1 DALLA META’ DEL XIX ALLA FINE DEL XX SECOLO (sintesi storica) Le rivoluzioni nel 1848 in Europa Nel 1848 una nuova ondata rivoluzionaria investì tutta l'Europa. I primi moti erano scoppiati nel gennaio a Palermo per rivendicare la Costituzione, ma la vera rivoluzione ebbe ancora il suo centro a Parigi per poi diramarsi in quasi tutte le maggiori capitali europee. All'origine di un così vasto processo rivoluzionario si possono individuare tre matrici fondamentali: democratico-sociale, liberale, nazionale. Di carattere democratico-sociale fu la rivolta di Parigi. In Francia il processo di industrializzazione, sempre più vantaggioso per i grandi imprenditori, aveva aggravato gli squilibri economici fomentando tensioni fra il popolo che chiedeva la riforma elettorale e voleva la repubblica considerando la monarchia responsabile dei gravi disagi sociali. Di carattere liberale (per ottenere maggiori diritti) furono invece le rivendicazioni degli Stati tedeschi, che tendevano a strappare ai sovrani garanzie costituzionali che assicurassero la partecipazione della borghesia all'esercizio del potere, ancora in mano ai nobili. Di carattere nazionale, infine, furono le lotte di tutti quei popoli che aspiravano a liberarsi dal giogo degli Stati che li tenevano assoggettati. I moti italiani, per le diverse tensioni che li provocarono, ebbero carattere sociale, liberale e nazionale. A Parigi la monarchia di Luigi Filippo non si era dimostrata liberale, come i Francesi speravano, ma aveva favorito la grande borghesia, escludendo dal «paese legale» la massa dei ceti medi e popolari. Le forze di opposizione, soprattutto i repubblicani e i socialisti1, organizzavano continuamente dei banchetti (riunioni) per sensibilizzare il popolo a chiedere la riforma elettorale; il 22 febbraio 1848 uno di questi «banchetti» fu proibito dalla polizia, provocando lo scoppio della rivoluzione. Nei quartieri popolari si innalzarono barricate e due giorni dopo il re fu costretto a fuggire, mentre veniva proclamata la seconda repubblica, retta da un governo provvisorio che garantì il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto 25 anni e la libertà di stampa, di pensiero e di associazione. Si proclamò inoltre il diritto al lavoro e, per eliminare la disoccupazione, si crearono gli ateliers nationaux (fabbriche di Stato). Sembrò il trionfo dei socialisti, ma ben presto le cose cambiarono. Gli ateliers si dimostrarono un mezzo capace soltanto di aggravare i problemi francesi: per dar lavoro alla gran massa di disoccupati si finì col farne degli sfaccendati che riscuotevano uno stipendio facendo lavori improduttivi e inutili. Infatti non c'era lavoro per tutti e, per giustificare l'impiego di tanta manodopera, si diminuì sempre più l'orario di lavoro, affidando ai lavoratori mansioni di nessun conto e con salari piuttosto 1 Già nei primi decenni dei 1800 avevano cominciato a diffondersi teorie economiche e sociali e movimenti politici che intendevano far prevalere gli interessi collettivi contro quelli individuali; nel 1848 queste teorie utopistiche cominciarono a trovare concretezza. In Germania si era formata da tempo un'organizzazione internazionale, chiamata Lega comunista, che mirava a legare fra loro gli operai di tutta Europa per rivendicare i loro diritti comuni. Il termine comunismo, come quello più diffuso socialismo, sta ad indicare il desiderio di una società più giusta, in cui tutti i cittadini possano godere «in comune», «in società», dei frutti dei loro lavoro e in cui sia abolita la proprietà privata che serve ad arricchire soltanto pochi. Questo traguardo fu indicato con chiarezza da Kart Marx (1818-1889) nel Manifesto dei Partito Comunista, pubblicato a Londra nel febbraio 1848, in cui egli, insieme con il suo amico e collaboratore Friedrich Engels (1820-1895), esponeva in termini semplici, adatti alla divulgazione, (e idee che poi perfezionò nell'opera maggiore, Il Capitale. Il programma espresso da Marx per i comunisti, che egli considerava l'avanguardia organizzata dei proletariato, si può sintetizzare in questi tre punti: formazione dei proletariato in classe sociale; abbattimento del dominio della borghesia; conquista del potere politico da parte dei proletariato per mezzo della rivoluzione. Questa conquista, dice Marx, non può avvenire senza la rivoluzione perché nessuna classe rinuncia al potere spontaneamente. Da queste idee marxiste prese avvio in tutta Europa il cosiddetto socialismo scientifico, cioè un movimento non più utopistico ma consapevole di reali traguardi da conquistare. I movimenti e i partiti socialisti e comunisti manifestavano la loro compattezza e la loro coscienza unitaria nelle Internazionali, ovvero nelle organizzazioni di intellettuali e di operai, e più tardi anche di contadini, sorte con lo scopo di coordinare e di svolgere sul piano internazionale la lotta contro il capitalismo e di favorire il progresso delle classi operaie. La prima Internazionale dei Lavoratori si costituì a Londra nel 1864 con programmi e statuti formulati dallo stesso Marx. 2 alti. Anche questo contribuì ad aggravare le difficoltà finanziarie dello Stato, tanto che il governo repubblicano aumentò le tasse generando nuovi scontenti, soprattutto fra i ceti medi i quali, nelle elezioni del 23 aprile, mandarono al Parlamento una maggioranza moderata che abolì le leggi sul lavoro, chiuse gli ateliers, si accinse a dar vita a un governo forte, capace di garantire l'ordine. Il 23 giugno insorsero ancora gli operai di Parigi, ma lo scontro terminò in un massacro per l'intervento dell'esercito. La borghesia riprese il controllo della situazione e il 10 dicembre elesse, come presidente della Repubblica Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone I, acclamato dai moderati, ma anche da ampie frange popolari, desiderose di ordine. Il 13 marzo insorse Vienna per reclamare dalla monarchia assoluta la Costituzione. Contemporaneamente si risvegliarono i sentimenti nazionali dei molti popoli che formavano l'impero asburgico (Magiari, Boemi, Sloveni, Croati, Polacchi, Rumeni, Italiani) e violente insurrezioni scoppiarono a Venezia, a Milano, a Budapest e a Praga. In un primo momento sembrò che i movimenti rivoluzionari avessero successo, ma, dopo che la rivoluzione a Parigi ebbe preso un corso moderato, il governo austriaco si sentì più sicuro per sferrare un attacco violento dell'esercito contro, le città insorte, soffocando ogni velleità di lotta. Infatti, il nuovo imperatore Francesco Giuseppe, salito al trono il 2 dicembre, riprese rapidamente in mano la situazione, restaurando ordine e autorità. Rimase da domare l'Ungheria dove la resistenza, guidata da Lajos Kossuth, si protrasse eroicamente fino all'agosto 1849 (per oltre un anno!), ma poi le truppe austriache, appoggiate da quelle russe, ebbero la meglio sugli insorti e fecero una dura repressione. Anche a Berlino, capitale del regno di Prussia, il 17 marzo 1848 era scoppiata una violenta insurrezione; Federico Guglielmo IV fu costretto a fuggire, mentre entrava in carica un'assemblea costituente. Si ebbero focolai di insurrezioni in altre città germaniche, ma l'avvenimento più importante fu la convocazione a Francoforte di un'assemblea formata da deputati rappresentanti di tutti gli Stati tedeschi che aspiravano a costituire un regno unitario di Germania, con l'esclusione dell'Austria, e ne offrirono la corona a Federico Guglielmo IV, re di Prussia. Questi rifiutò perché, pur vagheggiando tale idea, voleva che la corona gli venisse offerta dai vari principi, non da un’assemblea popolare della cui stabilità politica non si fidava. Anzi, con l'appoggio dell'esercito e dei ricchi proprietari terrieri che temevano il nuovo corso rivoluzionario, nel giugno 1849 rientrò a Berlino, soffocando la rivoluzione nel sangue e riprendendo il suo prestigio di sovrano assoluto di Prussia. Il 1848 in Italia I patrioti italiani, appena saputo dell’insurrezione a Vienna, credettero che si potesse approfittare del momento di crisi austriaca per insorgere e conquistare l’indipendenza. Il 17 marzo insorse Venezia e, senza spargimento di sangue, fu proclamata la Repubblica di S.Marco, presieduta da Daniele Manin. Il 18 insorse Milano che, dopo cinque giorni di eroiche barricate, costrinse gli Austriaci, guidati dal generale Radetzky ad abbandonare la città e a rifugiarsi nel quadrilatero (le fortezze di Verona, Peschiera, Mantova e Legnago), mentre in città si formava un governo provvisorio. Governi provvisori si formarono anche a Modena e a Parma da dove i sovrani dovettero fuggire. Un'ondata di grande entusiasmo si diffuse in tutta l'Italia. Carlo Alberto, re di Piemonte e Sardegna, vide nella rivolta di Milano l'occasione favorevole per un attacco armato contro l'Austria; era spinto dall'ambizioso progetto di liberare l'Italia dalla dominazione straniera, ma anche di unificarla secondo le speranze dei mazziniani e dei moderati. Aveva dalla sua parte l'opinione pubblica di tutte le regioni, da dove accorrevano volontari per mettersi sotto il suo comando. Intanto il granduca di Toscana, il re di Napoli e il Papa erano costretti, a furor di popolo, ad inviare contingenti di truppe. E dal Sudamerica, ansioso di combattere per l'indipendenza italiana alla testa di un esercito di volontari, venne Giuseppe Garibaldi2, un giovane mazziniano che era fuggito esule dopo il fallimento dei moti del 1833. 2 Due uomini, due sistemi: Garibaldi e Cavour. La questione non è, fra i due, di principio, non s'aggira sulla forma politica: è questione di mezzi, questione sul come possa raggiungersi un fine che i due affermavano aver comune: l'Unità Nazionale. Garibaldi segue la via diritta: Cavour l'obliqua. Il primo è istintivamente ispirato dalla logica della rivoluzione: il secondo adotta deliberatamente la tattica opportuna a conquistare riforme. Cavour sommò infatti il proprio programma davanti all'Europa, quando, con piglio visibilmente ostile alla rivoluzione disse: o riforma o rivoluzione: Garibaldi ha per formula: non riforme, ma rivoluzione: una Italia libera, invece di più Italie serve e divise. Uscito dall'aristocrazia del paese e aristocratico per indole, scettico, senza fede, senza teoria, senza scienza fuorché quella, desunta da Machiavelli, degli interessi, Cavour non crede nel popolo, non ama il popolo. Nato di popolo, democratico per abitudini, educato dalla Giovine Italia al culto delle idee, dei principi, Garibaldi ama il popolo e crede in esso. Cavour, quindi, aborrendo l'intervento popolare, è costretto a 3 Il 23 marzo 1848 il Piemonte dichiarò guerra all'Austria ed ebbe inizio la Prima Guerra d'indipendenza che vide subito molte vittorie italiane (Pastrengo, Goito, Peschiera ...), ma il 25 luglio la disfatta di Custoza segnò una svolta tanto negativa da indurre il generale Salasco a chiedere una tregua. Erano venuti meno all'esercito piemontese gli aiuti dei vari sovrani d'Italia: essi approfittarono della mossa del Papa (aveva ritirato le truppe perché l'universalità della Chiesa non gli permetteva di abbracciare schieramenti nazionalistici) per trarsi indietro dalla partecipazione a una guerra che avevano accettato a malincuore. L'armistizio di Salasco e la conseguente capitolazione di Milano misero in crisi i moderati, che avevano sperato nel pontefice o nel Piemonte. Si ebbe invece un'impennata dei repubblicani mazziniani che credettero esser giunto il momento di attuare le loro aspirazioni: scoppiarono moti mazziniani in tutta la penisola, ma in particolare a Roma dove fu ucciso il presidente del Consiglio Pellegrino Rossi e il Papa fu costretto a fuggire. Si instaurò così la Repubblica Romana, retta da un triumvirato formato da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi, con Garibaldi difensore militare. Anche a Firenze si instaurò la repubblica, mentre il granduca Leopoldo II si rifugiava con il Papa a Gaeta. Passarono pochi mesi e di nuovo Carlo Alberto, ansioso di riscattarsi dalla sconfitta, il 12 marzo 1849 infranse la tregua e riprese la guerra le cui sorti, purtroppo, si decisero nel giro di soli dieci giorni, con la definitiva sconfitta piemontese a Novara (23 marzo). Il seguente armistizio di Vignale, convertito nella pace di Milano (6 agosto 1849), segnò il crollo di tutte le speranze italiane di libertà: Brescia, insorta contro gli Austriaci il 23 marzo, fu costretta a cedere alle durissime repressioni il 1° aprile, dopo dieci giorni di lotta; in Toscana tornò il granduca, scortato dalle truppe austriache e meno liberale di prima; a Roma, Pio IX ebbe l'aiuto delle truppe francesi per schiacciare la repubblica: Luigi Napoleone voleva il favore dei cattolici di Francia contro l'ondata democratica e quindi si dimostrò paladino della Chiesa. La Repubblica romana cadde il 5 luglio; l'ultima eroica resistenza si ebbe a Venezia, dove patrioti di ogni parte d'Italia erano convenuti a difendere la repubblica. Bloccata per mesi dalla flotta e dall'esercito austriaci, estenuata dalla fame, dai bombardamenti e dal colera, il 23 agosto la città dovette issare la bandiera di resa e rientrare sotto il dominio straniero. Un decennio di mutamenti All'indomani delle rivoluzioni del '48 e della guerra austro-piemontese si assiste, sul piano politico, all'affermarsi della borghesia alla guida della quasi totalità delle nazioni europee. In Francia Luigi Napoleone Bonaparte, appoggiato dall'esercito e dal favore delle più ricche fasce borghesi (ma anche dai ceti rurali, ancora dominati dal fascino della monarchia), il 2 dicembre 1852 fu acclamato imperatore dei Francesi con il preciso intento, da parte sua, di continuare la dinastia Bonaparte con il nome di Napoleone III (Napoleone II, figlio di Napoleone I e di Maria Luisa d'Austria, era morto fanciullo). La sua politica interna si indirizzò a favorire l'ampio sviluppo dell'economia commerciale e industriale, mentre la politica estera mirava ad accrescere il prestigio della Francia, contrastando la politica espansionistica delle grandi potenze (quella della Russia in Crimea ai danni della Turchia e quella degli Asburgo in Italia) e avviando un'ambiziosa politica coloniale. In Italia predomina la politica del Piemonte, dove Vittorio Emanuele II, succeduto a Carlo Alberto, mantenne le libertà dello Statuto Albertino. Al Piemonte tutti i patrioti italiani guardavano come allo stato-guida verso l'indipendenza e l'unità, specialmente dopo l'impulso che seppe dargli Camillo Benso di Cavour, un liberalmoderato che, alleandosi con il leader del centro-sinistra Urbano Rattazzi, divenne presidente del Consiglio. Il Cavour fu molto abile nel saper legare il Piemonte alle grandi potenze. Svolse, infatti, un'accorta azione diplomatica che iniziò con l'intervento nella