi delle
diverse voci "d'orchestra", si dovrà valutare come passare da modelli di leadership
ove il credo era "lavoriamo insieme alla realizzazione delle mie idee", a una
tipologia comportamentale in cui il processo decisionale è il risultato della
inclusione di tutte le voci, comprese quelle apparentemente dissonanti, in un'ottica
che si può quindi riassumere nel "creiamo insieme la nostra vision e il nostro
futuro" .
E' evidente che per molti leader non sarà facile ammettere di non avere una
risposta ai problemi e ai dilemmi che il futuro gli metterà di fronte. Un leader che
apprende insieme alla sua organizzazione deve capire che l'apprendimento dai
suoi errori deve essere pubblicizzato tanto quanto l'apprendimento proveniente dai
suoi successi. Un tale comportamento, potrà presumibilmente stimolare un
processo di continua rigenerazione della conoscenza, così da porre una vera e
propria sfida allo status quo e agli assunti che sottostanno a molte delle scelte
strategiche.
E' questa la via attraverso la quale la leadership può divenire sempre più
l'elemento centrale di stimolo di un'organizzazione che apprende e massimizza il
potere della conoscenza, spingendo l'organizzazione a camminare con fiducia
verso l'ignoto, creando armonia e integrando valori culturali e comportamenti atti a
promuovere la ricerca del nuovo e ad aver rispetto per il passato che ha garantito
il successo; ciò conduce a formulare domande (non sempre trovando risposte),
attendendo che il nuovo modello di leadership penetri in profondità, affinché le
persone, ora più consce delle proprie capacità e in maggiore sintonia con la
cultura aziendale, rispondano efficacemente garantendo un futuro di successo.
48
1.9 - Leadership e potere
Interrogandoci sulla leadership e sulle sue direttrici di analisi, andiamo spesso
inesorabilmente a toccare i problema del potere, con tutte le implicazioni e
complicazioni del caso, visto anche che si tratta di un termine/concetto usato ed
abusato da tante discipline ed in tanti ambiti. Così come può valere anche il
reciproco, sia pur in forme non improntate da una reciprocanza meccanica:
interrogandoci infatti sul tema del potere, andiamo spesso ad incagliarci sugli
scogli del discorso concernente la leadership: l’uno e l’altro si snodano in un
rapporto di tipo circolare, così che la dinamica della leadership appare come la
matrice e alternativamente la conseguenza della dinamica del potere.
Va subito sottolineato (nell’approcciarsi al tema del potere e delle sue connessioni
con la laedership) che stiamo adottando un’ottica di tipo non formale, un approccio
non giuridico, una prospettiva non burocratica. A questo punto si rende necessario
chiarire meglio le cose, anche per evitare equivoci all’uso che faremo di termini
mutuati da altre branche del sapere (da autocrazia a democrazia). A tal fine è
preliminare richiamare ed approfondire i significati attribuibili al termine istituzione,
che possono essere fondamentalmente di due tipi. Vi sono infatti istituzioni di tipo
formale, esplicito, manifesto, codificato anche all’esterno in legge e regolamenti
più o meno articolati ma in ogni caso dichiarati e definiti non sottintesi. L’essere
membri formali di un gruppo sociale, cioè anche soci di un qualsivoglia “societas”,
comporta la messa in gioco della dinamica soggettiva del sentimento di
appartenenza. Si tratta dell’animarsi della membership, cioè delle molte e flessibili
peripezie attraverso cui si declinano le propensioni e le resistenze a partecipare
alla forma associativa che è di volta in volta in questione. Per esempio, il fatto di
essere e sentirsi italiani partecipa e/o pertiene, contemporaneamente, sia a livello
formale che a livello informale dell’agire della italianità in quanto istituzione.
Quanto fin qui detto si collega bene con l’osservazione che l’approccio di tipo
costituzionalistico-giuridico
trova
il
suo
limite
al
proprio
stesso
interno,
nell’identificazione tra istituzione da un lato e società dall’altro. Tale identificazione
se presa alla lettera e in modo radicale, non porta che a una storia del palazzo,
banalizzata o sofisticata che sia caratteristicamente dimentica delle scienze
49
dell’uomo sia in generale sia con particolare riferimento alla psicologia e
all’antropologia sociale. Da un altro lato significativamente ci si trova in linea di
corrispondenza o di correlazione logica con le puntualizzazioni di tipo gramsciano
circa la diversità fra società politica e società civile, fra paese legale e paese reale.
Ne consegue che le varie situazioni sono in buona misura riconducibili alle
modalità di gestione del potere, e quindi in un continuo rapporto causalereciproco, alle fonti di legittimazione del potere stesso, o meglio alle modalità con
cui il potere si è generato e formato. Per quanto riguarda il nostro tema dunque, si
potrebbe certo dire che non vi è impresa senza il potere, ma bisogna subito
aggiungere che ciò vale sia a livello formale che informale. Esaminiamo alcuni
interessanti contributi che possono essere recati alla nostra indagine.
1.10 - Le fonti di legittimazione
Un aspetto tra i più complessi del nostro tema si riferisce alla possibilità di dare
una
risposta
ad
un
interrogativo
suggestivo,
di
caratterizzazione
contemporaneamente strutturale e funzionale: a livello di forma, ma soprattutto di
sostanza, quali sono le sorgenti primarie del potere che si interconnettono con le
varie possibili situazioni di leadership? Quali sono i fondamenti istituzionali, nel
senso detto in precedenza, che legittimano il ruolo dei detentori del potere? Quali
sono le radici profonde che spiegano, producono, ratificano, ed omologano
l’emersione di determinate figure in autorità? Quali sono categorialmente le
possibili risposte all’ipotetica ed ideale domanda: da chi e/o da dove e/o da cosa
deriva istituzionalmente il potere che si esercita?
Si annoti che si sono usati tre termini basilari (potere, autorità, leadership) in modo
un po’ sovrapposto, con evidenti rischi di confusione e sinonimia. La cosa è in
effetti un po’ intenzionale, al fine di stare per ora vicini ad un certo pensiero
corrente. Il successivo prosieguo del discorso farà emergere sempre più
gradualmente le differenze che corrono tra i significati dei tre termini.
Una prima analisi delle fonti di legittimazione del potere si rende ben possibile se
pratichiamo una strada ispirata al sapere globale delle scienze umane. Per tale
strada il termine/concetto di potere può andare almeno in parte ad imbastardirsi
50
con il concetto/termine di leadership, almeno nella misura in cui trattiamo
comunque dell’interdipendenza e dell’influenzamento reciproco tra gli esseri
umani. Quell’interdipendenza e quell’influenzamento che si accendono all’interno
dei gruppi, dei macrogruppi, delle comunità: all’interno cioè di tutti quei circuiti
grandi o piccoli che delineano un bisogno di timoniere, che fanno nascere una
funzione di guida affidata a determinati ruoli/persone, atti ad esprimere o
imprimere un cammino collettivo, affrontato sia consensualmente che in maggiore
o minore misura conflittualmente.
Fin qui le premesse. Entrando più direttamente nell’argomento, andiamo ad
utilizzare una serie di contributi che la letteratura scientifica pone a nostra
disposizione e che provengono da orizzonti multidisciplinari: quegli orizzonti che
sono costituiti dalla storia, dalla politologia, dall’antropologia culturale, dalle
scienze economiche, dalla sociologia e dalla biologia.
I quadri di riferimento
fondamentale in cui possiamo inscrivere e inquadrare le varie dinamiche delle fonti
psico-sociali di legittimazione del potere e della leadership sono quattro:
1. L’Autocrazia: fondata sul Principio di Sovranità; la legittimazione è
riconducibile alla grazie di Dio.
2. Il Padronato: fondato sui vissuti attivi e passivi del Principio di Proprietà;
3. La Tecnocrazia: fondata sul Principio di Competenza, sul sapere, sulle
capacità acquisite e sulle professionalità.
4. La Democrazia: fondata sul Principio di Consenso. La legittimazione è
riconducibile alla volontà della nazione.
Soffermiamoci un attimo su ciascuno di essi, premettendo subito che non si tratta
di paradigmi statici, stagni e da usare meccanicamente.
Per quanto riguarda l’Autocrazia siamo di fronte al potere di guida conferito
psicologicamente dal Principio di Sovranità: “per grazia di Dio”. Può sembrare si
tratti solo di una situazione di antica memoria, superata dai tempi, obsoleta. In
realtà, se ci guardiamo bene in giro si tratta di una condizione socio-psicologica
ben riscontrabile tuttora, magari sotto mentite spoglie. Per certi aspetti, anzi, il
ventesimo secolo si è rivelato ricco di personaggi buoni interpreti di situazioni
51
riconducibili al gioco di qualche Autocrazia: Hitler, Mussolini, Stalin, Mao,
Pinochet, Bokassa, etc, con tutti i loro epigoni grandi o piccoli, ma anche una
miriade di altre figure minori.
