Verità e finzione [0.07in]Introduzione - Dipartimento di Filosofia

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Verità, finzione e l’oggetto di indagine
Verità e finzione
I
Spesso, un romanzo o un film, raccontando eventi immaginari,
può farci comprendere certi aspetti della realtà meglio di un
resoconto di eventi realmente accaduti.
I
I romanzi di Dickens possono farci capire meglio di una
cronaca storica come si viveva a Londra nell’età vittoriana. I
film di Kiarostami possono farci capire meglio di un articolo di
giornale certi aspetti della società iraniana.
I
In questo senso, si dice a volte che le opere di finzione
(romanzi, racconti, film, ecc.) possono contenere molta verità.
I
Questo è un tema interessante, ma non è l’oggetto di questo
corso. Quando parlo di verità e finzione, ho in mente due
problemi specifici che cercherò di illustrare in questa lezione.
Introduzione
Sandro Zucchi
2013-14
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
1
L’inventore dell’acquario e la teoria dell’evoluzione
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
L’ombelico di Adamo
I
I
I
I
L’uomo nell’illustrazione è Henry Philip Gosse
(1810-1888), un naturalista inglese dell’Ottocento, autore di un
importate trattato di biologia marina. Gosse ha costruito il primo
acquario funzionante per alloggiare animali marini per lunghi
periodi.
Negli anni in cui Henry Gosse svolgeva la sua attività di biologo,
Darwin formulò la teoria dell’evoluzione.
Questa teoria poneva un problema per coloro che davano
un’interpretazione letterale della Bibbia. I primi capitoli della
Genesi asseriscono infatti che dio creò il mondo, le piante, gli
animali, e l’uomo in pochi giorni, e questo, preso letteralmente,
appare incompatibile con l’evoluzione graduale degli organismi
attraverso processi naturali.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
2
I
I
3
Henry Gosse apparteneva ad una setta religiosa molto
conservatrice, i fratelli di Plymouth, che prendeva La Bibbia alla
lettera. Per conciliare l’evidenza in favore dell’evoluzione, che,
come biologo marino, osservava quotidianamente nei fossili, Gosse
scrisse un libro in polemica con Darwin in cui sostenne che Dio
aveva creato tutti gli organismi viventi dal nulla e al tempo stesso
aveva anche creato i fossili, producendo cosı̀ l’illusione che ci
fosse stata un’evoluzione graduale.
Insomma, il tipo di ragionamento era questo: Adamo non era
stato generato da una donna, ma Dio lo aveva comunque dotato
di un ombelico per dare l’impressione che fosse stato cosı̀
generato. Henry Gosse intitolò il libro in cui esponeva queste tesi
Omphalos (“Ombelico”).
Ma tutto questo ha un interesse solo indiretto per la nostra
discussione.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
4
Padre e figlio
I
I
I
Tutto inventato
Sir Edmund Gosse (1849-1928), figlio di Henry
Gosse, fu un critico letterario di discreta fama. Nella sua
autobiografia, dal titolo Padre e figlio: storia di due
temperamenti, Edmund racconta che, durante la sua infanzia,
nella casa dei genitori era proibita la lettura delle opere di finzione
(romanzi, racconti, poesie, ecc.).
Questo embargo sulle opere di finzione era dovuto alla
convinzione della madre che “raccontare una storia” fosse
peccato (la madre di Edmund, come il padre, apparteneva alla
setta dei fratelli di Plymouth).
L’embargo sulle opere di finzione fu improvvisamente sollevato
durante l’adolescenza di Edmund, quando il padre gli mostrò un
romanzo di avventure ambientato in Giamaica per insegnargli la
geografia delle Antille.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
5
Il problema di Gosse
I
Edmund racconta che, non avendo mai visto un romanzo
prima, egli pensò che il libro narrasse una storia vera, finché
suo padre gli disse che era “tutto inventato”.
