Omelie per un anno - vol. 2 17ª Domenica del Tempo Ordinario Gn 18,20-21.23-32 - Non si adiri il Signore, se parlo. Salmo 137 - Rit.: Il povero invoca e Dio lo ascolta. Col 2,12-14 - Con lui Dio ha dato vita anche a voi, perdonando tutti i peccati. Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Chiedete e vi sarà dato, dice il Signore, cercate e troverete. Il Padre vostro sa di che avete bisogno. Alleluia. Lc 11,1-13 - Chiedete e vi sarà dato. Signore, insegnaci a pregare Parafrasando il solito proverbio, possiamo dire senza enfasi o retorica: “Dimmi come preghi e ti dirò chi sei”. La qualità della vita si rivela infatti nel modo in cui preghiamo o non preghiamo. Il “caso serio” della vita è la preghiera. Ma oggi, per molti, sembra realizzarsi il detto di Robinson: “Così come Dio è morto, anche la preghiera è morta”. Pregare fa difficoltà e suscita obiezioni, è un problema e non un possesso pacifico e indiscusso. Le difficoltà sono sempre le stesse: pregare è perdita di tempo, improduttiva, non cambia il corso delle cose, è evasione, è espressione di debolezza oppure un’illusione titanica di influire su Dio, non serve e manca di efficienza. Più sottilmente, l’obiezione nei confronti del pregare cristiano avanza con la pretesa di “ridurre” la preghiera al tempo libero, al piccolo gruppo, allo spontaneismo soggettivo e non istituzionalizzato nel rito. Più radicalmente, la crisi odierna sulla “questione” della preghiera riguarda il senso stesso del pregare. Il moderno secolarismo agisce nel senso di soffocare la capacità umana di trascendere se stessi e di aprirsi al Mistero assoluto di Dio, restringendo il nostro orizzonte all’immediato, al sensibile, al “praticamente utile”, a ciò che è subito fruibile. La preghiera di Abramo In Gn 18,16-33, Abramo intercede per le città di Sodoma e Gomorra, corrotte e piene di malvagità. Abramo conosce “ciò che Dio sta per fare” (v. 17), cioè il castigo che sta per cadere su quelle città. Poiché egli sa anche di dover diventare una benedizione per tutte le nazioni della terra (v. 18), interviene con la sua intercessione, presentata 17ª Domenica del Tempo Ordinario “C” - Elledici, Leumann 2003 1 Omelie per un anno - vol. 2 nella forma di un audace “dialogo” processuale con il Giudice supremo. È in questione la giustizia di Dio, al quale Abramo si rivolge così: “Davvero sterminerai il giusto con l’empio?... Lungi da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?” (vv. 24-25). La fede abramitica nella giustizia di Dio sembra scontrarsi con l’esperienza di morti innocenti. Lo scandalo di Abramo sta precisamente nel pensare che anche gli innocenti possano essere travolti nella punizione dei colpevoli. Abramo non esita a rivolgersi a Dio con audacia, ma anche con la netta consapevolezza dei suoi limiti: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere...” (v. 27). La fede di Abramo, come quella di Giobbe e di Qoelet, non si esprime soltanto nel silenzio acquiescente, ma anche nella forma della “protesta” e del dubbio. Secondo Abramo, c’è più ingiustizia nel far morire pochi innocenti che nel risparmiare una moltitudine di empi. Fin dove l’uomo può chiedere a Dio di “rendere conto”? Nel dialogo con Dio, Abramo avanza l’ipotesi di quarantacinque, o quaranta, o trenta, o venti, o dieci giusti, in vista dei quali Dio sarebbe disposto a perdonare alle città corrotte. Perché si ferma al numero dieci? Non certo perché la misericordia di Dio sia limitata, ma perché Abramo non osa “contare” la disponibilità divina al perdono. Dopo il colloquio, egli ha compreso che la sua protesta contro l’ingiustizia e il male sono condivise da Dio, il quale non ci chiede né fatalismo né rassegnazione come passivo subire. La preghiera è dunque anche un “lamentarsi” con Dio, un “lottare con Dio”, una protesta insieme con lui contro il male. Anche Dio, che è giusto e buono, non vuole la morte e la distruzione dell’uomo. Resta tuttavia il velo sul mistero del dolore e della morte. La croce potenza di Dio Nel brano paolino continua la riflessione sul mistero del male. Gesù Cristo “ha tolto di mezzo il peccato, inchiodandolo alla croce” (v. 14), “annullando così il documento scritto del nostro debito”. Gesù ha preso su di sé l’iniquità umana e l’ha inchiodata sul legno della croce: il Crocifisso è l’estremo e orribile risultato della rivolta dell’uomo peccatore. Ma da lui viene anche la vittoria di Dio sul male, il perdono dei nostri peccati: tale vittoria splende nella risurrezione di Gesù per la potenza di Dio (“la potenza di Dio lo ha risuscitato dai morti”, v. 12). La fede ci fa partecipare alla risurrezione di Gesù: “In lui siete anche stati insieme risuscitati per la fede” e “Dio ha dato vita anche a voi”. 