Può anche sembrare si tratti di una situazione riscontrabile solo in alto, ai vertici,
alla sommità, al livello dei massimi culmini di un qualche sistema piramidale
sociale. In realtà anche sotto questo rispetto, se esaminiamo bene le cose, esiste
sempre una levata e spesso saturante congruenza con il basso di quello stesso
sistema. Anche in questo caso c’è una sorta di armonia del tutto: se non altro
quella esprimibile con una osservazione già avanzata secondo cui, ciascun
sottoposto o subordinato ha l’autocrate che si merita. Va aggiunto che,
coerentemente, la “grazia di Dio” scende per così dire a cascata lungo la piramide
sociale: il sovrano autocrate ai suoi seguaci diretti, costoro sono i despoti dei loro
sottoposti, questi ultimi hanno a loro volta dei supini subordinati, e così via
dicendo, in una catena di tributarietà che può risultare complessa, ma risponde in
definitiva ad una sola logica: quella di un rapporto discendente ad una sola via tra
sovrapposto e subordinato. Alla domanda “da quale fonte deriva, direttamente o
indirettamente, il potere del leader”, la risposta sarà sempre sostanzialmente una:
dall’alto. A scanso di equivoci va esorcizzato il pericolo di un inquadramento
manicheo della situazione autocratica: il despotato non è necessariamente ed
inintelligentemente tirannico e sergentesco. Può essere benissimo illuminato e
molto spesso lo è. La Storia con la “s” maiuscola è piena di signorie illuminate, di
tiranni gloriosi, di autocrati sagaci, perfino di usurpatori avveduti e capaci di grandi
risultati a vantaggio di sé e degli altri. La storia con la “s” minuscola vede pure
ognora e ovunque, dittatori carismatici e trascinatori, guide risolutrici. E’ arduo e
suona scorretto dar loro nomi paradigmaticamente esemplificativi, in quanto si
tratta di tutti quei condottieri, conduttori, timonieri e dirigenti che è possibile
ritrovare nelle organizzazioni, nelle comunità, nei grandi e nei piccoli gruppi, nella
famiglie, nelle squadre politiche o sportive. Se, dove, e quando la cultura di quelle
organizzazioni-comunità-famiglie-squadre glie lo consente.
Tuttavia è necessario non cadere mai in facili incensamenti, fino a raggiungere
eventuali canonizzazioni di despoti tiranni.
52
Per quanto riguarda il Padronato siamo di fronte al potere di guida
psicologicamente conferito e legittimato dal Principio di Proprietà. A prima vista,
può sembrare trattarsi di una situazione analoga (o anche addirittura
sovrapponibile) a quella Autocratica precedentemente delineata. In realtà, le cose
stanno diversamente. Innanzitutto, il termine concetto di proprietà non viene qui
utilizzato
nel
suo
senso
oggettivo,
socio-economico-giuridico;
almeno
prevalentemente, ci si riferisce all’accezione soggettiva ed intersoggettiva
presente nelle credenze e negli atteggiamenti di coloro che sono attenti alla
proprietà. Ciò sia sul versante attivo (i detentori di proprietà) sia su quello passivo
(i proletari); quanto detto significa porre l’accento sui vissuti che caratterizzano il
“padrone”, da un lato, e i suoi subalterni o “servi” dall’altro. Una relazione sottile e
contemporaneamente ben robusta lega queste due polarità che si incardinano
reciprocamente nel bene e nel male, nelle coalizioni e nei conflitti: l’una spiega
l’altra, l’una alimenta l’altra, l’una è il cardine dell’altra. Risulta chiaro che la
legittimazione del potere non proviene dall’alto come nel caso dell’Autocrazia,
anzi, spesso, proviene dal sé. Comunque, alla fatidica possibile domanda “da
quale fonte” istituzionale deriva, direttamente o indirettamente il potere del leader,
la risposta sarà sempre sostanzialmente la seguente: dal possesso, dalla
proprietà dei beni mobili o immobili, da quello del territorio, dei mezzi di
produzione, dei manufatti, del podere degli oggetti e degli esseri umani. Anche per
un altro e correlato motivo la situazione è ben diversa da quella autocratica
precedentemente considerata: in quest’ultima, almeno per lo più, il vissuto di
proprietà è assente. Mutatis mutandis, le cose ora dette valgono anche per il
quadro globale di certe culture; si può osservare che gran parte delle civilizzazioni
emergenti o previste dal modello storico di Toynbee14 non implicano il parametro
della proprietà. Non casualmente, è praticamente impossibile far comprendere ad
un indiano d’America, o ad un abitante delle isole dei mari del sud, il concetto
stesso di proprietà in quanto non ne ha il vissuto. Inoltre, il quadro del Padronato
si sviluppa e si regge su alcune precise e imprescindibili condizioni psico-sociali,
TOYNBEE A., (1934), “A study of Histhory: the genesis of civilizations”, Oxford University Press,
London.
14
53
che sono contemporaneamente causa ed effetto del quadro medesimo in un
rapporto di tipo circolare:

La proprietà deve essere in grado almeno potenzialmente di fornire un
profitto a chi ne è detentore; non è forse così tanto importante la misura di
tale profitto quanto la sua presenza;

La proprietà dev’essere, almeno concettualmente, unica e di dimensioni
finite, meglio se più o meno relativamente limitate; quanto più si allarga
spazialmente e/o temporalmente, essa implica il passaggio ad una delle
altre forme basali di legittimazione del potere che vengono ivi delineate
(Autocrazia, Tecnocrazia, Democrazia). Ciò va chiaramente al di là o anche
contro larga parte del pensiero corrente. Si badi in proposito che si è detto
ad una delle altre forme di legittimazione: non vi sono leggi di scelta
meccaniche tra una forma e l’altra, sebbene principi dinamici dell’agire
processuale;

La proprietà deve essere vendibile, deve poter essere percepita e vissuta
come spostabile da un oggetto all’altro, implica cioè qualche forma possibile
di compravendita; all’interno di ciò non è molto importante che tale
compravendita venga poi esercitata in questo o quel modo, con maggiore o
minor frequenza, all’insegna dell’uno e/o dell’altro sistema di valori
(economici, ideologici, estetici, etc).
In altre parole la proprietà implica la mobilità e la flessibilità almeno teorica degli
investimenti, attraverso un qualche gioco di domanda e di offerta. Se un padre è
padrone, deve poter vendere i figli che escono così dal suo controllo per andare
sotto proprietà di altri. Gli obblighi o vincoli psico-sociali istituiti con le tre
condizioni di cui sopra implicano, per converso, dei corrispondenti limiti o divieti:

In primis, non si può mantenere il potere se non c’è un ritorno in qualche
modo redditizio da parte della proprietà stessa;

In secundis, non si può mantenere il potere stesso se si varcano certe
soglie di dimensioni quali-quantitative della Proprietà che lo statuisce;
54

Tertio loco, il potere in oggetto non può reggere se la compravendita
diviene impossibile.
Per quanto riguarda la Teocrazia siamo qui di fronte al potere di governo
legittimato dal Principio di Competenza. Può sembrare trattarsi di una base
scontata, unica, ovvia, di legittimazione del comando; ciò nella misura in cui si
ritenga valido lo stereotipo secondo il quale chi possiede determinate capacità
(non potenziali) emerge meritocraticamente nei gruppi in cui opera e con ciò
stesso si pone alla loro guida. Le cose come tutti ben sappiamo sono molto più
complesse, anche se non si può negare il primato e la funzione delle abilità e delle
competenze in determinati contesti situazionali. Anche per il quadro tecnocratico
emergono alcuni fattori caratterizzanti, che sono circolarmente causa ed effetto,
sostegno ed esito del quadro medesimo:

La
Tecnocrazia
non
persegue
necessariamente
il
profitto.
Anzi,
nell’articolazione figura-sfondo con la potestà, il profitto sfuma in buona
misura in seconda posizione: ciò che infatti importa primariamente al
tecnocrate ed alla tecnostruttura non è la proprietà, ma il costante
incremento della propria onnipotenza, esercitata appunto in nome della
tecnica. Al limite, anche a costo di far distruggere la struttura di cui si è alla
guida (come si può facilmente e frequentemente riscontrare nella casistica
offerta da taluni manager dei grandi imperi economici pubblici o privati che
siano);

Per la Tecnocrazia e per il tecnocrate, le sfere di dominio controllate sulla
base delle proprie competenze hanno da avere dimensioni sempre più
ampie, devono cioè essere in espansione costante, quantomeno in
prospettiva; si realizza così una tendenza alla crescita che acquisisce
spesso dei connotati richiamanti metaforicamente una espressione
cancerogena. Tale logica del “chi si ferma è perduto” non è fuori dalla
realtà; contiene e rivela comunque agevolmente dei significati psicopatologici, spesso rintracciabili sia nei comportamenti delle tecnostrutture
che nell’agire dei loro leader responsabili;
55

La Tecnocrazia è allo stesso tempo conservatrice ed innovativa. Tende
infatti a realizzare un equilibrio ottimale, anche se forzatamente instabile,
tra la conservazione dell’utilità basilare del sapere e delle competenze di cui
è portatrice, da un lato, e necessario aggiornamento delle proprie
competenze stesse dall’altro. Naviga così (per lo più con successo) tra la
stabilità conservatrice del sapere esistente accumulato con tanta fatica, e il
continuo fabbisogno esterno di cambiamento.