I
Nell’autobiografia, Edmund non dice se questa spiegazione fu
sufficiente a fargli capire immediatamente, in termini generali,
ciò che distingue le opere di finzione dalle opere non di
finzione.
I
A giudicare dalla sua carriera successiva (come si è già detto,
Edmund Gosse divenne un noto critico letterario), non pare
che, a conti fatti, egli abbia avuto più difficoltà di chiunque
altro a fare questa distinzione.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
6
Casa desolata
Nella prefazione al romanzo Casa desolata, Dickens scrive:
I
Seguendo un percorso un po’ insolito, Edmund arriva ad
afferrare ciò che distingue le opere di finzione dalle opere che
non sono di finzione.
I
In cosa consiste questa distinzione che Edmund ha compreso?
Da cosa dipende il fatto che un’opera è di finzione oppure no?
Cosa distingue le opere di finzione dalle opere che non sono di
finzione?
I
Chiameremo la questione posta da queste domande il
“problema di Gosse”.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
“. . . affermo qui che ogni cosa esposta in queste pagine
riguardo alla Corte di Giustizia è sostanzialmente vera, e
nei limiti della verità. . . . In questo momento (Agosto,
1853), la corte è impegnata in un processo che è iniziato
quasi vent’anni fa, in cui è noto che da trenta a quaranta
avvocati sono apparsi tutti in una volta, in cui si sono
accumulati costi per l’ammontare di settantamila sterline,
che è una causa amichevole, e che (mi è stato assicurato)
non è più vicino al suo termine ora di quanto lo fosse
quando è iniziato. . . . ”
7
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
8
Realtà e finzione
I
I
I
I
Il problema di Dickens
una formulazione intuitiva
Nella prefazione a Casa desolata, Dickens sostiene dunque che
alcune cose che egli dice nel romanzo non sono vere solo nel
romanzo, ma sono anche anche nella realtà.
A quanto pare, le corti di giustizia inglesi erano effettivamente
note per la loro lentezza. Che esse fossero disastrosamente
inefficienti è dunque vero nel romanzo, ma è anche vero nella
realtà.
Naturalmente, non va sempre cosı̀. Ci sono cose che sono vere nel
romanzo senza essere vere nella realtà, e ci sono cose vere nella
realtà che non sono vere nel romanzo.
Chadband è un personaggio di Casa desolata. È vero nel romanzo
che Chadband è una persona in carne e ossa. Ma non è vero che
Chadband è una persona in carne e ossa nella realtà. Infatti, nella
realtà non esiste alcuna persona di nome Chadband. Dunque, che
Chadband sia una persona in carne ed ossa è vero nel romanzo
ma non nella realtà, e che non esista alcuna persona di nome
Chadband è vero nella realtà, ma non è vero nel romanzo.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
9
Enunciati della stessa forma
I
I
I
In Uno studio in rosso, Holmes incontra Watson per la prima volta.
(2)
In Anna Karenina, Anna si innamora di Vronksy.
(3)
In Romeo e Giulietta, Mercuzio muore.
(4)
In Guerre stellari, Obi-Wan incontra Luke.
(5)
Nel Bagno di Venere di Rubens, Venere si guarda allo specchio.
I
Concentriamo la nostra attenzione sulla prima di queste
nozioni, la verità nell’opera di finzione.
I
Come si determina ciò che è vero in un’opera di finzione?
Chiamerò questa domanda “il problema di Dickens”.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
10
la formulazione ufficiale
Questi enunciati hanno una forma simile. Ogni enunciato ci dice che, in
una certa opera di finzione f (come Uno studio in rosso, Guerra e pace,
ecc.), vale una certa proposizione p (come la proposizione che Holmes
incontra Watson per la prima volta, la proposizione che Anna si innamora
di Vronksy, ecc.).
Dunque, gli enunciati precedenti hanno la forma T:
(T)
Nella prefazione a Casa desolata Dickens distingue ciò che è
vero in un’opera di finzione (in questo caso, il romanzo Casa
desolata) da ciò che è vero nella realtà.
