La morte dell’arte e la morte nell’arte. Sanmicheleinisola di Gabriella di Trani Tempo fa era ancora attuale porsi la domanda sulla morte dell’arte, ora il dibattito si è spostato e avendo accettato che morta lo è , e pure ben sepolta, non tanto per le cause prospettate da Hegel, che per primo diede la notizia del decesso o meglio del suo decedere nel tempo ( il filosofo vedeva l’arte come un metodo sorpassato di ricerca dell’assoluto e che avrebbe ceduto il passo all’indagine filosofica più adatta e avente gli strumenti, non quelli sensibili dell’arte, ma quelli della razionalità dialettica più consoni alla totalità dialettica del vero assoluto ). Tutto ciò si svolgeva alcuni decenni fa. E una parte di artisti, nell’orgia primitiva del sacrificare, inconsapevoli si diedero da fare non poco per infliggere colpi mortali all’arte moribonda; inconsapevoli, perché in quella smania di distruzione non si avvedevano che all’arte andavano sostituendo un altro sistema totalitario che era la filosofia nella sua figura del critico e del mercato che relegava l’arte nell’intrattenimento più o meno culturale. Si tratta ora di elaborarne il lutto, e a seguire il ricordo di ciò che fu. Pagina L’arte non deve spingere alla filosofia. I pensieri che attraverso la fruizione estetica devono generarsi non devono essere ne dialettici ne immediati. L’arte genera non tanto pensieri ma il pensare che è 1 Tutto ciò comporta che si possano avere diversi atteggiamenti, molti ne sentono la mancanza come di un vuoto incolmabile e sono inconsolabili, e la loro opera sia creativa che critica è tutta rivolta ad esaltarne e glorificarne la memoria. Altri fanno finta che non sia vero e con modalità psicotiche instaurano rituali di mostre e teorizzazioni critiche come se la cara estinta fosse ancora lì con loro. Il pubblico, come può, cerca di dare una mano di fronte a quelle scene di dolore e psicosi, consolando imbarazzato, e attraverso la sua presenza, quella vacuità di chi, non volendo ammettere la morte, continua fare gesti artistici molto più vicini alla follia che a ciò che l’arte quando era in vita fu. Gli inconsolabili cercano di riportarne le memorie con post modernismi e attraversamenti dentro le avanguardie, con mostre ed eventi che mediante lo specchio del nuovo in realtà erigono monumenti a ciò che fu. E pertanto, andrebbero ricollocati, concettualmente, più nell’arte monumentale che nell’arte alla quale essi stessi si ispirano. come dire la struttura che contiene le regole , il modello che ha in sé le sue caratteristiche del dettaglio. Per questo l’arte è stata avversata sia dalla filosofia che dalla politica. Poiché l’arte insegna e suscita il pensare mentre la filosofia e il potere insegnano i pensieri . Anche il più compiuto dei sistemi filosofici non farà altro che insegnare i pensieri che in esso stanno anche se si danno come modalità di pensare. Ma il pensare non può essere ricondotto ad accordi sistematici di proposizioni. La filosofia, infatti, con la sua consequenzialità di pensieri e la sua concatenazione di questi funziona correttamente e scientificamente. Ma non ci da una rappresentazione ne immediatezza del pensare al quale si avvicina di più l’arte. L’arte di per sé è una scienza senza scienza, perché non abbisogna dei pensieri o algoritmi che necessitano invece alla filosofia per essere . Pagina Per accedere allo spazio si deve scendere una rampa scoscesa, dopodiché ce ne sarà un’altra e di fronte ci si parerà un velario leggero, quasi una tendina, non un vero e proprio sipario pesante e storicamente pieno di retorica, poiché nella morte si può entrare anche all’improvviso senza che nessuno ci apra o ci avverta che lo spettacolo della morte, forse la nostra, sta per iniziare. Quella tendina nera l’apriamo noi stessi. E una volta dentro subiamo subito la seduzione di un luogo che conosciamo ma di cui non riconosciamo sul momento i dettagli. Ai due lati di un lungo corridoio stanno una fila di tombe di marmo. Loculi con nomi e cespuglietti che escono dai fori del marmo, consunto anche questo dal tempo. Anche nella parete di fronte le stesse lapidi. Su questa però, e svettante verso il soffitto, una proiezione multicolore di fiori, di forme geometrico/ astratte e foto