In merito alla Democrazia siamo di fronte al potere di guida psicologicamente
conferito e legittimato dal consenso dei sottoposti: “Per volontà della Nazione”. Il
consenso formale (il voto, il plauso, l’approvazione esplicita, la ratifica
contrattuale) non ci interessa qui ed ora; non è questione di patto giuridico né di
patto sociale. In questo senso appare apprezzabile ma certo non sufficiente la tesi
di Popper, secondo cui la Democrazia consiste nel mettere sotto controllo il potere
politico. Quantomeno si tratta di intendersi sul termine ed il concetto di controllo;
psicologicamente parlando, la questione è un’altra: quella della dinamica del
consenso al livello delle istituzioni informali implicite nascoste intersoggettive. Ci si
muove in altri termini al livello del patto comunicazionale e del patto psicologico,
laddove le forza in campo sono incessantemente in azione, con alterne vicende. A
questo livello le cose sono sempre molto più intricate di quanto non appaia, e la
dinamica del consenso è inestricabilmente inscindibile da quella del dissenso. I
due termini ineriscono agli estremi di una dimensione basilare, che ne regge molte
altre, subordinate, in costante movimento. Si tratta della dimensione dei conflitti e
delle coalizioni tra forze diverse e spesso opposte, che animano il mondo intra ed
intersoggettivo di ogni essere umano, cioè il suo universo interiore e i suoi rapporti
interpersonali e sociali. In tale costrutto consenso e dissenso nei confronti del
potere possono articolarsi in mille varianti, all’interno di ciascun individuo così
come all’interno di ciascun gruppo psico-sociale: allora, la volontà della Nazione è
solo la risultante della dinamica accennata. In definitiva, la fonte di legittimazione
si può rintracciare nella gestione del dissenso più che del consenso, nella
negoziazione, nell’accettazione della critica, nell’interpretazione corretta e
propulsiva, non necessariamente conformistica, della domanda profonda che sale
56
dalla base. Non a caso, nelle situazioni che sono invece, al di là delle apparenze
formali, autenticamente autocratiche, il dissenso diviene rapidamente dissidenza,
separazione e ostilità, fino ad essere eventualmente degradato come inimicizia ed
insulto, eresia, follia. Puntualmente, anche per il quadro democratico emergono
alcuni fenomeni che sono circolarmente movente e conseguenza, origine e
risultato, del quadro medesimo:

La Democrazia si fonda sulla fiducia di base, autentica e reciproca, fra
leader e seguaci: costoro sono gli aventi titolo ad esprimere la propria
gradazione di consenso-dissenso nei confronti della leadership. La
reciproca vale assolutamente, anche per il leader nei confronti dei membri
della piccola, media o grande comunità in cui egli gioca il suo ruolo. Si tratta
di una dinamica vicendevole, di un gioco alternante di atteggiamenti che è
generatore di un libero e mutuo scambio di ruoli tra gli attori del rapporto
comunicativo;

La Democrazia implica un peculiare processo di emersione degli assistenti
del leader, cioè anche di scelta dei collaboratori e/o successori da parte del
leader stesso. Costui, per ottemperare al meglio ai fondamenti istituzionali
che lo legano ai suoi seguaci, tende ad attuare una condotta decisionale
favorevole a chi è più gradito dagli altri membri del gruppo, sulla base di
criteri che possono essere anche molto diversi da un caso all’altro. In ogni
caso il parametro fondamentale su cui poggia la scelta non è più la fedeltà,
la consanguineità, e neppure la competenza, anche se ovviamente tali
fattori continuano ad esercitare dinamicamente un loro peso;

La Democrazia, quando autentica, si legittima sulla base del fenomeno
della trasparenza o visibilità del potere: anche questo fenomeno è una
causa e contemporaneamente una conseguenza del realizzarsi e del
gestirsi della volontà della Nazione;

Come chiosa al punto precedente, si può rilevare come l’essenzialità
democratica viene tendenzialmente rivestita da ogni meccanismo di
costruttiva mediazione e di equilibrata e matura negoziazione, al fine di
governare al meglio la gestione del consenso/dissenso di cui si diceva.
57
Capitolo 2
LA LEGITTIMAZIONE DEL LEADER: MODELLI
2.1 - Modello di Weber
Max Weber, nel famoso lavoro “Economia e Società15” delinea il modello idealetipico della burocrazia, intesa come organizzazione amministrativa. All’interno di
questa estesa analisi, Weber sviluppa una teoria del potere, nella quale si
distinguono due principali concetti: il concetto di Macht (potenza) e di Herrschaft
(potere legittimo). Con il termine potenza Weber intende: "qualsiasi possibilità di
far valere all’interno di una relazione sociale, anche di fronte ad un'opposizione, la
propria volontà, quale che sia la base di questa possibilità"; in sostanza, una
relazione sociale dove il soggetto più forte riesce a far valere la propria volontà in
ogni caso.
Con il termine potere legittimo Weber intende invece: "la possibilità di trovare
obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato
contenuto"; questa espressione di potere si riferisce alle relazioni in cui il soggetto
debole accetta le decisioni altrui perché le riconosce valide e quindi legittime.
Basandosi su questo secondo concetto, ogni potere quindi:
-
Si comprende solo a patto di partire non solo dai particolari rapporti di
comando e di obbedienza che legano fra loro le persone, ma anche se si
stabiliscono le
condizioni e le circostanze in cui si attiva il rapporto di
potere;
-
Richiede un apparato amministrativo di uomini di fidata obbedienza, che
servano da tramite fra superiori e sottoposti;
-
Per poter essere esercitato in modo continuativo e regolare deve essere
legittimato e coloro che obbediscono, i sottoposti, devono credere nella sua
15
WEBER M, (1922), Economia e Società, Wirtschaft und Gesellschaft, Tubinga
58
legittimità. Per questo il vero potere si distingue da atti puramente arbitrari,
volti ad ottenere l’obbedienza con la forza pura.
Weber realizza così la tipologia delle tre forme di legittimazione del potere. Tale
tipologia è costituita dal potere tradizionale, dal potere carismatico e dal potere
razionale-legale; le tre forme si distinguono innanzitutto in base al criterio su cui si
fonda la loro pretesa di legittimità, e ne deriva poi un diverso al tipo di obbedienza,
quindi una diversa efficacia; nello specifico16:
1) POTERE TRADIZIONALE: quando la legittimazione poggia sulla credenza
nel carattere sacro, nella giustezza della tradizione, e nella legittimità di
coloro che sono chiamati ad esercitare il potere e rivestire un’autorità nel
nome di quella tradizione. Caratteri: Il potere tradizionale fonda la sua
legittimità su ordinamenti antichi ed esistenti da sempre; chi ha il potere è
rispettato in virtù della tradizione, può non avere personali doti di comando
(un esempio è il sovrano che regna in base a un diritto di sangue).
L'apparato amministrativo: a livello di organizzazione dello Stato può essere
sia patrimoniale che feudale; nella forma patrimoniale il sovrano ha diritto di
comando illimitato su qualsiasi subordinato, e i funzionari sono al suo
servizio diretto e dipendono da lui per ogni forma di remunerazione(doni,
concessioni e altri benefici). Nella forma feudale, l’apparato amministrativo
ha maggiore autonomia rispetto al sovrano; infatti i funzionari non sono
dipendenti personali, ma alleati uniti da un giuramento di onore o fedeltà.
Tipo di Obbedienza al Leader: nel potere tradizionale, il capo è una
“persona del signore” a cui si deve obbedienza, designata dalla tradizione e
vincolata alla tradizione. Limiti: In tale potere si assegnano cariche in base
all'appartenenza ad un gruppo privilegiato e, per questo motivo, tale potere
è sempre minacciato dall'insorgere di un capo carismatico, oppure può
16
Queste tre forme di potere sono degli ideal-tipo, ovvero costrutti mentali che servono a fini analitici per
comparare i fenomeni (punti di riferimenti). Il tipo ideale quindi non è rintracciabile empiricamente nella
realtà.
59
essere soggetto alla messa in discussione per l’assenza di capacità del
detentore del potere. Esempi: La storia è piena di esempi di questa
tipologia di legittimazione del potere; oggi aspetti tradizionali si possono
ritrovare nelle dinastie imprenditoriali, quindi in tutti quei casi in cui l’eredità
o l’appartenenza a gruppi privilegiati giustificano l’esercizio del potere.
2) POTERE CARISMATICO: da carisma17 (dal greco charisma, dono della
grazia), si basa su qualità eccezionali e a volte sovraumane che i seguaci
attribuiscono a un capo. Caratteri: nella sua forma pura secondo Weber
questo potere è irrazionale, infatti manca assolutamente di regole, ed è
rivoluzionario perché rovescia il passato e dà una interpretazione diversa
dalla tradizione. Secondo Weber tale potere nasce da una rottura radicale
con le Istituzioni vigenti18. L'apparato amministrativo: è rudimentale, formato
da discepoli a diretto contatto con il capo, persone che hanno dato prova di
fedeltà nel tempo. Tipo di Obbedienza al Leader: si obbedisce al leader in
quanto tale, volontariamente e con dedizione, in virtù della fiducia
personale nell’eroismo e nelle capacità esemplari del capo carismatico.
Limiti: tale movimento si affievolisce con la scomparsa del capo (o se si
ritira) e i suoi seguaci trasformano il carisma in pratica quotidiana. Weber la
definisce routinizzazione del carisma, diventando alla fine un potere
burocratico o tradizionale; il potere carismatico è quindi transitorio (si
estingue o diventa routine), instabile (il carisma può perdere il suo “fascino”)
ed effimero (il leader carismatico non è all’altezza) e tende a trasformarsi in
uno degli altri due tipi; il carisma si può infatti trasformare nell’attributo di
una carica ereditaria (ex il monarca) o di un ufficio (ex presidente/primo
ministro). Esempi: le forme più pure sono riconducibili alla sfera religiosa
(Gesù, Lutero etc) e nella sfera politica (grandi leader rivoluzionari, es.
È stato lo stesso Max Weber ad introdurre il vocabolo “carisma” in sociologia, per indicare un potere che
si fonda non già sulla legalità (la “burocrazia”) o sulla tradizione (quella che possiamo indicare come
patriarcalità) o sulle proprietà e patrimonialità, ma su straordinarie qualità personali: designando come
“capo carismatico” colui che le esercita.
17
18
Si può così affermare sia come la predicazione di un ordine nuovo, sia come ritorno alle origini di una
istituzione accusata di una forte degenerazione nel corso del tempo
60
Napoleone, Che Guevara etc); in epoca moderna il potere carismatico trova
espressione nella sfera economica (grandi capitani d’industria), ma è
ravvisabile in tutte le situazioni in cui determinati ordini vengono eseguiti più
per la capacità personale del capo di imporsi che per il grado formale della
carica che riveste.
