AZIENDA SANITARIA LOCALE BRESCIA grg gruppo di ricerca geriatrica ALZHEIMER RICERCHE BRESCIA - AIMA Le demenze Una guida per i famigliari Angelo Bianchetti Carmelo Scarcella Marco Trabucchi Orazio Zanetti Brescia, 1998 Questo volumetto è stato scritto per aiutare le persone che assistono un famigliare affetto da demenza. Una lunga esperienza ci suggerisce che la solitudine, l'abbandono e la mancanza di informazioni precise sono i fattori che più rendono difficile e pesante la vita di chi è vicino ad un ammalato; per questo abbiamo cercato di presentare in maniera chiara -ma non superficiale- gli aspetti più importanti dell'assistenza e la risposta agli interrogativi che più frequentemente vengono posti. Il medico saggio sa che la cura del paziente demente deve estendersi anche alla sua famiglia, per accompagnarla in un lungo itinerario. La scienza medica ha fatto negli anni recenti grandi progressi, facendoci intravedere possibile terapie; questa speranza impone ancor più l'impegno per migliorare oggi la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie. Gli Autori Chi volesse approfondire sul piano clinico il problema delle demenze consulti il recente volume: M.Trabucchi - Le demenze. UTET, 1998. Angelo Bianchetti Primario Dipartimento Malattia di Alzheimer IRCCS San Giovanni di Dio, Brescia Carmelo Scarcella Direttore Sanitario ASL di Brescia Marco Trabucchi Professore Ordinario Università di Roma "Tor Vergata" e Direttore Scientifico Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia Orazio Zanetti Aiuto Dipartimento Malattia di Alzheimer IRCCS San Giovanni di Dio, Brescia PRESENTAZIONE L'azienda Sanitaria di Brescia ha voluto questa nuova edizione del volume per chi assiste le persone affette da demenza partendo da una scelta di fondo: gli ammalati cronici sono al centro dell'interesse delle istituzioni sanitarie moderne e qualsiasi intervento che permetta una buona qualità della vita di queste persone ha un grande significato civile prima ancora che sanitario. Nella ASL di Brescia vivono diverse migliaia di persone affette da demenza con varie espressioni cliniche; il problema è destinato a diventare ancora più grave come conseguenza dell'aumento degli anziani e della sopravvivenza di persone ammalate. Molti sono i servizi già attivi per questa popolazione, sia a livello istituzionale che territoriale; la ASL però ritiene particolarmente importante sviluppare in maniera specifica programmi che consentano il mantenimento a domicilio della persona ammalata. Però, per evitare che la famiglia senta su di sé un carico insostenibile (è stata descritta "una giornata di 36 ore"), l'impegno del servizio sanitario deve essere molto chiaro e preciso: assistenza domiciliare qualificata e specifica, centri diurni, temporanee soluzioni di sollievo. Senza scrivere un libro dei sogni, perché purtroppo i limiti economici sono pesantissimi, questa è la strada che l'ASL di Brescia, che ho l'onore di dirigere, vuole perseguire. E la pubblicazione di questo volume è un primo segnale, piccolo ma significativo. Ezio Lodetti Direttore Generale ASL Brescia SOMMARIO -E' possibile un invecchiamento in salute? -L'anziano e la memoria -Le demenze -La malattia di Alzheimer -La diagnosi e la prognosi -Demenza ed ereditarietà -I fattori di rischio I problemi ed il loro trattamento -Come affrontare i problemi assistenziali quotidiani -La comunicazione -L'abbigliamento e la cura della persona -L'alimentazione -Le piaghe da decubito -Le cadute -L'incontinenza -Le malattie concomitanti -La confusione -I disturbi comportamentali -Il disorientamento -La depressione -L'aggressività e l'agitazione -Il vagabondaggio e l'insonnia -I deliri e le allucinazioni La famiglia, l'ambiente ed i servizi -La famiglia -L'ambiente e gli ausili per le attività quotidiane -I servizi per la gestione del paziente demente -Gli interventi riabilitativi -I farmaci -I problemi etici -Gli aspetti legali E' POSSIBILE UN INVECCHIAMENTO IN SALUTE? È diffusa l'opinione che l'invecchiamento si accompagni inesorabilmente alla perdita di numerose funzioni sia fisiche che mentali. Col trascorrere degli anni udito, vista, memoria, intelligenza, agilità, equilibrio e così via subirebbero un declino inevitabile. Secondo questa visione negativa della vecchiaia sono tuttora validi l'antico aforisma "senectus ipsa morbus" ed la più recente, ed ugualmente insopportabile, immagine di Shakespeare secondo il quale sono numerosi i tributi che si devono pagare alla vecchiaia: "senza memoria, senza denti, senza occhi, senza tutto". Il deterioramento delle capacità mentali -che una cultura obsoleta continua a considerare "naturale"- è in realtà causato, pi spesso di quanto non si creda, oltre che da numerose malattie, alcune delle quali curabili, dall'abbandono, dall'emarginazione sociale, dalla perdita di relazioni affettive, nonché dalla carenza di esercizio mentale e fisico. La ricerca scientifica sempre più spesso documenta come molte delle perdite attribuite alla macina del tempo sono provocate da un cattivo stile di vita, da abitudini alimentari errate e dallo scarso esercizio. Va sottolineato fin da ora che la grande maggioranza delle persone anziane -oltre i 65 anni- conserva un cervello in grado di funzionare in modo corretto. Nel corso delle frequenti conversazioni con gli anziani ci piace spesso usare la metafora dell'orologio: ciascuno di noi, alla nascita, ha al proprio interno un orologio (verosimilmente ubicato nel cervello) che scandirà il tempo dell'esistenza, la cui molla è caricata in modo da consentire una sopravvivenza che nella grande maggioranza dei casi è di 110-120 anni. Se nei nostri geni -la molla dell'orologio- è scritto, in parte, il nostro destino, la possibilità di raggiungere l'età avanzata sarà condizionata dal modo in cui conserviamo l'orologio, evitando con cura che si ammacchi, che si inceppi prematuramente oppure che la molla possa arrugginirsi. Recentemente inoltre è stato dimostrato che, accanto a fenomeni di perdita -di cellule e di collegamenti- nel cervello senescente sono conservate capacità riparative, e rigenerative; questa proprietà, nota col termine di plasticità neuronale, potremmo immaginarla come quella di un orologiaio che interviene a riparare alcuni danni. La plasticità è il meccanismo del cervello che ne regola la caratteristica di essere continuamente modificato e modificabile dal prodotto della sua stessa attività. L'invecchiamento cerebrale non è un processo monolitico, a senso unico, di logoramento, dominato dalla perdita, ma è influenzato da variabili complesse che possono, al contrario, nell'equilibrio instabile tra logoramento e plasticità, favorire un invecchiamento di successo. Proseguendo nella metafora, come possiamo aiutare l'orologiaio e come consentire un buon funzionamento dell'orologio? In altri termini, com'è possibile conservare, ottimizzare o amplificare la plasticità neuronale? L'attività mentale e fisica rappresentano potenti mezzi per amplificare i meccanismi di difesa dell'organismo e del cervello. È stato dimostrato che un ambiente stimolante e l'opportunità di un maggior esercizio producono un aumento di spessore e peso del cervello, un aumento dei collegamenti tra neuroni nonché un miglioramento delle performance generali. Numerose osservazioni, ottenute prevalentemente in laboratorio, suggeriscono l'evidenza di un effetto protettivo della stimolazione: "Usalo o lo perderai" titolava un recente articolo riferendosi al cervello; dovrebbe essere il motto per tutta la vita. Sono numerosi gli anziani che in età avanzata conservano la capacità di svolgere compiti complessi (con l'esclusione naturalmente di quelli che comportano agilità o forza fisica, che iniziano a declinare, per effetto dell'invecchiamento, attorno ai 30 anni) e di rivestire incarichi sociali impegnativi. Numerosi sono gli artisti che nella vecchiaia hanno prodotto capolavori; altrettanto numerosi sono i politici che in vecchiaia -pensiamo a Pertini- mantengono un'intensa attività. È stato dimostrato infine, in un gruppo di anziani che svolgevano regolarmente attività fisica anche dopo il pensionamento, che la circolazione cerebrale e le funzioni mentali erano meglio conservate rispetto a coloro che avevano ridotto o sospeso l'attività fisica. Ciò che si vuole sottolineare è il fatto che gli esempi, numerosi, di invecchiamento di successo, costituiscono un punto di riferimento per tutti quelli che invecchiano; sono la prova, inequivocabile, che è possibile invecchiare, sia pure con qualche acciacco, conservando la propria autonomia ed un cervello ben funzionante. Come quello della nonna francese più vecchia del mondo che è deceduta all'età di 122 anni nell'estate del '97; malgrado la cecità e la sordità, le sue funzioni cerebrali, oggetto di approfonditi studi da parte dei ricercatori, erano ancora normali. Nelle numerose interviste rilasciate negli ultimi anni manifestava una sincera gioia di vivere. Queste osservazioni però non ci devono far dimenticare la realtà delle malattie; anzi, più sono le persone che vivono in Salute la terza e quarta età, più forte diventa il nostro impegno per "curare" le persone affette da malattie croniche quali la demenza. L'ANZIANO E LA MEMORIA I disturbi della memoria rappresentano uno dei motivi che più frequentemente inducono l'anziano a rivolgersi ad un geriatra. Tuttavia spesso ciò avviene solo quando la smemoratezza è tale da interferire pesantemente con la possibilità di una vita autonoma; in questo caso, abitualmente, il paziente non è consapevole delle proprie disabilità e sono i familiari a richiedere l'aiuto di un esperto. È ancora troppo diffusa, infatti, la convinzione che l'età comporti, inesorabilmente, una riduzione più o meno evidente della memoria; è così che disturbi lievi, ritenuti, erroneamente, inevitabili ed incurabili, vengono spesso trascurati. È opportuno, a questo riguardo, chiarire fin d'ora una regola generale che si applica a numerose malattie tipiche dell'anziano: l'efficacia di un intervento terapeutico, e quindi la possibilità di ottenere una guarigione o comunque un controllo adeguato, è condizionata dalla tempestività con la quale si riconosce una malattia. Anche nel caso dei disturbi di memoria vale questa regola. Cos'è la memoria e come funziona? La memoria è, accanto all'intelligenza, una delle funzioni più complesse dell'attività umana e può essere definita come la capacità di riprodurre nella propria mente un'esperienza precedente; in altri termini, è quell'insieme di funzioni localizzate nel cervello che ci consentono di registrare messaggi o informazioni grazie alla collaborazione degli organi di senso (udito, vista, tatto..) e di rievocarli allorquando lo desideriamo. L'esperienza che viene memorizzata o rievocata può essersi verificata pochi secondi o molti anni prima; può essere stata molto breve oppure essere durata a lungo; può aver coinvolto tutti gli organi di senso o essere stata soltanto un'esperienza visiva, verbale, olfattiva o motoria. Quotidianamente, tramite i nostri sensi, il cervello riceve enormi quantità di segnali di vario genere, dei quali siamo più o meno consapevoli, la maggior parte dei quali non lascia traccia. I sensi sono essenziali per l'acquisizione di nuove informazioni, che poi vengono immagazzinate nella memoria. Ad esempio, una persona che soffre di presbiacusia (cioè della incapacità di sentire i suoni di frequenza elevata) può con facilità non sentire lo squillo del telefono, può avere difficoltà nell'ascoltare la voce delle persone, specialmente delle donne, e può avere problemi nell'interpretare le parole ricche di consonanti come F, S e Z. Le persone affette da questo disturbo possono sembrare "smemorate", quando, invece, il vero problema è la mancanza di corrette informazioni. In modo analogo anche i disturbi della vista possono provocare, seppure indirettamente, deficit della memoria. Il buon funzionamento della memoria dipende oltre che dal livello di integrità degli organi di senso, anche dal grado di attenzione che il soggetto rivolge ad un dato evento, dalla risonanza affettiva che quest'ultimo esercita, nonché dalle circostanze in cui l'evento deve essere richiamato. Una persona può, per esempio, avere a disposizione un tempo adeguato per richiamare un'informazione o essere forzato a rispondere molto rapidamente; può essere rilassato oppure trovarsi in uno stato di apprensione o ansia, che influenzano negativamente la memoria; e ancora può trovarsi in un ambiente accogliente e distensivo oppure affollato, caotico e ricco di distrazioni. La memoria è influenzata dalla presenza di malattie (endocrine, infettive, tumori), la cui cura consente un completo recupero delle capacità di ricordare. Anche l'uso improprio di farmaci, per esempio i sonniferi, può compromettere il buon funzionamento della memoria. La depressione e l'ansia costituiscono una causa frequente, potenzialmente reversibile, di disturbo della memoria. Si tratta di condizioni psichiche di frequente osservazione, nelle quali il livello di attenzione dell'anziano è compromesso, polarizzato attorno a sensazioni di impotenza, di sfiducia, paura, e timori talvolta immotivati: non c'è spazio per i progetti, per il futuro. Anche il presente viene subito passivamente. A loro volta la depressione (l'"esaurimento nervoso" del gergo popolare) e l'ansia possono essere scatenate o favorite dalla riduzione dei rapporti sociali, dal pensionamento, dalla perdita di persone care, oppure da condizioni di malattia che limitano l'autonomia o provocano dolore. Si tratta di