guerra di Crimea (1 853) a fianco della Francia e dell'Inghilterra contro la Russia (che voleva espandere il suo dominio su quella penisola, combattendo contro la Turchia). Il successo delle truppe piemontesi sul fiume Cernaia, che contribuì alla vittoria anglo-francese, permise al cercare altrove un sostegno all'opera propria; e lo cerca in una potenza straniera, scegliendo fra tutte quella alla quale gli interessi proprii possono suggerire ostilità contro l'Austria. Garibaldi grida all'Italia d'insorgere: Cavour manda circolari alle sue milizie e a' suoi Intendenti, perché impediscano colla forza ogni aiuto che i fratelli tentassero prestare ai fratelli oppressi per emanciparsi. Fra i due non è dunque accordo possibile. E’ tempo che l'Italia lo intenda e scelga fra i due. (da GIUSEPPE MAZZINI, Scritti editi e inediti, LXI, lmola, Cooperativa Tipografica Galeati, 1932) 4 Cavour di sedersi con prestigio alle trattative di pace del Congresso di Parigi (1856) e di esporre la questione italiana sottoponendola all'attenzione internazionale. Questa mossa, valutata con simpatia da tutti gli Italiani, anche dai più accesi mazziniani e dai militanti di sinistra, permise al Cavour un secondo passo di abile politica: un accordo segreto con Napoleone III per cacciare gli Austriaci dall'Italia (Plombières, 1858). Poi, con abili manovre (rafforzamento dell'esercito, arruolamento di volontari agli ordini di Garibaldi, azioni di disturbo lungo le linee di confine austriaco ...), provocò le reazioni dell'Austria, costringendola a dichiarare guerra. La Seconda Guerra d'indipendenza ebbe inizio nel maggio 1859, favorita dall'aiuto delle truppe francesi che Napoleone III guidava dal Moncenisio, dopo avere a sua volta dichiarato guerra all'Austria. Purtroppo anche questa guerra, malgrado un fausto inizio con clamorose vittorie, terminò miseramente quando Napoleone III, timoroso di complicazioni internazionali, firmò l'armistizio separato con l'Austria (Villafranca, luglio 1859). Il Cavour si sentì offeso e tradito e si dimise dal governo, mentre tutta l'Italia insorgeva con violente sommosse per reclamare l'annessione al Piemonte e l'unità sotto i Savoia. Anche il Mazzini, deposte le pregiudiziali repubblicane, si adoprava a questo scopo, fomentando le insurrezioni, e Garibaldi, con i suoi Cacciatori delle Alpi (truppe di volontari), accorreva ovunque a portare aiuto ai rivoltosi. Cavour, per impedire più gravi disordini, tornò al governo (gennaio 1860) e chiese a Napoleone III, in cambio della cessione di Nizza e Savoia, di non opporsi allo svolgimento di plebisciti (votazioni popolari) per l'annessione al Piemonte di quegli Stati che lo reclamavano. La Toscana e l’Emilia passarono ai Savoia col plebiscito del 12 marzo 1860. Nell'Italia meridionale, dove l'immobilismo dei Borboni non permetteva trasgressioni, fu decisivo l'intervento di Garibaldi e, con mille «camicie rosse», (impresa dei Mille, 1860) partì da Quarto (Genova) e sbarcò a Marsala (Sicilia); le file dei suoi garibaldini si accrebbero continuamente di patrioti locali e l'avanzata continuò vittoriosa fino a Napoli, mentre il re fuggiva a Gaeta. Rimaneva da conquistare Roma, ma il Cavour non permise che si violassero i territori del papa, temendo un urto con la Francia. Anche Venezia rimaneva sotto il dominio dell'Austria. I plebisciti nel Regno delle due Sicilie, in Umbria e nelle Marche sancirono l'annessione anche di queste regioni al Piemonte. Nel gennaio 1861 ci furono le elezioni per il primo Parlamento Italiano che, riunito il 7 marzo 1861, ratificò l'unificazione e proclamò il Regno d'Italia. I difficili inizi del Regno d'Italia All'indomani dell'unificazione italiana si presentarono difficili problemi da affrontare. Nel giugno 1861 moriva il Cavour e il nuovo regno, privato della sua guida più capace e prestigiosa, si trovò in difficoltà. Rimaneva ancora la questione della liberazione del Veneto e di Roma, senza le quali non si poteva dire compiuta l’unificazione; e si trattava anche di porre le basi amministrative e pratiche per il nuovo Stato che si accresceva di regioni che avevano le loro leggi, le loro monete e i loro sistemi economici e presentavano realtà sociali assai diverse, talvolta inconciliabili. Il problema che si risolse con maggiore facilità fu la liberazione del Veneto dal dominio austriaco. Infatti, nel 1866, essendo sorta una guerra fra l'impero asburgico e la Prussia, l'Italia si schierò con quest'ultima - in quella che fu considerata la terza guerra d'indipendenza - e, anche se l'esercito italiano riportò soltanto delle sconfitte (a Custoza e a Lissa), l'Italia partecipò agli accordi di pace che seguirono alla grande vittoria dei Prussiani a Sodawa e ricevette dalla Prussia, secondo gli accordi dell'alleanza, il Veneto che l'Austria sconfitta era stata costretta a cedere. Più complessa fu la questione romana. A protezione dello Stato della Chiesa c'erano le armate francesi, perciò lo Stato Italiano non poteva fare tentativi di conquista di quelle terre senza rischiare di suscitare la reazione della Francia. I governi moderati che si succedettero alla guida dell'Italia fino al 1876 (la «Destra storica») auspicavano la conquista di Roma perché il trasferimento della capitale nella città eterna avrebbe conferito prestigio al nuovo Stato. I democratici, invece, guardavano alla conquista di Roma come a un'occasione di ripresa dell'iniziativa popolare. Per ben due volte gruppi di volontari, guidati da Garibaldi e dal Partito d'Azione che egli aveva fondato insieme con Francesco Crispi e con Nicola Fabrizi, mossero alla conquista di Roma: nel 1862, partendo dalla Sicilia, ma furono fermati dall'intervento regio ad Aspromonte e lo stesso Garibaldi fu leggermente ferito; nel 1867, partendo dalla Toscana, ma furono attaccati a Mentana dalle truppe francesi che li costrinsero a ritirarsi. L'opportunità liberare Roma capitò con la caduta di Napoleone III (1 870) dopo la sconfitta che i Francesi subirono a Sedan da parte della Prussia. Il 20 settembre 1870, infatti, alcuni 5 reparti di bersaglieri dell'esercito italiano entrarono a Roma attraverso la breccia di Porta Pia, quasi senza incontrare resistenza. Poco dopo, un plebiscito sanzionò formalmente l'annessione di Roma all'Italia e nel 1871 essa fu proclamata capitale. In quello stesso anno, 1871, veniva approvata dal Parlamento una legge speciale (Legge delle Guarentigie) che riconosceva al Papa la sovranità sui palazzi del Vaticano e del Laterano e sulla villa di Castelgandolfo e assegnava allo Stato Vaticano un risarcimento per i beni perduti. Sembrava realizzato il sogno di Cavour «libera Chiesa in libero Stato», ma il Papa non riconobbe questa legge unilaterale: se l'avesse accettata si sarebbe riconosciuto suddito del Regno d'Italia, mentre desiderava trattare gli accordi bilateralmente, come si conviene ai poteri sovrani. La questione romana rimase quindi aperta e il pontefice, con la bolla Non expedit, invitò i cattolici ad astenersi dal partecipare alla vita politica dello Stato italiano. Di ancora più difficile soluzione era la questione meridionale, ovvero tutti quei problemi inerenti l'arretratezza economica e sociale del mezzogiorno d'Italia dove l'unità, invece di portare la sperata emancipazione, aggravò le preesistenti condizioni di miseria. Infatti, il primo passo, che dette l'illusione di unificare il regno, fu l'estensione delle leggi che governavano il Piemonte, senza tener conto delle diversità socio-economiche che caratterizzavano le varie regioni d'Italia e soprattutto il Nord e il Sud. Vittorio Emanuele II, pur lasciando ampia autonomia di iniziative e di decisione alle singole regioni, estese a tutta Italia lo Statuto Albertino; esso prevedeva un Parlamento eletto dal popolo (anche se il diritto di voto era limitato sulla base del censo e ne erano esclusi gli analfabeti). Furono estese a tutto il regno anche le forti imposizioni fiscali: il Piemonte, che aveva dovuto affrontare spese considerevoli per le guerre e per il decollo del nuovo Stato, aveva bisogno urgente di denaro; perciò furono imposte tasse notevoli anche alle popolazioni più affamate dei meridione, tasse esose anche su beni di prima necessità, come la tassa sul macinato che incideva sul prezzo del pane e dei cereali, creando condizioni insostenibili che aggravavano quelle preesistenti, già miserabili. Si applicò nel Sud anche la coscrizione militare obbligatoria, che non esisteva nella legislazione borbonica, e ciò inasprì ancora di più l'animo delle plebi contadine, private del lavoro di giovani braccia. Non c'è da meravigliarsi, quindi, se negli anni fra il 1861 e il 1865 imperversò per tutto il Mezzogiorno il doloroso fenomeno del brigantaggio: centinaia di contadini si organizzarono in bande attaccando, incendiando e rubando, occupando terre e dichiarandosi contrari al nuovo Stato e fedeli alla corte borbonica che, desiderosa di riprendere il potere, li incoraggiava da Roma dove si era rifugiata. Lo Stato italiano reagì con durezza e i processi furono affidati a tribunali militari. Nel 1865 il fenomeno si poteva considerare represso, ma senza rimuoverne le cause. Difficoltà italiane di fine secolo I governi della Destra, che pure avevano realizzato il pareggio del bilancio (1875), la creazione di importanti infrastrutture (ferrovie, mezzi di comunicazione via mare e via terra, banche ... ) e il rilancio dell'economia industriale delle regioni del Nord, avevano fatto ben poco per la soluzione dei problemi più urgenti, quali la questione meridionale, il problema sociale con le gravi piaghe dell'analfabetismo (il 92% fra le popolazioni dei Sud!) e dell'arretratezza contadina, la riforma elettorale... Si lamentava di queste carenze la Sinistra parlamentare (mazziniani, socialisti, repubblicani ... ) tantoché nel 1876 il re incaricò Agostino Depretis, ex mazziniano, di formare il nuovo governo. Depretis si presentò alle camere con un programma deciso. In politica interna: riforma della legge elettorale; abolizione della tassa sul macinato; obbligatorietà dell'istruzione elementare gratuita. Belle intenzioni che, purtroppo, nel 1896, quando anche i governi di sinistra entrarono in crisi, videro realizzata soltanto l'abolizione della tassa sul macinato; la riforma elettorale portò i votanti da 600.000 a quasi due milioni, ma la stragrande maggioranza del popolo italiano (le donne e il proletariato) era ancora esclusa dal diritto di voto; l'istruzione (Legge Coppino, 1877) era disattesa da tutti i più poveri, per i quali i figli, anche piccoli, rappresentavano preziose braccia per lavorare. In politica estera, Depretis fu abile nello stabilire un rapporto con le grandi potenze: nel 1862 veniva firmata con la Germania, ormai unificata, e con l'Austria, la Triplice Alleanza, un accordo a carattere difensivo rinnovabile ogni quattro anni. All'Italia esso portava i seguenti vantaggi: entrare nel novero delle grandi potenze a fianco della Germania, lo Stato più forte; 6 scongiurare il pericolo che l'Austria rivendicasse il Veneto a cui ancora pensava; assicurarsi la Germania come forte cliente commerciale. Ma il fatto che aggravò la situazione alla fine del secolo fu la politica coloniale intrapresa sulla scia dell'ondata di colonialismo dilagante fra le grandi potenze europee. L'Italia fu sconfitta nelle guerre di Etiopia, nel 1877 a Dogali, sotto il governo Depretis, e nel 1896 ad Adua, sotto il governo Crispi. Queste imprese avventate e anche la poco accorta politica sociale, soprattutto di Francesco Crispi, misero in crisi il governo della Sinistra che non seppe dare la giusta valutazione alle inquietudini delle masse operaie e contadine. In Italia si stavano facendo sforzi per incrementare l'economia industriale e per trasformare l'agricoltura, mentre ovunque si difendevano le idee del socialismo e si formavano le prime associazioni dei Lavoratori, che reclamavano più adeguate condizioni di lavoro, come era avvenuto e avveniva in Inghilterra, in Francia e in Germania. Nel 1892 a Genova fu fondato il Partito Socialista dei Lavoratori (nel 1893 divenne Partito Socialista Italiano); tra i suoi esponi ricordiamo: Filippo Turati, Antonio Labriola, Andrea Costa. Anche la Chiesa espresse la sua politica sociale con l'enciclica Rerum Novarum del papa Leone XIII: in essa la Chiesa prendeva posizione sia contro il liberalismo sia contro il socialismo, in difesa del valore della persona umana di cui esaltava dignità e diritti. Intanto, nelle Puglie, nelle Marche, in Romagna e in Toscana, più frequenti si facevano le rivolte operaie e contadine e gli scioperi, sempre repressi con spietata durezza e incomprensione del governo (ne è un significativo esempio il tumulto scoppiato a Milano tra il 6 e il 9 maggio del 1898 soffocato nel sangue generale Bava Beccaris che sparò sulla folla inerme causando un centinaio di morti). In questo clima di forti tensioni il 29 luglio 1900 un anarchico (Gaetano Bresci) uccise il re Umberto I (succeduto al padre Vittorio Emanuele II) e il nuovo sovrano Vittorio Emanuele III affidò l’incarico di governo al moderato Giuseppe Zanardelli che, affiancato da Giovanni Giolitti, dette un nuovo corso alla politica italiana. La fine del secolo in Francia e in Germania Mentre in Italia si realizzavano l'indipendenza e l'unificazione, pur con i tanti problemi, anche in Germania e in Francia avvenivano clamorosi mutamenti. La Prussia ambiva da tempo a riunire sotto il suo scettro stati germanici (alla maniera del Piemonte in Italia), ma l'unificazione si realizzò grazie soprattutto all'opera di Ottone di Bismarck primo ministro del re Guglielmo I. Il Bismarck3 si adoperò perché la Prussia si presentasse come lo Stato tedesco più forte, degno quindi di essere considerato egemone; per far questo si propose due obiettivi: sconfiggere l'Austria che avrebbe potuto essere la nazione concorrente nel realizzare l'unità; mettere in campo la forza militare prussiana combattendo e vincendo la Francia che, in quel momento, era considerata la più agguerrita potenza europea. 3 Il programma dei Bismarck prevedeva una stabilità della politica interna che egli tentò di imporre con una linea dura, accentratrice e militarista. Dovette quindi contrastare decisamente i cattolici e i socialisti che osteggiavano la sua politica. Contro i cattolici, fra il 1871 e il 1878, scatenò una battaglia offensiva (KULTURKAMPF = battaglia per la civiltà), per una civiltà moderna e laica contro la superstizione religiosa, che si tradusse in una serie di leggi: obbligatorietà dei matrimonio civile; divieto alla Chiesa di intervenire nell'istruzione pubblica; scioglimento della Compagnia di Gesù. Dopo il 1878, l'insuccesso della Kulturkampf risultò evidente e lo stesso Bismarck dovette allearsi con i cattolici per combattere la socialdemocrazia, cioè il socialismo tedesco che fu perseguitato e represso fino al 1890, mentre il governo emanava una serie di leggi sociali: tutela dei lavoro; assistenza dei lavoratori per malattia e infortuni; pensioni di vecchiaia. Queste leggi posero la Germania all'avanguardia della legislazione sociale, ma non soffocarono il diffondersi delle idee socialiste. 