3) POTERE RAZIONALE (o LEGALE): quando poggia sulla credenza nella
legalità di un sistema di ordinamenti impersonali statuiti (norme, regole,
procedure) e nel diritto di comando di coloro che sono chiamati ad
esercitare il potere in base a quelle leggi e regole. Caratteri: Nel caso del
potere legale, tutti sono sottoposti alle leggi e regole che lo legittimano, sia
il detentore del potere che i destinatari del potere. Nessuno è al di sopra
della legge, nemmeno il detentore del potere. Egli trae il suo potere dalla
legge stessa ed è subordinato ai suoi vincoli: i suoi poteri di comando sono
competenze legali. Si presume che gli ordinamenti siano stati stabiliti
razionalmente, rispetto ad un determinato valore o scopo, e che
costituiscano nel loro insieme un corpus di regole astratte e universali e che
non siano quindi state emanate per regolare casi specifici con intendimenti
arbitrari. L'apparato amministrativo: l’apparato amministrativo tipico del
potere legale è la burocrazia19. Tipo di Obbedienza al Leader: in questo
caso si obbedisce all’ordinamento impersonale statuito legalmente e agli
individui preposti al potere in base a tale ordinamento, in virtù della legalità
formale delle sue prescrizioni e nell’ambito di queste. La legge,come già
detto, è astratta, universale ed impersonale. Nel caso del potere legale
l’obbedienza si deve non alla persona (come nel potere carismatico), ma
alla carica, all’ufficio, all’ordinamento impersonale, e nei limiti previsti da
questo ordinamento. Limiti: il detentore del potere è tenuto ad orientare le
proprie disposizioni nel rispetto dell’ordinamenti, in caso contrario si cade
nel dispotismo o nell’arbitrio. Esempi: la burocrazia è tipica degli stati
19
Weber dice infatti che la burocrazia è razionale perché operando in maniera spersonalizzata mette in luce i
criteri di scelta per raggiungere i fini; è quindi razionale secondo lo scopo (usa i mezzi migliori per
raggiungere il fine) e come scelta più opportuna (egli vede infatti nella burocrazia un'idealtipo di tipo
euristico)
61
moderni, ma anche delle grandi imprese capitalistiche; i primi esempi di
burocrazia razionale nelle imprese capitalistiche
sono riconducibili al
modello taylorista/fordista.
Figura 2.1 – Le tre forme di legittimazione del potere, ns rielaborazione
Il potere legale rappresenta per Weber la migliore forma di legittimazione del
leader; Weber dedica infatti “Economia e Società” all’analisi completa della
burocrazia, intesa come categoria storico-sociologica indispensabile per la
comprensione di tendenze più generali della società moderna e contemporanea.
Infatti, al contrario del valore piuttosto negativo associato al termine nel linguaggio
corrente, per Weber la burocrazia è espressione e risultato dei processi di
62
razionalizzazione e di specializzazione funzionale che si registrano nelle
comunità20.
Weber esamina i principi ed le modalità di funzionamento di una burocrazia
moderna intesa sia come amministrazione pubblica che come impresa privata:
1) Il principio della competenza di autorità definite, ben disciplinata da leggi e
regolamenti; si presuppone quindi che vi sia una stabile divisione dei doveri
e poteri di ufficio (divisione del lavoro in base a regolamenti) e che vi sia
l’adempimento regolare e continuativo dei compiti suddivisi
2) Il principio della gerarchia degli uffici, ovvero un sistema rigido di
subordinazione ad organi di attività, con poteri di controllo.
3) Il segreto di ufficio, conservazione di tutti gli atti relativi al funzionamento
dell’apparato, che è rigidamente separato dalla vita privata dei funzionari.
4) Una preparazione specializzata dei funzionari, l’unica ragione per cui i
funzionari sono in una posizione di privilegio rispetto ai non addetti ai lavori.
5) Attività burocratica come attività a tempo pieno, non quindi un impegno
temporaneo o una professione secondaria
L’enfasi che Weber pone nel suo lavoro sull’efficienza della burocrazia è
facilmente comprensibile dal fatto che la sua descrizione va verso un modello
tipico-ideale, e che la burocrazia ha come termine di confronto amministrazioni
tradizionali (patrimoniali, feudali, patriarcali), che funzionavano prescindendo da
criteri sistematici di efficienza, oggettività, precisione etc. È vero però che Weber
non ignora le possibili inefficienze della burocrazia, ma sottolinea che le
inefficienze nelle burocrazie moderne possono apparire ed essere denunciate in
quanto esistono norme e leggi che le sanzionano, mentre nelle amministrazioni
pre-burocratiche la mancanza di regole riguardanti efficienza e obiettività non
permetteva neanche la possibilità di denuncia.
Particolare attenzione è dedicata da Weber ai rapporti tra burocrazia e
capitalismo; nelle attività economiche, lo sviluppo dell’impresa capitalistica
moderna è fondato l’adozione del modello di amministrazione burocratica come
20
TRANFAGLIA N. , (1979), Il mondo contemporaneo, La Nuova Italia, Firenze
63
strumento rapido, continuativo, preciso e univoco per lo svolgimento delle attività.
Sono infatti le più grandi imprese capitalistiche i migliori esempi di rigida
organizzazione burocratica, fondati sulla divisione del lavoro secondo criteri
oggettivi e sull’affidamento degli incarichi secondo principi di competenza.
L’efficienza, prerogativa delle imprese moderne, si rispecchia nella calcolabilità
del capitale, ovvero la possibilità di calcolare in modo razionale ed univoco costi e
profitti di ogni atto economico, e trova lo strumento peculiare di attuazione
nell’amministrazione burocratica.
2.1.1 - La leadership della burocrazia: razionale, carismatica o
tradizionale?
Il Burocrate puro non chiede né di essere amato né di essere temuto per i suoi
tratti caratteriali, trae la sua autorevolezza dalla legge, non sono previsti né
tradizione, né carisma nella burocrazia pura vige solo la fedeltà di ufficio. Weber
sa di definire un tipo ideale puro e privo di spessore umano, non esiste un uomo
così perfetto ma lui vuole vedere in termini di analisi sociologica le conseguenze
che derivano dal riconoscere che in un’organizzazione burocratica si può obbedire
e per quali ragioni. Uno spunto su ciò arriva da un sociologo israeliano, Etzioni
(1961) che osserva che il carisma non nasce solo dal rifiuto di un ordine
preesistente ossia fuori e contro le istituzioni, ma può nascere dentro le istituzioni
sull'onda del successo che il capo ottiene nell'opera di rafforzarle e rinnovarle. Il
carisma può anche essere esercitato su persone esterne all'organizzazione.
Biggart (1989) parla di capitalismo carismatico a proposito dei venditori che
riescono a fare un grande fatturato imbambolando i clienti con la loro capacità di
persuasione. Fin qui gli effetti benefici del carisma, ma non è sempre così.
Osserva Etzioni che personaggi come un medico, un professore etc portano
prestigio all'organizzazione senza che questa lo possieda direttamente e, in tal
caso, l'obbedienza al professionista carismatico si avvicina all'obbedienza
razionale della burocrazia pura, elemento di differenza tra le due è l'attaccamento
emotivo al professionista che non c'è nella burocrazia pura. Altro problema si pone
nelle carceri, l'apparato di custodia ha criteri burocratici ma tra i detenuti vi sono
64
spesso leader con carisma che conservano un attivo appoggio negli ambienti
malavitosi esterni. Infine in una burocrazia ci possono essere aspetti tradizionali,
un agire tradizionale si presenta quando dirigenti funzionari o impiegati fanno
carriera non per merito ma per appartenenza a determinati gruppi sociali, le
raccomandazioni sono una pratica attiva perseguita e verbalmente deprecata
come segno di nepotismo e clientelismo. Altra situazione d’intreccio tra criteri
tradizionali e razionali o meritocratici, si ha nelle carriere accademiche dove un
docente porta un proprio allievo in concorso.
2.2 - Altri modelli e analisi: Etzioni, Likert e D’amico
2.2.1 - Amitai Etzioni: le fonti di legittimazione
I due studiosi Amitai Etzioni e Rensis Likert portano avanti la riflessione sul tema
della leadership in due opere dal titolo, rispettivamente Complex Organizations e
New patterns of management pubblicate entrambe nel 1961.
Il principale contributo di Etzioni consiste nel fatto di avere proposto una vera e
propria classificazione della leadership; in particolar modo analizza le ragioni per
cui alcune persone riconoscono legittimità al potere che il leader esercita su di
essi (ovvero le fonti di legittimazione).
Il punto di arrivo del pensiero di Etzioni è in qualche modo obbligato dalla base
sulla quale egli fonda tutta la sua analisi, la variabile strategica per un’analisi
comparata delle organizzazioni: la disposizione all’obbedienza (compliance) nelle
organizzazioni, vale a dire la relazione che passa fra il tipo di controllo (può
riguardare genericamente le categorie del comando, del potere, dell’autorità) che
l’organizzazione esercita nei confronti dei propri membri e l’orientamento che gli
stessi membri adottano nei confronti di quel controllo. Si possono immaginare,
così tre tipi di orientamento da parte dei sottoposti e cioè:
-
alienativo, in quanto chi subisce il potere lo subisce contro la propria
volontà (esempio classico i detenuti)
65
-
calcolativo,
quando
chi
subisce
il
potere
intrattiene
un
rapporto
prevalentemente economico nei confronti di chi esercita il potere (esempio
classico sono i dipendenti di un’impresa o i clienti)
-
impegnato, infine allorché chi subisce il potere condivide i valori e i fini
dell’organizzazione (esempio classico sono i membri di una squadra
sportiva).