Il problema di Dickens
Per affrontare il problema di Dickens, adotterò una particolare
formulazione di questo problema, in modo da richiedere una soluzione di
una certa forma. Considerate le frasi seguenti:
(1)
I
I
Possiamo ora dare la nostra formulazione ufficiale del
problema di Dickens.
I
Sia f un’opera di finzione e p un enunciato. Il problema di
Dickens è il problema di specificare a quali condizioni sono
veri enunciati della forma pNell’opera di finzione f, pq.
I
Ovvero, il problema di Dickens è il problema di completare la
definizione seguente (in cui f è un’opera di finzione qualsiasi e
p un enunciato qualsiasi):
(D)
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq
è vero se e solo se . . .
Nell’opera di finzione f, p
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
11
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
12
Falsi problemi?
I
Naturalmente, chiamare certe domande problemi non
comporta che lo siano davvero. O, per lo meno, non comporta
che siano problemi che richiedono un particolare sforzo di
riflessione per essere risolti.
I
Se ci troviamo di fronte a domande che hanno una risposta
ovvia, non si capisce perché dovrebbero essere oggetto di un
intero corso universitario.
I
In quel che resta di questa lezione, presenterò alcune ragioni
preliminari per convincervi che la risposta al problema di
Gosse e al problema di Dickens non è ovvia, e che dunque ci
troviamo effettivamente di fronte a dei problemi.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
Una soluzione ovvia al problema di Gosse
13
Una digressione: le storie di Giuseppe
I
I
I
I
All’inizio di questa lezione abbiamo detto che un romanzo o
un film, raccontando eventi immaginari, può farci
comprendere certi aspetti della realtà meglio di un resoconto
di eventi realmente accaduti.
I
Questa osservazione suggerisce una risposta al problema di
Gosse. Cosa distingue le opere di finzione dalle opere che non
sono di finzione? La risposta è ovvia: le opere di finzione
raccontano eventi che non sono realmente accaduti, mentre le
opere che non sono di finzione raccontano eventi realmente
accaduti.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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Giuseppe e i suoi fratelli
Molti di voi, probabilmente, conoscono la storia biblica di
Giuseppe (Genesi 47-50).
Giuseppe, figlio di Giacobbe, viene venduto dai suoi fratelli agli
ismailiti, viene condotto in Egitto e comprato da Putifar, un
eunuco capo delle guardie del faraone. La moglie di Putifar se ne
innamora, Giuseppe la respinge, lei lo accusa di avere tentato di
sedurla. Giuseppe viene incarcerato, ma infine fa fortuna alla
corte del Faraone. Incontra di nuovo i suoi fratelli, si fa
riconoscere, ecc.
Non sappiamo per certo se l’autore della storia biblica di Giuseppe
intendesse raccontare degli eventi realmente accaduti o si fosse
invece inventato tutto.
Questa è una questione interessante, che ci mostra, tra l’altro,
come in certi casi possiamo non sapere se un libro è un’opera di
finzione oppure no. Ma, per il momento, non è questo che ci
interessa.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
I
I
I
15
Il racconto biblico che narra la storia di Giuseppe è piuttosto
breve (nell’edizione della Bibbia che ho io, occupa circa quindici
pagine): la vita di Giuseppe viene descritta a grandi linee, molti
dettagli vengono ignorati. Come accadde che la moglie di Putifar
si invaghı̀ di Giuseppe? Cosa provò la prima volta che lo vide?
Perché ne fu attratta? Nulla di tutto questo viene spiegato nella
storia biblica.
Ma qualcuno ci ha pensato dopo. C’è un romanzo di Thomas
Mann dal titolo Giuseppe e i suoi fratelli. Nella prefazione, Mann
afferma di aver voluto riempire i vuoti lasciati dal racconto biblico
usando la propria immaginazione (un’idea che aveva avuto anche
Goethe, a quanto pare). E infatti Mann inventa una lunga storia
basata sul canovaccio biblico in cui gli eventi, e in particolare i
processi interiori dei personaggi, sono descritti in grande dettaglio
(il romanzo ha più di duemila pagine).