7 La guerra contro l'Austria fu provocata da questioni territoriali: l'invasione prussiana dell'Holstein, un ducato sotto la protezione austriaca. La Prussia coinvolse nella guerra anche l'Italia e, nel giro di poche settimane (14 giugno - 3 luglio 1866), sconfisse a Sadowa l'esercito austriaco. Gravi furono le conseguenze della sconfitta per gli Asburgo, costretti ad affrontare movimenti di rivolta fra le popolazioni sottomesse: in Ungheria l'imperatore dovette concedere la Costituzione, mentre il prestigio dell'Austria sul piano internazionale era in forte declino. La guerra con la Francia fu causata dalla proposta prussiana di porre sul trono vacante di Spagna (era morta Isabella II, senza eredi) il principe Leopoldo di Hohenzollern, cugino del re di Prussia. Napoleone III, la cui politica interna era scossa da un autoritarismo assai impopolare e quella estera da uno sfortunato tentativo di conquista del Messico, pensò di consolidare la sua posizione frenando lo strapotere prussiano e dichiarò guerra alla Prussia. Ma a Sedan (I settembre 1870) i Francesi dovettero arrendersi, mentre lo stesso Napoleone III veniva fatto prigioniero (morì esule in Inghilterra). Le conseguenze di questa battaglia furono: l'abbattimento dell'impero in Francia dove, contro un governo conservatore guidato dal Thiers, prevalse a Parigi la rivolta popolare per l'instaurazione di un governo democratico-progressista, la Comune; ma ebbe breve durata: il resto della Francia guardò con sospetto alla situazione di Parigi dove le truppe del Thiers poterono facilmente, ma con grande violenza, rovesciare la Comune favorendo l'instaurazione della Terza Repubblica (28 maggio 1870). A Versailles, Guglielmo I fu proclamato imperatore (Kaiser) di Germania, un'unica nazione con capitale Berlino (18 gennaio 187 1). Da questo momento l'opera del Bismarck fu rivolta a rendere la Germania la nazione più forte d'Europa: - militarmente, con una conduzione del potere sempre improntata ad energico militarismo che rafforzava la compagine imperiale e teneva addestrato un esercito di grandi proporzioni; - politicamente, adattandosi a trattare con cattolici e socialisti (verso i quali in un primo tempo era stato ostile e sospettoso) concedendo una serie di positive riforme sociali; - economicamente, incrementando l'industria (specialmente l'industria pesante e bellica), il commercio, la realizzazione di nuove vie di comunicazione ... ; - diplomaticamente, avvicinandosi alle grandi potenze in funzione antifrancese: con la Triplice Alleanza (1882) si avvicinò all'Austria e all'Italia; con l'Alleanza dei tre Imperatori (1881) strinse un patto con Austria e Russia (si avvicinò anche all'Inghilterra, di cui temeva la concorrenza commerciale, appoggiandone le mire espansionistiche coloniali). Il Congresso di Berlino4 (1878) con cui si definiva la Questione d'Oriente, ovvero la spartizione dei territori appartenenti alla Turchia, una potenza in pieno declino, fu il capolavoro della diplomazia del Bismarck; egli seppe accordare le ambizioni espansionistiche di Russia, Austria, Francia e Inghilterra su quelle regioni, senza pretendere niente per la Germania, ma facendola apparire come il perno della politica europea, lo Stato più forte, arbitro degli equilibri internazionali. 4 Bulgaria, ridotta di territorio, resta indipendente. Turchia: perde molti territori; le rimangono la Tracia, la Macedonia, l'Albania. Russia: riprende la Bessarabia e parte dell'Armenia. Austria: amministra la Bosnia e l'Erzegovina. Francia: ottiene il consenso di occupare la Tunisia. Inghilterra: si insedia a Cipro, base strategica. Serbia, Montenegro, Romania sono riconosciute indipendenti. Gli stretti, Bosforo e Dardanelli, restano smilitarizzati (secondo una convenzione dei 1841). Il Congresso di Berlino determinò scontenti e inquietudini fra i popoli slavi scossi da rivendicazioni nazionalistiche e indipendentiste. L'inghilterra ebbe i vantaggi maggiori, perché l'isola di Cipro, dopo l'apertura dei canale di Suez, le assicurò (con Malta e Gibilterra) il controllo del Mediterraneo. 8 La fine del secolo XIX nel resto del mondo «La politica coloniale5 è figlia della politica industriale»: questa frase del francese Jules Ferry ci fa subito capire quale fu lo stimolo che spinse le grandi potenze alla conquista dei continenti cosiddetti «sottosviluppati». La forte crescita economica fece nascere il bisogno di nuove fonti di materie prime e di più ampi mercati, e anche una smodata ambizione di possedimenti territoriali. Le nazioni «forti» videro nella gara espansionistica un mezzo per affermare il loro prestigio e la loro potenza politica, tanto più se la conquista si associava alla «missione di civiltà» che esse potevano svolgere nei confronti di popolazioni «barbare e primitive», di popoli «inferiori», incapaci di sfruttare le ricchezze naturali dei loro territori. Diventò un diritto delle grandi potenze conquistare terre d'Africa, d'Asia o di certe regioni d'America, assoggettando le popolazioni indigene in nome di un'ipotetica superiorità della razza bianca. Inghilterra, Francia, Germania, Belgio stabilirono ampie colonie in Africa e in Asia. La Russia partecipò con Francia e Inghilterra alla spartizione della Cina, contrastata dal Giappone, la nuova potenza che dal 1894 in poi cominciò a manifestare le sue ambizioni nazionaliste e imperialiste nell'Estremo Oriente. Anche l'Italia fu coinvolta nelle conquiste coloniali (non sempre con fortuna) dall'acceso nazionalismo del governo Crispi (1893-1896) e più tardi, con maggiore oculatezza, dal governo Giolitti. L'avventura imperialista, dunque, fu un fenomeno di vaste proporzioni comune a tutte le grandi potenze mondiali, frutto di un sentimento nazionalista sempre più esasperato, spesso accompagnato da pericolose teorie di superiorità e di inferiorità razziale. Accanto alle chiarissime reazioni nazionaliste e imperialiste, si possono individuare anche le cause socioeconomiche di questo colonialismo ottocentesco, riassumibili in tre punti: il crescente sviluppo demografico in Europa, che spinse la popolazione esuberante ad emigrare verso i paesi extraeuropei; il rapido sviluppo industriale, che ebbe bisogno di nuove fonti di materie prime e di nuovi mercati capaci di assorbire lo smercio dei manufatti; i forti capitali, creati dall'industrializzazione, che indussero a cercare nuove possibilità di investimento produttivo. Per queste ragioni i colonizzatori non si insediarono soltanto lungo le coste dei vari continenti, ma penetrarono all'interno in cerca di regioni vaste e inesplorate. Accanto alla dominazione diretta (documentabile con i confini territoriali), ci fu un dominio economico su territori apparentemente liberi, attraverso l'accaparramento di concessioni, di banche, di porti e lo sfruttamento di miniere... 5 INGHILTERRA Già possedeva molte colonie in tutti i continenti, ma diede inizio a una nuova fase di espansione conquistando: in Africa: Egitto, Sudan, parte della Somalia, Nigeria, Transvaal, Rhodesia; in Asia: Birmania, alcune isole dei Pacifico e, soprattutto, l'India che divenne il fulcro dell'impero coloniale britannico. Nel 1876 la regina Vittoria prese il titolo di «imperatrice delle lndie». FRANCIA Già possedeva l'Algeria, il Senegal, la Costa d'Avorio e ampliò i suoi domini conquistando: in Africa: Tunisia, parte dei Congo, il Dahomey, il Sudan occidentale, l'isola di Madagascar, il Marocco; in Asia: il Vietnam settentrionale, il Tonchino, la Cocincina, la Cambogia e il Laos. GERMANIA Fu l'ultima potenza ad entrare in lizza per le conquiste coloniali, tutta tesa a rafforzare la sua politica europea, secondo le direttive del Bismarck. in Africa: Africa orientale e Africa occidentale tedesca, il Togo e il Camerun sul golfo di Guinea; un complesso di territori abbastanza vasto, ma poco organico rispetto a quello francese e inglese. ITALIA Dopo l'acquisto della baia di Assab (1882) l'Italia, con alterne vicende, conquistò: in Africa: Massaua e parte della Somalia. BELGIO La potenza coloniale belga è legata quasi esclusivamente alla regione dei Congo, in Africa; essa non fu opera di una conquista vera e propria, ma dell'iniziativa dei re Leopoldo II che vi promosse una Associazione internazionale per impedire la tratta dei negri; instaurò, quindi, nella regione del Congo un suo potere personale che nel 1885 le grandi potenze gli riconobbero proclamandolo «re del Congo». Nel 1908 la regione, immensa, fu lasciata in eredità al Belgio. 9 Parlando di espansionismo e di colonizzazione non si può ignorare quanto avveniva negli Stati Uniti d'America, un paese sempre più legato alle vicende europee. Il territorio delle tredici colonie iniziali si era ampiamente ingrandito, ma il sogno americano era quello di estendere i confini dall'Atlantico al Pacifico, c'era quindi da conquistare tanto territorio, per lo più in mano agli Indiani. L'epica conquista del Far West si svolse negli anni 1860-1890 e fu violenta, sanguinosa, con tutte le caratteristiche del colonialismo più intollerante e oppressivo, anche se quelle terre, una volta conquistate, diventavano Stati indipendenti che si associavano all'Unione godendone tutti i diritti. Tuttavia, anche fra gli Stati americani esistevano differenze economiche e sociali che portavano continui contrasti interni erano soprattutto in discordia gli Stati del Nord, legati alla solida economia industriale e commerciale, e gli Stati del Sud che avevano sì un'economia solida, ma basata sulla coltivazione delle estese piantagioni (cotone, caffè, tabacco ... ), molto redditizie perché coltivate dal lavoro degli schiavi. L'antischiavismo del Nord, incoraggiato dal presidente Abramo Lincoln, portò alla guerra civile con gli Stati del Sud, apertamente schiavisti. La guerra fra Nordisti e Sudisti si protrasse dal 1860 al 1865; vinsero i Nordisti che proclamarono l'abolizione della schiavitù su tutto il territorio statunitense (aprile 1865). Dopo la guerra, negli Stati Uniti ci fu un vertiginoso impulso economico, con una crescente richiesta di manodopera dal mercato europeo. L'America, a fine secolo, rappresentava il miraggio di tanti disoccupati, la speranza degli emigranti dai paesi più poveri, il paese degli intraprendenti e degli avventurieri in cerca di fortuna. L'espansionismo americano si era indirizzato anche verso le isole del Pacifico, dove incontrò la resistenza dell'imperialismo giapponese e di quello europeo che là aveva messo radici (Francia, Inghilterra). I Giapponesi, soprattutto, subirono con rabbia gli accordi commerciali svantaggiosi, imposti dai potenti occidentali, militarmente più forti. Da allora divenne assai importante in Giappone il Movimento nazionalista che, incoraggiato dal giovane imperatore Mitsu Hito, promosse un rapido processo di modernizzazione e di industrializzazione, al fine di portare il paese a raggiungere il grado di sviluppo economico e produttivo delle grandi potenze. Fu un obiettivo ampiamente raggiunto nel giro di pochi decenni: nel 1894, nella guerra contro la Cina e con la conquista di Formosa, di Port Arthur e della Corea, il Giappone attuava già una politica di forte imperialismo. Alla fine del XIX secolo le maggiori potenze mondiali risultavano: Germania e Inghilterra nel continente europeo, gli Stati Uniti sul territorio americano, il Giappone in Oriente. Tensioni internazionali del Primo Novecento La storia del primo ventennio del Novecento è ricca di avvenimenti di grande importanza, strettamente collegati alle vicende degli ultimi decenni del secolo precedente. Il quadro europeo si presenta con l'INGHILTERRA in fortissima ascesa economica assecondata dalle fortunate imprese coloniali e da una politica interna solida a cui le riforme in senso democratico, varate da Benjamin Disraeli e da William Gladstone sotto il lunghissimo regno della regina Vittoria (1837-1901), garantiscono una discreta stabilità. Tutti i problemi sociali, poi, trovano valido appoggio nelle Trade Unions (i primi sindacati) che nel 1906 si presentano alle elezioni come Partito Laburista, una linea riformata del socialismo marxista. La GERMANIA, dove domina lo spregiudicato sistema militarista di Guglielmo Il (il Bismarck si era dimesso nel 1890), è sempre orientata verso una polita egemonica e guarda all'Inghilterra come ad una pericolosa rivale economica e militare, special- mente per la fortissima flotta. Anche la FRANCIA teme l'Inghilterra, ma ancora di più il militarismo germanico; per questo nel 1904 si allea con l'Inghilterra (Intesa Cordiale), formalmente per gestire le questioni coloniali, e si avvicina alla Russia (in perenne contrasto con Germania e Austria per la questione balcanica) dove, dopo un disastroso scontro con il Giappone e una sanguinosa rivoluzione interna (1905)6, lo zar Nicola II, riprende la sua politica interna di forza e in politica estera rivolge i suoi sforzi economici e diplomatici a intromettersi sempre più fra le grandi potenze. 6 La Russia ambiva a fare conquiste nelle regioni della Cina, uno Stato in gravissima decadenza. L'esercito russo, infatti, stava marciando contro la Manciuria e la Corea, quando si scontrò con quello giapponese, poiché il Giappone ambiva ad espandersi in quelle stesse terre. In ben due battaglie i Russi furono battuti e queste sconfitte, con le rilevanti perdite di uomini e di mezzi, determinarono ulteriori sofferenze per le masse popolari gravate da nuove tasse; questo determinò una perdita di prestigio per lo zar. Fu un momento favorevole per diffondere le idee del socialismo, che già circolava fra gli intellettuali, e per muovere l'opinione pubblica. 