Omelie per un anno - vol. 2
19ª Domenica del Tempo Ordinario
 Sap 18,3.6-9 - Come punisti gli avversari, così ci rendesti gloriosi,
chiamandoci a te.
 Dal Salmo 32 - Rit.: Beato il popolo che appartiene al Signore.
 Eb 11,1-2.8-19 - Aspettava la città il cui architetto e costruttore è
Dio.
 Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Vegliate e state pronti,
perché non sapete in quale giorno verrà il Signore. Alleluia.
 Lc 12,32-48 - Anche voi tenetevi pronti.
L’ora della decisione
Il tema fondamentale della predicazione di Gesù è compendiato da Mc
1,15: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è qui; ravvedetevi e
credete al vangelo”. La presenza di Gesù determina, per così dire,
una condensazione o concentrazione salvifica: questa è l’ora in cui fa
irruzione la salvezza, è l’ora della decisione, cioè di convertirsi e di
fare la volontà di Dio. Guardando in noi e attorno a noi, forse ci vien
da dire che questo è il tempo dell’indecisione, dell’incertezza e del
dubbio, dell’angoscia; oppure vien da pensare, all’opposto, che sia
l’ora dei prepotenti, della sicumera altezzosa e violenta.
L’invito di Gesù è rivolto al diventare autentici, mentre le tentazioni
quotidiane ci seducono per lasciarci nella mediocrità, nella paura del
disagio e della sofferenza, della responsabilità e della crescita. Tanto
per gli individui quanto per le collettività ci può essere crescita e
sviluppo oppure regresso, declino e corruzione. Il dubbio su tutto, la
cronica insicurezza e indecisione, la paralisi nelle scelte fondamentali
sono i segni inequivocabili della decadenza. Siamo noi consapevoli
dell’ora presente che stiamo vivendo e siamo capaci di una decisione
radicale, saggia e responsabile?
L’opzione fondamentale
Il brano evangelico si compone di due parabole: quella dei servi
vigilanti (vv. 35-38) e quella del padrone vigilante (vv. 39-40). La
situazione del discepolo di Cristo nell’ora presente è caratterizzata
dalla “vigilanza”, cioè dall’esigenza di attesa e di scelta. Il motivo di
tale esigenza radicale è l’estrema gravità del momento presente:
adesso si decide l’eternità, nel credere o non credere.
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I servi devono essere sempre “in servizio”. Tenere la veste rialzata,
cinta sui fianchi (v. 35), era abitudine di chi doveva camminare,
lavorare o combattere. Le lucerne accese (v. 35) indicano invece che i
servi vegliano “di notte” in attesa del ritorno del loro signore (v. 36).
Queste due espressioni significano quindi che i servi devono tenere
un atteggiamento di prontezza, di decisione e di vigilanza. Il motivo è
il ritorno del padrone (v. 36). Non importa quando ritornerà, se alla
seconda o alla terza vigilia (v. 38). L’ora del ritorno è indifferente,
può essere vicina o lontana; ciò che importa sono la prontezza e la
vigilanza.
Nella seconda parabola (vv. 39-40), il paragone non è tra il Figlio
dell’uomo e il ladro, tra i discepoli e il proprietario, ma tra due
situazioni: la vigilanza del proprietario e quella dei discepoli. Anche
qui l’esortazione riguarda un comportamento presente, motivato da
una venuta “in incognito”, rispettivamente del ladro o del Figlio
dell’uomo.
Al centro di tutta l’esortazione sta la venuta o parusia del Figlio
dell’uomo. Di qui l’esigenza di conversione e di penitenza, che fanno
la situazione di preparazione e di vigilanza. La venuta di Cristo
avverrà “di notte” (v. 38) oppure “nell’ora che non pensate” (v. 40).
Non è questione di calcoli apocalittici. Qui la “notte” è il tempo
presente, ma l’ora del ritorno ci rimane ignota. La venuta del Signore
segnerà lo spuntare del giorno eterno della salvezza. In questo
mondo tenebroso, posto nelle mani del maligno (cf 1 Gv 5,19), il
cristiano deve vigilare. La vigilanza però non è abbandono del mondo,
bensì impegno e lotta (v. 35). Essa è fedeltà vissuta al Signore,
tensione verso il suo futuro ritorno, non mai indifferenza verso
l’esistenza presente. Essa significa anzitutto convertirsi e credere,
scegliere decisamente Dio e la sua sovranità, essere disponibili al
giudizio di Dio. Essa è pure riconoscimento delle possibilità che ora ci
sono date. L’ultimo giorno non sarà che il frutto maturato lungamente
da ogni singolo istante presente. Adesso e qui noi costruiamo il giorno
finale del nostro incontro con Cristo.