Proseguendo su questa direttrice d’analisi, Etzioni arriva a proporre una
classificazione delle organizzazioni in tre tipi che sono:
-
organizzazioni coercitive, dove la disposizione all’obbedienza da parte dei
membri dell’organizzazione è di tipo alienativo (esempi sono le carceri, i
campi di concentramento, gli ospedali psichiatrici)
-
organizzazioni utilitaristiche, dove la disposizione all’obbedienza è di tipo
calcolativo (esempi sono le imprese e più in generale le organizzazioni di
lavoro)
-
organizzazioni normative, dove la disposizione all’obbedienza è di tipo
impegnato (esempi sono le organizzazioni religiose, culturali, associazioni
di volontariato, ecc.).
A questo punto del suo ragionamento, e dopo aver aggiunto un ulteriore tassello
alla sua analisi, rappresentato dalla relazione che nei tre tipi di organizzazione
passa tra la variabile che egli definisce “campo di controllo” (vale a dire il
complesso di attività che i membri svolgono insieme all’interno delle
organizzazioni) e quella che definisce “aree di invadenza o di pervasione” (vale a
dire il complesso delle attività per le quali l’organizzazione stabilisce norme di
comportamento per i suoi membri), Etzioni è pronto ad affrontare la questione
delle fonti di legittimazione della leadership nelle organizzazioni e a costruire su
questa base la propria classificazione dei tipi di leadership.
Secondo questo autore infatti la leadership può avere due diverse fonti di
legittimazione: le qualità personali del leader o il ruolo ufficiale ricoperto dalla
66
gerarchia. Le due fonti sono tra loro indipendenti, nel senso che, alle qualità
personali può non corrispondere una carica ufficiale e viceversa21.
A questa affermazione corrisponde la tipologia della leadership di Etzioni, frutto
del modo in cui possono essere combinate le due fonti di legittimazione. Ed ecco
tre categorie di leadership (le categorie sono tre non quattro, dal momento che la
quarta casella rimane sostanzialmente vuota, perché manca qualsiasi
legittimazione):
-
formale
-
informale
-
burocratica
Figura 2.2 – I quattro stili di leadership secondo Amitai Etzioni
Fonte: A. Etzioni, 1961
21
BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli p.337
67
Il primo tipo è costituito dalla leadership che possiamo ritenere “completa”, dove
cioè il ruolo gerarchico si accompagna alle qualità personali (ad esempio un capo
eletto per i suoi meriti). Il secondo tipo definisce, invece, la leadership informale di
chi ha il potere per le sue doti personali, ma al di fuori della gerarchia (ad esempio
il leader di un movimento spontaneo di protesta). Il terzo tipo definisce la
situazione opposta, dove la leadership è dovuta unicamente al ruolo burocratico
ricoperto (ad esempio un poliziotto che ordina un arresto). Il quarto tipo coincide
con l’assoluta assenza di leadership.
Collegata alla leadership è la questione del carisma, inteso come l’abilità di una
persona ad esercitare una diffusa ed intensa influenza sugli orientamenti normativi
di altri attori. La definizione << si collega alla distinzione tra la leadership
strumentale riguardante il dominio delle tecniche e delle procedure, e la leadership
espressiva che riguarda il dominio delle convinzioni morali e dei valori. Una
leadership soltanto tecnica, afferma Etzioni, non può mai essere carismatica;
questa qualità è riservata unicamente alla leadership espressiva, nella misura in
cui il leader esercita un’influenza diffusa ed intensa sui convincimenti generali di
coloro che riconoscono la sua autorità>>22.
Il concetto di potere è strettamente collegato con il concetto di leadership, dato
che il potere è uno dei mezzi mediante il quale un leader influenza il
comportamento dei collaboratori. Esso è il potenziale di influenza di un leader, è la
risorsa che gli permette di influenzare gli altri e di ottenere consenso.
Il potere è un requisito senza il quale il leader non può guidare gli altri e, che
leadership e potere sono due facce della stessa medaglia all’interno dei metodi di
governo di un’organizzazione. Ma da dove deriva il potere dei leader? Etzioni 23
distingue il potere in due categorie:
-
potere di posizione
-
potere personale.
In funzione di questa suddivisione, una parte del potere dei leader viene loro
22
23
BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli p.339
ETZIONI A., (1961), A comparative Analysis of complex organizations, The Free Press, New York.
68
proprio dal fatto di ricoprire una posizione organizzativa che permette di utilizzare
certe risorse specifiche come: il riconoscimento di avere un’autorità formalmente
legittimata, il controllo esercitato su risorse, ricompense e sanzioni. Il potere di
posizione tende, quindi, a fluire verso il basso di un organizzazione. L’altra
categoria, ossia il potere personale, è costituita dalle qualità personali, quali: la
competenza tecnico-professionale la capacità di suscitare sentimenti positivi, di
vicinanza emozionale, di lealtà o di identificazione, e il carisma personale, inteso
come capacità di influenzare, con una forte componente emotiva. Il potere
personale è la misura in cui i collaboratori si sentono ben disposti e sono
impegnati nei confronti del leader, è la misura di quanto le persone sono disposte
1a seguire un leader. In un contesto organizzativo, quindi, il potere personale
viene dal basso, cioè dai collaboratori. La situazione migliore per i leader, secondo
Etzioni, è quella in cui dispongono di entrambi i poteri, poiché le basi del potere di
posizione e quelle del potere personale costituiscono assieme un sistema di
interazione-influenza. Ogni base di potere incide tendenzialmente su ognuna delle
altre basi di potere. Si è scoperto, infatti, che la misura in cui gli individui sono
disposti a concedere potere personale dipende dal loro modo di percepire la
capacità del leader di offrire ricompense, punizioni o sanzioni, ossia il potere di
posizione. Si conferisce, allo stesso tempo, potere di posizione ad un leader nel
momento in cui si percepisce che quel leader è apprezzato e rispettato e dispone
di maggiori informazioni ed esperienze rispetto ai collaboratori (potere personale).
Diverso è il significato di autorità che fa riferimento alla legittimità dell’esercizio
del potere, quindi, è attribuito agli individui secondo regole definite 3. L’autorità, è
un particolare tipo di potere, che trae la propria origine dalla posizione ricoperta da
un leader; è quel potere che si legittima in virtù del ruolo formale dell’individuo
all’interno di un’organizzazione.
Con il termine controllo, si intende la modalità con cui si verifica il conseguimento
di standard specificati. Il controllo non è altro che un’esplicazione concreta di un
potere acquisito.
La leadership è connessa a questi concetti, poiché questi non sono altro che
sfaccettature della stessa, ma è importante non far coincidere, o meglio non
riconoscere la leadership mediante l’identificazione univoca in una delle
69
dimensione, tant’è che, ad esempio, si può essere leader senza autorità e si può
avere autorità senza essere leader.
2.2.2 Rensis Likert: Stili di leadership e linking pins
Il contributo teorico di Likert più importante rigurda la sua tipologia degli stili di
leadership.
Lo studioso ne individua tre tipi e li dispone lungo un continuum, e cioè:
-
lo stile autoritario sfruttatorio. manager lo adotta quando decide da solo sul
da farsi e impone le sue scelte ai subordinati ricorrendo alla coercizione.
Esso si fonda quindi sul timore, sulla coercizione, sulle minacce. Gli
atteggiamenti sono di solito ostili e contrari agli obiettivi dell’organizzazione.
Vige un sistema decisionale verticistico;
-
lo stile autoritario benevolo. Esso si fonda su ricompense e punizioni reali o
potenziali, e su atteggiamenti di competitività per l’acquisizione dello status.
Esiste un sistema decisionale che assegna alla direzione le decisioni di
portata generale e delega ai livelli più bassi quelle più specifiche;
-
lo stile consultivo. Esso si fonda su ricompense, punizioni saltuarie e una
certa partecipazione. Anche nello stile consultivo il manager adotta le
decisioni di maggior rilievo, ma incoraggia comunque i suoi subordinati a
proporre idee e possibili soluzioni ai problemi.;
-
lo stile partecipativo di gruppo. Esso è caratterizzato da un controllo
gerarchico più distaccato, su reazioni non punitive in caso di errori ma
orientate ad una comprensione amichevole dello sbaglio. Nel sistema
decisionale hanno fondamentale importanza le discussioni di gruppo dei
lavoratori con i propri superiori. È uno stile fortemente democratico,
caratterizzato da un ampio ricorso alla delega delle decisioni. Il manager
conserva, in questo caso, un ruolo di supervisione. Un approccio di questo
tipo consente ai componenti del team di prendere parte al processo
decisionale, si sentono coinvolti nel progetto e questo aiuta il leader a fare
in modo che gli obiettivi di ciascun individuo coincidano con quelli
70
dell’azienda. Generalmente quando è presente un approccio partecipativo il
rendimento e la performance sono migliori e questo perché il leader riesce
ad instaurare una migliore comunicazione con il proprio team, ha
l’occasione e di conoscere meglio le singole persone che prendendo parte
al processo decisionale “posso dire la loro”, sentendosi così di poter
contribuire
al
progetto
aziendale.
Attraverso
questo
processo
di
conoscenza reciproca e di mediazione tra le diverse esigenze, gli obiettivi
dell’individuo si avvicineranno sempre più a quelli aziendali.
Anche se Likert stesso dice che non esiste uno stile di leadership migliore in
assoluto, in quanto l’efficacia e la validità dipendono essenzialmente dalle
circostanze, ma per questo autore, come per la scuola delle Relazioni Umane,
un ruolo centrale nella vita delle organizzazioni è svolto dal “gruppo”. A differenza
degli psicologi di quella scuola, che fanno riferimento alla dimensione informale,
psico-emotiva delle relazioni di gruppo all’interno delle organizzazioni, il gruppo al
quale si riferisce Likert è quello formale, è “il gruppo di lavoro” incardinato
nell’organizzazione formale. Quindi per Likert possiamo affermare che la forma di
legittimazione più importante è quella del proveniente dal gruppo.