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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Una difficoltà per la soluzione ovvia al problema di Gosse
I
I
I
I
Altri controesempi alla soluzione ovvia
Torniamo ora alla soluzione proposta per il problema di Gosse: le
opere di finzione raccontano eventi immaginari, invece le opere
che non sono di finzione raccontano eventi realmente accaduti.
Che la storia biblica sia vera o no, concorderete che Giuseppe e i
suoi fratelli è senza dubbio un romanzo, un’opera di finzione, un
parto della fantasia di Mann basato sulla storia biblica.
Supponete tuttavia che, in seguito ad alcuni ritrovamenti
archeologici, si scopra che la storia di Giuseppe è realmente
accaduta come Mann l’ha raccontata: per caso, i dettagli che
Mann ha immaginato corrispondono ad eventi reali. Questo
renderebbe Giuseppe e i suoi fratelli un’opera storica? No. In
questo caso, Giuseppe e i suoi fratelli sarebbe semplicemente
un’opera finzione che, accidentalmente, descrive eventi che sono
realmente accaduti.
La soluzione ovvia al problema di Gosse va dunque incontro ad
una difficoltà. L’esempio precedente mostra che un’opera può
essere di finzione anche se racconta eventi reali.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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Le tombe dei re di Micene
I
I
I
I
L’esempio che ho fatto era un esempio ipotetico, per mostrare
che, anche se un’opera racconta eventi che sono tutti
realmente accaduti, questo è compatibile con il suo essere di
finzione.
I
Ma esistono anche casi reali che mostrano la falsità della
teoria secondo cui le opere di finzione raccontano eventi
immaginari, mentre le opere che non sono di finzione
raccontano eventi realmente accaduti.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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La peste a Milano
In Mykenae (Lipsia, 1878), Heinrich Schliemann afferma di
avere trovato le tombe di Agamennone e dei suoi compagni.
In realtà, si ritiene ora che le tombe scavate da Schliemann
siano assai più antiche di quanto che egli credeva. Esse sono
datate intorno al 1600 a.C., mentre la guerra di Troia (a cui
avrebbe preso parte Agamennone) è avvenuta circa 400 anni
dopo.
Dunque, probabilmente è falso che le tombe trovate da
Schliemann siano quelle di Agamennone e dei suoi compagni.
Se questa conclusione è corretta, in Mykenae, Schliemann
descrive un evento che non è realmente accaduto
(Agamennone non fu seppellito nella tomba scoperta da
Schliemann). Ma Mykenae rimane un libro di archeologia,
cioè un’opera che non è di finzione.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
I
19
I
I romanzi storici raccontano solitamente degli eventi
immaginari. Ma questi eventi immaginari vengono collocati
nel quadro di eventi realmente accaduti.
I
Nella prima metà del Seicento, non è esistito alcun individuo
di nome Renzo Tramaglino che è stato protagonista delle
vicende narrate da Manzoni nei Promessi Sposi.
I
Ma quando Manzoni dice che ci fu la peste a Milano in questo
periodo, descrive un evento realmente accaduto.
I
Eppure, I promessi Sposi rimane un romanzo, un’opera di
finzione, e non un libro di storia.
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Millenovecentottantaquattro
I
I
I
I
Conclusione
Nel 1949, George Orwell pubblicava Millenovecentottantaquattro.
Il romanzo è ambientato in un futuro immaginario e racconta le
vicende di Winston Smith, un funzionario di partito in uno stato
di totalitario. 1984 è l’anno in cui, nella storia, Winston Smith
inizia a scrivere il proprio diario.
Come osserva Kendall Walton, che Millenovecentottantaquattro
fosse un romanzo, un’opera di finzione, lo si sapeva già nel 1949:
per decidere se fosse un’opera di finzione oppure no, non abbiamo
dovuto aspettare il 1984 per controllare se gli eventi che Orwell
racconta fossero realmente accaduti.