17ª Domenica del Tempo Ordinario “C” - Elledici, Leumann 2003 2 Omelie per un anno - vol. 2 Come fece Abramo, ma con più lucida consapevolezza e conoscenza, il cristiano prega come il Crocifisso, non per chiedere la vendetta e la distruzione dei nemici, ma per dire: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34) e anche: “Nelle tue mani affido il mio Spirito” (Lc 23,46). Per noi pregare è dunque fare memoria della croce di Gesù e della sua risurrezione, “ricordarci” che egli ha dato la vita per noi ed è risorto per farci vivere per sempre con lui. Non possiamo pregare senza ricordarci della vicenda storica di Gesù, che ci ha rivelato pienamente l’amore misericordioso del Padre. Ora noi non preghiamo più, anche se siamo sempre tentati di farlo, come Abramo, contando sulle dita le possibilità del perdono divino. Se non perdiamo di vista e non dimentichiamo la morte-risurrezione di Gesù, allora per noi l’amore misericordioso di Dio che perdona starà prima di tutto, come la certezza e l’assoluto più reale. Il Padre nostro Il Vangelo di questa domenica si compone di tre parti distinte: il Padre nostro (vv. 1-4); una parabola sulla preghiera (vv. 5-8); un’esortazione generale sulla preghiera (vv. 9-13). I discepoli chiedono a Gesù che insegni loro a pregare. Gesù insegna a pregare Dio come Padre. La preghiera può essere lode, supplica, domanda di “perché?”, protesta, purché sia docile e fiduciosa confidenza con il Padre. Ogni espressione orante va collocata dentro questo orizzonte: l’interlocutore è il Padre. “Se la prospettiva è quella dell’Interlocutore ritrovato e non messo in discussione, che è il Padre, se al principio sta una misericordia ed alla fine sta una misericordia, se essa è capace di dare la risposta ultima, definitiva, radicale – non quelle interlocutorie che possiamo dare noi – anche, ad esempio, di fronte alla tragedia della morte, allora si crea dentro di noi uno spazio che dà la possibilità di vedere le cose in questa prospettiva” (G. Moioli). “Sia santificato il tuo nome”. Si chiede a Dio di mostrare la santità del suo Nome in noi, come spiega il profeta Ezechiele (36,22-24), riunendoci come suo popolo e rinnovandoci nell’intimo. Dice Ezechiele: “Quando Io (Dio) vi avrò liberati dai popoli e vi avrò radunati dai paesi nei quali foste dispersi, mi mostrerò santo in voi agli occhi delle genti... Allora saprete che io sono il Signore, quando agirò con voi per l’onore del mio nome” (20,41.44). Il senso, dunque, della formula del Padre nostro è questo: “Raccogli e rinnova il tuo popolo. Fa’ che diventi veramente il popolo di Dio”. 17ª Domenica del Tempo Ordinario “C” - Elledici, Leumann 2003 3 Omelie per un anno - vol. 2 “Venga il tuo regno”. La domanda riprende il tema soprattutto della speranza apocalittica, quale è espressa nel libro di Daniele circa l’intervento divino definitivo nella storia. Dio soltanto può far venire il suo “regno”, ossia far valere la sua assoluta signoria in modo visibile e storico. È chiaro che la signoria di Dio non si afferma, con evidenza, senza un popolo di Dio, nel quale essa brilli e sia resa effettiva dall’accettazione umana. “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”. Chiediamo a Dio di dare a “tutti noi” il pane per vivere. Lo chiediamo a Lui, perché noi – con i nostri egoismi – facciamo mancare il “pane” a molti fratelli. Qui chiediamo a Dio di riuscire a non far mancare il pane a nessuno, come dire: “Fa’ che non lasciamo nessuno senza il pane quotidiano”. “Perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore”. Noi chiediamo a Dio di poter sperimentare il suo perdono per avere anche noi la capacità di perdonare. Solo chi riconosce di aver bisogno del perdono di Dio e lo accoglie, sa anche perdonare agli altri. “Non ci indurre in tentazione”. Il cristiano prega di essere preservato da ricadute, dopo essersi convertito. La “caduta” o “tentazione” è soprattutto l’apostasia dalla fede. Non si vuol dire che sia Dio a tentarci, perché – come insegna la lettera di Giacomo – “Nessuno quando è tentato, dica: “Sono tentato da Dio”, perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno” (1,13). La parabola attira l’attenzione non tanto sull’amico che domanda, ma piuttosto su colui che è importunato di notte. Evidenzia infatti due motivi fondamentali: a) Dio ascolta e viene incontro alle necessità degli uomini; b) vale la pena pregare Dio con insistenza, senza stancarsi. Se l’amico importunato decide di dare soddisfazione alle domande dell’altro, quanto più Dio esaudisce le preghiere di chi si rivolge a lui con fiducia e confidenza! Infine Gesù insegna la certezza che la preghiera viene accolta: chi chiede riceve, chi cerca trova. “Certezza” però non significa automatismo. Chi prega non inserisce un gettone in una macchina che gli risponde nel modo già programmato. L’esperienza insegna che molte volte chi prega non ottiene ciò che vorrebbe. Ma Dio conosce meglio di noi ciò di cui abbiamo veramente bisogno, ciò che giova alla nostra salvezza. Se un padre viene incontro al figlio, quanto più Dio ascolterà le nostre preghiere! La ragione per cui Dio ci esaudisce è la sua paternità, non i nostri meriti. Ciò che Dio ci dona infallibilmente, se la nostra preghiera è autentica, è lo Spirito Santo. In altre parole, la preghiera ci dona la presenza di Dio che viene a vivere insieme con noi le situazioni della nostra vita. 17ª Domenica del Tempo Ordinario “C” - Elledici, Leumann 2003 4