di gruppo sbiadite rendono l’ambiente colorato si, ma di colori che si portano appresso un buio primordiale. Ai piedi delle lapidi ci sono delle strisce in plastica di erba verdissima sulle quali stanno disseminati fiori finti coloratissimi e sgargianti. Colpisce che dei fiori ci siano solo le corolle, senza i gambi, come se in quel prato non è dato crescere ma solo apparire. La crescita presuppone il tempo e lì di tempo non c’è ne più. Per cui anche gli innaffiatoi, pure questi colorati e sgargianti, se ne stanno su di un stenditoio quasi fossero una macchina celibe di Duchamp. Quei fiori non cresceranno più, i loro gambi non ci sono e la presenza degli innaffiatoi è puramente decorativa se non allusiva ad una azione che non si compirà più. Di acqua, invece, ce n’è tanta. E si sente dai suoni diffusi nell’ambiente che si mescolano alle proiezioni. Diversi modi dell’acqua. San Michele è un isola cimitero di Venezia. Quindi 2 E proprio del non essere o del non essere più che ci parla Gabriella di Trani con la sua opera San Michele in Isola allestita presso lo spazio di Arte Fuori Centro. 3 Pagina l’acqua del mare e l’acqua che batte o che s’infrange o che scende sul suolo. A questi suoni si mescolano ancora voci di persone. Non si capisce molto bene ciò che dicono come è sommesso il parlare che si svolge dentro i cimiteri. O come le voci che arrivano smorzate da oltre il muro di recinzione. Fra queste l’artista ha voluto mettere anche la sua di voce. Immersa e sommersa nel suono dell’acqua. Ed è forse in questa sua voce l’unica nota dissonate. Quelle voci sono vive o sono ricordi? E’ lasciato alla suggestione. Ma anche l’artista nel presentare questa sua opera è morto nel realizzarla? All’inizio di questo breve saggio si parlava di morte dell’arte ma della morte dell’artista se ne devono solo occupare le note dei giornali o i listini di borsa, qualora tutte e due esistano nella vita dell’artista? È giusto quindi continuare a parlare di morte dell’ arte e non della morte che ogni artista compie quando crea una nuova opera? Possiamo allora costruire un sistema di ipotesi che vedono nella genesi di un opera un percorso, non tanto vicino alla procreazione di un figlio ma alla nascita di un opera, che è nello stesso tempo la morte dell’artista? Ogni volta che un artista crea genera la propria morte. Per questo è tanto difficile, a volte, creare. Non tanto per la gestazione, per dolori , e il parto in sé, ma per accettare la propria morte. Perché l’artista consegna sempre ai suoi fruitori oltre alla propria creazione anche la sua fine. Gia Blanchot parlando della scrittura la definiva “l’infinito intrattenimento”, poiché da parte dell’artista ogni volta terminata un’opera, che crede sia sempre la grande opera della sua vita, spera anche che sia la sua vera e definitiva morte. Morire nell’atto creativo. E in questa dimensione morire appare come un passaggio inavvertito. C’è molto romanticismo in questa azione molto vicina al nichilismo, quasi un gesto, quello dell’artista che si da la morte nell’atto stesso del creare, vicina al Lorenzaccio di De Musset, che pur sapendo che sarà ucciso non esita ad uccidere l’usurpatore. Ma come non potrebbe esserci romanticismo con il culto e la devozione che questo aveva per le rovine, in un opera che si rifà ai cimiteri? E come non pensare che, dalla polemica sui cimiteri, nacque la poesia eversiva del Foscolo e della letteratura a questo coeva. Lo spazio da dare alla morte e lo spazio che occupa la morte nelle nostre vite sono oggetto di continue riflessioni. Lo spazio da dare alla morte diventa rilevante nelle nostre culture occidentali laddove per gli indiani questo problema non si pone. Se le ceneri del defunto, una volta, che è stato combusto vengono sparse nell’acqua del fiume, il fiume stesso accoglie la morte e rigenera con le sue acque la vita. Non ci sono quindi cimiteri costruiti se non quelli costruiti già dalla natura stessa. Lo spazio del cimitero è dunque un problema tutto occidentale e legato alla città. Dentro o fuori le mura? Cremazione o interramento? O per continuare, ibernazione mediante la crionica con la speranza che un 4 Pagina domani il corpo possa essere decongelato e tornare a vivere? Il cimitero allora