Dunque, il fatto che un’opera sia di finzione oppure no non
dipende dal fatto che racconti eventi realmente accaduti o meno.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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Una soluzione ovvia al problema di Dickens
I
I
I
Un romanzo non diventa un’opera storica se accade che
descriva eventi reali.
I
Dunque, la soluzione ovvia al problema di Gosse non cattura
adeguatamente la distinzione tra opere di finzione e opere che
non sono di finzione.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
Nell’opera di finzione f, p.
I
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq
è vero se e solo se p è parte del testo di f.
I
In Uno studio in rosso, Holmes fuma la pipa.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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È chiaro che questa soluzione al problema di Dickens più che
ovvia è ovviamente sbagliata. Supponete che, in Uno studio in
rosso, Watson, il narratore delle avventure di Holmes, dica:
(7)
Per esempio, secondo questa risposta, l’enunciato (6) è vero
se e solo se l’enunciato “Holmes fuma la pipa” è parte del
testo di Uno studio in rosso.
(6)
I
I
Anche in questo caso, la risposta può sembrare ovvia.
Potremmo dire:
S1.
Una cronaca storica o una biografia non diventano romanzi
solo perché sono inaccurate e descrivono eventi che non sono
accaduti realmente.
Una difficoltà per la soluzione ovvia al problema di Dickens
Veniamo ora al problema di Dickens: quali sono le condizioni
di verità degli enunciati di forma (T)?
(T)
I
23
Holmes si accese la pipa e ne aspirò lentamente il fumo.
Supponete inoltre che in Uno studio in rosso non si faccia altro
cenno al fumare di Holmes. Questa occorrenza di (7) in Uno
studio in rosso sarebbe sufficiente a rendere vero (6) (nel senso
che Holmes fuma la pipa in una certa occasione nel romanzo),
anche se il testo di Uno studio in rosso non contiene l’enunciato
(8):
(6)
In Uno studio in rosso, Holmes fuma la pipa.
(8)
Holmes fuma la pipa.
Dunque, contrariamente alla soluzione proposta, un enunciato
della forma pNell’opera di finzione f, pq può essere vero anche se
p non è parte del testo di f.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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Una condizione sufficiente?
Un problema per la condizione sufficiente
Ma la congettura (10) è falsa:
Il caso precedente mostra che non è necessario che p sia parte del
testo di f perché sia vero l’enunciato pNell’opera di finzione f, pq.
In altre parole, è falso che
(9)
(10)
Si immagini che un racconto di Conan Doyle contenga l’enunciato seguente:
(11)
pNell’opera di finzione f, pq è vero solo se p è parte del
testo di f.
(12)
pNell’opera di finzione f, pq è vero se p è parte del testo
di f.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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26
È vero: la mia obiezione a (10) sfrutta il fatto che con “p è parte del testo” io
ho inteso qualsiasi enunciato del testo dell’opera di finzione, mentre,
evidentemente, per evitare il problema posto da casi come (11), è necessario
escludere enunciati subordinati del testo che occorrono nel complemento di
verbi come “affermare.”
pNell’opera di finzione f, pq è vero se p è parte del testo di f.
Si potrebbe obiettare infatti che il mio ragionamento travisa quello che
si intendeva dire con (10). Quando ci domandavamo se essere parte
del testo è un condizione sufficiente per essere vero nell’opera di
finzione, non intendevamo riferirci al caso in cui l’enunciato che è
parte del testo è un enunciato subordinato che occorre come
complemento di verbi come “affermare.”
La mia obiezione che (10) fa predizioni errate nel caso in cui (11) sia
parte del testo si basa su un fraintendimento intenzionale di (10): non
era certo (11) il caso che avevamo in mente proponendo la congettura
(10)! Si tratta insomma di un obiezione un po’ pedante.