I gruppi di lavoro costituiscono per Likert l’ossatura dell’organizzazione. Essi sono
collegati tra loro secondo una disposizione gerarchica, in modo da rispettare il
principio secondo il quale di ciascun gruppo fanno parte una “base”, che
comprende i membri che sono a capo di gruppi di lavoro posti a livello gerarchico
inferiore, ed un “capo” che a sua volta, insieme ai membri posti a capo degli altri
gruppi collocati sullo stesso piano orizzontale, forma la base del gruppo di lavoro
posto a livello gerarchico superiore.
71
Figura 2.3 – I “perni connettori” secondo Rensis Likert
Fonte: R. Likert, 1961
Il collante di quest’ossatura è rappresentata da quelli che Likert definisce i “perni
connettori” (linking pins), e che altro non sono che gli stessi membri dei gruppi di
lavoro; membri, questi, che proprio per il ruolo assolutamente fondamentale che il
gruppo di lavoro riveste per l’organizzazione nello schema teorico di Likert,
devono essere << dotati di un alto grado di lealtà verso il gruppo stesso, di
effettive capacità di interazione e con obiettivi che richiedono un alto
rendimento>>24.
Secondo questo schema, l’interazione si verifica tanto tra gli individui che tra i
gruppi; alcune indagini sperimentali dimostrano che se un dirigente(o comunque
un superiore) deve assolvere con successo il suo ruolo di guida del gruppo, deve
mostrarsi capace sia come capo che come subordinato(per cui sia come leader
che come membro del gruppo).
L’importanza che ha il gruppo di lavoro in tutto il ragionamento di Likert si coglie
ad ogni passo delle sue elaborazioni in tema di leadership; un’elaborazione che si
fonda su un’analisi metodologicamente rigorosa di varie ricerche empiriche in
materia di sociologia industriale, a partire inanzitutto da quelle di A. Marrow, D.
24
BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli, p.112
72
Bowers e S. Seashore, nell’ambito delle organizzazioni di successo (1967), e alla
fine degli anni ’30, di Kurt Lewin su gruppi di studenti dell’università dell’Iowa.
Likert osserva così che la maggior parte delle persone è altamente motivata a
comportarsi conformemente agli obiettivi e ai valori del proprio gruppo di lavoro, al
fine di riceverne riconoscimento, appoggio, sicurezza e reazioni favorevoli. Ad
esempio, alcune ricerche indicano che quanto maggiori sono l’attrazione e la lealtà
nei confronti del gruppo, tanto più l’individuo è motivato a:
-
accettare gli obiettivi e le decisioni del gruppo
-
cercare di influenzare gli obiettivi e le decisioni del gruppu, in modo che
siano conformi alla propria esperienza e alle proprie mete
-
comportarsi in modo da contribuire alla realizzazione degli obiettivi e delle
decisioni che il gruppo considera molto imporatante
-
comportarsi esattamente in modo da ricevere appoggio e riconoscimento
favorevole dai membri del gruppo e specialmente da coloro che l’individuo
considera i più potenti e di status più elevato.
Si può, pertanto, concludere che la direzione farà un pieno uso delle capacità
potenziali delle sue risorse umane, solo allorché ciascuna persona appartenente
all’organizzazione sarà membro di uno o più gruppi di lavoro efficientemente
funzionanti, che presentino un alto grado di realtà di gruppo ed efficaci capacità di
interazione ed elevati obiettivi di rendimento.
Un principio altrettanto importante è per Likert quello delle cosidette “relazioni di
sostegno” che si svolgono nelle dinamiche dei gruppi di lavoro. Da alcuni studi si è
giunti alla conclusione che i subordinati reagiscono favorevolmente alle
esperienze che essi ritengono di sostegno e che contribuiscono al raggiungimento
del risultato in base al loro senso di importanza e di valore personale.
Analogamente, i dipendenti reagiscono sfavorevolmente alle esperienze coercitive
e che diminuiscono o minimizzano il loro senso di dignità e valore personale. <<
Ciascuno di noi desidera stima, riconoscimento, influenza, un senso di
realizzazione, e la sensazione che le persone che riteniamo importanti ci
dimostrino fiducia e ci rispettino. Desideriamo insomma avere il nostro posto nel
73
mondo. Di conseguenza, il membro individuale di una organizzazione interpreterà
sempre un’interazione tra quest’ultimo e se stesso sulla base del suo background,
della sua cultura delle sue esperienze e delle proprie aspettative >>25.
Quindi la leadership e gli altri processi organizzativi devono essere tali da
assicurare il massimo delle probabilità che ciascun membro dell’organizzazione
alla luce del suo background, dei suoi valori e delle sue aspettative, consideri
l’esperienza come un fatto di sostegno e tale da creare e mantenere il suo senso
di valore e di importanza personale.
Il lavoro di Likert ha lo scopo di presentare una nuova teoria dell’organizzazione
basata sui principi e i metodi di direzione dei manager volti a rendere
l’organizzazione produttiva più congruente con il crescente bisogno di libertà, di
progresso dell’istruzione, di miglioramento della salute mentale, nonché con la
complessità delle nuove tecnologie.
Il suo modello organizzativo muove dall’analisi delle motivazioni dei dipendenti cui
i manager “più produttivi”consentono soddisfazioni, nonché sul ruolo centrale che
ha il gruppo di lavoro: esso deve avere un alto grado di lealtà di gruppo, capacità
di interazione e alti obiettivi di efficienza. Una notevole quantità di risultati di
ricerche, dimostra che quanto maggiore è la lealtà dei membri di un gruppo verso
il gruppo stesso, tanto più forte sarà la motivazione che spinge i membri del
gruppo a conseguire gli obiettivi e tanto più grande la probabilità che questo li
consegua.
Grazie ai risultati delle tante ricerche analizzate, Likert avanza le sue proposte
relative ad un nuovo metodo di direzione aziendale, fondato sulla presenza di una
leadership che richiede continui cambiamenti sostanziali, nell’intera struttura
organizzativa ed, in particolare, nel sistema e nel modo di comunicare.
Per Likert << le comunicazioni non devono limitarsi, come raccomanda la scuola
classica, a discendere dall’alto al basso in forma di comandi. Sono previste anche
comunicazioni dal basso verso l’alto, che devono tradursi in un’effettiva influenza
che i collaboratori subordinati esercitano in aperte discussioni di gruppo con i loro
25
LIKERT R., (1961) , Nuovi Modelli di Direzione Aziendale, Franco Angeli
74
capi. L’autonomia dei collaboratori è un elemento fondamentale del nuovo modello
direttivo; ma d’altra parte questa autonomia non deve tradursi in isolamento e
mancanza di contatti verticali. Il capo ideale per Likert è colui che riesce a
conciliare il rispetto dell’autonomia dei suoi dipendenti con continui e collaborativi
scambi di idee >>26.
Per quanto riguarda le funzioni delle leadership Likert sostiene che il ruolo del
leader, all’intero dei gruppi altamente efficienti è particolarmente importante, in
quanto alcune funzioni relative alla leadership possono essere condivise con i
membri del gruppo, mentre altre possono essere svolte soltanto dal leader
designato (come ad esempio, decisioni da prendere rapidamente, per le quali non
c’è tempo per attendere lo svolgersi dei processi di gruppo.)
Il leader, inoltre, è pienamente responsabile della prestazione del gruppo, e deve
accertarsi che questo si adegui alle richieste stabilite dal resto dell’organizzazione
di cui esso fa parte. Tuttavia il leader non cerca di prendere tutte le decisioni da
solo: egli porta il suo gruppo a costituire un’unità che, con la sua partecipazione,
prende decisioni migliori di quanto esso possa fare da solo.
2.2.3 Renato D’amico: Management e Leadership
Renato D’Amico, rielaborando i contributi di numerosi autori e prendendo spunto
da Likert, individua due dimensioni distinte, ma complementari, nella quale viene
esercitata l’autorità: Management e Leadership; riprendendo il pensiero di Kotter,
descrive e distingue le due accezioni come:
- Management: gestione della complessità, quindi gestione dell’attività, ordine e
coerenza;
- Leadership: gestione del cambiamento, necessario quindi in contesti
estremamente dinamici, competitivi ed incerti.
26
BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, FrancoAngeli p.112
75
Nei contesti competitivi moderni Management e Leadership costituiscono due
diversi modi in cui si coniuga la tradizionale attività di direzione del capo e il
riferimento è soprattutto a tre dimensioni:
1. le fonti di legittimazione dell’autorità delle due figure
2. il ruolo e le funzioni che le due figure svolgono nell’organizzazione
3. le rispettive qualità personali
La fonte di legittimazione dell’autorità, nel caso del manager essa risiede nel fatto
di possedere un’elevata conoscenza degli aspetti tecnico-gestionali dell’azienda in
cui lavora, oltre ad occupare una posizione di vertice nella gestione formale
dell’organizzazione. Il leader, invece, non deve necessariamente ricoprire un ruolo
di vertice, ma la sua fonte di legittimazione si fonda soprattutto sul possesso di
qualità personali particolari, quali la capacità di attrarre, di coinvolgere, di
influenzare e di motivare tutti i membri, allo scopo di creare un’atmosfera
armoniosa che meglio permette di lavorare insieme e di raggiungere il fine
organizzativo.
Per quanto riguarda il ruolo svolto all’interno dell’organizzazione, quel che
contraddistingue l’attività manageriale è il fatto di essere orientata verso il problem
solving, intesa come attività di analisi, di valutazione e di soluzione dei principali
problemi aziendali. Il manager si occupa di tutti gli aspetti formali dell’attività, ed
evita sostanzialmente il confronto e lo scambio di opinioni con gli altri membri del
gruppo che non hanno accesso alle informazioni, a cui riconosce quindi un ruolo
meramente esecutivo. Ben diverso è il ruolo del leader, la cui attività è
principalmente caratterizzata dall’interpretare le situazioni. E quindi l’attività del
leader è orientata alla << ricerca del know-why ancora prima del know-how (verso
cui è orientata l’attività del manager): “sapere perché fare”27 è preliminare la
“sapere come fare”>>. La differenza è quindi che il manager è considerato un
risolutore dei problemi di routine; il leader invece è visto come lo scopritore dei
problemi sia di routine che non.