circostanze frequenti nell'anziano che possono compromettere la memoria, la quale a sua volta può peggiorare l'ansia e accentuare la depressione, instaurando così un circolo vizioso. Una percentuale minoritaria di anziani (10% degli ultra65enni) soffre di disturbi della memoria progressivamente sempre più gravi e tali da comportare la perdita dell'autosufficienza; in queste situazioni la causa è da attribuire, nella maggioranza dei pazienti, alla Malattia di Alzheimer oppure alla demenza multinfartuale (in passato definita arteriosclerotica). È opportuno però sottolineare che il 90% degli anziani non è demente ed ha un cervello in grado di funzionare a patto che lo tenga in allenamento. Numerosi sono i termini che vengono utilizzati per descrivere la memoria, i suoi stadi ed i suoi vari aspetti. Le definizioni più note sono quelle che distinguono la memoria a breve termine da quella a lungo termine o remota; la prima si riferisce alla capacità di rievocare percorsi, numeri, cose dopo alcuni secondi o minuti dalla loro percezione; la seconda indica la capacità di ricordare eventi dopo alcune ore o giorni; riguarda cioè fatti accaduti molto tempo prima, ed è quella più resistente in caso di malattia cerebrale. Nel corso dell'invecchiamento normale alcuni aspetti del funzionamento della memoria presentano un declino; la capacità di ricomporre un numero telefonico di dieci cifre, tenendolo in mente dopo un segnale di "occupato", oppure di ricordare informazioni ascoltate alla radio mentre si guida, si riducono nell'anziano rispetto al giovane. La presenza di fattori distraenti in grado di disturbare la "ricezione" di informazioni influisce in modo negativo nell'età avanzata. Così avviene anche per l'esecuzione di compiti per i quali il soggetto ha a disposizione un tempo limitato. Esistono aspetti della memoria che nell'anziano non mostrano alcun deficit o addirittura presentano una prestazione migliore col passare degli anni. La memoria cosiddetta semantica, che si riferisce alla capacità di definire il significato delle parole ed al patrimonio delle parole conosciute, ed è influenzata dall'educazione, può migliorare sensibilmente con l'età. Negli anziani, quindi, l'apprendimento e le capacità di memoria nel loro complesso rimangono relativamente normali. Alcuni studiosi ritengono che la memoria inizi a diminuire poiché una persona cessa di usare i metodi utilizzati in passato per ricordare meglio. L'abilità non sfruttata viene perduta. A questo riguardo si deve sottolineare che quasi tutti gli studi negativi sull'apprendimento o la memoria dell'anziano sono stati eseguiti in laboratorio, dove l'attenzione è focalizzata su questioni astratte, lontane dalla realtà quotidiana. Nelle situazioni vive di ogni giorno, l'anziano è invece facilitato rispetto al giovane, perché le nuove informazioni vengono inserite in una rete già esistente di conoscenze. L'elevata quantità di nozioni precedentemente immagazzinate e la maggiore capacità critica facilitano l'apprendimento ed il ricordo di cose nuove. Tuttavia, non ci si deve aspettare di ricordare fatti o nomi velocemente come nella giovinezza; rievocare informazioni richiederà più tempo ma la capacità di ricordare resterà fondamentalmente invariata. Esserne consapevoli può evitare inutile ansia. Quando una persona presenta disturbi di memoria che interferiscono con la capacità di vita indipendente o che riguardano informazioni importanti è opportuno consultare il medico curante. È opportuno sottolineare che in alcuni soggetti anziani normali si può manifestare un disturbo della memoria connesso all'età che però non compromette le abituali attività quotidiane; è pertanto importante non drammatizzare. Si tratta di sintomi non patologici, come lo sono la presbiopia e la diminuzione della forza muscolare. Esistono metodi ed esercizi che possono aiutare a mantenere giovane la memoria oppure a compensarne le lacune. Molti usano semplici espedienti per ricordare il nome di qualcuno o altri dati; se anche l'anziano organizza le informazioni nuove che riceve, le ripete ad alta voce o le associa a qualche immagine visiva, la sua capacità di memoria migliora. L'efficacia dell'esercizio è nota fin dai tempi di Cicerone: "memoria minuitur, credo, nisi eam exerceas". L'esercizio può essere costituito da riassunti di letture o di programmi televisivi, mentalmente oppure ad alta voce, almeno una volta al giorno; un'alternativa è la ripetizione, che ricorda i tempi della scuola, di filastrocche, poesie o storielle. La creazione di collegamenti tra nomi, oggetti o fatti, oppure la loro trasposizione in immagini, colori o numeri richiedono l'elaborazione del contenuto di una cosa da ricordare e costituiscono un altro metodo diffusamente impiegato per facilitare il ricordo. In alternativa è utile aumentare interessi ed attività in modo da esercitare indirettamente e spontaneamente anche la memoria. Se non ci si fida della memoria, è possibile aiutarla ricorrendo ad alcuni ausili. Uno di questi, noto ma poco utilizzato, consiste nell'usare pro-memoria quali calendari, bloc-notes o agende dove segnare appuntamenti, programmi giornalieri, elenchi di articoli da acquistare. Anche il nodo al fazzoletto è ancora valido, ma può essere sostituito con strumenti più "moderni", quali piccole svegliette oppure "timer" che ricordano, tramite un segnale acustico, che si deve fare qualcosa; questi metodi, rispetto ai pro-memoria hanno l'inconveniente di non specificare ciò che si deve ricordare. Per coloro che hanno problemi di vista non correggibili, è possibile ricorrere a registratori sui quali incidere i messaggi e gli appuntamenti; esistono oggi apparecchi di piccole dimensioni ed economici. Un problema frequente, soprattutto fra gli anziani, è costituito dalla perdita degli oggetti: chiavi, penne, forbici, utensili... Per ovviare a questo inconveniente è importante cercare di essere organizzati assegnando a ciascun oggetto una collocazione stabile; e 'utile rendere più visibili i piccoli oggetti che si nascondono facilmente: un nastro rosso legato alle forbici, il cordoncino per assicurare gli occhiali al collo. Un altro consiglio importante consiste nel portare a termine le azioni cominciate per non rischiare di lasciarle in sospeso: dimenticare il gas oppure le luci accesi. Per concludere ecco alcuni suggerimenti sulla memoria: - concedersi più tempo, rispetto al passato, per imparare cose nuove; apprendere può richiedere più tempo ed una maggiore concentrazione - predisporre un ambiente adatto per l'apprendimento; la luce deve essere viva; devono essere eventualmente usati occhiali o apparecchi acustici. Se si è incerti circa le informazioni ricevute, è necessario richiedere che queste vengano ripetute - non aspettarsi di ricordare fatti o nomi velocemente come nella giovinezza - proporsi di esercitare la memoria facendo mentalmente o ad alta voce brevi riassunti di letture o di trasmissioni televisive, almeno una volta al giorno - le amnesie talvolta "nascondono" quello che non si vuol ricordare o che non interessa - non esiste alcun "farmaco miracoloso" per la memoria. Quando, nonostante l'applicazione delle regole sopraindicate, la persona anziana ritiene di non ricordare bene è utile chiedere consiglio al medico. LE DEMENZE Con il termine di demenza si indica una malattia del cervello che comporta la compromissione delle funzioni cognitive (quali la memoria, il ragionamento, il linguaggio, la capacità di orientarsi, di svolgere compiti motori complessi), tale da pregiudicare la possibilità di una vita autonoma. Ai sintomi che riguardano le funzioni cognitive si accompagnano quasi sempre alterazioni della personalità e del comportamento che possono essere comunque di entità piuttosto varia nel singolo paziente. Tra questi i più caratteristici sono sintomi psichici (quali ansia, depressione, ideazione delirante, allucinazioni), irritabilità o vera aggressività (più spesso solo verbale, raramente fisica), insonnia, apatia, tendenza a comportamenti ripetitivi e afinalistici, riduzione dell'appetito e modificazioni del comportamento sessuale. Contrariamente a quanto ancora spesso si pensa, la demenza non costituisce una conseguenza inesorabile, un "destino ineluttabile" di chi invecchia. Molti conoscono persone che, novantenni o centenarie, conservano, sia pure con qualche acciacco, un cervello "arzillo" e ben funzionante: non si tratta di "mostri", ma della testimonianza più evidente che è possibile raggiungere i confini dell'esistenza in salute. Sono la prova vivente di come sia possibile invecchiare con dignità. La demenza è una sindrome, ossia un insieme di sintomi, che può essere provocata da un lungo elenco di malattie, alcune molto frequenti, altre rare. La demenza rappresenta un problema rilevante, in particolare nella popolazione anziana la cui numerosità, rispetto alla popolazione generale, è sensibilmente aumentata nel corso degli ultimi decenni. Circa il 10% degli ultrasessantacinquenni ed il 35% degli ultra80enni che risiedono al domicilio manifestano un grado variabile di deterioramento delle funzioni cognitive. Nel 50% circa dei casi la causa della demenza è la malattia di Alzheimer. Si tratta di una condizione progressiva, che prende il nome da Alois Alzheimer, il neurologo che nel 1907 la descrisse per primo. Nel 10% dei casi la demenza è dovuta all'arteriosclerosi cerebrale ed, in particolare, a lesioni cerebrali multiple (lesioni ischemiche) provocate dall'interruzione del flusso di sangue; è la demenza vascolare ischemica. Questa malattia è nota anche con il termine che in passato veniva impiegato per indicare la quasi totalità dei disturbi mentali dell'anziano: arteriosclerosi cerebrale. È importante sottolineare che questa forma di demenza può, al contrario della malattia di Alzheimer, essere prevenuta tramite il corretto controllo dei fattori che ne favoriscono l'insorgenza, in particolare l'ipertensione arteriosa ed il diabete mellito Nel 10% dei casi la demenza è dovuta alla contemporanea presenza di malattia di Alzheimer e di lesioni ischemiche: questa condizione si indica con il termine di demenza mista. Vi sono poi altre malattie degenerative cerebrali che possono causare demenza, quali la malattia di Pick e le demenze fronto-tempotrali, la malattia a corpi di Lewy, la degenerazione cortico-basale. Si tratta di condizioni la cui frequenza esatta è poco nota (complessivamente probabilmente costituiscono circa il 15-20% delle demenze), con caratteristiche cliniche e neuropatologiche distintive. Il restante 10-15% dei pazienti presenta una demenza sostenuta da malattie suscettibili di guarigione se curate in tempo e correttamente (tra le altre, malattie endocrine, farmaci, idrocefalo normoteso, depressione). Il deterioramento delle funzioni cognitive, infatti, non è sempre sinonimo di demenza. Per questo motivo una diagnosi precisa richiede una valutazione accurata ed è necessaria in ogni soggetto nel quali si sospetti una demenza. Sintomi simili alla demenza possono infatti manifestarsi nel corso di malattie acute febbrili oppure come conseguenza di malattie croniche non ben controllate, in particolare disturbi di cuore e dei polmoni. L'uso scorretto di alcuni farmaci (tranquillanti, sonniferi, farmaci per il mal d'auto) può essere responsabile di disturbi di memoria o confusione. Un'altra frequente causa di decadimento delle funzioni cognitive è rappresentata dalla depressione (esaurimento nervoso), la malattia psichica più diffusa nella popolazione anziana; soprattutto nelle sue forme più severe può apparire indistinguibile da una demenza grave. D'altra parte, anche espressioni più lievi di depressione possono provocare disturbi della memoria e confusione. Infine, il trasferimento in ambienti quali l'ospedale o la casa di riposo può provocare uno stress tale da produrre una condizione di apparente demenza. LA MALATTIA DI ALZHEIMER La Malattia di Alzheimer rappresenta la più frequente forma di demenza nei paesi occidentali. La prevalenza della malattia aumenta con l'età; meno dell'1% degli individui al di sotto dei 65 anni ne risulta affetto, mentre sono colpiti il 4-7% degli ultrasessantacinquenni e circa il 20% degli ultraottantenni. È stato stimato che nella sola Lombardia i soggetti affetti da malattia di Alzheimer siano 55-60.000. Le caratteristiche cliniche della malattia possono variare notevolmente da soggetto a soggetto; tuttavia l'inizio è generalmente insidioso e subdolo ed il decorso progressivo. I sintomi iniziali dell'Alzheimer sono spesso attribuiti all'invecchiamento, allo stress oppure a depressione. L'anziano può presentare modificazioni del carattere, essere meno interessato ai propri hobby o al proprio lavoro, oppure essere ripetitivo. Talvolta l'inizio della malattia è contrassegnato dalla sospettosità nei confronti di altre persone, accusate di sottrarre oggetti o cose che il malato non sa trovare. Altre volte ancora la malattia può iniziare in seguito ad un trauma automobilistico, oppure manifestarsi durante un ricovero ospedaliero o nei giorni che seguono un intervento chirurgico. Spesso i familiari tendono ad attribuire ad un evento -un trauma o un intervento chirurgico- la causa della malattia. In realtà queste evenienze costituiscono, nel caso della malattia di Alzheimer, eventi stressanti che rendono evidente e manifesta una malattia cerebrale già presente. Nella grande maggioranza dei casi, solo a distanza di 1-2 anni dall'esordio della malattia il disturbo della memoria è tale che i familiari ricorrono all'aiuto di uno specialista. Il disturbo