(10)
pNell’opera di finzione f, pq è vero se p è parte del testo di f.
(11)
L’ispettore Lestrade afferma che Holmes ha commesso un errore.
Ma l’accusa di avere barato può essere ribaltata contro (10). L’obiezione
basata su (11) è possibile esattamente perché la formulazione in (10) non è
sufficientemente precisa e ci lascia liberi di scegliere qualsiasi enunciato del
testo per verificare le predizioni di (10).
Se volevamo escludere (11), dovevamo farlo esplicitamente nella definizione.
Insomma, la definizione (10) ha l’obiezione che si merita: a definizioni poco
esplicite obiezioni pedanti.
Il requisito di essere espliciti nel formulare ipotesi è un requisito a cui dovremo
cercare di attenerci, per quanto possibile, nelle nostre discussioni.
L’ispettore Lestrade afferma che Holmes ha commesso un
errore.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
Una questione di metodo
Potreste pensare che io abbia barato nel sostenere che (10) è falsa:
(11)
Nel racconto di Conan Doyle, Holmes ha commesso un errore.
Ne segue che la congettura (10) non è corretta: essa fa predizioni su ciò che è
vero nell’opera di finzione che sono in disaccordo con la nostre intuizioni.
Una protesta
(10)
L’ispettore Lestrade afferma che Holmes ha commesso un errore.
Supponete inoltre che, contrariamente a quanto afferma Lestrade, i fatti diano
in seguito ragione a Holmes. In questo caso, è falso nel racconto che Holmes
abbia commesso un errore. Eppure, secondo la congettura (10), l’enunciato
(12) è vero, in quanto, per ipotesi, “Holmes ha commesso un errore” è parte
del racconto di Conan Doyle:
Si potrebbe pensare, tuttavia, che sia sufficiente che p sia parte del
testo di f per assicurare la verità di un enunciato della forma
pNell’opera di finzione f, pq.
Vale a dire, secondo questa congettura,
(10)
pNell’opera di finzione f, pq è vero se p è parte del testo di f.
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S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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Una questione in sospeso
Il testo e il contenuto
Abbiamo visto che, se richiediamo che enunciati della forma (T) siano
veri solo se p è parte del testo, allora il fatto che in Uno studio in rosso
Watson affermi (7) non è sufficiente a garantire che (6) sia vero, una
conseguenza poco desiderabile.
Supponiamo di modificare opportunamente la definizione per escludere il
caso di enunciati subordinati che occorrono nei complementi di verbi
come “affermare,” “dire,” “credere,” ecc. Sarebbe corretto sostenere
che, se escludiamo enunciati di questo genere, il fatto che un enunciato p
è parte del testo è sufficiente a rendere vero che p nel testo di finzione?
Per il momento vorrei lasciare in sospeso la questione. Dopotutto,
abbiamo già visto che, perché sia vero che p in un’opera di finzione, non
è necessario che p sia parte del testo dell’opera. Per determinare ciò che
è vero in un’opera di finzione dobbiamo comunque andare al di là della
semplice appartenenza al testo.
Possiamo impiegare meglio il nostro tempo cercando riformulare le
condizioni di verità degli enunciati di forma (T) in termini di nozioni
diverse dalla appartenenza di un enunciato al testo dell’opera.
(T)
Nell’opera di finzione f, p
(7)
Holmes si accese la pipa e ne aspirò lentamente il fumo.
(6)
In Uno studio in rosso, Holmes fuma la pipa.
(8)
Holmes fuma la pipa.
È chiaro tuttavia che, se Watson afferma (7) in Uno studio in rosso, il
contenuto del testo contiene l’informazione che Holmes fuma la pipa,
anche se il testo non contiene (8). Dopotutto, Watson è un narratore
affidabile. E se un individuo accende la pipa e ne aspira il fumo,
questo vuol dire che egli fuma la pipa.