27
BENNIS W., NANUS B., (1987), Leader. Anatomia della Leadership. Le 4 chiavi della Leadership
effettiva, Milano, Franco Angeli, p. 46
76
L’ultimo tratto che distingue le due figure è quello relativo alle attitudini e alle
qualità personali. L’immagine tradizionale del manager fa riferimento a quelle
capacità organizzative che permettono ad un dirigente di gestire e di dirigere
un’azienda, senza quasi dover ricorrere ad aiuti esterni (è una visione più
”tayloristica”, il manager deve ricercare efficace e produttività, per massimizzare il
profitto). Nel caso del leader invece, ci troviamo di fronte a un complesso di doti
personali che riguardano, ad esempio, il saper mettere in discussione le proprie
idee, il saper contare sulle proprie abilità personali di visione e di
programmazione, il sapersi rivolgere alle emozioni e all’intelligenza dei
collaboratori, senza mezzi coercitivi; nell’accezione più moderna infatti, non trova
più spazio la visione del leader come capo autoritario che impone le proprie
convinzioni ai sottoposti.
77
Capitolo 3
LEGITTIMAZIONE MORALE E LEADERSHIP ETICA
3.1 – Legittimazione morale del leader
Come spiegato nei precedenti capitoli, la leadership non va intesa come puro
comando ma come autorità. Essa richiede sempre di essere legittimata da chi si
trova in una posizione subordinata, affinché accetti di seguire le indicazioni di chi
detiene maggiore potere.
Spesso in economia tale legittimazione è interpretata come un semplice accordo
contrattuale, relativo a una prestazione di lavoro in cambio di una remunerazione,
ma questa visione non esaurisce la comprensione del ruolo del leader all’interno di
un team di lavoro nel quale egli dà indicazioni che favoriscono il coordinamento e
la cooperazione tra i membri.
Infatti nel caso della leadership sono in gioco valori e interessi che vanno al di là
dello scambio tra una prestazione prefissata e il relativo pagamento e che si
riferiscono alle ragioni per cui un gruppo di persone dovrebbe accettare di farsi
guidare da un leader. In sostanza l’autorità è una “delega a decidere” che si basa
sull’accettazione preventiva, grazie alla quale le decisioni delegate saranno
effettivamente eseguite dai membri del gruppo.
Anche la legittimazione è una decisione che necessita di una spiegazione ai
componenti dell’organizzazione; per farlo è importante risalire alle ragioni che
determinano l’accettazione dell’autorità, interpretata come rinuncia a discutere
ogni singola decisione su una base fiduciaria, supposto che il leader è tale che le
sue funzioni servono al gruppo stesso che gli riconosce la delega a decidere.
Nei capitoli precedenti sono state esposte alcune delle ragioni che sottostanno alla
accettazione di un leader; in questo paragrafo approfondiremo l’etica come
componente essenziale della legittimazione.
L’etica “offre ragioni morali per accettare la relazione di autorità, che si
manifestano nel caso in cui tali ragioni siano imparziali (…), ovvero riconoscere
78
che l’autorità garantisce un beneficio o un valore che tocca imparzialmente tutti
coloro che danno fiducia al leader stesso.”28
Al contempo, l’interpretazione dell’etica come una delle ragioni fondanti la
legittimazione morale del leader, implica il riconoscimento da parte di quest’ultimo
che:
 i collaboratori siano depositari di diritti e di altre caratteristiche morali e non
un semplice strumento per il raggiungimento dei fini dell’organizzazione.
Infatti se seguissimo il ragionamento in una pura ottica finanziaria, in cui
l’unico scopo dell’impresa è la creazione di valore per gli azionisti,
dovremmo giungere alla conclusione che tutti i membri e i fattori della
organizzazione siano dei semplici mezzi. Se cosi fosse, i dipendenti
eseguirebbero le proprie mansioni esclusivamente in cambio del salario; di
conseguenza si verrebbero a creare delle reazioni a catena che originano
dalla sterilità del rapporto tra il soggetto ed il proprio lavoro. Un dipendente
non motivato, in una tale situazione, tenderà a non estendere le proprie
competenze e a non aiutare i colleghi a superare eventuali difficoltà.
Questo
incide
in
modo
negativo
sulle
relazioni
all’interno
dell’organizzazione, venendo meno quindi alla realizzazione di un gruppo
solido, che si basa su cooperazione e collaborazione. Non da ultimo la
leadership mancherà di prospettive, trovandosi di fronte collaboratori non
motivati ed individualisti. Quindi, dando per scontato che all’interno di
un’organizzazione ognuno cerca di soddisfare i propri obiettivi, ciascun
individuo è sia un mezzo per il perseguimento dello scopo altrui, che un
fine, nel senso che la cooperazione dei collaboratori gli è necessaria al
raggiungimento delle proprie finalità.
D’ORAZIO E. (2007), Corporate Integrity, Ethical Leadership, Global Business Standards. The Scope and
Limits of CSR, POLITEIA, XXIII, 85/86, 2007, pp. 497.
28
79
Figura 3.1 – L’individuo come mezzo di creazione del valore
AUTORITÀ
 la legittimazione della leadership sia basata imparzialmente su scopi, valori
e interessi di coloro che ne accettano l’autorità. L’etica della gestione delle
risorse umane non può essere “imposta” dall’alto come una pura richiesta
di osservanza di regole dettate dal vertice, ma i suoi principi, per essere
accettati, devono preventivamente essere riconosciuti come termini di
mutuo accordo da parte di ciascun agente morale, posto così in grado di
esercitare la sua autonomia razionale. L’adozione di questi principi avviene
tramite il consenso razionale, non forzato e informato da parte dei
partecipanti al dialogo, che sebbene siano ciascuno portatore di propri
interessi, siano non di meno spinti da un’analoga preoccupazione per il
consenso e l’accordo comune. A partire dai principi etici trovati tramite
accordo, possiamo rintracciare le ragioni morali in nome delle quali una
data autorità è legittimata.
80
Tali considerazioni non ci devono portare a pensar che l’etica della leadership
possa essere usata come un semplice strumento per acquisire l’osservanza o
l’adesione dei collaboratori per scopi che non rientrano nei loro obiettivi.
L’uso strumentale della legittimazione etica paradossalmente non determina
l’accettazione della leadership perché i collaboratori non si vedranno attribuita la
dignità di agente morale, ma otterrà come unico risultato la benevolenza di quei
proprietari che hanno come unica preoccupazione la remunerazione sottoforma di
dividendi.
3.2 - La leadership etica e gestione delle risorse umane
Sarebbe limitativo considerare l’etica solo come fonte di legittimazione, in quanto
essa dovrebbe essere una “condizione” diffusa all’interno dell’organizzazione.
Questa prospettiva dipende dalla creazione nelle imprese di nuove strutture di
governo e di reporting capaci di istituzionalizzare l’etica al loro interno.
I requisiti minimi identificati dalle “Linee Guida” per lo sviluppo nelle aziende, in
particolar modo oltreoceano, sono:
 l’organizzazione deve sviluppare standard di comportamento
 deve
nominare
un
alto
dirigente
responsabile
dell’attuazione
del
programma29
 non deve delegare potere discrezionale a dipendenti che siano noti per la
loro propensione a comportamenti illegali
 deve comunicare gli standard di comportamento e le procedure in modo
efficace a tutti i dipendenti30
 deve predisporre sistemi per monitorare e verificare l’effettiva attuazione di
standard e procedure e per riferire eventuali comportamenti illeciti
 deve far osservare gli standard di condotta prevedendo meccanismi
sanzionatori
 deve impegnarsi nel miglioramento continuo del programma etico
29
30
D’Orazio definisce queste figure come Ethics Officer
Ad esempio attraverso la realizzazione di corsi in formazione etica
81
Figura 3.2 - Linee guida per lo sviluppo etico
Uno dei documenti più efficaci per la penetrazione delle linee guida
nell’organizzazione è il codice etico, che rappresenta un contratto sociale tra
l’impresa ed i suoi stakeholder (in particolare riferendoci ai dipendenti) e ha la
“funzione di legittimare l’autonomia dell’impresa annunciando pubblicamente che
essa è consapevole dei suoi obblighi di cittadinanza e che ha sviluppato politiche
e pratiche aziendali coerenti con essi”31.
Dal punto di vista delle risorse umane, il contratto sociale rappresenta un’ipotetica
scelta, in base alla quale coloro che sono sottoposti alla gerarchia dell’impresa,
decidono razionalmente di accettarla, a condizione che i loro diritti siano rispettati.
Il codice etico deve essere anche teso all’instaurazione di relazioni di fiducia
all’interno dell’ambiente lavorativo e prevedere che l’impresa investa a tal fine in
31
D’ORAZIO E. (2003), Codici etici, cultura e responsabilità d’impresa, Politeia, XIX, 72, pp.127- 143.
82
modo da salvaguardare i rapporti creatisi, ossia il capitale sociale. In questo caso
l’impresa deve tenere in considerazione che tali investimenti sono naturalmente
soggetti alla debolezza delle relazioni fiduciarie.
La fiducia nel business rappresenta infatti un “collante” che permette lo sviluppo di
tutte quelle relazioni che non possono essere pienamente definite in termini
contrattuali. Alcuni studiosi considerano la fiducia, nell’ambito delle organizzazioni,
una caratteristica tipica del contratto relazionale, i cui termini sono
intenzionalmente incompleti, per cui, nonostante l’intento iniziale dei contraenti sia
quello di lavorare assieme, esiste sempre la possibilità che si verifichino
comportamenti opportunistici.