della memoria costituisce il sintomo cardinale della malattia ed il primo a manifestarsi rispetto ad altri che coinvolgono il linguaggio o la capacità di ragionamento . Il primo sintomo è generalmente una lieve perdita della capacità di ricordare avvenimenti o fatti recenti, che progredisce gradualmente ed alla quale si associano alterazioni della personalità e deficit delle altre funzioni cognitive. Il pensiero astratto -la capacità di eseguire ragionamenti- risulta impoverito. La capacità di giudizio è diminuita spesso precocemente, cosicché il paziente manifesta un ridotto rendimento lavorativo e può essere incapace di affrontare e risolvere problemi anche semplici relativi ai rapporti interpersonali o familiari. Il deterioramento della capacità di giudizio determina grande preoccupazione tra i familiari ed i colleghi di lavoro. Uno dei caratteri più specifici è il cambiamento della personalità. Spesso, soprattutto negli anziani, compare apatia; il paziente perde interesse per l'ambiente e per gli altri, richiudendosi in se stesso. Spesso vengono esagerati i caratteri premorbosi della personalità, quali atteggiamenti ossessivi, aggressività, sospettosità. In altri casi vi è invece un mutamento della personalità, per cui soggetti solitamente controllati e misurati diventano impulsivi, intrattabili ed a volte anche violenti. In alcuni casi la malattia si manifesta con una difficoltà nella denominazione degli oggetti oppure con un impoverimento del linguaggio ed il ricorso a frasi stereotipate. Altre volte il sintomo che si associa al disturbo di memoria può essere rappresentato dalla difficoltà nella guida dell'automobile. Un paziente aveva danneggiato una fiancata della propria auto poiché nella manovra per collocarla in garage non riusciva a prendere correttamente le misure. Questo sintomo è dovuto alla difficoltà che i pazienti con malattia di Alzheimer manifestano nel collocare gli oggetti nello spazio e nell'avere una visione unitaria di ciò che li circonda. Un altro paziente, in passato provetto meccanico per hobby, non era stato in grado di aggiustare la gomma forata della bicicletta. Il paziente denuncia una progressiva incapacità a svolgere compiti che per lui erano familiari. Questa fase della malattia è più facilmente evidenziata nei giovani o in chi svolge ancora attività lavorative o professionali. Può invece sfuggire in pazienti anziani o che non svolgono compiti impegnativi da un punto di vista intellettivo. In questa fase il paziente può essere ignaro ed inconsapevole dei propri disturbi; sono i familiari che notano per primi un comportamento "strano" . Uno dei sintomi che più frequentemente accompagnano il disturbo della memoria è la depressione. Talvolta questa deriva dalla consapevolezza di non essere più all'altezza della situazione e di dover dipendere da altri nell'esecuzione di compiti o attività consuete. Accanto alla depressione, altri sintomi possono accompagnarsi alla demenza ed essere fonte di stress per i familiari. Fra i più frequenti troviamo l'agitazione, la paura di essere derubati, la sospettosità, i sentimenti d'abbandono, gli episodi di esplosione verbale, il pianto immotivato o la violenza. I disturbi del sonno rivestono grande importanza, anche perché determinano uno stress notevole nei familiari. Il paziente di notte è insonne e vaga per la casa o per l'ospedale; altre volte si sveglia in piena notte e ritiene sia ora di pranzare o di andare a fare una passeggiata. In una fase intermedia della malattia il paziente diviene incapace di apprendere nuove informazioni, spesso si perde, anche in ambienti a lui familiari. La memoria remota è compromessa, anche se non totalmente persa. Il paziente è a rischio di cadute, può richiedere assistenza nelle attività della vita quotidiana (quali lavarsi, vestirsi, alimentarsi, ecc.); generalmente è in grado di deambulare ed alimentarsi autonomamente. Il comportamento diviene ulteriormente compromesso; abitualmente è presente un completo disorientamento spazio-temporale. Nelle fasi avanzate della malattia di Alzheimer il paziente è incapace di camminare e di svolgere qualsiasi attività della vita quotidiana, è incontinente. La memoria, sia recente che remota, è totalmente persa ed il paziente può divenire muto ed incapace di deambulare. Si manifesta difficoltà nella deglutizione e può essere necessario alimentare il paziente artificialmente. Il rischio di complicanze, quali malnutrizione, disidratazione, malattie infettive (polmoniti soprattutto), piaghe da decubito, diviene elevato. La malattia può avere un decorso variabile e sono state descritte sopravvivenze dai 2 ai 20 anni, con una media di circa 8-10 anni. LA DIAGNOSI E LA PROGNOSI La molteplicità di condizioni che possono provocare i sintomi della demenza e la frequente concomitanza di più malattie nell'anziano, richiedono una valutazione approfondita e competente. Un corretto approccio diagnostico di fronte ad un paziente che manifesta segni di decadimento mentale è di fondamentale importanza per differenziare le forme reversibili da quelle irreversibili. La diagnosi di demenza permette inoltre di formulare una prognosi, sia in termini di sopravvivenza che di evoluzione della malattia; è quindi il presupposto indispensabile per predisporre gli interventi terapeutici, per impostare un corretto approccio preventivo e riabilitativo ed organizzare gli interventi di supporto assistenziale al paziente ed alla famiglia. È di fondamentale importanza ricorrere al medico quando le prime avvisaglie di un deterioramento cognitivo si manifestano; la possibilità, in caso di malattia guaribile, di ottenere un ripristino delle normali funzioni mentali è infatti condizionata dalla tempestività dell'intervento diagnostico e terapeutico. La tabella 1 mostra i sintomi che possono costituire una spia per la presenza di demenza. Tabella 1 Sintomi che possono suggerire la presenza di demenza. La presenza di difficoltà anche in uno solo dei compiti o delle attività descritte richiede una valutazione medica. La persona ha difficoltà nello svolgere le attività ed i compiti sotto elencati? Apprendere e ricordare nuove informazioni. E' più ripetitivo, ha problemi a ricordare il contenuto di recenti informazioni, eventi, appuntamenti. Perde frequentemente oggetti, per esempio le chiavi di casa? Eseguire compiti complessi. Ha problemi a effettuare attività che richiedono più fasi in sequenza, per esempio preparare un pasto? Orientamento spaziale e temporale. Ha problemi a guidare l'auto ed a trovare la via di casa. Si è perduto il luoghi non familiari. Non è in grado di sapere che giorno è o in che mese siamo. Dimentica di ritirare la pensione o si reca insistentemente presso gli uffici postali per ritirarla? Linguaggio. Ha difficoltà nel trovare le parole per esprimersi. Ha difficoltà a denominare oggetti comuni e li indica con “il coso”, “la cosa” o con giri di parole? Comportamento. Appare più passivo, meno coinvolto nelle attività familiari. È più irritabile del solito; è diventato sospettoso; talora fa accuse infondate? Un aspetto fondamentale per orientare il medico sulla genesi dei disturbi mentali è costituito dalla raccolta delle informazioni sulla storia recente e passata del malato; l'apporto dei familiari o di chi conosce il paziente è molto importante. Accanto all'esame del malato, le indagini necessarie per confortare l'orientamento diagnostico sono costituite dall'analisi del sangue e delle urine, da una radiografia del torace, un cardiogramma e dalla TAC (cioè la Tomografia assiale computerizzata) del cervello. La diagnosi di malattia di Alzheimer viene formulata quando sono state escluse altre condizioni patologiche e anche qualora gli esami abitualmente eseguiti fossero assolutamente normali. La TAC dell'encefalo, per esempio, nelle fasi iniziali della malattia può essere indistinguibile da quella di una persona normale. La prognosi di una condizione di demenza non suscettibile di intervento risolutivo è condizionata dal tipo di demenza, e dai sintomi che la caratterizzano, nonché dall'età della persona. L'evoluzione è abitualmente più rapida nei giovani ed in coloro che presentano precocemente disturbi nella comunicazione (difficoltà nel reperimento delle parole o di comprensione del linguaggio). Anche la presenza di disturbi del comportamento (agitazione, deliri, vagabondaggio, insonnia) accelerano la progressione della malattia. Nell'anziano l'evoluzione è condizionata dalla presenza di altre malattie concomitanti. Nel caso della demenza multi-infartuale (demenza vascolare ischemica), l'evoluzione della malattia avviene classicamente "a gradini": a rapidi peggioramenti dell'autonomia si alternano fasi di relativa stabilizzazione delle condizioni generali del malato. In quest'ultima condizione, contrariamente a quanto avviene nella malattia di Alzheimer, il malato conserva anche nelle fasi avanzate di malattia alcune capacità cognitive. I pazienti dementi raramente decedono per conseguenza diretta della malattia; la causa è costituita da polmonite, disidratazione, malnutrizione, infezioni, piaghe da decubito oppure da malattie età correlate, quali i tumori o patologie cardiocircolatorie. DEMENZA ED EREDITARIETA' “Quale rischio ho di sviluppare l'Alzheimer?”. E' questo uno fra i più frequenti interrogativi che viene posto al medico da parte dei familiari dei pazienti affetti da demenza di Alzheimer. Dovendo rispondere ad un numero ampio di lettori e non al singolo familiare con problemi specifici, la risposta deve essere obbligatoriamente articolata. Se si escludono le forme di demenza ereditarie, che riguardano solo l'1% dei dementi (vedi oltre), nel restante 99% dei casi vi è una quota del 25% per la quale è dimostrabile una familiarità generica, mentre per il restante 74% dei casi non è possibile rilevare alcun tipo di legame ereditario. Nel 25% dei casi esiste una familiarità generica; il rischio è analogo a quello del figlio di un genitore con ipertensione arteriosa o con diabete. Ossia, vi è una generica predisposizione, lievemente maggiore rispetto a quella di figli i cui genitori non sono affetti da demenza. Si tratta di un rischio che, per ora, non è quantificabile a priori. Nella grande maggioranza dei casi, pertanto, la malattia si manifesta in modo casuale, imprevedibile, in assenza di una trasmissione genetica diretta. Il quesito riguarda essenzialmente la malattia d Alzheimer ed altre più rare demenze degenerative quali per es. la malattia di Pick. E' rispetto a queste malattie degenerative che la ricerca genetica degli ultimi anni e degli ultimi mesi - tale è la velocità con la quale si accrescono le nostre conoscenze - ha fornito informazioni significative rispetto al contributo della genetica. La genetica si occupa di come le caratteristiche di un individuo (tratti normali o malattie) vengono tramandate di generazione in generazione. Da alcuni anni è in corso nella comunità scientifica mondiale il Progetto Genoma la cui finalità consiste nel determinare il significato ed il ruolo dei geni, piccoli frammenti di cui sono costituiti i cromosomi sui quali sono “scritte” le informazioni per la produzione di sostanze utili per la crescita e la sopravvivenza. Questo ciclopico progetto ha consentito di identificare numerosissime alterazioni a carico del patrimonio genetico responsabili di malattie per le quali, in futuro, si pensa di poter intervenire correggendo il difetto all'origine, ossia a livello del singolo gene. Anche per la malattia di Alzheimer le nostre conoscenze relative agli aspetti genetici si sono notevolmente ampliate. Oggi infatti conosciamo alcuni difetti genetici responsabili dello sviluppo di malattia di Alzheimer ed altre caratteristiche del patrimonio genetico che possono influenzare –proteggere o, al contrario, favorire- la comparsa di demenza. Esistono due tipi fondamentali di investigazioni genetiche in caso di malattia di Alzheimer e di altre malattie che possono essere geneticamente influenzate: Test genetici predittivi: si tratta di test genetici che sono in grado di rilevare se un soggetto sano, non affetto da malattia di Alzheimer, ha la possibilità di contrarla e con quale percentuale di probabilità (100% oppure 0%) Nel caso della malattia di Alzheimer, circa l' 1% dei casi è attribuibile ad un gene alterato la cui trasmissione determina il 100% di probabilità di sviluppare la malattia. Oggi conosciamo alterazioni di tre geni che determinano la comparsa di malattia di Alzheimer. Sono i geni mutati della Presenilina 1 (PS1) sul cromosona n.14, della presenilina 2 (PS2) sul cromosoma n.1, e della proteina precursore dell'amiloide (APP) localizzato sul Cromosoma n.21, che determinano un rischio del 100% di sviluppare la malattia. Abitualmente, queste forme ereditarie esordiscono in giovane età, 40-50 anni, ed hanno una chiara distribuzione familiare, ossia sono noti ai familiari casi di demenza a vari livelli generazionali. In questa circostanza il test predittivo trova giustificazione. Tuttavia resta aperto il problema dell'età di comparsa della malattia associata a queste alterazioni genetiche. La alterazioni a carico del gene per la proteina precursore dell'amiloide si associano ad un esordio tra i 40 e i 65 anni; quelle della Presenilina 1 tra 30 e 65 anni e quelle della Presenilina 2 tra 40 e 90 anni. Questa ampia variabilità nell'età di insorgenza della malattia diminuisce, quantomeno limita, l'utilità del test predittivo dal punto di vista del soggetto che si sottopone al test stesso. Test genetici di rischio. Identifica, in un soggetto