Nell’opera di finzione f, p
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
(T)
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Un’idea
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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Un’altra soluzione ovvia al problema di Dickens
Le considerazioni precedenti suggeriscono di riformulare le
condizioni di verità per enunciati di forma (T) non in termini
dell’appartenenza dell’enunciato p al testo, ma richiedendo invece
che il contenuto del testo di finzione implichi che p.
Dopotutto, il contenuto di un testo può implicare che p anche se il
testo non contiene l’enunciato p. Ad esempio, il contenuto del
testo (13) implica (14), anche se (13) non contiene l’enunciato
(14):
(13)
Gianni corre
(14)
Gianni si muove
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
Riformuliamo dunque le nostre condizioni di verità per enunciati di
forma (T) attraverso la definizione S2:
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(T)
Nell’opera di finzione f, p
S2.
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq è
vero se e solo se il contenuto di f implica che p.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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Una conseguenza
Un’altra conseguenza
La soluzione S2 risolve inoltre il problema sollevato da (11):
La mossa di adottare S2 come soluzione al problema di Dickens è
una mossa abbastanza ovvia, a pensarci bene. Tra l’altro, evita il
problema posto dall’enunciato (6) per la prima soluzione.
S2.
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq è
vero se e solo se il contenuto di f implica che p.
S2.
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq è
vero se e solo se il contenuto di f implica che p.
(11)
(6)
In Uno studio in rosso, Holmes fuma la pipa.
(7)
Holmes si accese la pipa e ne aspirò lentamente il fumo.
Se il racconto di Conan Doyle contiene l’enunciato (11) ma i fatti
danno ragione a Holmes, il contenuto del racconto non implica che
Holmes abbia commesso un errore. Dunque, la soluzione S2
predice correttamente che (12) è falso in questo caso.
Infatti, se Watson afferma (7) in Uno studio in rosso, è chiaro che
il contenuto del testo implica che Holmes fuma la pipa. Dunque, le
nuove condizioni di verità in S2 predicono correttamente che, se
Watson afferma (7) in Uno studio in rosso, allora (6) è vero.
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(12)
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Il sistema circolatorio di Watson
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
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Le condizioni di verità in S2 predicono erroneamente che (15) è
falso:
Considerate ora l’enunciato seguente:
S2.
In Uno studio in rosso, Watson ha del sangue nelle vene.
(15)
Consultiamo le nostre intuizioni: vero o falso? Indubbiamente vero:
in Uno studio in rosso, Watson è un essere umano, dunque nelle
sue vene scorre del sangue.
Cosa predicono le condizioni di verità in S2 relativamente a (15)?
S2.
Nel racconto di Conan Doyle, Holmes ha commesso un
errore.
Una nuova difficoltà
una domanda
(15)
L’ispettore Lestrade afferma che Holmes ha commesso un
errore.
In Uno studio in rosso, Watson ha del sangue nelle vene.
Infatti, in Uno studio in rosso non si dice mai esplicitamente che
Watson ha del sangue nelle vene. Non si dice neppure che Watson
è un essere umano e non un androide.
Dunque, il contenuto del romanzo, cioè le informazioni espresse
esplicitamente dal testo del romanzo, non implica affatto che
Watson abbia del sangue nelle vene.
Dunque, S2 predice che (15) è falso. Di nuovo, otteniamo una
conseguenza niente affatto conforme alle nostre intuizioni.
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq è
vero se e solo se il contenuto di f implica che p.
S. Zucchi: Filosofia del linguaggio 2014 – Verità e finzione – Introduzione
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq è
vero se e solo se il contenuto di f implica che p.
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Una via di uscita
Seguendo la via di uscita
Proviamo a cercare una via di uscita da questa difficoltà. Forse, nell’applicare
le condizioni di verità in S2 all’enunciato (15), non abbiamo ragionato
correttamente.
S2.
(15)
Benissimo. Certe informazioni sono espresse esplicitamente dal testo dell’opera
di finzione, altre sono implicite. Per contenuto del testo di finzione intendiamo
entrambi i tipi di informazione. Rendiamo esplicita questa assunzione
ritoccando condizioni di verità in S2:
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq è vero se e solo
se il contenuto di f implica che p.
S2.’
In Uno studio in rosso, Watson ha del sangue nelle vene.
Abbiamo detto che il contenuto del romanzo, cioè le informazioni espresse
esplicitamente dal testo del romanzo, non implica che Watson abbia del sangue
nelle vene, e dunque S2 predice che (15) è falso, contrariamente alle nostre
intuizioni.
Si potrebbe obiettare che ragionando cosı̀ abbiamo assunto indebitamente che
il contenuto del romanzo corrisponda all’informazione espressa esplicitamente
dal testo. C’è un senso in cui il contenuto del romanzo contiene anche quelle
informazioni che sono implicite nel testo. Tra queste c’è sicuramente
l’informazione che Watson ha del sangue nelle vene. Intese cosı̀, le condizioni
di verità in S2 predicono correttamente che (15) sia vero.
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L’informazione che Watson ha del sangue nelle vene è implicita in Uno studio
in rosso. Dunque, le condizioni di verità in S2’ predicono correttamente che
(15) sia vero:
(15)
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Per poter effettivamente utilizzare S2’ per fare predizioni riguardo
ad enunciati della forma pNel romanzo, pq, dobbiamo rispondere
alla domanda in (16):
S2.’
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq è
vero se e solo se il contenuto di f (ovvero ciò che il testo
esprime esplicitamente o implicitamente) implica che p.
(16)
In Uno studio in rosso, Watson ha del sangue nelle vene.
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq è
vero se e solo se il contenuto di f (ovvero ciò che il testo
esprime esplicitamente o implicitamente) implica che p.
Come si determinano le informazioni implicite in un testo
di finzione?
La risposta a questa domanda non è affatto ovvia. E se non
rispondiamo a questa domanda, il problema di Dickens non è
veramente risolto, perché non è affatto chiaro come le condizioni di
verità in S2’ vadano applicate.
Ma perché è ragionevole assumere che tra le informazioni implicite
in Uno studio in rosso c’è l’informazione che Watson è un essere
umano nelle cui vene scorre del sangue?
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La questione irrisolta
Non esattamente. In realtà, con quest’ultima mossa, abbiamo solo
barattato un problema con un altro.
Certo, se assumiamo che tra le informazioni implicite in Uno studio
in rosso c’è che Watson è un essere umano nelle cui vene scorre del
sangue, le condizioni di verità in S2’ predicono correttamente che
(15) è vero.
(15)
In Uno studio in rosso, Watson ha del sangue nelle vene.
Insomma, una volta chiarito che per contenuto del testo di finzione intendiamo
anche le informazioni implicite nel testo, il problema posto da (15) scompare.
E S2’ è la soluzione ovvia al problema di Dickens. O no?
Barattare un problema con un altro
S2.’
Un enunciato della forma pNell’opera di finzione f, pq è vero se e solo
se il contenuto di f (ovvero ciò che il testo esprime esplicitamente o
implicitamente) implica che p.
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Il problema di Dickens
Per riassumere
conclusione
In questa lezione, ho sollevato due problemi:
Il problema di Gosse: Cosa distingue le opere di finzione dalle
opere che non sono di finzione?
Questa discussione suggerisce che la risposta al problema di
Dickens, cosı̀ come la risposta al problema di Gosse, non è ovvia.
La formulazione delle condizioni di verità degli enunciati di forma
(T) richiede una attenta riflessione.
Il problema di Dickens: quali sono le condizioni di verità delle frasi
di forma (T)?
(T)
Inoltre,
(T)
Nell’opera di finzione f, p
I
Nell’opera di finzione f, p
abbiamo visto che la risposta al problema di Gosse e al
problema di Dickens non è ovvia.
Il problema di Gosse e il problema di Dickens saranno l’oggetto del
corso.
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