La fiducia reciproca è una condizione fortemente desiderabile da parte
dell’impresa nelle relazioni con gli stakeholder in generale e con i dipendenti in
particolare, in quanto incoraggia lo scambio di idee e informazioni, riducendo al
contempo la necessità di controlli costosi e consentendo l’adattamento al
cambiamento e la disponibilità a lavorare nonostante le differenze culturali.
Attraverso la condivisione di idee e informazioni tra i dipendenti risulta stimolata
anche la capacità innovativa dell’impresa nel suo insieme e quindi la sua capacità
di cogliere le opportunità.
Ciò che consente ai membri e alle unità di un’organizzazione di fidarsi
reciprocamente e di collaborare è il riferimento a valori condivisi, cioè a norme
culturali che contribuiscono a definire l’organizzazione.
Tutti questi risultati possono essere ottenuti soltanto se i vertici aziendali prestano
la dovuta attenzione alla progettazione e successiva implementazione del codice
etico aziendale, strumento di autoregolazione che fornisce a manager e dipendenti
una direzione in senso etico.
Il codice etico influenza il comportamento dei dipendenti in modo significativo, solo
se le sue indicazioni risultano coerenti con la cultura aziendale nel suo
complesso32. Adottare questa impostazione presuppone considerare l’etica
d’impresa una questione che investe sia la sfera organizzativa che personale.
32
TREVINO L.K., NELSON K.A. (2004), Managing Business Ethics, Wiley & Son, pp.240-243, N.Y
83
Ne consegue che l’etica ha a che fare con il management: i manager infatti,
modellano il contesto organizzativo attraverso il loro comportamento, il loro
disegno dell’organizzazione e dei suoi sistemi e la loro leadership
nell’elaborazione di un codice etico che orienta il processo decisionale.
Recentemente si è giunti alla conclusione che la “reputazione” di leadership etica
poggia su due dimensioni che operano congiuntamente:
 la dimensione della persona morale, cioè capace di prendere le decisioni
etiche;essere una persona morale indica ai dipendenti come il leader è
probabile che si comporti, ma non come esso si aspetta che i dipendenti
agiscano.
 la dimensione del manager morale, cioè colui che pone al centro del
messaggio di leadership l’etica e i valori che modellano la cultura
dell’impresa e opera dando l’esempio, comunicando operativamente e
costantemente con i dipendenti circa l’etica e i valori e premiando
coerentemente la condotta di coloro che vi aderiscono.
La combinazione di queste due dimensioni dà origine ad una matrice che definisce
quattro modi in cui i dirigenti possono sviluppare una reputazione di leadership
etica, immorale, ipocrita e neutrale.
Figura 3.3 – I 4 modi per sviluppare una reputazione di leadership
84
Affinchè l’insieme dei valori etici stabiliti dal management rappresenti uno
strumento effettivo per la gestione dell’organizzazione, i leader devono impegnarsi
in prima persona comportandosi in modo conforme ad essi. Infatti, la
comunicazione dei valori tramite codici etici, programmi, e altri documenti, per
quanto importanti, ha un impatto estremamente limitato se non è accompagnata
da un comportamento che li rispecchi: il comportamento etico del leader, unito alla
motivazione a far rispettare la cultura e l’etica dell’organizzazione per tutti i
membri, sono i fattori più importanti per l’affermazione delle stesse.
Gli ideali ed i principi etici devono essere condivisi tra il leader e gli altri membri
dell’organizzazione; il fatto che tali ideali e tali principi informino il comportamento
dei leader fornisce uno stimolo ed un rinforzo per tutti gli altri membri.
Un sistema di valori non si può imporre, ma si può condividere proponendosi
come esempio di interiorizzazione, di applicazione e di difesa di tale sistema,
proprio perché il più importante fattore nella costruzione dell’etica di
un’organizzazione è l’esempio dato dai suoi leader. Il loro comportamento invia un
messaggio ai dipendenti più chiaro di qualunque codice etico aziendale;
un’evidente incoerenza tra comportamento dei vertici e standard adottati
dall’azienda produrrà cinismo nei dipendenti ed erosione degli standard stessi,
poiché la ricezione di messaggi contraddittori lasciano i collaboratori senza
adeguato sostegno per l’azione responsabile. E’ comunque necessario tenere
presente che leadership, sistemi, strutture e culture possono influire sul
comportamento individuale ma non determinarlo.
85
Figura 3.4 – Leadership dei valori
In generale le fonti all’origine dei valori sono raggruppabili sotto quattro fattori
principali:
1. I valori etici e le convinzioni morali di ciascuno dei membri possono
influenzare le decisioni etiche dell’organizzazione.
2. La cultura organizzativa può influenzare notevolmente il comportamento
etico sul lavoro dei membri dell’organizzazione indipendentemente dai
valori etici di ciascuno di essi.
3. I sistemi organizzativi: le procedure, i sistemi di ricompensa e di controllo
formalizzano e rinforzano i valori etici espressi dalla cultura aziendale. Ad
esempio le norme dell’organizzazione prevedere cerimonie o premi per le
persone che si sono distinte per l’eticità del loro comportamento. I sistemi
86
traducono
organizzativi
nell’architettura
organizzativa
i
valori
etici
imcorporati nella cultura organizzativa.
4. Anche
gli
stakeholder
esterni
all’organizzazione
contribuiscono
ad
“orientare” il comportamento etico dell’organizzazione: l’indirizzo politico
delle Pubbliche Amministrazioni, la presenza di associazioni ambientaliste,
etc.
possono
incidere
in
modo
rilevante
nella
formazione
etica
dell’organizzazione.
Figura 3.5 – Le fonti dei valori etici nelle organizzazioni
Infine, si possono suggerire alcuni aspetti e fasi di un codice morale della gestione
delle risorse umane basato sull’idea di contratto sociale:
 all’avvio del rapporto: informazione il più possibile completa sulle
caratteristiche
del
lavoro,
trasparenza
sulle
alternative
e
non
discriminazione arbitraria nella selezione.
 nella gestione del rapporto: non abuso delle asimmetrie informative, non
abuso di autorità nell’ambito della gestione della carriera, opportunità di
formazione
e
sviluppo
di
capitale
umano
e
sua
qualificazione,
87
riconoscimenti nel merito, valutazione del lavoro in team, riconoscimento
delle situazioni di bisogno, partecipazione al processo decisionale,
accountability ed equità delle procedure decisionali che riguardano il
personale e le carriere.
3.3 – Le sette responsabilità manageriali verso l’interno
dell’impresa
Come abbiamo già ripetuto precedentemente esiste una dimensione etica
dell’attività imprenditoriale, ossia un’attività economica rivolta al bene comune
dalla quale l’intera collettività trae giovamento in molteplici modi e circostanze, e
viene realizzato attraverso l’assunzione di responsabilità interne puntuali e
fondamentali che Novak così sintetizza:
1. Soddisfare i clienti con beni e servizi realmente validi: è indubbio che siano i
clienti, attraverso l’acquisto dei prodotti dell’impresa, ad esprimere il
verdetto finale nei confronti della stessa. I manager si assumono, nei
confronti dei propri clienti, un’insieme di responsabilità dal contenuto etico e
morale alla quale devono far fronte con un impegno quotidiano.
2. Realizzare un ragionevole reddito dai capitali affidati all’impresa agli
investitori: questa è una responsabilità sociale di fondamentale importanza
riconosciuta anche dagli studiosi più liberisti, dalla quale deriva l’affidabilità
di un impresa e l’appetibilità a farne parte. Gli investitori soddisfatti
resteranno all’interno dell’impresa e oltre a impiegare nuovi capitali
fungeranno da polo attrattivo per nuovi soggetti che apporteranno
un’ulteriore disponibilità di capitali.
3. Creare nuova ricchezza: altrimenti se l’impresa non ne crea fa girare a
vuoto i propri ingranaggi e si autodistrugge.
4. Creare nuovi posti di lavoro: è una delle grandi responsabilità odierne e per
realizzarla il mondo del lavoro si affida all’universo imprenditoriale; la
formazione di nuovi lavoratori dipendenti passa attraverso la creazione di
nuovi datori di lavoro.
88
5. Sconfiggere l’invidia favorendo la mobilità verso l’alto e fornendo un
fondamento empirico alla convinzione che il lavoro duro e il talento sono
adeguatamente
ricompensati,
attraverso
attività
industriali,
iniziative
economiche che contribuiscono a migliorare la propria condizione sociale e
di vita, possibilità che ha come chiavi di accesso lavoro duro, buona
volontà, ingegnosità e talento.
6. Promuovere l’inventiva, l’ingegnosità ed in generale “il progresso nelle arti e
nelle scienze utili”, responsabilità primaria per l’impresa votata al successo.
L’attività d’impresa è incentrata infatti sulla creazione e l’innovazione,
obiettivi che devono essere perseguiti attraverso la concessione di incentivi
per la scoperta di nuove idee pratiche e per la loro messa a servizio del
prossimo. La creatività è una virtù nella vita delle imprese, coloro che
sminuiscono e frenano la capacità creativa, violano la loro vocazione, e si
danneggiano.
7. Diversificare gli interessi del paese: manager dovrebbero dare concretezza
all’impegno dei lavoratori ed espandere le loro conoscenze pratiche sui
diversi settori della vita economica.
Ciascuna di queste sette responsabilità deve essere assunta dalle imprese in
modo diffuso in quanto critica per la salute economica e sociale di un paese e
della società civile.
89
Figura 3.6 – Le 7 responsabilità manageriali
Le 7
responsabilità
manageriali
90
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