sano, un fattore di rischio genetico (non necessariamente un'alterazione) che può aumentare la probabilità di sviluppare la malattia. L'assenza del fattore di rischio non esclude la contrazione della malattia, cosi come la presenza non è invariabilmente associata alla comparsa della malattia. In questo ambito è stato identificato il gene della apolipoproteina E della quale esistono tre forme: E2, E3 ed E4, sotto il controllo di un gene localizzato sul cromosoma n. 14. Mentre l'E2 svolge un ruolo protettivo a livello cerebrale di fronte ad insulti di varia natura (ischemia o traumi per esempio), l'E4 svolge un ruolo opposto, contrastando o non favorendo i meccanismi di riparazione dei tessuto dopo una lesione. Questo è il motivo per il quale i soggetti portatori di E4 hanno un rischio maggiore di contrarre la malattia di Alzheimer rispetto ai portatori di E2. Non si tratta comunque di un rischio assoluto. Esistono infatti portatori di E2 che sviluppano malattia di Alzheimer e portatori di E4 che non la sviluppano. Perciò questo test ha scarso valore nella pratica clinica quotidiana, ossia nella gestione del paziente, soprattutto nel soggetto normale. I FATTORI DI RISCHIO Si definiscono fattori di rischio condizioni e caratteristiche dello stile di vita la cui presenza favorisce, ma non determina con un meccanismo di causa-effetto, la comparsa di una malattia. La loro conoscenza e la loro correzione o rimozione consente di effettuare una prevenzione della malattia prima che questa si manifesti. Nel caso delle malattie cardiocircolatorie sono stati identificati più di 200 fattori di rischio. La sedentarietà e l'eccessivo consumo di grassi ed il fumo di sigaretta, l'ipertensione arteriosa, l'obesità , per esempio, sono fra i più noti fattori di rischio per l'arteriosclerosi. Per la malattia di Alzheimer le nostre conoscenze sui fattori di rischio sono tuttora in una fase iniziale: molti sono gli imputati, ma poche le prove e gli indizi che consentono con sicurezza di fornire indicazioni preventive efficaci. Se si esclude una lieve prevalenza nel sesso femminile, la cui causa è sconosciuta, la malattia di Alzheimer interessa, senza distinzioni, gruppi etnici e classi sociali diversi. La prevalenza della malattia aumenta con l'età, che costituisce pertanto il fattore di rischio più consistente per lo sviluppo della malattia, soprattutto tra 75 e 85 anni. Tuttavia, fra i centenari la malattia di Alzheimer sembra rara; oltre i 90 anni sembra infatti che il rischio di malattia si stabilizzi attorno al 20% della popolazione e nei centenari sembra ridursi. Ciò indica che esistono altri fattori che interagendo con il processo di invecchiamento determinano la comparsa della malattia. Nella tabella 2 sono riportati fattori di rischio per la malattia di Alzheimer; si noti che per la maggior parte le prove a favore o contro sono tuttora inconsistenti. Si tratta di fattori che sono oggetto di un'accesa discussione e di vivace ricerca, soprattutto il consumo di farmaci antidolorifici e l'assunzione di estrogeni nella post-menopausa. Tabella 1 Fattori di rischio per la malattia di Alzheimer Età avanzata (**) Familiarità (**) Sesso femminile (?) Bassa scolarità (*) Traumi cranici (?) Depressione (*) Ipotiroidismo (?) Diabete (?) Esposizione a alluminio e zinco (?) Fumo di sigarette (ruolo protettivo)(?) Estrogeni (ruolo protettivo)(?) Consumo di farmaci antidolorifici (ruolo protettivo)(?) Consumo di sostanze anti-ossidanti (per es. la vitamina E)(ruolo protettivo)(?) ** le prove sono consistenti *le prove sono parzialmente consistenti ? prove insufficienti I PROBLEMI ED IL LORO TRATTAMENTO COME AFFRONTARE I PROBLEMI ASSISTENZIALI QUOTIDIANI Superata la fase della diagnosi, per alcune persone (15-20%) c'è la possibilità di un ritorno alla normalità, grazie ad interventi chirurgici o ad opportuni trattamenti farmacologici. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, inizia un percorso caratterizzato dall'evoluzione della demenza, costellato di problemi che coinvolgono l'intera famiglia ed i servizi sanitari ed assistenziali. La storia di un paziente è profondamente diversa rispetto a quella di ogni altro. È pertanto difficile definire, se non in linea generale, quale possa essere la successione dei problemi. È consigliabile che questi ultimi vengano affrontati man mano si presentano, tramite un colloquio costante con il proprio medico di fiducia. Maggiore importanza per i familiari riveste la conoscenza delle cause di alcuni sintomi e delle modalità più corrette per affrontarli. Soprattutto è importante adottare e mettere in atto interventi affinché, nel limite del possibile, molti problemi possano essere evitati o prevenuti. È necessario essere consapevoli che l'evoluzione della malattia impone ai familiari un costante adeguamento nel proprio atteggiamento e nelle proprie aspettative alle mutate condizioni del malato. È altrettanto importante sapere che, malgrado l'evoluzione progressiva della malattia, c'è sempre lo spazio per fare qualcosa, perché il malato viva con dignità. C'è sempre lo spazio per tamponare lo stress e conservare una buona qualità di vita. Non si tratta di adottare un atteggiamento forzatamente dominato da un vuoto ottimismo; al contrario è necessario sapere che, anche nel malato più grave, c'è sempre lo spazio e l'opportunità per migliorare le condizioni di vita. Lo sforzo di creare condizioni che contrastino le sopravvenute disabilità richiede affetto, pazienza, ottimismo, fantasia e versatilità; queste qualità vengono mostrate dalla grande maggioranza dei familiari che si impegnano affinché il proprio caro possa vivere "comunque" nel migliore dei modi. L'amore, la generosità, l'affetto e la gratitudine possono essere corroborate e rafforzate, ed il senso di frustrazione attenuato, dalla conoscenza della malattia e da alcuni consigli su come gestire i problemi assistenziali. L'atteggiamento più corretto deve evitare da una parte il senso di disperazione e di impotenza, dall'altra le false speranze. È fondamentale, infine, che i fornitori d'assistenza dispongano, fin dall'inizio della malattia, di spazi di tempo libero nell'arco della giornata, ricorrendo a familiari, amici oppure ai servizi pubblici. Nelle pagine seguenti vengono affrontati i problemi principali che caratterizzano il decorso della demenza. LA COMUNICAZIONE E' noto che la malattia di Alzheimer e le altre demenze compromettono le capacità di comunicazione del paziente. D'altra parte la capacità di comunicare con il paziente demente (cioè di capire ed essere capiti) da parte dei familiari e degli operatori costituisce il fondamento del successo di qualsiasi strategia assistenziale. Il demente è in grado di ascoltare, ma talvolta può non capire ciò che gli si dice, così come può manifestare difficoltà nell'utilizzo corretto delle parole. Infatti, il vocabolario di parole che una persona ha acquisito si riduce, con la conseguenza che il paziente tenderà ad utilizzare frasi sempre più "povere" con vocaboli semplici e di uso comune oppure ricorrerà a frasi o parole passepartout: per esempio, per indicare un oggetto di cui non ricorda il nome, dirà "quella cosa li" oppure "dammi la cosa che serve per mangiare". Dall'altra la capacità di memorizzare il contenuto di ciò che un interlocutore gli sta dicendo si affievolisce sempre più. Le difficoltà di comunicazione con la persona affetta da demenza hanno quindi certamente alla base i deficit sensoriali, gnosici (cioè di comprensione), mnesici, linguistici del paziente, ma anche l'atteggiamento di chi si pone in contatto con il paziente assume grande importanza. La mancanza di consapevolezza (per ignoranza o per meccanismi di difesa psicologici) porta i familiari o gli operatori ad usare strategie comunicative errate (cioè non mirate al demente, ma mirate ad una persona "normale") e ad essere sostanzialmente incapaci sia di capire che di farsi capire. Questi atteggiamenti sono tra le cause più frequenti dei fallimenti dei programmi di cura ed assistenza, determinando frustrazioni dei caregivers e disturbi del comportamento nel paziente. La capacità degli operatori e dei familiari di interpretare il linguaggio del demente, fatto non più di espressioni verbali compiute e significanti, ma spesso fatto di comportamenti (anche "anormali" rispetto a standard usuali), di atteggiamenti del corpo, di espressioni del viso, è di fondamentale importanza per stabilire una relazione significante. Se la forma del linguaggio del demente è spesso di difficile comprensione, ancor più lo è il contenuto. Fra i contenuti più frequenti vi sono quelli di tipo depressivo ed ansioso. Quale significato dare al pianto, alla paura, all'apatia ed alla chiusura del paziente demente anche grave? E' il segno di una "sofferenza" psicologica? di un disagio ambientale? di un danno neurobiologico? di un elemento di personalità predisponente? Un problema particolare riguarda il rapporto fra il paziente demente ed il medico. Il rapporto medico-paziente è basato fondamentalmente, e da sempre, su modalità comunicative. Il paziente si rivolge infatti al medico prima di tutto per comunicare una sofferenza ed un disagio ed il medico fonda la sua abilità diagnostica, prima che sul risultato di esami più o meno complessi e moderni, sulla sua capacità di comprendere ed interpretare i messaggi (verbali e non) del suo paziente. Anche la risposta terapeutica si fonda prima ancora che sulla prescrizione sulla comunicazione; anzi la stessa efficacia dei farmaci è, in molte condizioni, fortemente condizionata dalla comunicazione del medico stesso. La malattia di Alzheimer (e la demenza in generale) introduce in questo paradigma elementi assolutamente peculiari che riguardano sia le capacità di "espressione" che di "comprensione" del paziente demente. I complessi deficit cognitivi che si manifestano nella persona affetta da demenza, infatti, compromettono la capacità del paziente di esprimere in modo diretto la presenza dei sintomi. E' generalmente chi sta intorno al paziente (i familiari, gli amici, i colleghi di lavoro) che si rende conto che "c'è qualcosa che non va", che il paziente "non è più lui" e pertanto si rivolgono al medico. Questo non significa che il demente perda completamente la consapevolezza della propria condizione di malattia, ma che talora questa avviene più a livello di percezione che di manifestazione razionale. Così il paziente esprimere questa sensazione di malattia per lo più attraverso variazioni dell'umore, perdita degli interessi, sintomi d'ansia, paure, irritabilità, depressione. Talora in realtà i pazienti, anche i più gravi, possono avere momenti (talvolta fugaci, ma anche, meno raramente di quanto si possa credere, frequenti e persistenti) nei quali esprimono con terribile chiarezza la loro consapevolezza. Un problema complesso nella gestione clinica e nell'assistenza alle persone dementi è la compromissione della capacità di riferire sintomi che riguardano malattie del corpo. I pazienti affetti da tendenza tendono generalmente a sotto-riferire i sintomi di malattia somatica e pertanto possono essere a maggiore rischio per malattie somatiche "occulte" e molte condizioni patologiche potenzialmente trattabili vengono misconosciute. Inoltre, le manifestazioni cliniche delle malattie somatiche possono essere atipiche e stereotipate nei soggetti dementi e la comparsa di malattie acute o la riacutizzazione di quelle croniche manifestarsi con stati confusionali, alterazioni comportamentali (agitazione, insonnia, affaccendamento, deliri o allucinazioni). Altro elemento fondamentale del rapporto con la persona demente è la capacità di "farsi capire", utilizzando strategie comunicative che, cercando di superare i limiti di comprensione del paziente, hanno come fondamentale obiettivo la possibilità di mantenere un legame fra il paziente ed il modo delle persone che lo circondano, particolarmente i familiari e chi ha la responsabilità della salute. La comunicazione è sia verbale che non-verbale. Uno dei primi sforzi che devono compiere le persone che vivono con un demente è quello di rendere più semplice (e quindi comprensibile) la comunicazione verbale. Vi sono alcune semplici regole da seguire: parlare lentamente, ad un normale livello di voce, scandendo le parole; usare parole brevi, familiari e frasi semplici; porre solo una domanda o richiesta o ordine per volta; preferire le espressioni positive piuttosto che quelle negative; evitare istruzioni che richiedano al paziente di ricordare più di una azione alla volta; rispondere alle stesse domande con le stesse risposte. In questa situazione assume grande significato la comunicazione non verbale; il paziente demente, infatti, è molto sensibile all'atteggiamento del corpo ed al tono della voce. Un atteggiamento rilassato, una voce calma, e modi rassicuranti aiutano una buona comunicazione con il paziente, così come accompagnare le istruzioni con atteggiamenti che mimano ciò che si vuole dal paziente (le azioni parlano più delle parole) e mostrare l'approvazione per ciò che viene fatto bene (un sorriso, una carezza). Quando il paziente fatica a comprendere le parole scritte si potranno utilizzare manifesti e segnali per ricordare al paziente che cosa e come deve utilizzare le cose. La possibilità di "farsi capire" è un elemento che permette di mantenere un legame affettivo "vitale" con i familiari e costituisce, all'interno dell'abitazione, così come negli ambienti di cura od assistenza, la premessa per qualsiasi intervento terapeutico o riabilitativo. L'ABBIGLIAMENTO E