10 Le alleanze, in Europa, nel primo decennio del secolo si presentano così: GERMANIA e AUSTRIA: legate dalla Duplice Alleanza (1879); GERMANIA, AUSTRIA, ITALIA: legate dalla Triplice Alleanza (1882), rinnovata ogni quattro anni fino alla Prima Guerra Mondiale; INGHILTERRA e FRANCIA: legate con l'Intesa Cordiale (1904); INGHILTERRA, FRANCIA, RUSSIA: legate con la Triplice Intesa (1907-1917); RUSSIA, GERMANIA, AUSTRIA: legate dal Patto dei tre imperatori (1872); esso, di fatto non ebbe più valore dopo le dimissioni di Bismarck. Tutto questo intreccio di accordi e di alleanze è indizio di un equilibrio sempre più instabile che acuisce le tensioni internazionali. Pericolose tensioni politiche si erano già manifestate nell'espansionismo coloniale di fine secolo, determinato dalla forte concorrenza economica e dal bisogno di nuovi sbocchi di mercato. All'inizio del Novecento le stesse ragioni acuirono la tensione fra le nazioni industriali e assunsero forme sempre più drammatiche, soprattutto per l'aspra concorrenza fra l'Inghilterra e la Germania, tanto più che quest'ultima, nella sua crescente affermazione economica, apertamente volgeva i suoi sforzi all'ampliamento delle spese di militarizzazione. Questo fatto portò anche le altre nazioni all'aumento degli investimenti per l'apparato bellico, mentre si diffondeva per tutta l'Europa il timore di un conflitto armato. Pressioni verso la guerra erano determinate anche da altre ragioni: la Francia ambiva a rifarsi dello smacco subito a Sedan; la Germania voleva allargare i suoi confini; la Russia e l'Austria erano in contrasto perché ansiose di estendere il loro potere nei Balcani; l'Inghilterra voleva difendere la sua supremazia sui mari e il suo primato economico, contro il forte sviluppo commerciale tedesco e la prospettiva dell'allestimento di una grande flotta germanica. In Francia la politica antitedesca nasceva dal desiderio di riconquistare le terre perdute nel 1870, ma era sollecitata anche dalla speranza di riaffermare il prestigio nazionale contro una Germania che, a sua volta, in nome di un esasperato nazionalismo, veniva elaborando teorie di supremazia razziale e di pangermanesimo7. Forte era anche la tendenza nazionalista in Italia e, con giustificazioni diverse, nei paesi slavi assoggettati all'Austria: gli Slavi miravano alla riconquista della libertà territoriale e al riconoscimento della sovranità dei loro singoli Stati (panslavismo8); l'Italia rivendicava la conquista di quei territori che non erano stati liberati con le guerre del Risorgimento. Tali questioni avevano già provocato incidenti pericolosi, come gli scontri tra Francia e Germania nel 1905 e nel 1912 per la questione del Marocco (risolta con trattative diplomatiche) e l'attrito Russia-Austria in seguito alle guerre di assestamento e di equilibrio negli Stati Balcanici fra il 1912 e il 1913.In questi frangenti avevano prevalso la prudenza e la diplomazia, ad evitare conflitti armati. In ITALIA dominava la scena politica Giovanni Giolitti che, dopo il ritiro di Zanardelli (per ragioni di salute nel 1903), ebbe l'incarico di governo che portò avanti, salvo qualche parentesi, per oltre dieci anni, passati alla storia come «età giolittiana». In politica interna l'obiettivo principale di Giolitti, nell'opera di governo, fu quello di conciliare le esigenze della borghesia italiana con le forze che si raccoglievano intorno al Partito Socialista, spingendo la prima a riconoscere la legittimità di alcune rivendicazioni dei lavoratori, e il secondo ad abbandonare le velleità rivoluzionarie per scegliere una linea di legislazione sociale. Giolitti era infatti convinto che lo Stato aveva tutto da guadagnare abbandonando la politica repressiva per una politica di riforme. Favorì, infatti, l'approvazione di una legislazione che tutelava il lavoro delle donne e dei minori, regolamentava il lavoro festivo e notturno e istituiva forme di assicurazione contro gli infortuni. Inoltre fece nazionalizzare le ferrovie e i telefoni e approvò leggi speciali per il Mezzogiorno. Questa linea politica giolittiana trovava elementi di sostegno nell'orientamento riformista "dei socialisti di quel momento, guidati da Turati, e nella benevolenza della borghesia industriale del Nord che era in fase di grande A Pietroburgo, il 22 gennaio 1905, una numerosa folla si riunì per una manifestazione davanti ai cancelli del palazzo dello zar; reclamando la Costituzione e riforme sociali, voleva consegnare una supplica dei lavoratori, ma fu caricata a fucilate dalla guardia imperiale e dispersa violentemente. Era domenica, passata alla storia come «domenica di sangue». 7 Movimento politico consolidatosi nel 1891 con la Lega pangermanica, prospettava l’unione di tutte le genti di origine germanica; prese un indirizzo imperialista con l’affermazione della superiorità di alcune razze, considerate per loro natura dominanti, come la razza ariana. 8 Movimento politico-culturale per la solidarietà tra gli Slavi, iniziatosi nel secolo XIX si affermò nel Congresso di Praga nel 1848 e nel Congresso di Berlino nel 1867. Con intenti sempre più nazionalisti e irridentisti, riprese un’attività frenetica dopo il Congresso di Berlino nel 1878 che determinò la frantumazione dei popoli balcanici 11 espansione economica. D'altra parte, per garantire la sua politica, Giolitti non esitò ad accettare l'appoggio in Parlamento di molti deputati di ogni area politica, mediante lo spregiudicato uso del trasformismo. In politica estera Giolitti, pur mantenendo l'Italia nella Triplice Alleanza, si riavvicinò alla Francia e all'Inghilterra, approvando l'espansione francese in Marocco, senza ambire però all'espansione coloniale italiana. Il non avanzare mire colonialistiche gli fu rimproverato dalla Destra nazionalista, perciò nel 1911, dopo accurata preparazione diplomatica oltre che militare, lasciò che l'esercito italiano sbarcasse in Africa per conquistare la Libia, un territorio non ancora occupato dalle potenze occidentali. La conquista fu faticosa più del previsto, ma nel 1912 la Turchia fu costretta alla pace e a riconoscere all'Italia anche il possesso del Dodecaneso, nel Mare Egeo. Intanto, nel 1913 si svolsero le prime elezioni a suffragio universale maschile, con la partecipazione anche dei cattolici i quali, con il Patto Gentiloni (1913), si erano reinseriti nella vita politica in funzione antisocialista. Furono notevoli, quindi, i successi della politica giolittiana, ma anche molti i patteggiamenti e i compromessi che scontentarono sia i grandi proprietari terrieri e i grandi industriali di Destra, sia i socialisti sempre più rivoluzionari di Sinistra. Nel marzo 1914 Giolitti abbandonò il governo, proprio mentre si addensavano serie minacce di guerra, in mano al liberaldemocratico Antonio Salandra. La Grande Guerra (1914-1918) Evitata in più occasioni, la guerra scoppiò nel luglio 1914 in seguito alla crisi determinatasi per l'uccisione dell'erede al trono d'Austria, l'arciduca Francesco Ferdinando, e della moglie durante una visita ufficiale a Sarajevo, capitale della Bosnia, per mano dello studente serbo, Princip. La regione balcanica si rivelò realmente «polveriera d'Europa». L'Austria, dopo un ultimatum durissimo, dichiarò guerra alla Serbia; la Russia si mobilitò a sostegno di quello Stato e la Germania, schierata con l'Austria, dichiarò guerra alla Russia e alla Francia sua alleata. Due, infatti, erano i principali schieramenti che ancora resistevano alla politica diplomatica dei decenni precedenti: la Triplice Intesa (Inghilterra, Francia e Russia) e la Triplice Alleanza (Germania, Austria, Italia). Nel giro di pochi giorni (28 luglio-1 agosto 1914) tutte queste Nazioni furono in guerra tranne gli Italiani in quanto la Triplice Alleanza era stata stipulata come patto difensivo e non in funzione di guerre di aggressione (l'Italia non era vincolata né a entrare in guerra né a schierarsi a fianco della Germania e dell'Austria). Il governo italiano del Salandra era stato colto di sorpresa dagli avvenimenti ed era indeciso sulla posizione da prendere, mentre l'opinione pubblica era aspramente lacerata fra interventisti (nazionalisti di estrema destra, irredentisti, minoranze socialiste...) che, per ragioni diverse, volevano la guerra, e i non interventisti (capeggiati da Giolitti) che si opponevano al conflitto ritenendo la nazione non sufficientemente preparata, né economicamente né militarmente, per affrontare una guerra moderna che richiedeva l'impiego di armi nuove e sofisticate, esplosivi di enorme potenza, carri armati, navi corazzate, sottomarini, aerei... mezzi di cui disponevano le altre potenze, soprattutto la Germania. Dopo dieci mesi di contrasti, prevalse la linea dell'intervento e il 24 maggio 1915 anche l'Italia entrò in guerra a fianco di Inghilterra, Francia e Russia, col compito di contrastare le truppe austriache lungo i confini delle Alpi (600 chilometri di fronte!). La guerra durò ben cinque anni e si allargò sempre di più: a fianco dell'Austria e della Germania si schierarono successivamente la Bulgaria, la Turchia e l'Albania; mentre alle forze dell'Intesa si aggiunsero il Giappone, l'Italia, la Romania e, nel 1917, gli Stati Uniti d'America. La Grande Guerra divenne Guerra Mondiale9. 9 Perché entrarono in guerra anche il Giappone e gli Stati Uniti. Il Giappone, che apparentemente sembrava estraneo agli interessi europei, in realtà dichiarò guerra alla Germania (13 agosto 1914) per sottrarle la sua sfera d'influenza in Cina. Questo gli consentirà, dopo l'assegnazione in mandato delle colonie tedesche, di accrescere la sua influenza nel Pacifico e di diventare la terza potenza navale del mondo. Gli Stati Uniti d'America erano molto legati ai paesi europei soprattutto da rapporti commerciali poiché l'Europa era un solido sbocco per il mercato americano. Fin dall'inizio della guerra avevano simpatizzato per l'intesa aiutando l'Inghilterra con prestiti bancari e con rifornimenti di ogni genere attraverso l'Atlantico e perdendo, nel 1915, due navi ad opera dei sottomarini tedeschi. Quindi gli Stati Uniti era- no particolarmente interessati che l'intesa vincesse la guerra. Quando i Tedeschi il I febbraio 1917 dettero avvio alla guerra sottomarina illimitata, cioè permettendo l'attacco indiscriminato anche alle navi civili, gli Stati Uniti recepirono questa azione come una sfida e il 6 aprile dello stesso anno le dichiararono guerra. 12 Durante i cinque anni ci furono vicende alterne per i due blocchi contrapposti: la Germania, che aveva previsto una guerra rapida e «di movimento», puntò subito su Parigi violando la neutralità del Belgio, ma fu fermata dai francesi sulla Marna e dovette ripiegare su una guerra estenuante, tutta combattuta nelle trincee, «guerra di posizione e di logoramento», che risulterà drammatica anche dalle pagine di tanti scrittori e poeti che, sull'uno o sull'altro fronte, provarono la stessa fatica, la stessa disperazione e la stessa avversione. Fu una guerra in certo senso tradizionale, con lunghi assedi, lenti movimenti di truppe, scarse azioni decisive. Si combatté prevalentemente in Francia, in Belgio e in Italia, ma le nazioni coinvolte, come abbiamo visto, furono di ogni continente. Se i combattimenti furono quasi tradizionali, la mobilitazione fu certo eccezionale: oltre a milioni di combattenti giovanissimi (in Italia «i ragazzi del 99» avevano meno di diciotto anni, in Germania furono reclutati volontari anche più giovani), le industrie, le materie prime, le derrate alimentari, le strade, le ferrovie, furono al «servizio» della guerra. A casa, oltre che al fronte, la vita era dura e mancava tutto, perché tutto confluiva nella guerra. Nelle fabbriche e nei campi lavoravano le donne, chiamate per la prima volta a sostituire gli uomini in ogni sorta di fatica. Non solo con le nuove armi si combatteva ma anche con la propaganda, un'arma nuova che, per mezzo dei giornali, dei libri, delle riviste, dei volantini spesso tendenziosi, teneva desta nella gente l'avversione contro il nemico. Ma la popolazione fu spesso stanca di guerra e di sacrifici; manifestarono la loro ribellione soprattutto gli operai delle fabbriche con scioperi e dimostrazioni, anche se la compattezza del mondo operaio, base del pensiero socialista, si era ormai sgretolata. Infatti, mentre l'atteggiamento univoco dei socialisti europei era stato di rifiuto della guerra perché essa non rappresentava gli interessi del mondo operaio ma quelli dell'imperialismo capitalista, i socialisti francesi e tedeschi si erano schierati coi loro governi, in nome di un prevalente nazionalismo. Questo «tradimento» aveva messo in crisi la forza dell'Internazionale. Nel 1917 si verificarono finalmente fatti decisivi: la Germania era ormai prostrata dal «blocco della fame» a cui l'aveva costretta l'Inghilterra impedendo l'arrivo dei rifornimenti; entrarono in guerra gli Stati Uniti d'America, freschi di forze e ricchi di mezzi; la Russia, impegnata nella rivoluzione interna, si ritirò dal conflitto. Così nel 1918 le truppe anglofrancesi costrinsero i Tedeschi a ritirarsi dalla Francia e dal Belgio, mentre gli Austriaci, dopo aver vinto a Caporetto (1917), venivano definitivamente piegati dagli Italiani sul Piave e sul Monte Grappa e sconfitti a Vittorio Veneto (1918). Fu la fine della guerra; la Germania e l'Austria nel novembre chiesero la resa. Ma vincitori e vinti erano ugualmente stremati. La crisi del dopoguerra I trattati di pace elaborati dalla Conferenza di Parigi10 furono faticosi e ristrutturarono in parte il quadro europeo. La Germania fu ritenuta la principale responsabile del conflitto e dovette impegnarsi a pagare in 30 anni 132 miliardi di marchi-oro, dovette cedere l'Alsazia e la Lorena alla Francia, perdere tutte le colonie a favore degli alleati (eccetto l'Italia) e ridurre al minimo l'esercito. Inoltre, per garantire il pagamento, la regione carbonifera della Saar fu affidata alla Francia e la Renania per 15 anni passava in mano delle truppe alleate. Nell'Europa orientale, il crollo dell'Impero austro-ungarico determinò la nascita di nuovi stati: Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, mentre Austria e Ungheria erano ridotte a due piccole repubbliche. La Turchia, infine, fu ridotta al solo territorio di Costantinopoli, mentre le altre regioni dell'Asia minore erano affidate alla Francia (Siria e Cilicia) e all'Inghilterra (Mesopotamia e Palestina). 10 Alla conferenza per la pace a Parigi, parteciparono i quattro grandi delle potenze vincitrici: il presidente americano W. Wilson, il presidente francese O. Clemenceau, il primo ministro inglese D. Lloyd George e il presidente dei consiglio italiano V.E. Orlando. Il presidente americano mostrò la sua mentalità più democratica proponendo 14 punti a cui la pace doveva ispirarsi, fra questi «l'autodecisione dei popoli» e il principio che i confini di uno Stato dovevano comprendere quanti usano la stessa lingua e hanno la stessa nazionalità. Ma le potenze europee disattesero questi principi, preoccupate dei loro interessi territoriali. Sempre su suggerimento di Wilson fu istituita la SOCIETA DELLE NAZIONI (con sede a Ginevra) come organo deputato a mantenere la pace e a regolare pacificamente le controversie internazionali. Purtroppo fu un'organizzazione che non ebbe mai un vero potere decisionale, anche se vi aderirono molti Stati di tutto il mondo. 