diverrebbe non più un luogo dove andare a rendere omaggio, a ricordare il defunto, ma un luogo di passaggio, di attesa, verso un’altra vita che il futuro scientifico potrà garantire. In cimiteri si fatti, con ampi silos metallici, anche se il corpo del defunto è morto non c’è la morte, ma solo la sospensione della vita. Il cimitero cessa la sua funzione con l’aldilà metafisico per divenire funzione di un al di là fisico, ancora legato alla vita ed a questo tipo di vita. Non ci sono altre forme di vita possibili se non questa che stiamo vivendo, e che vorremmo perpetuare. Questo è un po’ l’ intento, seppur lodevole, della ibernazione crionica. Ma si muore anche per non essere più. Perlomeno non essere più ciò che siamo. Così l’artista nel creare non dichiara altro che la sua perenne voglia di trasformazione. Trasformare le cose e se stesso, pur se questo se stesso è condannato a morire. Ed in questo senso l’artista quasi prende questo morire come un giocare. Un continuo risorgere quasi magicamente. Un po’ come accade nei fumetti o nei cartoons, tanto cari a Gabriella Di Trani ed alla Pop Art, dove il personaggio se ha una bomba che gli scoppia in mano non esce mai distrutto ma al massimo bruciacchiato, suscitando ilarità. Perché non è tanto il personaggio del cartoon che è stato sconfitto ma sono la logica e la morte ad essere sconfitti. Così la voce dell’artista immersa nei suoni dell’acqua che tutto trasporta diviene come un personaggio dei cartoons che sopravvive a ciò che avrebbe dovuto farlo morire. Ma sappiamo che nella realtà non è così. Per questo all’artista che è presente ai vernissage si fanno i complimenti perché è passato indenne nella morte che è stata la sua stessa creazione. Cosi come si applaude l’attore che è passato indenne attraverso il personaggio che ha recitato e si presenta in scena come se stesso per ricevere l’applauso che rende tutto una finzione. E la sala di Sanmicheleinisola si presenta come nella migliore tradizione Pop tutta improntata alla finzione. I fiori sono rigorosamente finti e appositamente visibili e finti. Il tappeto riproduce un prato finto, dozzinale, che si può trovare anche nei grandi magazzini, un oggetto riprodotto in maniera seriale. E le tombe sono dei pannelli in plastica passata al plotter che l’ha impressa. La scena, l’ambiente, è tutto finto. E’ come se tutto ciò che rimane, tutto ciò che fa parte del mondo quando c’è la morte è finzione. Una finzione, a volte, esasperata come può essere la vita, perché c’è una esuberanza nel viverla, nell’impulso vitale che si manifesta in tutti i suoi colori. In tutto questo c’è la finzione della vita. La morte però non c’è. C’è tutta la finzione della vita al suo posto. Quando entra la morte invisibile a vedersi e darsi, quasi per alcuni aspetti irrappresentabile, entra la vita, non nel suo modo riproduttivo e naturale, ma la vita che nei confronti della morte diventa la finzione. Come se la morte non fosse naturale e ciò che rimane è la finzione del vivere, una esasperata finzione della vita. La storia dell’arte è piena di immagini di morte, dalle danze macabre, al “Cavaliere e la morte” di Dürer, alla varie Maddalene melanconiche, alle Cappelle Medicee di Michelangelo, all’ “Isola dei morti” di Böcklin, ma quella a cui rimanda l’opera di Gabriella di Trani è l’opera di Canova e dei suoi monumenti funebri. Le opere del Canova dedicate alla morte sono delle grandi sculture che invitano alla meditazione, quelle porte oscure, scolpite nel marmo, ai cui lati stanno sempre delle figure assorte e trepidanti nell’intimo, infondono, per la grande maestria, quasi un senso di serenità e di imponenza che la forma neoclassica ispira, ed è questa sensazione di serenità e di imponenza tutta tradotta in forme contemporanee che si avverte entrando e sostando nel Sanmicheleinisola di Gabriella di Trani. La spazio della galleria, trasformato nel cimitero, diviene così un luogo fin troppo piacevole che quasi vien voglia di morire se ciò che si vede è ciò che ci aspetta: lasciare un mondo bello, seppur finto, e godere ancora dei suoni e luci di tutto quello che vediamo. E così viene spontaneo di lasciarsi andare ai versi del poeta: “e il naufragar m’è dolce in questo mare.” Pagina 5 V.P.