LA CURA DELLA PERSONA Una regola generale di tutte le attività giornaliere (vestirsi, lavarsi, mangiare, ecc.) consiste nell'evitare di aiutare troppo il malato. Se questi non è incoraggiato a compiere un'attività quotidiana tenderà a perdere più precocemente la capacità di compierla. Al contrario è importante stimolarlo il più possibile a cavarsela da solo: le abitudini e le capacità perse non si riacquistano più. La difficoltà a scegliere i vestiti ed a indossarli nella sequenza corretta rappresenta uno dei sintomi più precoci che compaiono dopo i primi due-tre anni di malattia. Questa incapacità deriva sia dalla compromissione della memoria, sia dalla difficoltà ad eseguire compiti di precisione, quali l'allacciarsi le scarpe, fare il nodo alla cravatta oppure allacciare un bottone. Anche se la persona è capace di vestirsi da sola, è consigliabile restarle vicino; può essere necessario ricordarle quali capi indossare. È necessario limitare il numero dei vestiti nell'armadio: troppi creano confusione e rendono difficile la scelta. Se il malato non è in grado di scegliere i vestiti è opportuno preparare i singoli indumenti già in ordine corretto per la vestizione: prima la biancheria, poi i vestiti, quindi le scarpe. Se la persona indossa un indumento in modo sbagliato, è opportuno intervenire con molto tatto, aiutandola a ripetere l'operazione in modo corretto. Se compaiono difficoltà nell'allacciatura è utile dotare gli abiti di lunghe cerniere lampo o chiusure in velcro. È preferibile evitare che la persona stia tutto il giorno in pantofole: scarpe ben allacciate costituiscono un utile sostegno per il piede ed aiutano a deambulare con sicurezza. Un aspetto esteriore curato e ordinato è molto importante per la dignità del malato: anche se mostrerà un progressivo calo di interesse per il proprio aspetto, è necessario esortarlo a prendersene cura, per esempio lodandolo quanto è ben vestito e pettinato e conducendolo periodicamente dal parrucchiere. Fin dalle prime fasi della malattia, è consigliabile persuadere il malato ad utilizzare un rasoio elettrico: così sarà in grado di continuare a radersi per più tempo e soprattutto senza pericolo. L'ALIMENTAZIONE La persona malata può essere sempre meno interessata all'alimentazione oppure, al contrario richiedere insistentemente del cibo, talvolta anche a breve distanza dal pasto precedente; può inoltre avere problemi nel mangiare certi cibi o nell'usare le posate. È regola fondamentale che l'alimentazione si a ben bilanciata e contenga tutti gli elementi essenziali: proteine, grassi, carboidrati, fibre, vitamine, minerali ed una buona quantità di liquidi, almeno un litro al giorno. È importante informare sempre l'ammalato di quale pasto della giornata si appresti a consumare (colazione, cena, merenda, ecc.) e consentendogli di scegliere ciò che desidera. Può essere utile servire una portata per volta e solo dopo che questa è stata finita passare alla successiva. Un criterio generale da seguire sempre consiste nel non travolgere la persona con una eccessiva offerta: costringerla a fare una scelta può solo disorientarla ed aumentarne la confusione. È fondamentale che i denti (o la dentiera) siano in buono stato. Poiché le operazioni del pasto diventano sempre più difficoltose, è consigliabile usare tovaglie di plastica, tovaglioli molto assorbenti, bicchieri che non si rovesciano. Qualora il malato tenda ad usare le mani è opportuno fare in modo che i cibi vengano serviti in forma solida ed in bocconi che possano essere facilmente deglutiti. È preferibile riservare il pasto principale all'ora di pranzo, in modo da limitare problemi digestivi serali o irrequietezza durante la notte. Se la persona rifiuta di mangiare cibi essenziali, è necessario ricorrere ad integratori alimentari. Se non esistono condizioni di malattia quali il diabete o altre che richiedono una dieta specifica, nell'Alzheimer l'alimentazione è assolutamente libera e deve essere, oltre che fonte di nutrimento per l'organismo, anche un momento piacevole della vita quotidiana. È buona regola, pertanto, variare quotidianamente il menu ed accondiscendere alle richieste del malato. LE PIAGHE DA DECUBITO Con il termine di "piaga da decubito" si intende una lesione localizzata della cute e dei tessuti sottostanti, causata da una prolungata ed eccessiva pressione che si sviluppa sulle parti del corpo a contatto con il piano di appoggio. La comparsa di piaghe da decubito è particolarmente frequente nella terza età; è causata dall'immobilità ed da altri fattori di rischio frequenti nella popolazione geriatrica. Le piaghe da decubito sono diffuse soprattutto nei reparti dove le attrezzature sanitarie sono inadeguate ed il personale di assistenza non è numericamente sufficiente ed opportunamente istruito. I pazienti con piaghe da decubito e quelli a rischio mostrano una maggiore utilizzazione delle risorse sanitarie; la lunghezza media in caso di ricovero è infatti dalle 3.5 alle 5 volte superiore. È stato calcolato che una volta che una piaga da decubito ha cominciato a svilupparsi, il tempo di assistenza aumenta del 50%. Inoltre, coloro che sopravvivono presentano un elevato rischio di essere istituzionalizzati. Sono state proposte numerose classificazioni delle piaghe, ma ancora oggi non è stato chiarito completamente il tipo e l'importanza dei fattori che le provocano. Fra tutti i fattori che condizionano la comparsa di piaghe l'immobilità è sicuramente la più importante. Molte malattie fisiche e psichiche possono esserne causa nell'anziano; le più comuni sono i disordini muscolo-scheletrici (frattura di femore, artrosi), neurologici (esiti di paralisi) e cardiovascolari (grave scompenso cardiaco, arteriopatie obliteranti periferiche). L'immobilità agisce principalmente tramite due meccanismi: la compressione e lo stiramento, che bloccano l'afflusso di sangue alla cute. Nelle persone sane non si sviluppano le piaghe da decubito anche se stanno a letto o sedute per lungo tempo, perché le zone compresse sono dolenti e inducono al movimento, con il quale si ripristina il flusso sanguigno. Nell'anziano, per modificazioni della sensibilità tattile e dolorifica che accompagnano molte malattie, tale meccanismo di difesa è inefficiente e può addirittura mancare. L'immobilità riduce od elimina totalmente la capacità di compiere i movimenti volontari ed involontari necessari per scaricare periodicamente le zone sottoposte a compressione. Una pressione elevata per un tempo breve è meno lesiva per la cute che una bassa pressione per lunghi periodi. L'incontinenza fecale è un fattore di rischio per lo sviluppo delle piaghe da decubito più importante rispetto all'incontinenza urinaria; se confrontata con l'immobilità ha però un ruolo secondario, che è basato sulla macerazione cutanea e sull'azione di batteri e tossine. Le piaghe da decubito riconoscono spesso cause farmacologiche, come l'uso di sonniferi e tranquillanti, che favoriscono la tendenza al sonno ed all'immobilità. Anche la scarsa attenzione ed impegno terapeutico nei confronti del paziente, l'insufficiente sorveglianza ed istruzione del personale di assistenza, la sottovalutazione del danno iniziale e l'uso non corretto dei presidi sanitari (padella, catetere, lenzuola, velli) sono da annoverare fra le cause legate ad un errato intervento sanitario. Alla base della prevenzione delle piaghe da decubito sta l'identificazione del paziente a rischio. In tal modo è possibile concentrare su pochi soggetti l'uso di tecniche specifiche e l'impegno assistenziale, che non possono essere estesi a tutta la popolazione geriatrica. È a "rischio" il paziente che non è in grado di compiere movimenti volontari o involontari tramite i quali scaricare periodicamente la pressione cui sono sottoposte le aree del corpo a contatto con la superficie di appoggio. Senza l'eliminazione della pressione locale ogni misura preventiva e terapeutica è inutile. Per ridurre la pressione locale sono stati ideati vari tipi di presidi dotati di "superfici mobili" e di "superfici non rigide", come il materasso a pressione alternata, il letto a piano di appoggio variabile, il letto elettrico rotante e rispettivamente il materasso ad acqua ed il materasso di materiale supersoft. È importante precisare che l'uso di presidi antidecubito diminuisce, ma non elimina il bisogno di cambiamenti di posizione. Non esiste un'unica posizione corretta per il riposo a letto, perché è fondamentale il cambiamento periodico del decubito. Il paziente non deve mai giacere sulla sede della piaga nemmeno per pochi minuti, anche in presenza di presidi antidecubito. Girando il paziente ad intervalli di due ore, giorno e notte, si riduce la durata della pressione localizzata e si permette la ricircolazione del sangue nella cute, minimizzando così il rischio delle piaghe. Il cambiamento di posizione è un metodo tradizionale di prevenzione delle piaghe da decubito e presenta alcuni limiti, come l'enorme tempo di assistenza richiesto ed il disturbo arrecato al paziente, soprattutto se i movimenti sono dolorosi. La notte è il momento di maggior rischio, perché l'attività generale è minore e la tendenza naturale porterebbe a non disturbare il paziente. LE CADUTE Particolare importanza riveste la prevenzione delle cadute a causa della loro potenziali, gravi, conseguenze. Le cause di caduta nel paziente con demenza, come nella popolazione anziana generale, sono molteplici. È necessario valutare, ai fini preventivi, rischi quali il consumo di farmaci (sedativi, sonniferi, antidepressivi...), nonché la presenza di patologie concomitanti; poiché numerose malattie possono causare cadute, queste ultime devono essere considerate "eventi spia" per la presenza di una patologia che va accuratamente ricercata. Come prevenire le cadute, che sono caratterizzate nell'anziano da pesanti conseguenze sulla sopravvivenza e sulla qualità della vita? L'evento "caduta" risulta della combinazione di più condizioni o fattori di rischio, alcuni dei quali sono modificabili. Le mutate condizioni dell'anziano per quanto riguarda il controllo dell'equilibrio e dell'andatura sono in parte legate all'invecchiamento fisiologico ma soprattutto alla presenza di malattie croniche. È risaputa l'importanza della cura delle malattie nel prevenire le cadute e degli interventi di riabilitazione per migliorare le capacità di deambulazione. Altrettanto importanti sono le caratteristiche dell'ambiente in cui l'anziano vive. L'anziano viene a trovarsi, col tempo, in un ambiente (sia domiciliare, ospedaliero o istituzionale), che non è stato pensato né realizzato per venire incontro ai suoi bisogni. Nel demente l'ambiente diviene progressivamente sempre più estraneo per la perdita della capacità di riconoscerne le caratteristiche. In camera da letto possibili fattori di rischio di caduta sono la mancanza delle luci notturne, la difficile accessibilità agli interruttori della luce, ed in particolare l'altezza del letto o della poltrona, che se non corretta rende molto difficile il coricarsi ed alzarsi dal letto. Il bagno è uno spazio ad elevato rischio di caduta: tutti i servizi sanitari, dalla vasca alla doccia, al bidet sono potenziali cause di scivolamento, sia per le caratteristiche di queste superfici bagnate, sia per i movimenti impegnativi che vengono effettuati durante la toilette. Per l'anziano che vive solo le scale sono la sede più comune di caduta, dovuta molte volte alla scarsa illuminazione o ad un'insufficiente lunghezza del corrimano. Circa il 10% delle cadute avviene sulle scale, e maggiormente durante la discesa per mancato riconoscimento dell'ultimo gradino. Il corridoio ed altri spazi normalmente presenti nelle case di riposo (giardino, sala TV, chiesa), nonché la cucina per i residenti a domicilio, sono spesso caratterizzati dalla presenza di ostacoli ambientali quali scaffali, armadietti, vasi di fiori, e ancora tappeti o passatoie non fissi, e da pavimentazioni sconnesse. Inoltre, il rischio di una perdita dell'equilibrio aumenta quando le condizioni ambientali stesse sono meno note: per esempio quando si cambia casa, oppure quando il vecchio è da poco ricoverato in ospedale, o in casa di riposo. Nella maggior parte dei casi le cadute avvengono durante l'esecuzione delle attività abituali, come camminare o cambiare posizione. Solo una minoranza delle cadute avviene durante attività pericolose, come salire sulla sedia o praticare uno sport. Quali possono essere le principali modifiche all'ambiente che si possono introdurre sia al domicilio sia in casa di riposo? L'illuminazione adeguata è un presupposto importante per la prevenzione delle cadute. L'ambiente deve essere illuminato con luce diffusa e non diretta, senza zone d'ombra; gli interruttori vanno posizionati in base alla statura media dei soggetti, all'ingresso di ogni stanza. Utili sono le luci notturne messe in passaggi pericolosi come tra la camera da letto ed il bagno, oltre che nelle stesse stanze. La regolarità dei pavimenti e dei gradini delle scale è molto importante e deve essere controllata periodicamente; i tappeti o le passatoie vanno fissati a terra. Per evitare che il pavimento sia scivoloso, nella cucina e nel bagno è consigliabile l'adozione di tappetini antiscivolo ed in tutti gli ambienti le comuni cere per pavimenti andrebbero sostituite con preparati antiscivolo che garantiscono la stessa lucidità ed igiene. I corrimano devono essere collocati lungo le scale, da ambo i lati, e per tutta la lunghezza delle scale; in bagno sono indispensabili le maniglie di appoggio orizzontali