13 L'Italia, con il Trattato di Saint-Germain (1919), ottenne il Trentino e l'Alto Adige, Trieste e l'Istria a completamento delle lotte risorgimentali. Ma gli irredentisti reclamavano anche Fiume e la Dalmazia. Dopo un colpo di mano di D'Annunzio, che con un gruppo di legionari nel settembre 1919 occupava la città di Fiume (subito sconfessato dal governo italiano che temeva complicazioni internazionali), la vicenda fu regolata diplomaticamente nel 1924: Fiume passava all'Italia e la Dalmazia rimaneva alla Jugoslavia. Per l'opinione pubblica la vittoria italiana cessava di essere una «vittoria mutilata». Ovunque le difficoltà del ritorno a una vita normale erano smisurate perché la guerra aveva portato per tutti miseria e distruzione, e anche i paesi che avevano vinto non erano in condizioni molto migliori di quelli che erano stati battuti. Soprattutto erano gravi i problemi economici: la difficoltà della riconversione industriale determinava un rallentamento produttivo e di conseguenza la contrazione dei redditi dei ceti medi, la diminuzione della domanda dei beni, una preoccupante disoccupazione. Frattanto forme di crescente inquietudine caratterizzavano tutti i ceti della società: i contadini chiedevano, come riconoscimento del loro tributo alla guerra, la proprietà delle terre su cui lavoravano; gli operai reclamavano garanzie di lavoro e salari adeguati alla galoppante inflazione; la classe media, poi, era preoccupata che anche nei paesi occidentali, dietro il modello sovietico, si potesse affermare il Bolscevismo dispotico e collettivista. I primi anni del dopoguerra, quindi, furono caratterizzati da una massiccia sindacalizzazione, da scioperi, da conflitti sociali che determinarono una situazione di crisi che era inevitabile degenerasse pericolosamente. Infatti, in molti paesi dove le tradizioni liberali erano meno forti prevalsero tendenze politiche autoritarie: se ne ebbe esempio in Portogallo con i continui colpi di Stato, nella Spagna con la dittatura di Primo de Rivera (1923), e in Italia con l'avvento al potere del Fascismo (1922). La rivoluzione russa del 1917 Una delle cause che affrettò la fine degli eventi bellici fu il ritiro della Russia dalla guerra nel 1917 a causa del profondo sconvolgimento di politica interna in seguito alla rivoluzione di ottobre. Già all'inizio del secolo la Russia aveva avviato un discreto processo di industrializzazione e fra gli operai delle fabbriche cominciavano a circolare le idee socialiste che giovani intellettuali, e fra questi Troskij e Lenin, diffondevano clandestinamente. Dilagava lo scontento per il sistema politico zarista chiuso ad ogni idea liberale, e si reclamavano scuole, diritto di voto, riforme sociali, interventi in favore della gran massa dei contadini poveri e analfabeti. Nel 1905 era scoppiata una protesta, degenerata in un massacro, e lo zar Nicola Il era stato costretto a fare concessioni: libertà di stampa, suffragio universale, istruzione obbligatoria... ma in capo a pochi mesi tutto era tornato come prima e i rivoluzionari erano stati uccisi o costretti a fuggire (Lenin e Troskij). Nel 1914 l'entrata in guerra aveva aggravato una situazione di forte debolezza economica e aveva suscitato lo sdegno di tutta la popolazione. Tra il 1914 e il 1917 l'esercito russo subì tremende sconfitte e questo acuì lo scontento e le agitazioni di protesta. Nel febbraio 1917 la situazione si aggravò ancora quando i soldati si rifiutarono di reprimere le insurrezioni operaie con le armi; lo zar fu costretto a fuggire, i soviet (assemblee di operai e di soldati) pullularono in tutto il paese. Nell'aprile tornò dall'esilio Lenin (Vladimir Ilijč Uljanov, 1870-1924) capo del partito bolscevico, il maggiore partito fra quelli rivoluzionari (menscevichi e socialrivoluzionari). Lenin enunciò subito un programma: abbattere il governo borghese e dare il potere ai soviet, porre fine alla guerra, confiscare le proprietà private e distribuire le terre ai contadini. Il socialista moderato Kerenskij propose un accordo col governo, ma il suo tentativo fallì e, alla minaccia dell'avvicinarsi della guerra ai confini russi, insorsero lavoratori e soldati. Nella notte fra il 24 e il 25 ottobre i bolscevichi capeggiarono una rivoluzione generale che travolse ogni resistenza delle truppe fedeli allo zar. Fu proclamata la repubblica socialista il cui primo atto fu la richiesta della pace separata, firmata con la Germania il 3 marzo 1918. Naturalmente la rivoluzione non finì qui, anzi le reazioni furono tali, da parte dei ceti più colpiti dai provvedimenti rivoluzionari, che all'interno del paese si scatenò una vera guerra civile. Le prime elezioni generali a suffragio universale, furono invalidate dai bolscevichi che, pur non avendole vinte, vollero prendere il potere provocando la reazione armata di nobili, borghesi, proprie- tari terrieri, imprenditori... La lotta tra le «armate bianche» reazionarie e l'«armata rossa» bolscevica fu durissima e prostrò il paese moralmente e materialmente. Infine, nel 1920, i bolscevichi ebbero la meglio e, dopo la proclamazione dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), stabilirono un ferreo totalitarismo considerato necessario per ristabilire l'ordine e avviare il processo di ricostruzione di una nazione in rovina. 14 Prevalse la linea del «comunismo di guerra», cioè di una pianificazione economica in cui gli interessi privati erano subordinati a quelli generali con controlli e nazionalizzazioni in tutti i settori. Ma già nel 1921, mentre la crisi si allentava e si vedevano i primi successi della ripresa, fu varata la Nuova politica economica (NEP) con norme meno rigide e con criteri tipici dell'economia capitalista basata sul principio del profitto, anche se in questo caso il profitto spettava allo Stato e non ai privati, ai quali erano riconosciuti scarsi diritti individuali. L'esempio di Stato socialista-comunitario affermatosi in Russia rappresentò un simbolo a cui guardarono con speranza tutti i socialisti e i comunisti degli altri paesi. Ma guardarono alla Russia con sospetto tutti gli Stati liberali e democratici, timorosi che l'esempio bolscevico avesse un seguito anche da loro: il «pericolo rosso» divenne il terrore di molti, tanto più che gli eccessi della rivoluzione d'ottobre e la rigidezza del conseguente totalitarismo fecero cattiva propaganda a un regime che conculcava quelle libertà per cui si era lottato in tutta l'Europa fin dai tempi dell'Illuminismo. Tuttavia, fin dal 1922, l'URSS cominciò a uscire dall'isolamento internazionale partecipando alla conferenza economica di Genova e ottenendo il riconoscimento ufficiale dell'Inghilterra, dell'Italia, della Francia e del Giappone. Nel 1924 a Lenin succedeva Josif Stalin (1879-1953) che, in politica interna, mirò a fare della Russia uno stato comunista economicamente e militarmente forte, incentrato sulla produzione collettivizzata, modello e punto di riferimento per altre nazioni. Per attuare questa politica in un paese povero, provato dalla guerra e dalle rivoluzioni, dovette usare mezzi tirannici, imponendo gravi sacrifici economici e, regole dure, perseguitando chiunque fosse sospettato di attività anticomunista o antinazionale; attivò un regime poliziesco di cui furono vittime anche molti personaggi illustri, sottoposti alle tristemente famose «purghe». In politica estera si avvicinò alle potenze occidentali per interessi molto precisi, accordandosi con la Germania per un piano di spartizione della Polonia (1939) e più tardi, nel 1941, diventando promotore di una politica antitedesca. I «ruggenti» anni Venti Le difficoltà del dopoguerra resero sempre più evidenti i segni che l'Europa stava perdendo la sua centralità politica ed economica: politica, in quanto sembrava tramontassero ovunque i sistemi liberali che avevano fatto dell'Europa la culla della moderna democrazia (infatti si andavano diffondendo le idee del Bolscevismo, cioè di quel socialismo leninista che aveva preso il potere in Russia dopo la rivoluzione del 1917); economica, perché gli Stati Uniti d'America con i loro capitali diventavano arbitri della ripresa economica europea, finanziando largamente le opere di ricostruzione e riconversione. All'interno dei singoli Stati, sull'esempio della rivoluzione russa, si rafforzavano i movimenti socialisti rivoluzionari che davano vita ai partiti comunisti, separandoli nettamente dai socialisti moderati o «riformisti»; di qui lotte, disordini e qualche tentativo rivoluzionario (in Austria, Ungheria, Germania ... ) subito soffocato. In Germania si formò la Repubblica di Weimar (1919) basata su principi democratici, anche se macchinosi e confusi, mentre in Italia continuò a regnare la monarchia sabauda regolata dallo Statuto Albertino. Ma non erano situazioni stabili: nuove forze, suscitate dal nazionalismo (tutt'altro che tramontato dopo la guerra) e dalle tendenze sociali conservatrici, si affacciavano alla ribalta, specialmente nei paesi più provati dalla guerra, come l'Italia dove è emblematica l'affermazione del fascismo. Infatti, mentre l'Italia faticosamente si avviava alla ripresa economica, si diffondeva la paura, specialmente nei ceti borghesi, che si potesse affermare il comunismo di stampo sovietico. Ne davano segni preoccupanti l'aggravarsi delle lotte sociali (scontri, occupazione delle fabbriche e delle terre, formazione dei consigli di fabbrica, scioperi ... ), e la nascita del Partito Comunista Italiano (Livorno 1921), ad opera di Antonio Gramsci. D'altra parte le classi contadine e operaie erano insoddisfatte dei comportamenti del governo e della risposta dei ceti dirigenziali e auspicavano un radicale mutamento di politica. E’ da notare che i partiti popolari Partito Socialista, Partito Popolare, cattolico, e dal 1921, Partito Comunista - pur avendo ottenuto l'affermazione elettorale, erano divisi da profonde divergenze e incapaci di imporsi come effettiva alternativa di governo. Inoltre, nessuno di quei partiti aveva un seguito tale da potersi imporre, in quanto quelli di ispirazione socialista si preoccupavano specialmente della classe operaia legata all'industria urbana, il Partito popolare di 15 ispirazione cattolica (fondato da don Luigi Sturzo nel 1919) rivendicava, invece, soprattutto i diritti della classe rurale e contadina. In questo clima di incertezze politiche, si guardò da ogni parte con interesse ai Fasci di combattimento, un movimento fondato a Milano nel 1919 dall'ex socialista ed ex interventista Benito Mussolini (1883-1945) che nel novembre 1921 lo trasformò nel Partito Nazionale Fascista. Il suo programma che non aveva mire precise, ma si presentava soprattutto come una politica di azione contro l'immobilismo burocratico dello Stato italiano (al cui vertice era stato richiamato nel 1919 il Giolitti), incontrò il favore degli scontenti di ogni parte, soprattutto degli ex combattenti e dei disoccupati che guardavano con simpatia a una politica di forza orientata in senso socialista. E così Mussolini, che nelle elezioni del 1919 aveva ottenuto solo 35 seggi in Parlamento, nel '22, dopo la marcia su Roma del 28 ottobre (un atto di forza contro il governo presieduto da Luigi Facta), fu chiamato dal re Vittorio Emanuele III a formare il nuovo governo (quello di Facta, basato su una instabile maggioranza era ormai impossibilitato a prendere decisioni e a varare leggi). Mussolini, presentandosi al di sopra delle parti e con l'appoggio di tutte le correnti parlamentari, formò un governo pronto a ristabilire l'ordine. Fu una breve parentesi che servì ai fascisti per organizzarsi e presentarsi compatti e più aggressivi alle elezioni del 1924, da cui, usando anche gli imbrogli, uscirono rafforzati (l'onorevole Matteotti, per aver denunciato alla Camera i brogli elettorali, venne ucciso da sicari fascisti). Mussolini formò il nuovo governo e si presentò alle Camere con volto diverso imponendo leggi autoritarie: soppresse la libertà di stampa e di associazione, esautorò il Parlamento (il potere passò in mano al Gran Consiglio, presieduto dallo stesso Mussolini), sciolse i partiti ad eccezione di quello fascista, istituì un Tribunale Speciale per la difesa dello Stato che perseguitava coloro che manifestavano idee contrarie al regime11. Allo scopo di accattivarsi anche la simpatia delle masse polari di religione cattolica (la maggioranza degli Italiani), nel 1929 Mussolini, con i Patti Lateranensi, sanzionò la pacificazione fra lo Stato Italiano e la Chiesa, risolvendo una questione che era in sospeso fin dalla formazione del Regno d'Italia. Ormai il «Duce» non aveva più limiti al suo potere e anche il Re era praticamente relegato a una funzione soltanto rappresentativa. Ogni opposizione al regime veniva stroncata con la forza (carcere, confino, morte) e ogni individuo sospetto era perseguito con accanimento. Molti fra gli antifascisti più accesi preferirono l'esilio per continuare, in clandestinità, la resistenza attiva. I difficili anni Trenta In Europa le difficoltà seguite alla prima guerra mondiale si attenuarono intorno al 1925 allorché i singoli paesi, pur con qualche tensione interna, erano economicamente in ripresa, grazie anche all’afflusso di capitali dall’America che in quegli anni stava vivendo un prodigioso boom economico. Ma all’arrivo degli anni Trenta la situazione mondiale ebbe una svolta negativa al seguito del disastroso crollo delle azioni di borsa, crollo di Wall Streeet, la più importante borsa di valori degli Stati Uniti (ottobre ’29), causato da speculazioni errate che si risolsero in una catastrofe a catena facendo cadere l'America in una paurosa recessione: fallirono molte banche, alcune grandi industrie e centinaia di piccole imprese, provocando disoccupazione, miseria, fame. La recessione americana ebbe subito il contraccolpo in Europa: gli Usa ritirarono i loro crediti esteri a breve termine e puntarono su una forte esportazione. Così, da una parte gettarono nel panico i Paesi europei impossibilitati a far fronte ai loro debiti e costretti a un'economia autarchica; dall'altra soffocarono le industrie con l'immissione sul mercato europeo di prodotti a prezzi concorrenziali. Quando, nel 1933, il nuovo presidente americano Franklin D. Roosevelt approvò un piano economico di intervento statale che rapidamente rimise in piedi l'economia degli USA (il New Deal) in Europa la crisi era nella stretta più dura. 11 Lo Stato fascista si consolidò attraverso le leggi fasciste dei 1925-26 con queste disposizioni: il Parlamento ha solo il potere consultivo, mentre il potere è del Gran Consiglio (governo) e particolarmente dei primo ministro (Mussolini) responsabile soltanto davanti al Re; il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato è l'organo di sicurezza che garantisce la persecuzione contro gli antifascisti; sono dichiarati decaduti i deputati dell'opposizione (una parvenza di opposizione continuò al Senato, rimasto di nomina regia); sono abolite le autonomie locali; i podestà (i sindaci di oggi) sono nominati dal governo; è abolita la libertà di stampa; è abolita la libertà di associazione; sono sciolti i partiti, a eccezione di quello fascista; sono aboliti i sindacati; si creano le Corporazioni, dominate dal partito; è istituita la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, un corpo armato dei partito. 16 Nello stesso anno 1933 in GERMANIA saliva al podere Adolf Hitler (1889-1945), leader del partito nazionalsocialista (nazismo) che si era affermato in seguito alla critica situazione economica che in Germania, più che altrove, aveva risentito della recessione americana. I milioni di disoccupati tedeschi, che accusavano di inettitudine i partiti al potere e il governo di Weimar, videro nel nazismo la forza alternativa. Hitler prometteva prosperità e una politica energica, fortemente nazionalista, che avrebbe fatto della Germania un baluardo di civiltà contro la barbarie orientale (il Bolscevismo) e contro le razze considerate inferiori. Nelle elezioni del 1933 egli poté instaurare un regime fortemente dittatoriale all'interno e imperialista in politica estera. In tutti i campi il nazismo12 impose le sue leggi e i suoi controlli, in un clima fanatico di persecuzioni e di denunce. Molti intellettuali preferirono la via dell'esilio. Uno dei punti-forza della politica hitleriana fu l'affermazione di pretesa superiorità della razza germanica (ariana) e la necessità di conservarne la purezza con misure discriminatorie contro gli altri gruppi etnici e in particolare contro gli Ebrei che, a partire dal 1935, furono oggetto di persecuzioni spietate e sistematiche, sia in Germania sia nei paesi occupati o alleati. In politica estera il nazismo si indirizzò verso una politica di aggressione e di conquista contro i popoli confinanti, che attuò fra il 1936 e il 1939, in vista di una guerra mondiale che, nella mente di Hitler, doveva portare la Germania ad assoggettare tutta l'Europa. All'interno, Hitler attuò una politica fortemente autarchica, sostenuta dalla rigorosa proibizione degli scioperi, dalla concentrazione dei capitali e dall'acquisto di materie prime a condizioni vantaggiose, vista la caduta dei prezzi dopo la crisi del '29. Gli sforzi maggiori furono rivolti allo sviluppo dell'industria pesante e poi a quella bellica. In quegli stessi anni Trenta anche in ITALIA la crisi economica ebbe ripercussioni gravi, fece aumentare la disoccupazione e rese più misera l'agricoltura che non trovava mercati adeguati. L'intervento statale a sostegno delle industrie con l'originale sistema dell'economia mista (statale e privata) permise una graduale ripresa. Intanto Mussolini progettava nuove conquiste coloniali per trovare un rimedio alla depressione (nuove terre che assorbissero la manodopera disoccupata) e per dare prestigio alla nazione e al fascismo. Riprese, così, l'idea del Crispi di conquistare l'Etiopia e nell'ottobre 1935, senza dichiarazione di guerra, in nome della «missione civilizzatrice» dell'Italia, dette avvio alle ostilità. Insorse la Società delle Nazioni che accusò l'Italia di aggressione e applicò nei suoi riguardi le sanzioni economiche, cioè il divieto di acquistare e vendere merci (soprattutto armi) agli altri Paesi. Furono tempi duri per l'Italia, ma il fascismo, che seppe far fronte a questa prova, si sentì consolidato, mentre l'impresa d'Africa aveva buoni risultati; nel maggio 1936 si costituiva l'impero dell'Africa Orientale italiana. Nel '37 l'Italia usciva dalla Società delle Nazioni. Ma la vicenda più violenta e sconvolgente di quei terribili anni Trenta fu la guerra civile spagnola. In SPAGNA la monarchia costituzionale, di fatto in mano al dittatore Primo de Rivera, fu abbattuta nelle elezioni del 1931 quando ebbero successo i repubblicani e i socialisti che formarono un governo repubblicano, dopo l'abdicazione del re Alfonso XIII. Ma già dal 1932 si ebbe una forte ripresa della destra nazionalista, con sommosse e insurrezioni. Nel 1936, quando le elezioni favorirono l'instaurarsi di un governo di sinistra, gran parte dell'esercito, sotto il comando del generale Francisco Franco (capo della destra), si ribellò al governo costituzionale causando l'insorgere di una rivoluzione che fu presto guerra civile. Da una parte combattevano le forze di sinistra coalizzate nel Fronte popolare, dall'altra quelle di destra riunite nella Falange di tipo fascista. 12 Hitler ha i pieni poteri del Terzo Reich (Terzo Impero). Sono posti fuori legge i partiti, eccetto quello nazionalsocialista, capeggiato dal Führer (Hitler stesso). Sono sciolti i sindacati e sostituiti dal Fronte del Lavoro (a cui fanno capo le corporazioni). Le regioni che erano autonome sono amministrate dal luogotenente del Reich. C'è il dominio nazista anche nel campo della cultura e della religione per mezzo dell'Istituto della cultura del Reich e del Ministero della Propaganda. E’ istituita la GESTAPO (Geheime Staats Polizei = Polizia Segreta di Stato) addetta alla persecuzione degli antinazisti e dei non appartenenti alla razza ariana. Sono istituite le SS (Schutz-Staffeln = Scaglione di Sicurezza), una squadra armata, paramilitare, per la difesa del partito. 17 La guerra fu sanguinosa e terrificante perché non ebbe solo un fronte militare, ma si combatté anche nelle città e nelle strade. Le potenze straniere mandarono truppe di volontari a sostegno dell'una o dell'altra parte: la Russia aiutò le sinistre, la Germania e l'Italia (che proprio nel '36 si erano unite nell'Asse Roma-Berlino) aiutarono i falangisti. I bombardamenti tedeschi su Guernica (immortalati da un raccapricciante quadro di Pablo Picasso), su Barcellona, Madrid, Valenza furono un anticipo degli orrori della seconda guerra mondiale. Dopo tre anni durissimi, i falangisti ebbero la meglio e nel 1939 Franco riuscì a imporre la propria dittatura. Dagli anni Venti alla fine degli anni Trenta molti regimi dittatoriali di impronta fascista o nazista si erano affermati in molti Paesi europei: in Portogallo, Jugoslavia, Ungheria, Grecia, e anche in piccoli territori come la Lituania, la Lettonia, l'Estonia. Grandi trasformazioni si stavano verificando anche in Estremo Oriente: il Giappone sviluppava una politica colonialista ai danni della debole Cina dove, con intenti difensivi, riprese vigore, organizzandosi e armandosi con gli aiuti della Russia, il Kuomintang, il «partito nazionale del popolo», già esistente dal 1912. All'interno dello stesso partito, però, nel 1927 si verificò una scissione tra forze moderate guidate da Chang Kai-Shek e comunisti rivoluzionari, l'«Armata Rossa», guidati da Mao Tse-Tung che aveva fondato il Partito Comunista Cinese (1921) su ispirazione sovietica. Prese avvio una lunga e dura guerra civile che fra il 1933 e il 1934 sembrò finire, quando Chang Kai-Shek inflisse dure sconfitte ai comunisti. Ma Mao guidò i superstiti, con una marcia di 10.000 chilometri che durò circa un anno (La Lunga Marcia), a conquistare una nuova città (1935) e a stabilirvi il nuovo quartiere generale del partito comunista, numericamente e ideologicamente assai rinforzato. Intanto la minaccia giapponese riprendeva ad essere insostenibile: era necessario difendere il territorio nazionale; così Mao Tse-Tung e Chang Kai-Shek si accordarono per unire le loro forze, mettendo fine alla guerra civile, per combattere contro il Giappone una guerra che si protrarrà fino al 1945 e si intreccerà ben presto con la seconda guerra mondiale. La seconda guerra mondiale: 1939-1941 Le cause immediate della seconda guerra mondiale vanno ricercate nella politica aggressiva della Germania nazista13 che, dopo l'annessione dell'Austria (marzo 1938), l'occupazione di parte della Cecoslovacchia (marzo 1939), il Patto d'acciaio con l'Italia (maggio 1939) e l'invasione della Polonia (settembre 1939), era giunta ad assumere la guida dei paesi a regime dittatoriale di destra. L'invasione della Polonia, con la conquista di Danzica, esasperò i rapporti con le grandi potenze. Così la Francia e l'Inghilterra dichiararono guerra alla Germania. Le prime azioni militari furono favorevoli ai Tedeschi che, con mosse fulminee e grande spiegamento di mezzi, invasero la Danimarca e la Norvegia e nel marzo 1940, occupati il Belgio e il Lussemburgo, puntarono su Parigi con l'intenzione di risalire fino alla Manica e attuare l'invasione dell'Inghilterra. La Francia divenne territorio d'occupazione con un governo collaborazionista con sede a Vichy, mentre il generale De Gaulle, esule in Inghilterra, incoraggiava la Resistenza. Il 10 giugno 1940 anche l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania: Mussolini era convinto di trarre vantaggi territoriali facili dalle operazioni in Grecia (attaccandola dall'Albania che aveva occupata nel 1939, dietro la spinta dell'occupazione tedesca della Cecoslovacchia) e nelle colonie dell'Africa, attaccate dagli inglesi. La guerra in Africa fu una sconfitta (Addis Abeba cadde in mano inglese nel maggio 1941); la Grecia fu occupata dalle forze unite italo-tedesche dopo lunga resistenza, nell'aprile 1941. La progettata conquista dell'Inghilterra non fu possibile: Hitler, che aveva previsto un facile successo, trovò un'accanita difensiva inglese e dovette rimandare il progetto. Tuttavia, forte dei suoi successi, la Germania nel 13 La politica militarista e aggressiva di Hitler si manifestò apertamente e senza opposizione delle grandi potenze fino dal 1936; invasione della Renania (marzo 1936); annessione dell'Austria (marzo 1938); invasione della Cecoslovacchia (marzo 1939); invasione della Polonia (settembre 1939). Hitler, inoltre, stipulò delle alleanze che gli permettevano di attuare i suoi progetti militaristi senza incontrare opposizioni: ottobre '36: Asse Roma-Berlino, accordo con l'Italia in funzione antibolscevica; agosto '38: Patto di non aggressione con la Russia; maggio '39: Patto d'Acciaio con Italia e Giappone. 18 giugno 1941 sferrò un attacco di sorpresa contro la Russia (con i Russi, nel 1939, aveva stipulato il patto Ribbentrop-Molotov per garantirsi la loro neutralità); ora che era sventato il pericolo francese, la Russia era una forte tentazione di conquista e Hitler si lanciò nell'avventura. Un esercito di tre milioni di uomini, a cui si affiancarono 200.000 italiani, partì per l'operazione «Barbarossa» che prevedeva l'invasione dell'Unione Sovietica. Tuttavia, malgrado l'ingente impiego di uomini e di mezzi, l'avanzata fu meno rapida del previsto e dopo i primi successi, all'arrivo dell'inverno, il ripiegamento fu inevitabile e disastroso, inizio di un'inversione di tendenza di tutta la guerra. Intanto gli Stati Uniti, molto interessati alle vicende europee, si mantenevano in «pace armata» contro la Germania e l'Italia, mandando rifornimenti di armi all'Inghilterra, senza intervenire direttamente nel conflitto. L'intervento fu determinato da un attacco di sorpresa alla base navale statunitense di Pearl Harbor (isole Hawaii - 7 dicembre 1941) da parte dei Giapponesi, alleati asiatici della Germania, che già avevano manifestato la loro politica imperialistica su Cina, Mongolia, Manciuria e si accingevano a espandersi nel Pacifico contrastando le zone di influenza americana. L'attacco a Pearl Harbor fu la svolta decisiva della guerra. La Germania era in difficoltà in Europa e i fronti da controllare diventavano più numerosi e più vulnerabili, ma la sua politica verso i paesi occupati si faceva più arrogante e repressiva con lo spietato regime poliziesco della Gestapo e delle SS e con connivenza dei vari movimenti fascisti nazionali. Già i Tedeschi avevano iniziato le deportazioni di massa dei dissidenti politici, ma soprattutto degli Ebrei, nei campi di concentramento (lager di Dakau, Auschwitz, Buchenwald, Mauthausen ...) dove spesso i prigionieri erano soppressi nelle camere a gas. La guerra negli anni 1942-1945 L'entrata in guerra degli USA fu subito determinante a causa dell'ingente quantitativo di mezzi militari e di uomini che fece affluire sui vari fronti. Nel novembre 1942 uno sbarco angloamericano in Africa costrinse alla resa le forze dell'Asse concentrate a Tripoli e costituì nel Nord-Africa importanti basi alleate per il controllo dell'Italia e della Germania. Nel gennaio 1943 la controffensiva russa a Stalingrado segnò il definitivo ripiegamento delle truppe italotedesche dalla Russia. Nel Pacifico i Giapponesi, dopo i primi incoraggianti successi, furono sconfitti in durissime battaglie (fra il novembre 1942 e il dicembre 1943) e le truppe americane procedettero con sbarchi successivi al progressivo recupero delle basi perdute. Anche l'Italia era fortemente minacciata: era chiaro che stava per diventare un campo di battaglia e bisognava evitarlo. Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del fascismo votò un atto di sfiducia a Mussolini in quanto responsabile della guerra e dell'alleanza con la Germania, e il Re lo costrinse a dimettersi ordinandone l'arresto e facendolo trasferire sul Gran Sasso. Il Re, poi, affidò al generale Pietro Badoglio l'incarico di formare un nuovo governo che a Cassibile (Siracusa) firmò un armistizio separato con gli Alleati, l'8 settembre 1943. Con il nuovo governo si annullavano le leggi del regime e tornava in vigore lo Statuto Albertino. Nel frattempo i Tedeschi, che già avevano progettato una linea di difesa in Italia, facevano affluire altri contingenti armati dal Brennero e quando il generale Badoglio firmò la pace separata, furono pronti a volgere le loro armi anche contro gli Italiani, mentre tutte le forze di opposizione al fascismo (liberali, comunisti, socialisti, cattolici) si organizzavano nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e iniziarono la resistenza14 contro i Tedeschi che non intesero abbandonare l'Italia, ma ne fecero un territorio di occupazione e di battaglia. Mussolini, liberato e rifugiatosi nell'Italia settentrionale con l'aiuto dei Tedeschi, organizzò la Repubblica Sociale Italiana, o repubblica di Salò (dalla cittadina sul lago di Garda dove stabilì il suo quartier generale), ultimo baluardo fascista manovrato direttamente da Berlino. Il 13 ottobre 1943, il nuovo governo italiano, guidato da Badoglio, dichiarò guerra alla Germania e si schierò a combattere a fianco degli Alleati i quali, aiutati anche dalla guerriglia partigiana, conquistavano la penisola a 14 14 fu così chiamato l'insieme dei movimenti sorti nei vari paesi europei contro gli invasori tedeschi e contro i fascisti loro alleati. Ci furono movimenti di resistenza in Germania, Polonia, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia, oltre che nei paesi orientali: in Jugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, Grecia e Albania. Particolare importanza ebbero i movimenti di resistenza in Francia, dove durarono molto a lungo (1940-44), con una perfetta organizzazione fra tutti i ceti sociali. Anche in Italia la Resistenza, nata dall'antifascismo prebellico, fu attiva specialmente dopo l'8 settembre 1943 e diede un efficace contributo agli Alleati per la liberazione dei paese. 19 palmo a palmo, mentre i Tedeschi erano in strenua difesa lungo linee-baluardo che avevano stabilito in Campania (Linea Gustav), nel Lazio (Linea Hitler), sull'Appennino tosco-emiliano (Linea gotica). Le tappe più significative di questa avanzata dall'Italia meridionale furono: la liberazione di Roma (4 giugno 1944)15, dopo una sanguinosa battaglia intorno al caposaldo di Cassino e pochi mesi dopo la strage delle Fosse Ardeatine16, e la liberazione di Firenze (31 agosto). Ormai i Tedeschi stavano vivendo i momenti conclusivi del conflitto europeo perché un esercito americano, con l'aiuto dei contingenti inglesi e francesi, il 6 giugno 1944 sbarcò in Normandia e liberò la Francia dirigendosi direttamente sulla Germania su cui convergevano anche, da oriente, le truppe russe. Tra il marzo e l'aprile 1945 la Germania fu occupata. Quasi contemporaneamente i Tedeschi furono battuti sul fronte italiano con la liberazione delle città del Nord: il 25 aprile insorgeva Milano, mentre le truppe alleate si accingevano ad entrare in città. La Germania era finita. Hitler si suicidò, Mussolini, mentre tentava la fuga in Svizzera, fu catturato e fucilato. Rimaneva in guerra il Giappone che continuava a resistere nel Pacifico, ma decise la resa dopo che gli Americani ebbero gettato le due micidiali bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Il 2 settembre 1945 la seconda guerra mondiale si concludeva dopo sei anni di disastri e sessanta milioni di morti. Gli anni difficili del dopoguerra La fine della seconda guerra mondiale era avvenuta in un clima di grandi speranze di rinnovamento e di pace. Tuttavia, già dalle conferenze tenute in preparazione del dopoguerra dai capi di Stato delle potenze alleate vincitrici (conferenze di Yalta e di Potsdam del 1945), era emersa la tendenza alla divisione del mondo in «sfere di influenza» delle maggiori potenze mondiali: a Oriente, l'Unione Sovietica, che rappresentava un sistema politico comunista, creò una cintura di stati satelliti (Polonia, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia e parte della Germania) di osservanza sovietica; a Occidente gli Stati Uniti, con un sistema politico democratico-liberale e capitalista, realizzarono vincoli sempre più stretti con i Paesi europei mediante la concessione di imponenti aiuti per la ricostruzione (piano Marshall) e la difesa (Patto Atlantico). Proprio a causa della spartizione delle «zone di influenza», alcuni Paesi risultarono divisi in due parti, come la Corea (del Nord e del Sud), come il Vietnam (del Nord e del Sud), soprattutto come la Germania: quella dell'Ovest divenne una repubblica federale appartenente al blocco occidentale, quella dell'Est divenne una repubblica democratica sotto l'influenza russa; e il lungo muro costruito a Berlino per separare le due Germanie, una vera «cortina di ferro» (Churchill), divenne il simbolo della spaccatura fra due mondi e un «umiliante ostacolo alla libera circolazione degli uomini, dei beni, delle idee». Inoltre in tutto il mondo anche gli Stati non facenti parte dei due blocchi, si schierarono politicamente dall'una o dall'altra parte, instaurando regimi a carattere liberale o a carattere comunista-sovietico. Naturalmente l'Europa, che ormai, aveva perso il suo prestigio e la sua supremazia, era direttamente coinvolta nella rivalità Usa-Urss e rischiava di essere il nuovo campo di battaglia dello scontro fra i due blocchi. Era un momento difficile poiché era in atto la decolonizzazione, cioè il riconoscimento dell'indipendenza di molti paesi del cosiddetto Terzo Mondo (Africa e Asia), angustiati dalle guerre civili di cui Usa e Urss approfittarono per allargare le loro zone di influenza, mettendo a rischio la sicurezza mondiale. Fra le grandi potenze si acuirono perciò le tensioni e si creò una rivalità sempre più forte soprattutto in relazione agli armamenti nucleari e atomici, tanto che si parlò di guerra fredda: non un diretto conflitto armato, ma uno schieramento diplomatico, politico, propagandistico che coinvolgeva tutto il mondo, perché gli Stati erano chiamati a schierarsi da una parte o dall'altra. Più volte si arrivò, fra il 1950 e il 1960, al rischio di un nuovo conflitto mondiale, specialmente nel 1950 quando nel lontano Oriente, in Corea, i coreani comunisti del Nord invasero il Sud 15 15 Il Re, in Italia, che faceva? Il 28 gennaio 1944, in un congresso a Bari, i partiti dei CNL chiesero l'abdicazione di Vittorio Emanuele III (che aveva abbandonato Roma in balia dei nazisti per rifugiarsi a Brindisi) a favore dei figlio Umberto che avrebbe dovuto formare un governo con la partecipazione di tutti i partiti. Il Re rifiutò di abdicare.L'8 giugno 1944 si formò un secondo governo Badoglio con i partiti dei CLN, mentre il Re si impegnava a nominare il figlio «luogotenente dei regno», dopo la liberazione di Roma, rimettendo poi ad un plebiscito la scelta fra monarchia e repubblica. Il Re abdicò nel 1946, ritirandosi ad Alessandria d'Egitto. 16 I partigiani uccisero in un attentato in via Rastella a Roma 33 sodati tedeschi. La rappresaglia fu durissima: 10 Italiani per ogni tedesco morto (era la percentuale applicata in ogni attentato). Così alle Fosse Ardeatine, una cava di arenaria presso le Catacombe di San Callisto, furono uccisi 335 ostaggi scelti fra detenuti politici e comuni cittadini. 20 democratico e le forze degli Stati Uniti, affiancate dall’ONU17, presero le difese armate degli aggrediti. La questione, fortunatamente, rimase circoscritta e prevalsero i principi di coesistenza pacifica fra i due blocchi. Tuttavia le tensioni della guerra fredda si attenuarono soltanto alla fine degli anni Cinquanta, sia per la morte di Stalin in Russia, sia per la sfida economica fra i blocchi, sia per lo sviluppo scientifico e tecnologico che nel 1957 aprì l'era spaziale con un nuovo campo in cui cimentarsi dall'una e dall'altra parte. All'inizio degli anni '60, l'elezione in Usa dei presidente John Fitzgerald Kennedy e in Urss del segretario del Presidium Nikita Kruscev diede l'avvio a una decisa politica di distensione. Il dopoguerra in Italia All'indomani della guerra l'Italia era disastrata economicamente e politicamente. Gli aiuti americani, in merci e denaro, risollevarono la situazione economica. In politica, un vivace risveglio fu incentivato dal desiderio di cancellare un passato catastrofico e di ridare all'Italia una Costituzione più moderna e adeguata a nuove esigenze. Le prime fondamentali tappe del rinnovamento politico furono le elezioni amministrative del 1946, con larga affermazione della Democrazia Cristiana, e nello stesso anno il referendum «monarchia o repubblica», in cui per la prima volta anche le donne furono chiamate a votare. Il 2 giugno 1946 la vittoria fu per la repubblica e mentre il re Umberto II (da poco succeduto al padre che aveva abdicato il 9 maggio '46) andava in esilio, veniva nominato il primo presidente repubblicano Enrico De Nicola e veniva eletta l'Assemblea Costituente per stilare la nuova Costituzione che entrò in vigore il I° gennaio 1948. Intanto si facevano sempre più nette le posizioni ideologiche dei partiti che si schieravano su fronti precisi: a sinistra, Comunisti (partito-guida), Socialisti e Repubblicani; a destra, Monarchici, Fascisti, Conservatori, mentre dominava al centro la Democrazia Cristiana, senza maggioranza assoluta, ma con larghi consensi. Al primo formarsi della repubblica ebbe un ruolo importante il leader democristiano Alcide De Gasperi (1881-1954), assertore e difensore dei valori della democrazia. Sotto il suo governo (durato dal 1946 al 1953), l'Italia, con i consistenti aiuti degli Stati Uniti, si avviò a una reale e rapida ripresa: cominciò la ricostruzione e l'ascesa economica sia nel settore industriale sia in quello agricolo; affrontò la questione meridionale, incentivando investimenti nel Sud con prestiti agevolati ed esenzioni fiscali e istituendo la Cassa per il Mezzogiorno con finanziamenti speciali per le zone depresse; entrò a far parte degli organismi internazionali (ONU e Patto Atlantico) e della Comunità Europea che si stava appena costituendo e di cui De Gasperi fu convinto sostenitore. Queste furono le premesse al decollo dell'Italia, fra gli anni Cinquanta-Sessanta, verso l'industrializzazione e il «miracolo economico» che creò forti illusioni e anche tanto malessere, aumentarono i ricchi, ma anche i disagi delle classi operaie; si crearono differenze più evidenti fra il Nord industriale e il Sud dove l'industria era in crisi; cresceva l'emigrazione interna dal Sud al Nord con gravi problemi di discriminazione e intolleranza. Già nel 1963 il miracolo economico cominciò a decrescere cause non ultime: l'aumento eccessivo del costo della manodopera, la saturazione di mercato per certi prodotti, l'importazione a costi troppo alti delle materie prime. Crescevano anche i malumori sociali che sfociavano spesso in scioperi e contestazioni, mentre all'interno dei partiti si aprivano progetti di collaborazione interpartitica per dar vita a governi più stabili e risolvere al meglio i problemi del Paese, tanto più che in questi anni si stavano avviando mutamenti in senso democratico nel Comunismo italiano e il Concilio Vaticano II, in svolgimento, induceva i cattolici al dialogo. In questo clima, ma non senza contrasti all'interno dei partiti, ebbe avvio una politica di collaborazione parlamentare fra la Democrazia Cristiana, partito di maggioranza relativa, e i partiti di sinistra, una politica che, con varie trasformazioni, è stata portata avanti fino agli anni Novanta. Dal 1963 al 1974 si formò il centrosinistra, un nuovo indirizzo politico inaugurato dalla presidenza del democristiano Aldo Moro; nel 1973, il segretario del partito comunista Enrico Berlinguer prospettò un governo di compromesso storico, ovvero di solidarietà nazionale fra comunisti, democristiani e partiti di centro. Più recentemente, nel 1983, si formò il pentapartito, cioè un nuovo centro-sinistra con la partecipazione di ben cinque partiti per mettere insieme un governo guidato dal socialista Bettino Craxi. nel 1945, nella Conferenza di san Francisco, fu istituita l’ONU (organizzazione delle Nazioni Unite). E’ un organismo sovranazionale per mantenere la pace, la sicurezza e promuovere la cooperazione tra i popoli. Ne fanno parte quasi tutti i paesi del mondo, ma è controllato dalle grande potenze. Ha filiazioni in organismi speciali come la FAO (Food and Agricolture Organisation) per migliorare nel mondo il livello di alimentazione e di produzione agricola, e come l’UNESCO (United Nations Education Science Culture Organisation) per incrementare la cultura e l’educazione scientifica. 1 7 21 Questa altalena di alleanze denota una condizione di sempre maggiore debolezza nei governi che si sono susseguiti alla guida dell'Italia, angosciata dai problemi di sempre (la questione meridionale che nemmeno la Cassa del Mezzogiorno è riuscita a sanare) e da problemi nuovi (il terrorismo «nero» e «rosso», cioè di destra e di sinistra; la crisi petrolifera che produsse recessione; una sequenza di attentati, il più clamoroso dei quali portò all'uccisione di Aldo Moro; le strategie della tensione; la mafia ...). Negli anni Novanta, la debolezza politica dell'Italia è aggravata dalle inchieste della Magistratura sulla corruzione dei politici delle passate e presenti legislature (operazione «mani pulite»). Poiché, inoltre, dalle elezioni, da tempo non emergevano maggioranze di partito che consentissero di formare governi stabili, si è ricorsi ad un espediente: al Parlamento si alternavano i cosiddetti «governi tecnici», diretti da buoni operatori del mondo economico e manageriale invece che dai politici. Nel 1993 il Parlamento, sollecitato dall’esito dei referendum sul sistema elettorale, giunse all’approvazione di una nuova legge17che trasformava il sistema elettorale in senso maggioritario e uninominale (pur mantenendo una “quota” proporzionale del 25%). Le nuove regole elettorali miravano a favorire la formazione di schieramenti contrapposti e quindi quell’alternanza politica che l’Italia non aveva mai conosciuto. Il dopoguerra in Europa e l'europeismo Nell'Europa occidentale, al termine della guerra, i maggiori paesi avviarono un progressivo processo di rinnovamento politico, economico, sociale. Rinnovamento politico: si iniziava una nuova fase di sviluppo della democrazia parlamentare imperniata sui movimenti politici di massa (le forze socialiste, le forze comuniste, le forze democratico-cristiane). Anche in Italia, per la prima volta, si affermò la Repubblica (1946) e la partecipazione alla politica divenne sempre più ampia. Rinnovamento economico: si riprendeva una tradizione economica liberista con un forte rilancio del capitalismo sul modello americano. Si favorirono imprese private o, come in Inghilterra, si posero sotto controllo statale alcuni settori produttivi più forti per dare al potere pubblico maggiori strumenti di politica economica. Molti Paesi, fra i quali l'Italia, ebbero un cospicuo apporto di aiuti dall'America con il piano Marshall, il che legò ancor più questi Stati al blocco occidentale USA. Agli inizi degli anni Sessanta lo sviluppo economico era notevole ovunque, tanto che si parlò di boom economico. Rinnovamento sociale: cominciò a rafforzarsi l'idea che lo Stato doveva essere al servizio dei cittadini per tutelarne gli interessi e sopperire ai loro bisogni. Si intrapresero i primi sistemi di assistenza e di previdenza (assistenza sanitaria gratuita, sistemi pensionistici, piani di previdenza per i lavoratori ... ). In questo campo l'Inghilterra fu all'avanguardia e diede esempio di riforme che a mano a mano furono introdotte in tutte le altre nazioni. L'istituzione della COMUNITA’ EUROPEA nel 1950 per iniziativa del francese Robert Schumann, creò le premesse per l'Europa Unita che avrebbe potuto resistere meglio alle contrapposte pressioni americane e sovietiche ed esercitare una funzione equilibratrice fra i due blocchi. Per dare concretezza al progetto, si cominciò con un programma di cooperazione economica mettendo in comune due risorse base, il carbone e l'acciaio. Nacque così, nel 1951 la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio) cui aderirono sei paesi: Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda e repubblica federale di Germania. I settori economici di collaborazione fra gli Stati membri aumentarono col tempo e nel 1957, con l'istituzione del MEC (Mercato Comune Europeo), il processo di integrazione fu esteso a tutti i settori produttivi, compreso quello dell'energia atomica (EURATOM). 17 Il nuovo sistema elettorale Alla elezione parlamentare dei 1994 si è votato con un nuovo sistema elettorale proposto dal parlamentare Sergio Mattarelli (di qui il nome "mattarellum", con cui è chiamato in gergo giornalistico questo sistema elettorale).Si tratta di un misto di proporzionale "corretto" e maggioritario uninominale a turno unico. Il 75% dei 630 seggi parlamentari alla camera dei deputati viene assegnato a chi ottiene più voti degli avversari in ciascuno dei 475 collegi uninominali in cui è diviso il corpo elettorale. I restanti 55 seggi vengono attribuiti, proporzionalmente ai voti ottenuti, a liste di partito che abbiano raggiunto almeno il 4% dei voti. Ogni schieramento avrà dunque, alla camera, tanti deputati quanti sono i vincitori nei collegi, sommati ai deputati ottenuti nella quota proporzionale delle singole liste coalizzate. La legge elettorale del senato è simile, anche se la percentuale minima per accedere alla ripartizione dei seggi assegnati con il sistema proporzionale è più alta che alla camera. 22 La Comunità Europea oggi funziona tramite una Commissione, un Parlamento (a elezione diretta) e un Consiglio dei ministri. I Paesi ad essa aderenti sono, dal 1995, quindici; quindi l'europeismo ha fatto notevoli progressi, ma sono ancora limitati i suoi effetti nel settore politico perché è ancora difficile rimuovere tendenze nazionaliste e pregiudizi etnici. L'Europa più unita avrebbe più reali possibilità di far sentire la propria attiva presenza nel panorama internazionale con una politica coordinata, specialmente per finanziare la ricerca scientifica che negli ultimi decenni ha aperto nuove prospettive nel campo della fisica nucleare, dell'informatica e della biologia. Il boom economico e le trasformazioni sociali Con l'aumento dello sviluppo economico crebbero nella società i bisogni materiali, il tenore di vita, il cosiddetto consumismo basato su un aumento del potere di acquisto da parte di masse sempre più estese. Questo boom economico coinvolse tutti i Paesi europei; anche l'Italia ebbe il suo miracolo economico, fra il 1958 e il 1968, pur non risolvendo grossi problemi come il profondo divario socio-economico fra Nord e Sud, la recessione dell'agricoltura, le disfunzioni amministrative, la carenza di sviluppo delle tecnologie avanzate. Qui, come in altri paesi d'Europa, lo sviluppo troppo rapido e disordinato, che privilegiava certi settori sociali (industria, commercio, turismo ...) e ne penalizzava altri, determinò forti tensioni sociali, soprattutto da parte delle classi lavoratrici. Era cresciuta, infatti, la partecipazione alla gestione della cosa pubblica tramite la politica di partito e il sindacalismo, e strati sempre più ampi di popolazione ricevevano un'istruzione più che elementare (la scuola dell'obbligo fino a 14 anni divenne legge dappertutto). Intanto si diffondevano nuove ideologie di tipo rivoluzionario (il maoismo18, il marxismo di Marcuse19, la contestazione studentesca di marca francese, il femminismo...) determinando forti disordini ovunque. Nel maggio 1968 scoppiò una rivolta studentesca a Parigi: gli studenti chiedevano riforme accademiche, ma in realtà si affiancavano agli operai reclamando riforme per una maggiore giustizia sociale. La vampa rivoluzionaria si diffuse in tutta Europa e vi si innescarono le motivazioni specifiche all'interno di ogni Stato, provocando un periodo di contestazioni, ma sollecitando anche un forte impulso di riforme sociali e politiche. Sull'ondata del femminismo, ad esempio, si avviarono notevoli progressi in relazione alla parificazione dei diritti uomo-donna in ogni campo della vita sociale. Tuttavia la crescente politicizzazione dei movimenti favorì gli estremisti di destra e di sinistra che manovrati da «forze occulte», divennero fautori di stragi e di terrorismo con l'intento di destabilizzare i poteri democratici tramite la «strategia del terrore» (in Italia ne fu esempio doloroso la strage di piazza Fontana a Milano, nel dicembre 1969). Intanto il boom economico si andava smorzando anche in relazione alla crisi del petrolio (nel 1973-74 gli Arabi decisero l'embargo) che determinò ovunque crisi energetica e vertiginoso aumento dei prezzi e dell'inflazione, con conseguenti sommosse popolari e indebolimento dei governi (in Italia nacque il centro-sinistra, un'alleanza di partiti perché nessun partito da solo ebbe la maggioranza per governare; lo stesso successe in Francia con le coalizioni di sinistra; in Inghilterra entrarono in crisi i laburisti). Soltanto la Germania federale superò senza danni la crisi petrolifera e anzi riuscì a riaffermare il suo primato economico in Europa, specialmente con il cancellierato del socialdemocratico Helmuth Schmidt (1974-1982). 1 8 1 9 La rivoluzione comunista in Cina terminò con l'instaurazione della Repubblica popolare di cui fu primo presidente Mao Tzetung. Egli instaurò un tipo di comunismo più radicale di quello sovietico, basato su alcuni principi: assoluta uguaglianza fra i cittadini; volontariato; antitecnocrazia (cioè rifiuto del predominio della civiltà tecnico-industriale); esaltazione del mondo agricolo. Queste idee, diffuse dal «libretto rosso di Mao», entusiasmarono la mente di molti giovani europei che scesero in piazza per contestare la società occidentale del benessere e della tecnocrazia. Herbert Marcuse (1898-1986), sociologo e filosofo tedesco, visse in America fin dal 1934.Con la sua opera, L'uomo a una dimensione (1 964) rapidamente diffusa in tutto il mondo occidentale, mise in discussione la società industriale avanzata, opulenta e del «benessere economico», perché con il suo controllo e le sue manipolazioni impedisce la crescita individuale dell'uomo costringendolo a falsi bisogni sociali, imposti attraverso i mass-media e la persuasione occulta della pubblicità. Il rifiuto di questo tipo di società, considerata oppressiva e condizionante, fu alla base delle contestazioni dei giovani del Sessantotto. 23 Un fatto importante, sulla via dell'unificazione europea, si verificava con l'affermazione della democrazia in Spagna, in Portogallo e in Grecia che, fra il 1974 e il 1975, rese più omogenea la fisionomia politica dell'Europa occidentale e candidò questi paesi all'entrata nella Comunità, che avvenne nel 1986. Problemi di oggi Si è potuto notare come la storia d'Europa sia venuta intrecciandosi sempre più alla storia degli altri continenti e, in particolare, a quella degli Stati Uniti che, anche oggi, rappresentano un modello di società capitalista e uno stato forte, data l'elevatissima capacità economica di cui dispongono. Le tensioni fra i due blocchi USA e URSS si sono smorzate con la caduta dei comunismo nei paesi orientali, tradizionalmente guidati da direttive sovietiche. La politica di occidentalizzazione e di destabilizzazione dei regimi comunisti si avviò in Polonia nel 1980 con la nascita di Solidarnòsc, un sindacato libero guidato da Lech Walesa, primo sussulto di libertà nelle strutture statali controllate dai Russi. Proprio in Polonia, dopo una serie di agitazioni, di sacrifici, di lotte, nell'aprile del 1988 prendeva avvio il primo governo non comunista nell'Europa orientale, formatosi dopo libere elezioni. Intanto, nel 1989 anche in UNGHERIA, dopo un processo di democratizzazione partito dal popolo, nasceva una repubblica democratica liberamente eletta, e nella GERMANIA ORIENTALE nello stesso anno si avevano le prime avvisaglie di insofferenza contro il comunismo, sfociate il 9 novembre nella caduta del muro di Berlino. Fu l'inizio di una catena di insurrezioni in tutto l'Est europeo: Cecoslovacchia, Romania, Jugoslavia... Ma già una politica di rinnovamento del sistema comunista era stato inaugurato da Michail Gorbaciov in Russia (perestrojka, 1985) con le, conseguenti aperture ad un tipo di economia più liberale e più interessata alle tecnologie avanzate; questo indirizzo, incoraggiato con accortezza dai presidenti americani Ronald Reagan e George Bush, ha aperto una politica di collaborazione fra i due blocchi tradizionalmente antagonisti, con un notevole beneficio per l'Europa non più costretta a temere le pressioni da Oriente e da Occidente. Nell'Unione Sovietica, i problemi da affrontare, in seguito a questo nuovo indirizzo politico, sono moltissimi. Si sta verificando, la difficoltà per il governo di Mosca di tener testa ad una popolazione che, da una politica di libertà, si aspetta un immediato salto di qualità della vita e dell'economia, alla pari con i modelli dei paesi occidentali, mentre le difficili condizioni economiche di una nazione che si sta riassestando richiedono un avvio lento e graduale e quindi deludente per il popolo. Tanto più che la maggiore libertà tende a favorire la corruzione, la malavita, le speculazioni e quindi a portare nel paese i difetti dell'occidente senza che ce ne siano i vantaggi. Un'altra grave difficoltà per l'ex URSS è la rivendicazione di libertà politica ed economica da parte di quei paesi che erano entrati a far parte dell'Unione Sovietica nel regime forte della rivoluzione, nel 1922: Ucraina, Georgia, Lituania, Estonia. Staccandosi dall'Unione essi ne mettono in crisi l'economia che era impostata su piani collettivi e sullo sfruttamento razionale e programmato dei vari territori. Problemi di rivendicazioni etniche e indipendentistiche si manifestano in altri paesi europei dove il comunismo aveva instaurato una unificazione di forza: basti l'esempio della disgregazione delle regioni della JUGOSLAVIA, dilaniata per anni da una feroce, spietata guerra in Bosnia, Serbia, Croazia... in nome di una esasperata, incontrollata e malintesa ansia di libertà. Mentre in altri stati ex comunisti, come l'Albania, ci si avvia ad una lenta ripresa, ma la miseria è grande e un numero sempre crescente di profughi cerca condizioni di vita migliori fuggendo verso il miraggio dei paesi «ricchi», spesso rischiando la vita. L'EUROPA è tormentata anche da altri problemi: - dal traffico di droga che, provenendo dai mercati del Sudamerica e dell'Oriente, trova nelle città europee un fluido mercato; - dal terrorismo che, pur non avendo le tensioni degli anni '60-'70, è ancora forte e spesso collegato con le forze in guerra nel Medio Oriente (Iran, Palestina, Libano ...); - dalla mafia che, pur avendo un marchio tradizionalmente italiano, come la 'ndrangheta e la camorra, non è più un fenomeno circoscritto. Accanto a questi problemi più gravi è diffusa ovunque la delinquenza comune; - dal crescente numero di extracomunitari provenienti dal Terzo Mondo (ovvero da tutti quei paesi dove imperano la fame, la discriminazione razziale, il sottosviluppo economico, le misere condizioni sociali ...), i quali cercano migliori condizioni di vita nelle città dell'Occidente «ricco». Il problema non è indifferente perché alla disoccupazione europea si aggiunge la loro che non possono essere respinti in nome della più 24 elementare solidarietà umana;, però si devono cercare soluzioni e redigere legislazioni adeguate per il loro inserimento dignitoso nel contesto sociale e per la loro emancipazione da ogni umiliante stato di clandestinità; - dalle guerre che non trovano soluzione, in paesi molto vicini come il Medio Oriente, dove la lotta fra Israeliani e Palestinesi, non trova requie perché fanatici sia palestinesi sia ebrei sono sempre in fermento. Nel 1995 Yitzhak Rabin, il premier israeliano, fu assassinato da un giovane ebreo integralista perché stava trattando la pace con Yasir Arafat, capo dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (in seguito alle elezioni, la Palestina è diventata Stato con a capo Arafat). E’ instabile la tregua fra Iraq e Iran, imposta dall'intervento dell'ONU nel 1988 dopo una guerra lunga e orribile per lo sbocco nel golfo Persico. Il primato americano Al "bipolarismo" che ha governato i rapporti internazionali in tutto il "lungo dopoguerra" si è sostituita, dopo la crisi dell’URSS, una situazione in cui gli Usa - sotto la presidenza del repubblicano George Bush (1924), dal 1989 al 1992, del democratico Bill Clinton (1946), confermato per un secondo mandato nel 1996, del repubblicano George Bush junior (1946) dal 2001 e del democratico Barack Hussein Obama II 44° e attuale presidente - si sono di fatto proposti come garanti degli equilibri politici del pianeta. Questo nuovo tipo di ordine internazionale ha avuto il suo primo significativo banco di prova in occasione della guerra del Golfo, scoppiata in seguito all'invasione del Kuwait (agosto 1990) da parte dell'Iraq di Saddam Hussein. Tra il 1990 e il 1993 sono state censite 54 guerre con 187 milioni di morti (2 milioni in Afganistan, 1,5 in Sudan, 800000 in Ruanda in 90 giorni, 300000 in Angola 230000, in Bosnia 73000 in Algeria e non si sa quante decine di migliaia sacrificati dal conflitto di frontiera tra Etiopia ed Eritrea. La speranza che la fine della guerra fredda avrebbe generato rapidamente e in maniera indolore un "nuovo ordine mondiale" si è rivelata illusoria. Sia pure in modo perverso, la guerra fredda aveva rappresentato infatti una condizione di stabilità internazionale: i conflitti armati apertisi nelle periferie del mondo erano stati tenuti sotto controllo dalle grandi potenze, nel timore di un loro degenerare, e il confronto-scontro ideologico fra Est e Ovest aveva in qualche modo oscurato ogni altra ragione di conflitto. Il venir meno di tali condizioni ha creato nuove aree di instabilità in Africa, in Asia, e nei territori europei prima controllati dall'Unione Sovietica, teatro di guerre a prevalente carattere etnico e civile, feroci e distruttive. Non bisogna trascurare che durante la guerra fredda il mondo si era riempito di armi di ogni tipo - dalle artiglierie ai fucili mitragliatori alle famigerate mine antiuomo -, alimento di una fiorente produzione ed esportazione da parte di tutti i paesi industriali, dell'uno e dell'altro blocco. E intanto continuano notizie di guerre nel Vicino Oriente, dall’Africa, terra senza pace: in Somalia, in Mozambico, in Ruanda, territori lontani ma che ugualmente ci coinvolgono sia per sentimenti di solidarietà, sia perché là operano con intenzioni pacifiche tanti europei (medici, infermieri, missionari, tecnici ... ); attraverso i mass-media, si hanno notizie in tempo reale e ciò che accade in ogni parte del mondo entra in casa nostra e ci rende partecipi.