La disponibilità vigilante all’incontro con Cristo avrà una ricompensa,
la beatitudine (vv. 37-38). Ma la felicità non è soltanto un futuro
promesso perché già ora il discepolo sa di esserne partecipe, dato che
la venuta del Regno non è solo futura. Ogni istante è prezioso e pieno
di felicità perché ogni istante presente può essere quello dell’incontro
con il Signore. In questa luce, anche la morte non appare più un
evento terrificante e temuto, bensì l’evento finale dell’esistenza come
unione a Gesù risorto. D’altra parte, la morte può venire ad ogni ora:
da un momento all’altro, tutto potrebbe andare perduto. Gesù così si
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esprime: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in
tentazione” (Lc 22,46).
La decisione della fede
Il brano della lettera agli Ebrei richiama alla decisione della fede come
scelta libera radicale, evocando l’esempio dei patriarchi, gli “eroi” e i
modelli della fede. La fede è “fondamento delle cose che si sperano”
(v. 1), è obbedienza libera (“per fede Abramo obbedì partendo...”, v.
8), è attesa e speranza (“egli aspettava la città... il cui costruttore è
Dio stesso”, v. 10), fiducia nelle possibilità inesauribili di Dio come
fece Sara (vv. 11-12), è ricerca di una patria (v. 14), certezza che
Dio è capace di far risorgere anche dai morti (v. 19). La fede è
dunque libertà umana che si attua come obbedienza e speranza di
fronte al fare gratuito di Dio, il cui “rivelarsi” non è prevedibile né
anticipabile. Eppure quando si rivela e agisce, Dio porta ad attuazione
piena e autentica, benché in modo eccedente e superiore a ogni
misura prevedibile, ogni aspirazione e attesa umana. La fede nasce
quando l’uomo è capace di attendere l’inatteso, di prevedere
l’imprevedibile!
La decisione della fede non è dunque una scelta fatta in base a norme
e condizioni stabilite dall’uomo previamente, ma una scelta compiuta
in base all’evento inatteso e imprevedibile di Dio che viene incontro
all’uomo. L’imprevedibile è accaduto in Gesù Cristo e di fronte a lui
noi siamo chiamati a compiere la scelta. Possiamo tentare di
banalizzare il “fatto” di Gesù o censurarlo eliminandolo dalla nostra
coscienza per sfuggire al dovere della scelta, ma queste sarebbero
operazioni indegne e irresponsabili.
La notte della salvezza
La 1ª lettura, presa dal libro della Sapienza, ci mostra come un
giudeo credente non sfugge all’esigenza imposta dal ricordo del
passato, più precisamente della celebrazione della prima Pasqua.
Quella notte pasquale, in cui gli Ebrei prima dell’esodo dall’Egitto
celebrarono la festa della salvezza, “fu preannunziata ai nostri padri”,
cioè ai patriarchi.
È come dire che Dio da sempre aveva pensato di salvare il suo
popolo! La salvezza era promessa e perciò “il tuo popolo si attendeva
la salvezza” (v. 7).
L’autore usa il “noi”, vedendo così implicati nell’evento pasquale
anche se stesso e la generazione del suo tempo. E ogni lettore
percepisce in quel “noi” se stesso e i suoi contemporanei. L’evento
pasquale non è un fatto chiuso nel passato, ma un avvenimento che
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si propone come contemporaneo ad ogni generazione di uomini. In
quella celebrazione, il popolo credente ritrova la sua identità
accettando una “legge divina”, cioè – nel senso che qui ha
l’espressione citata – l’alleanza divina, e prendendo l’impegno della
condivisione fraterna (“i santi avrebbero partecipato ugualmente ai
beni e ai pericoli”, v. 9).
La “salvezza dei giusti” (v. 7) è vissuta nella celebrazione liturgica,
particolarmente nella pasqua, come impegno e scelta del popolo
credente di partecipare al dono di Dio. La celebrazione liturgica,
quindi, non ha niente di magico; esige un impegno esistenziale serio
e libero, un coinvolgimento della libertà umana che si decide per
l’alleanza con Dio e si attua nella solidale condivisione fraterna.
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