o verticali, e, quando possibile, l'adeguamento dell'altezza dei sanitari agli standard suggeriti dalla legge. In camera, per prevenire le cadute durante le fasi di entrata e di uscita dal letto, è possibile adeguare l'altezza del letto stesso, che deve essere leggermente più alto (60 cm. da terra) per i soggetti con difficoltà alla deambulazione. In tutti gli altri ambienti è importante liberare i percorsi abituali da vasi, armadi o altri ostacoli ingombranti, ed eliminare poltrone o sedie troppo basse: sono consigliate sedie con schienale rigido ed i braccioli. Adeguare l'ambiente alla persona anziana non significa tuttavia apportare modifiche tali da peggiorare l'estetica di un appartamento o di una casa di riposo: è possibile infatti, senza privare l'anziano dei propri ricordi, migliorare la funzionalità dell'ambiente in cui vive, per renderlo più sicuro. Talvolta la zona notte è ubicata al piano superiore rispetto al giorno e ciò richiede l'impiego delle scale; se vi è pericolo di caduta oppure il paziente non deambula quasi più può essere opportuno attrezzare un angolo del piano giorno con un letto ed un comodino, possibilmente vicino al bagno. Gli interventi necessari per creare un ambiente privo di rischi possono richiedere un impegno finanziario. I benefici di questi interventi sono comprensibili se si pensa alle possibili conseguenze di una caduta nella persona anziana, quali l'ospedalizzazione o il ricovero in una residenza sanitaria assistenziale, accompagnati da compromissione dell'indipendenza, e della qualità della vita. L'INCONTINENZA La comparsa di incontinenza accompagna costantemente ogni forma di demenza. Nella malattia di Alzheimer l'incontinenza si manifesta in uno stadio intermedio della malattia. Nella demenza vascolare ischemica (arteriosclerotica) può essere presente fin dalle fasi iniziali. L'incontinenza può inoltre essere il primo e precoce segno, accanto al disturbo di memoria e a difficoltà nella deambulazione, di una forma di demenza suscettibile di guarigione quale l'idrocefalo normoteso. Più in generale l'incontinenza è presente nel 40-60% dei pazienti dementi deambulanti; tuttavia è un sintomo che spesso può essere controllato o curato. Le principali cause reversibili di incontinenza urinaria sono lo stato confusionale acuto, la riduzione dell'autonomia nella deambulazione e l'allettamento, le infezioni, la stitichezza, ed i farmaci. Prima di considerare l'incontinenza incurabile è necessaria un'accurata valutazione di queste cause. La comparsa di incontinenza deve indurre pertanto a cercare il consiglio di un medico. Spesso i pazienti dementi non sono in grado di inibire la minzione per il tempo necessario a raggiungere la toilette. In questo caso è necessario provvedere con raccoglitori di urine portatili. Anche l'impiego di un abbigliamento che sia facile da togliere, sostituendo le cerniere o i bottoni con chiusure a strappo, può facilitare la continenza. Spesso il paziente demente non sa dove è localizzata la toilette; in questo caso possono essere utili indicazioni colorate che tracciano il percorso verso il bagno. L'impiego dei colori per indicare la destinazione d'uso di un ambiente consente di superare la difficoltà che molti pazienti hanno a leggere cartelli riportanti scritte. D'altra parte può essere utile l'impiego contemporaneo di cartelli purché le indicazioni scritte siano chiare e ben leggibili. Una volta instauratasi un'incontinenza irreversibile, è opportuno programmare la minzione, accompagnando periodicamente il paziente in bagno ogni 2-3 ore, soprattutto appena si sveglia al mattino, prima di coricarsi e una volta durante la notte. Può essere utile impiegare raccoglitori per urine esterni soprattutto di notte e limitare l'apporto di liquidi nelle ore serali. L'impiego del catetere vescicale a permanenza è da limitare il più possibile poiché predispone alle infezioni urinarie ed ha conseguenze negative sul piano psicologico. L'impiego del catetere vescicale può essere preso in considerazione nel paziente allettato con piaghe da decubito, oppure quando l'incontinenza non può essere corretta con interventi medici, chirurgici o con presidi esterni. La tempestiva valutazione delle forme reversibili di incontinenza ed il corretto controllo delle forme croniche consentono di limitare le conseguenze fisiche e psicologiche a carico del paziente, il sovraccarico assistenziale dei familiari e degli operatori nonché di contenere l'impatto economico derivante dal ricorso ai presidi per l'incontinenza (pannoloni). LE MALATTIE CONCOMITANTI Il paziente demente è a rischio di sviluppare malattie -quali, per esempio, cadute, disidratazione, stitichezza, riacutizzazione o scompenso di malattie croniche, malnutrizione- che aumentano ulteriormente il grado di dipendenza. La presenza di una malattia anche di lieve entità può rappresentare la causa di un'accentuazione nel livello di confusione oppure della comparsa di irritabilità o agitazione. Talvolta l'agitazione precede di qualche ora la comparsa di sintomi indicativi di malattia, quali per esempio la febbre. Le difficoltà di comunicazione del paziente, tuttavia, rendono spesso difficile l'identificazione tempestiva dei sintomi della malattia concomitante. È necessario rivolgersi al medico curante qualora il paziente presenti un improvviso peggioramento del livello di autonomia o delle capacità intellettive, nonché allorquando compaia una modificazione comportamentale; prima di accettare le modificazioni, sia nell'autonomia che nel comportamento, come conseguenza della demenza è importante escludere altre condizioni patologiche, quali malattie cardiache, infezioni (urinarie o polmonari), disidratazione, iper/ipoglicemia ed ipotensione arteriosa. Gli stessi sintomi psichiatrici quali i deliri, le allucinazioni o l'agitazione possono essere scatenati da malattie o da farmaci. I deficit della vista e dell'udito possono favorire la comparsa di disturbi comportamentali, contribuendo al disorientamento ed alla ridotta percezione dell'ambiente circostante. La fatica, l'ansia e lo stress, particolarmente frequenti nei soggetti con deficit cognitivi, possono anch'essi essere accentuati da un habitat inadeguato, da un cambiamento di ambiente oppure da eccessive sollecitazioni dei familiari che non possono essere corrisposte. I pazienti dementi presentano le stesse condizioni patologiche, spesso concomitanti, tipiche della popolazione anziana: artrosi, ipertensione arteriosa, ictus cerebrale, angina pectoris o infarto miocardico, diabete mellito, cataratta, deficit uditivo, tumori. Se una persona lamenta insistentemente un sintomo e lo riporta con le medesime caratteristiche è opportuno avvertire il proprio medico. Al fine di prevenire alcune complicazioni è necessario, nel limite del possibile, cercare di modificare l'ambiente domestico per ridurre le fonti di pericolo, favorire un'alimentazione ed un'idratazione adeguate (eventualmente ricorrendo a integratori alimentari), un igiene accurata dei denti e dei piedi e controllare la regolarità della funzione intestinale. LA CONFUSIONE Accade frequentemente nel corso della malattia che il malato presenti accentuazioni, apparentemente inspiegabili, del livello di confusione: talvolta è assopito, rallentato nei movimenti; altre volte si presenta agitato o irritabile. L'episodio confusionale acuto, definito anche col termine di delirium, è un evento frequente nell'anziano, che però è difficilmente identificabile nel demente. I fattori che predispongono l'anziano allo stato confusionale acuto sono molteplici e includono i processi di invecchiamento del cervello, malattie dell'encefalo, la compromissione della vista e dell'udito, l'alta prevalenza delle malattie croniche, una ridotta resistenza alle malattie acute, una diversa risposta ai farmaci, la riduzione del riposo notturno, il lutto o il collocamento dell'anziano in ambienti non familiari. Lo stato confusionale acuto è sospettabile in presenza di una modificazione acuta del paziente sia essa comportamentale, funzionale o del livello di coscienza. Lo stato confusionale acuto è una malattia caratterizzata da una compromissione globale delle funzioni cognitive, ad inizio brusco, di breve durata (solitamente meno di un mese) e accompagnata da disturbi dell'attenzione, del ciclo sonno-veglia e del comportamento psicomotorio. L'attenzione diviene fluttuante e può risultare difficile, se non impossibile, interessare il paziente alla conversazione. Il pensiero perde la sua usuale chiarezza e finalità, appare frammentato e disorganizzato; il paziente non è in grado di mantenere un flusso coerente di pensiero. Il linguaggio in certi casi è ridotto e in altri casi concitato e incoerente con salti da un argomento all'altro. Frequenti sono le false interpretazioni, le illusioni o le allucinazioni; lo sbattere della porta può essere interpretato come un colpo di pistola; le pieghe della coperta possono sembrare oggetti animati. Frequenti sono le allucinazioni visive. Il ciclo sonno veglia è quasi invariabilmente disturbato e frequenti sono le fluttuazioni dall'insonnia alla sonnolenza. Il paziente è disorientato nello spazio e nel tempo, spesso è iperattivo; la memoria è invariabilmente compromessa. Possono essere presenti inoltre ansietà, paura, rabbia, euforia, tremori, sudorazione e tachicardia. Le malattie e i disordini che più comunemente causano stato confusionale nell'anziano sono le infezioni, lo scompenso cardiaco, l'infarto del miocardio, il diabete, l'insufficienza renale, l'ipoglicemia, la disidratazione e l'epilessia. Lo stato confusionale acuto è particolarmente frequente tra i pazienti ricoverati in unità chirurgiche per fratture del femore o per altri interventi chirurgici. Un'altra causa frequente di confusione è l'uso scorretto di farmaci tra i quali i sonniferi, gli ansiolitici, gli antidepressivi, i neurolettici. La comparsa di episodi confusionali acuti può pertanto essere sostenuta da molteplici fattori causali: malattie acute o croniche riacutizzate; farmaci dotati di effetti sul cervello; modificazioni ambientali. Altre cause di episodio confusionale acuto sono rappresentate dall'ospedalizzazione e dagli interventi chirurgici. Anche il dolore fisico può scatenare uno stato confusionale; questa causa deve essere tenuta in considerazione soprattutto nei soggetti incapaci di comunicare. Un corretto trattamento dello stato confusionale acuto presuppone che le cause sottostanti siano identificate. Una stanza silenziosa, bene illuminata, un grande orologio visibile, un calendario, pochi oggetti familiari possono calmare il paziente e aiutarlo ad orientarsi nello spazio nel tempo. I pazienti devono essere informati e rassicurati che lo stato confusionale è un disordine transitorio; se il paziente è particolarmente agitato è necessario un intervento farmacologico. La comparsa di un episodio confusionale acuto, sia per i problemi diagnostici differenziali che pone sia per le necessità assistenziali, richiede un intervento tempestivo ed intensivo espletabile in ambiente ospedaliero; deve essere pertanto affrontato come un' urgenza geriatrica. I DISTURBI COMPORTAMENTALI Nel 1907 Alois Alzheimer descrisse una donna di 51 anni che presentava disorientamento temporo-spaziale, disturbi della memoria, sintomi depressivi e deliri di persecuzione e di gelosia. La paziente accusava il marito di infedeltà, il medico ed i vicini di casa di attentare alla sua vita e frequentemente presentava allucinazioni uditive. Quella donna è il primo esempio della malattia che prenderà il nome di demenza di Alzheimer. Le demenze sono caratterizzate da un nucleo di disturbi secondari al deficit di memoria e delle altre funzioni intellettive al quale si affiancano invariabilmente e con modalità diverse un'ampia gamma di sintomi definiti con il termine disturbi comportamentali o sintomi psichiatrici. I sintomi comportamentali costituiscono un problema clinico di non sempre semplice gestione, nonché una pesante fonte di stress e sovraccarico assistenziale per i familiari. La presenza di disturbi comportamentali, inoltre, contribuisce a peggiorare ulteriormente il livello di autonomia nelle attività quotidiane già compromesso a causa dei deficit cognitivi. Nella demenza di Alzheimer l'agitazione è presente nel 24-61%, l'aggressività nel 21%, il vagabondaggio (vagare senza scopo) nel 26%, i deliri nel 30-50%, i disturbi del sonno (insonnia o inversione del giorno con la notte) nel 50% , la depressione nel 40-50% dei casi. Altri sintomi non cognitivi comprendono le modificazioni della personalità, l'alterazione dell'alimentazione (fame eccessiva oppure inappetenza), le allucinazioni, il peggioramento dello stato confusionale nel corso del tardo pomeriggio, nonché le reazioni esagerate o catastrofiche. Altri sintomi, ancora, consistono nella sospettosità, nell'apatia fino al mutismo, nella ripetitività, nell'uso di linguaggio osceno o scurrile, nel rifiutare l'assistenza, nel nascondere le cose, nel trascorrere la giornata in modo affaccendato manipolando oggetti o parti dei propri vestiti (affaccendamento). I deliri sono particolarmente frequenti anche all'esordio e nel primo anno di malattia. Nella grande maggioranza dei casi il sintomo è costituito da deliri di latrocinio, gelosia e di persecuzione. Nell'ambito dei sintomi psichiatrici particolare importanza rivestono le reazioni catastrofiche per l'impatto che hanno sui familiari; si manifestano talvolta in seguito ad eventi stressanti anche modesti e possono avere durata variabile. Contrariamente a quanto avviene per il disturbo di memoria, i sintomi comportamentali sono spesso suscettibili di correzione tramite l'impiego di farmaci. Disponiamo infatti di un ampio bagaglio terapeutico per l'insonnia e per i deliri. Tuttavia, alcuni sintomi quali per esempio il gridare, il vagabondare, il mutismo o l'anoressia, sono poco sensibili ai farmaci; talvolta si attenuano o scompaiono se accanto al malato c'è la presenza costante di una persona. Un sintomo frequente nelle demenze è il vagabondaggio, il deambulare continuamente senza uno scopo. Anche in questo caso i farmaci non sono efficaci; al contrario possono, provocando sedazione, favorire alcune complicanze: cadute, stitichezza, inappetenza, secchezza della bocca. Nelle pagine seguenti verranno trattati i problemi comportamentali che più frequentemente costellano l'evoluzione della malattia. IL DISORIENTAMENTO Per disorientamento si indica una condizione in cui il malato non è in grado di fornire le coordinate temporali e/o spaziali nelle quali si trova. Per esempio non è in grado di riferire in che posto si trova. Spesso è accompagnato da confusione: presente e passato, nei pensieri della persona si mischiano. Abitualmente il primo disturbo a comparire è l'incapacità di orientarsi nel tempo; solo successivamente anche lo spazio diventa estraneo. Potrà capitare che il malato non si orienti nella propria abitazione e non riesca a trovare il percorso per il bagno o per la cucina. Altre volte il malato, se in quel momento si trova in un'abitazione diversa da quella della sua infanzia o giovinezza, insisterà nell'affermare che quella non è casa sua. È utile installare in modo ben visibile strumenti che possano favorire le informazioni essenziali riguardanti tempo (orologio e calendario con giorno e mese ben visibili), luogo (cartelli alle porte indicanti il nome della stanza), persone, fatti che avvengono o che devono avvenire. È consigliabile l'impiego di una lavagna o un promemoria per le informazioni sulle cose da fare o ricordare; devono, però, essere sempre nello stesso posto e ben visibili. È utile fin dal risveglio richiamare alcune informazioni al malato: "Buona giornata, sono Maria, tua moglie; oggi è martedì ed è proprio una bella giornata". Se la persona insiste nella convinzione che sia un altro giorno è consigliabile non insistere nel contrariarla. È opportuno distrarre la sua attenzione, cambiando argomento, ritornando eventualmente più tardi sulla correzione. È necessario essere molto cauti nel correggere il malato, perché il venire continuamente contraddetto o redarguito può accentuare la confusione. Se la persona ripete in continuazione le stesse domande è consigliabile rispondere senza insofferenza, ricordando che realmente la persona si è scordata la risposta o non ricorda di avervi già posto la domanda. In ogni caso tanto più la persona è informata su che cosa succede e succederà, tanto meno sentirà il bisogno di fare domande. LA DEPRESSIONE La depressione dell'umore costituisce un sintomo molto frequente sia all'inizio che nel decorso della demenza. Si tratta di un sintomo per il quale disponiamo di farmaci efficaci; un recente studio condotto su pazienti anziani ha mostrato che l'86% dei pazienti dementi con depressione rispondeva al trattamento con farmaci antidepressivi. Inoltre, tra i pazienti che presentavano un miglioramento del quadro depressivo, la maggioranza aveva mostrato un lieve ma significativo aumento delle prestazioni cognitive. Purtroppo, spesso la depressione nel demente non viene adeguatamente diagnosticata ne tantomeno trattata. Tra i sintomi più comuni di depressione si osservano la stanchezza, il sonno irregolare, l'inappetenza e la perdita di peso e comportamenti non specifici quali l'agitazione e l'aggressività. Secondo varie esperienze cliniche, la presenza di tre o più di questi sintomi, per un periodo superiore a due settimane può essere considerato un buon criterio per una diagnosi presuntiva di depressione in pazienti dementi. Attualmente esistono una serie di farmaci ben tollerati e la cui azione è stata dimostrata essere efficace nel trattamento della depressione nel demente. Anche i disturbi comportamentali che spesso accompagnano la depressione tendono a scomparire dopo un adeguato trattamento antidepressivo. È importante, tuttavia, fare in modo che la persona abbia qualcosa di interessante da fare ogni giorno, per esempio passeggiare, ascoltare musica, giocare a carte, lavorare in giardino. Semplici attività ripetitive come spolverare, pulire l'argento, lavare piatti possono giovare anche se il lavoro svolto deve poi essere rifatto. L'AGGRESSIVITÀ E L'AGITAZIONE La persona malata può talvolta presentarsi aggressiva. Ciò può essere causato dal danno cerebrale, da altre malattie o semplicemente dal fatto che la persona non capisce cosa stia succedendo intorno a lei. Cosa si intende per "agitazione"? Con questo termine si indicano lo stato d'ansia, di tensione, di irritabilità, il non riuscire a star fermi, l'aggressività fisica e verbale, la confusione, l'attività motoria ripetitiva e i disturbi del sonno. I pazienti dementi frequentemente si presentano agitati sia dal punto di vista motorio che verbale. Tuttavia l'agitazione può essere l'espressione o la spia di altre condizioni di malattia quali il dolore, la stitichezza, la presenza di un infezione. Altre volte l'agitazione è da collegare alla presenza di depressione; infine esistono forme di depressione caratterizzate da incapacità a rimanere fermi, con insonnia, deliri e irritabilità. Anche l'uso scorretto e inadeguato di psicofarmaci può causare spiacevoli effetti collaterali quali senso di inquietudine oppure agitazione psicomotoria. In presenza di agitazione è opportuno rimanere il più possibile calmi, parlando con gentilezza, e cercando di distrarre l'ammalato. Talvolta la semplice vicinanza di un familiare o di un operatore è sufficiente per eliminare il sintomo. In questi casi non si deve discutere: non si tratta di collera o aggressione deliberata nei confronti di chi assiste bensì di un sintomo dovuto alla malattia, alla confusione, al fatto che la persona è oppressa da situazioni che eccedono la sua capacità di affrontarle o controllarle. L'agitazione e la frustrazione possono costituire il preludio alle reazioni di grave agitazione; una risposta calma ed autoritaria nello stesso tempo, associata alla distrazione del paziente, possono essere utili. Una volta sedata l'agitazione è necessario indagare sulle cause che possono averla causata, evitando il più possibile che si ricreino. È utile elogiare la persona per le cose giuste che fa, e non rimproverarla per quelle sbagliate. Se gli attacchi di aggressività diventano più seri e incontrollabili, è opportuno rivolgersi al medico. Esistono vari farmaci che possono controllare l'agitazione. IL VAGABONDAGGIO E L'INSONNIA Camminare incessantemente da un posto all'altro per la casa è un sintomo frequente nel demente. Esso è dovuto principalmente alla semplice e fondamentale necessità di muoversi, come lo è il bisogno di alimentarsi. È importante fare in modo che, all'interno della casa, il malato possa spostarsi senza pericoli, eliminando ostacoli o tappeti. Se necessario si può impedire l'uscita, nascondendo la chiave della porta o dotandola di chiavistelli difficili da azionare, oppure ancora mettendo un catenaccio in un punto della porta in cui la persona non riesca a vederlo. Si può anche utilizzare un campanello simile a quello di negozi o uffici che avverta in caso di apertura della porta. Se vi è la tendenza a camminare per casa durante la notte può voler dire che la persona non è abbastanza stanca per dormire: è opportuno cercare di incrementare la sua attività fisica diurna evitando che dorma troppo durante la giornata. Il buio, comunque, aumenta nella persona la confusione e, quindi, l'agitazione: si deve tranquillizzarla ed, eventualmente, installare lampadine da notte nella camera da letto, nel corridoio e nel bagno per aiutare la persona ad orientarsi nella camminata notturna. Se la persona ha la tendenza a uscire di casa può essere utile accompagnarla quotidianamente a fare una passeggiata. L'insonnia è un problema frequente e spesso complicato dal vagabondaggio notturno. Il malato può alzarsi alle due di notte e desiderare di fare una passeggiata oppure voler fare colazione. Si tratta di un disturbo che affatica i familiari e che può scatenare la richiesta di ricovero temporaneo o definitivo. Come per altro disturbi possono essere presenti cause eliminabili; malattie fisiche, dolori (per esempio crampi muscolari notturno), farmaci, ansia, depressione sono cause frequenti di insonnia. Dopo averle escluse, è possibile adottare interventi ambientali creando un clima rilassante, eventualmente con una musica a basso volume e con fioche luci notturne. È fondamentale evitare sonnellini diurni. L'esercizio fisico moderato deve essere incoraggiato. Se il paziente assume farmaci che favoriscono la diuresi somministrateli il mattino; è utile limitare l'introduzione di liquidi nelle ore serali. Un bagno caldo può favorire il desiderio di addormentarsi. Se anche questi tentativi falliscono, è possibile ricorrere all'impiego di medicamenti sotto il controllo del medico. È infine necessario accettare il fatto che il camminare incessantemente è una conseguenza della malattia non del tutto eliminabile. I DELIRI E LE ALLUCINAZIONI Con il termine di deliri si intende la presenza di convinzioni errate della realtà, non facilmente correggibili e che condizionano il comportamento del malato. Le allucinazioni sono percezioni in assenza di stimoli esterni; nella demenza sono prevalentemente visive. Questi sintomi, soprattutto i deliri, sono di comunissimo riscontro nelle persone dementi, sia con malattia di Alzheimer che con demenza vascolare ischemica. In una elevata percentuale di persone i deliri rappresentano un sintomo presente fin dall'esordio della malattia, accanto al disturbo di memoria. I deliri sono prevalentemente di tre tipi: di persecuzione, di latrocinio, oppure false identificazioni. Nei primi due tipi il paziente crede che qualcuno gli voglia fare del male oppure voglia sottrargli i suoi averi. Nel terzo tipo, il più frequente, il malato può essere convinto che ci sia un'altra persona nell'abitazione; altre volte può non identificarsi nella propria immagine riflessa nello specchio e reagire come di fronte ad un intruso o ad un estraneo che è entrato in casa; ancora può dialogare con un personaggio televisivo credendo che quest'ultimo si rivolga a lui; infine può non riconoscere una persona familiare e scambiarla per un'altra. Molto frequente è l'identificazione della moglie con la propria madre. In presenza di deliri ed allucinazioni è opportuno tentare, con tatto e discrezione, di riportare il paziente ad un rapporto corretto con la realtà. Tuttavia, talvolta, questo comportamento irrita il malato che si sente contraddetto in una cosa di cui è convinto. In altri casi può essere utile distrarre il malato. Talvolta è necessario impedire che guardi la televisione. Può essere necessario eliminare, magari coprendole con un drappo o un'immagine, le superfici riflettenti, a specchio. Se il delirio è insistente ed è fonte di ansia o agitazione per il malato è possibile ricorrere ai farmaci, spesso efficaci. LA FAMIGLIA, L'AMBIENTE ED I SERVIZI LA FAMIGLIA Nelle famiglie con un paziente demente si stabiliscono equilibri e compensi delicati e complessi, dominati dalla fatica e dal dolore, ma non per questo necessariamente fragili. Studi recenti indicano infatti quanto questo equilibrio dinamico sia resistente e si infranga solo di fronte ad eventi gravi, quali la malattia o la morte del fornitore d'assistenza (con conseguente sovraccarico brusco per gli altri familiari) oppure in seguito ad un aggravamento ulteriore e non più sopportabile delle condizioni del paziente. Un ulteriore motivo di rottura dell'equilibrio assistenziale è costituito dai disturbi comportamentali, in particolare l'insonnia ed il vagabondaggio notturno. Molto importante come elemento di sostegno alla famiglia è considerata l'informazione fornita dal medico curante circa la malattia. La possibilità di una corretta assistenza familiare si fonda, per quanto riguarda il personale sanitario, su due aspetti fondamentali: l'informazione ed il supporto. La famiglia deve essere informata sulla natura della malattia, sulle capacità effettive del paziente, sulla necessità di coinvolgerlo in tutte le attività del vivere quotidiano, nonché sulle eventuali modifiche da apportare all'ambiente domestico per facilitare processi di adattamento. Nella tabella 3 sono mostrati, in rapporto ai vari stadi della malattia, i problemi ed i compiti che la famiglia deve affrontare, per i quali è necessario un supporto informativo. Tabella 3 _________________________________________________________________ Stadi della demenza e problemi dei familiari _________________________________________________________________ STADIO I -Abitualmente riconosciuto solo più tardi. -Durata: 2-4 anni. -Sintomi: spesso solo segni minori di compromissione della memoria e dell'intelligenza; perdita di spontaneità e cambiamenti di carattere. -Problemi dei familiari: cercare consiglio medico per la formulazione della diagnosi e per ricevere i primi suggerimenti. STADIO II -Inizia con la diagnosi e termina con la comparsa di incontinenza. -Durata: ampia variazione, da uno a sette anni. -Sintomi: crescenti difficoltà nella comunicazione; compaiono irregolarità del sonno e compromissione dell'autonomia nelle attività quotidiane; possono comparire deliri e deambulazione afinalistica. -Problemi dei familiari: affrontare i sintomi comportamentali anche tramite interventi ambientali. Informarsi sulle caratteristiche della malattia e, se possibile, inserirsi in gruppi di supporto, costituiti da altri familiari con problemi analoghi Imparare a gestire i problemi routinari. Fornire al paziente opportunità di svago e ricreazione. STADIO III -Dall'incontinenza fino alla grave perdita di autonomia ed all'inacapacità di comunicare. -Durata: 2-4 anni. -Sintomi: Problemi alimentari. Perdita del controllo sfinterico. Problemi nella deambulazione. Accentuazione di tutti i deficit cognitivi e funzionali. -Problemi dei familiari: Affrontare i crescenti problemi di gestione della perdita dell'autonomia oppure ricoverare il paziente in istituto. STADIO IV -Dalla perdita della autonomia e della capacità di comunicare fino all'exitus. -Durata: 3-15 anni. -Sintomi: regressione allo stadio fetale; problemi di deglutizione e di alimentazione; rallentamento dei movimenti fino all'allettamento. Decesso abitualmente secondario ad un processo infettivo. -Problemi dei familiari: decidere quali terapie impiegare oppure no (alimentazione artificiale, sondino naso gastrico, terapia antibiotica "aggressiva"...) _________________________________________________________________ Particolare attenzione va posta nella spiegazione del comportamento da adottare di fronte ai numerosi sintomi che caratterizzano, in modo non sempre prevedibile, il decorso della malattia; le indicazioni del medico assumono particolare importanza per i disturbi quali, per esempio, il progressivo decadimento cognitivo o la deambulazione incessante, per nulla o poco controllabili farmacologicamente. Un momento particolarmente delicato è rappresentato dai primi incontri con il malato ed i familiari. È necessario essere consapevoli che il comportamento, definito "strano", per il quale "da un pò di tempo non è più lui", è dovuto alla malattia; che certe reazioni non sono facilmente controllabili; è importante inoltre essere preparati alla variabilità dell'evoluzione della malattia che impone adeguamenti continui. I familiari inoltre riferiscono in modo più o meno manifesto tristezza, scoraggiamento, senso di solitudine o stanchezza; frequente è il senso di colpa, collegato al rifiuto o alla vergogna per il proprio familiare, al fatto che talvolta si perde la pazienza oppure al fatto che si pensa di volerlo ricoverare in casa di riposo. È necessario esaminare questi sentimenti, valutandoli in modo oggettivo e discutendoli, se possibile, con altri familiari con problemi analoghi. È fondamentale sapere che, realisticamente, esiste per tutto il decorso della malattia la possibilità di aiutare il paziente a conservare il proprio benessere. Da quanto esposto fino ad ora è indispensabile che, durante il decorso della malattia, esistano punti di riferimento ai quali la famiglia possa costantemente appoggiarsi man mano che si pongono nuovi problemi. In alcuni ospedali esistono incontri di gruppo con i familiari dei pazienti, per fornire un sostegno psicologico alle loro difficoltà di rapporto col demente. È stato dimostrato come un programma di educazione rivolto ai familiari consenta di migliorare la qualità della vita e ridurre la morbilità psicologica dei fornitori di assistenza, ritardando l'istituzionalizzazione del demente. I familiari dei dementi che periodicamente si incontrano, sotto la guida di un operatore sanitario, presentano una migliore conoscenza della malattia, un minor senso di isolamento, il superamento di alcuni sentimenti indotti dalla malattia del congiunto, una maggior consapevolezza del proprio compito, nonché una maggior capacità di affrontare i comuni problemi quotidiani. L'AMBIENTE E GLI AUSILI PER LE ATTIVITÀ QUOTIDIANE L'adozione di interventi ambientali assume valenza terapeutica fondamentale in condizioni di malattia, quali la demenza, caratterizzate da disabilità ed handicap progressivamente crescenti. In ogni "fase" della malattia l'ambiente può compensare o, al contrario, accentuare le conseguenze del deficit cognitivo e pertanto condizionare sia lo stato funzionale sia il comportamento del paziente. Lo spazio e l'ambiente vitale possono rappresentare perciò, per la persona affetta da demenza, da un lato una risorsa terapeutica, purtroppo spesso sottoutilizzata, dall'altra il motivo scatenante di alterazioni comportamentali apparentemente ingiustificate. Le scelte degli interventi ambientali sono condizionate dalle caratteristiche del paziente e, principalmente, dalla gravità della compromissione cognitiva e dalla natura dei disturbi comportamentali. Nella tabella 4 sono riportate le indicazioni generali per l'adattamento dell'ambiente. Gli obiettivi terapeutici ed i relativi interventi ambientali possono pertanto variare ampiamente da semplici modifiche, come il rimuovere oggetti ingombranti nella propria casa, alla creazione di ambienti specifici completamente nuovi e specificamente finalizzati ad ospitare pazienti con deterioramento cognitivo. Tuttavia, le linee generali e gli obiettivi che condizionano la scelta di uno specifico spazio di vita sono simili per qualsiasi ambiente, sia esso la casa, l'ospedale, oppure la Casa di Riposo. Tabella 4 _________________________________________________________________ Linee guida per l'adattamento dell'ambiente _________________________________________________________________ 1) eliminare le fonti di pericolo; 2) semplificare al massimo l'ambiente e la disposizione degli oggetti; 3) evitare o ridurre al minimo i cambiamenti (cambiare disposizione ai mobili oppure ai quadri può comportare problemi; lo spostamento del letto, ad esempo, può favorire la comparsa di incontinenza poichè il paziente non riesce a trovare la via per il bagno); 4) fornire indicazioni segnaletiche per orientarsi nelle varie stanze; 5) fare in modo che le stanze siano ben illuminate ed evitare la presenza di rumori o suoni disturbanti. _________________________________________________________________ I principali obiettivi terapeutici che devono sorreggere e guidare le relative scelte ambientali sono i seguenti: 1) garantire la sicurezza; 2) compensare le disabilità ed i disturbi della memoria e dell'orientamento; 3) evitare stimoli stressanti e/o ridondanti; 4) rispettare la privacy e le capacità decisionali residue. È opportuno prevedere, anche in casa, l'adozione di ausili e supporti finalizzati a garantire la sicurezza personale quali l'uso di fornelli a gas con sistemi automatici di controllo, l'eliminazione o la riduzione degli ostacoli (tappeti o mobili), nonchè luci di sicurezza notturne ed un'illuminazione adeguata di corridoi e vani scala. Nelle persone anziane sono frequenti i deficit sensoriali, soprattutto della vista e dell'udito; nel paziente demente questi deficit accentuano il livello di compromissione cognitiva e di disabilità. Particolare attenzioni vanno adottate affinchè i pazienti utilizzino le protesi in modo corretto. I colori delle pareti, dei pavimenti e degli oggetti dovrebbero essere ben contrastati per migliorare la capacità di discriminazione da parte dei pazienti; sono consigliati i colori primari, mentre sono da evitare le tonalità morbide. L'impiego dei colori consente anche di compensare la riduzione della capacità di comprendere messaggi verbali (segnali scritti); da qui l'utilità di contrassegnare con i colori spazi o percorsi con diverse destinazioni. Altri ausili ambientali sono costituiti da calendari o orologi, oppure dalla fotografia personale collocata sulla porta di ingresso della propria stanza. I soggetti affetti da demenza possono avere difficoltà a tollerare elevati livelli di stimolazione ambientale senza sperimentare ansia o stress; ciò è da attribuire alla scarsa capacità di conservare il controllo delle afferenze sensoriali e di utilizzarle correttamente. Al contrario, alcuni ambienti istituzionali presentano un livello così scarso di stimolazioni da comportare una condizione di "deprivazione sensoriale" altrettanto deleteria. Esistono, in merito al livello di stimolazioni ambientali ottimali, pareri contrastanti e diametralmente opposti: a chi propone un ambiente ricco di stimoli vi è chi contrappone un ambiente assolutamente asettico e "pulito"; riteniamo che la scelta vada commisurata alle caratteristiche di ciascun paziente. Il soggetto affetto da demenza di Alzheimer con grave compromissione cognitiva e con vagabondaggio afinalistico incessante è sicuramente più "al sicuro" se può deambulare in una stanza priva di suppellettili; al contrario, il paziente con lievi o moderati deficit cognitivi vive meglio in un ambiente il più possibile simile ad un habitat consueto di vita disponendo di uno spazio personale (il comodino, la poltrona o il posto a tavola) e di un luogo in cui "ritirarsi" se lo ritiene opportuno. Gli interventi finalizzati a modificare l'ambiente in cui il paziente vive rivestono particolare importanza in quanto consentono una migliore conservazione dell'orientamento, favoriscono la compensazione delle limitazioni funzionali e facilitano il controllo di alcuni sintomi comportamentali. La persona confusa spesso non è in grado di riconoscere oggetti o situazioni pericolose per la salute. D'altro canto è difficile per i familiari decidere fino a che punto restringere la libertà d'azione della persona. Dovete comunque accettare il fatto che non tutti i rischi possono essere rimossi. Controllate per tutta la casa che non vi siano situazioni idonee a creare incidenti: cavi o apparecchi elettrici difettosi, spine rotte, tappeti arricciati o sfrangiati che possano provocare cadute, ecc. Attenzione speciale va posta per i fornelli a gas: adottate chiavette con lucchetti o appositi allarmi chimici. Se la casa è a più piani le scale devono essere ben illuminate e munite da ambedue i lati di corrimano. Sarebbe, però, meglio che la persona possa vivere al piano terra senza bisogno di usare le scale. Custodite detersivi, coloranti, tutti i prodotti chimici in genere, comprese le medicine, in posti non raggiungibili dalla persona. Si elencano di seguito una serie di raccomandazioni dettagliate, da adottare per l'arredamento e la gestione dell'ambiente familiare. -la casa deve essere resa più semplice possibile, priva mobili ingombranti e con pochi oggetti esposti. -gli oggetti di uso quotidiano devono essere sempre nello stesso posto. -è necessario evitare la presenza di rumori di sottofondo (TV o radio) Il paziente demente abitualmente è più tranquillo in un ambiente calmo. Talvolta può essere utile una musica rilassante. -i tappeti devono essere rimossi oppure fissati al pavimento. -le stanze devono essere ben illuminate -evitare che i pavimenti presentino disegni complessi o che abbiano lo stesso colore delle pareti -è utile disporre delle luci notturne nei corridoi, nella camera da letto e nel bagno -evitare che le scale o i vani scala presentino oggetti ingombranti -dotare le scale di un cancelletto all'estremità -oggetti o strumenti potenzialmente pericolosi devono essere fuori dalla portata (ferro da stiro, rasoi elettrici,...) -pitture, solventi insetticidi ed altre sostanze tossiche devono essere riposte in vani non accessibili al paziente -dotare, se necessario, le porte di chiusure di sicurezza al fine di impedire l'uscita -modificare la chiusura delle porte affinchè il paziente non possa accidentalmente rimanere chiuso in una stanza In cucina: -chiudere il fornello dopo l'uso -riporre i prodotti detergenti in un posto sicuro -riporre i coltelli in luogo sicuro In camera da letto: -eliminare gli oggetti che non vengono impiegati quotidianamente; lasciare solo i vestiti per il giorno -disporre di una buona lampada centrale e di una lampada da notte -eliminare i tappeti attorno al letto -fare in modo che ci sia un percorso facile per accedere al bagno (in alternativa si può disporre di una comoda da collocare accanto al letto) In bagno: -lasciare in vista solo gli oggetti di uso quotidiano (nelle fasi più avanzate anche gli oggetti quali lo spazzolino o il dentifricio possono essere usati in modo improprio e dovranno essere quindi gestiti dal familiare) -non lasciare medicinali alla portata di mano -fornire la vasca o la doccia di maniglioni di appoggio -fornire il WC di maniglioni di appoggio ed eventualmente di presidi per innalzare in piano di appoggio. -dotare il bagno di una luce notturna L'impiego di ausili, ossia di strumenti o accorgimenti ambientali, può consentire all'anziano che ha problemi nell'espletare le comuni attività quotidiane, di superare l' handicap derivante da una o, più spesso, più condizioni patologiche e dalla relativa limitazione funzionale. Uno dei principali problemi che interessano l'anziano è costituito dall'incapacità di gestire autonomamente la propria igiene. D'altra parte l'abilità di lavarsi, fra le varie attività di base della vita quotidiana ( mangiare, vestirsi, deambulare...), è spesso la prima ad essere intaccata quando l'anziano inizia a presentare problemi di autonomia. La conoscenza di strumenti, attrezzature o metodi da impiegare nella cura di sé può aiutare l'anziano a riacquistare o conservare libertà e riservatezza. La conoscenza di questi ausili riveste notevole importanza per coloro che vivono nella propria casa; per gli anziani in istituzione le varie operazioni di igiene personale sono abitualmente condotte dal personale di assistenza talvolta, erroneamente, con scarso coinvolgimento dell'ospite. