Omelie per un anno
Volume 1 - Anno “B”
Anno “B”
SANTA FAMIGLIA
(Domenica dopo Natale o il 30 dicembre)
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Gn 15,1-6; 21,1-3 - Uno nato da te sarà il tuo erede.
Dal Salmo 104 - Rit.: Il Signore è fedele al suo patto.
Eb 11,8.11-12.17-19 - La fede di Abramo, di Sara e di Isacco.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Molte volte e in diversi modi
Dio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti; oggi, invece,
parla a noi per mezzo del Figlio. Alleluia.
 Lc 2,22-40 - Il bambino cresceva, pieno di sapienza.
Santa famiglia
Gesù nella famiglia
Ormai è diventato un ritornello dei predicatori, dei sociologi, degli
psicologi, della stampa: la famiglia è in crisi. I sintomi della malattia che
colpisce le famiglie sono tanti: fragilità dei legami familiari,
incomprensione tra generazioni dei genitori e dei figli, crisi della fedeltà
coniugale, senso di frustrazione, carenza di comunicazione, di
accoglienza e di dialogo. I motivi che vengono addotti per spiegare tale
crisi sono anch’essi tanti: il lavoro dei genitori che li tiene molto tempo
fuori casa, la difficoltà di assumere impegni non effimeri, la tendenza
individualistica, la concezione maschilista della famiglia, perfino la
televisione che “attira a sé” e isola i singoli membri della famiglia ecc.
C’è tanto di vero in tutto questo che la cultura moderna cerca di
evidenziare nella sua analisi dettagliata dei mali e delle possibilità di
salvezza della famiglia. Ma c’è una ragione più profonda della crisi della
famiglia: il rifiuto che Dio entri nella famiglia. La cultura moderna fa
entrare nella famiglia il sociologo, lo psicologo, il politico e qualunque
altro “tecnico”, come il medico di famiglia, ma nega a Dio il permesso di
entrarci. Ebbene, Dio invece ha voluto entrare nella famiglia mediante il
suo Figlio, Gesù Cristo.
I figli come dono
Santa Famiglia “B” • © Elledici, Leumann 2005
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Abramo mostra la sua tristezza perché non ha figli: “Ecco, a me non hai
dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede”. Che cosa vale
avere tante cose, grandi beni da lasciare in eredità, se poi non c’è un
figlio al quale trasmetterli? Penso che qui non si tratti soltanto del
problema giuridico dell’eredità, ma della valutazione della maggiore
importanza dei figli rispetto alle cose. Ciò che arricchisce veramente
una famiglia è la discendenza: un figlio vale infinitamente di più che
molte ricchezze. Abramo ragiona in modo differente da certi sposi, che
vedono nei figli degli impedimenti o delle limitazioni alla loro libertà,
quasi una coartazione della loro vita. C’è piuttosto l’idea che i figli
perpetuano l’esistenza dei genitori, come dice Ben Sira: “Muore il
padre? È come se non morisse, perché lascia un suo simile dopo di sé.
Durante la vita egli gioiva nel contemplarlo, in punto di morte non prova
dolore”. I figli fanno continuare la vita.
Dio promette ad Abramo una discendenza numerosa come le stelle:
“Uno nato da te sarà il tuo erede”. La solitudine di Abramo, come padre,
è vinta da Dio attraverso il dono di un figlio. E Abramo credette al
Signore. Questa fede giustifica la sua vita, la rende sensata e
promettente, perché Abramo poggia tutto sulla fiducia totale in Dio.
Dio mantiene la sua promessa e dona un figlio a Sara. Il nome di quel
figlio designa la gioia della nascita, perché significa “gioire”,
“sorridere”: Isacco. La nascita di un figlio porta la gioia nella famiglia di
Abramo e Sara. L’autore annota accuratamente che “il Signore fece a
Sara come aveva promesso”, “nel tempo che Dio aveva fissato”: Dio è
fedele alla sua promessa.
Fin dove arrivano le possibilità di Dio? A Dio tutto è possibile, se l’uomo
non gli pone ostacoli con il suo rifiuto. Dio può venire in soccorso anche
di una donna sterile, o darle un figlio nella sua vecchiaia. Abramo e Sara
imparano a misurare le possibilità di Dio non dalla biologia, ma dalla
sua promettente parola.
La fede
La lettera agli Ebrei riprende e rimedita il testo genesiaco: “Per fede
Abramo obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità,
senza sapere dove andava”. La fede è obbedienza, non è adesione a
un’evidenza razionale verificabile scientificamente (“senza sapere dove
andava”). E per fede Sara, “sebbene fuori dell’età, ricevette la
possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo
aveva promesso”. Credere significa legare la propria vita alle possibilità
di Dio e non alle nostre forze deboli e limitate. Ma credere è anche
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affidarsi a Dio sapendo che egli interviene alla sua maniera, secondo i
suoi tempi, con il suo agire misterioso, senza avere l’assurda pretesa di
imporgli delle condizioni o chiedergli di seguire i nostri desideri.
Abramo è modello di fede perché, invitato addirittura a sacrificare
Isacco, seppe credere che “Dio è capace di far risorgere anche dai
morti”. La fede si dirige alla volontà e alla potenza buona e vivificante di
Dio. Il potere di Dio non coincide col potere di fare i miracoli, perché
questi sono soltanto un sintomo del potere di Dio. Il potere di Dio,
sperimentato da Abramo e Sara, è imprevedibile, inverificabile, non
può essere definito a priori ma soltanto riconosciuto nelle sue stupende
manifestazioni. Sulla fede in questa potenza amante e promettente di
Dio si può costruire una famiglia che fa spazio a Dio, alla sua forza di
vita.
Quel che fa del racconto di Abramo e Sara un testo valido anche per noi
oggi è l’apertura alla presenza di Dio. Questo è ciò di cui ha bisogno
soprattutto la famiglia. Se oltre alla preoccupazione per il cibo, per il
vestito, per il lavoro, per la salute, ecc., c’è la disponibilità a lasciare
venire Dio, con la sua promessa di vita, nelle nostre famiglie, allora si
può sperare in un futuro meno critico e meno grigio.
La famiglia di Dio
Il brano evangelico presenta un episodio della vita familiare di Gesù. I
genitori portano il bambino al tempio per consacrarlo al Signore,
secondo la legge che diceva: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al
Signore”. Gesù appartiene totalmente ed esclusivamente a Dio. Egli
infatti è Santo e Figlio di Dio (Lc 1,35). Ma anche Maria è totalmente
consacrata a Dio e così pure Giuseppe, che si è affidato e fidato dei piani
misteriosi di Dio. Questa è la caratteristica singolare di questa Famiglia
di Nazaret: essa appartiene a Dio, è a lui consacrata. E per questo la
famiglia di Nazaret è modello per tutte le famiglie, non per i singoli gesti
o comportamenti. Ogni famiglia trova nella famiglia di Nazaret il suo
modello, nel senso che trova l’indicazione fondamentale del modo di
essere. “Essere consacrata a Dio” significa che Dio vuole entrare come
unico Signore nella famiglia. Non ci devono essere altri dèi, come il
piacere, il denaro, il prestigio, ecc. La famiglia di Gesù ci mostra dunque
l’intenzione di Dio di essere presente come Signore in ogni casa. Perché
la famiglia è proprietà di Dio: è stata pensata, voluta e creata da lui. Se
escludiamo Dio dalla famiglia, allora perdiamo la possibilità sia di
comprenderla sia di viverla quale dovrebbe essere.
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Certo, Gesù non ci dà la ricetta per risolvere i problemi quotidiani di
ogni famiglia, ma ci offre l’indicazione della via lungo la quale, con
l’aiuto delle mediazioni storiche, va cercata la soluzione, ossia lasciare
spazio – attraverso l’ascolto del Vangelo e la preghiera, come
suggerisce s. Paolo – alla presenza di Dio creatore della famiglia.
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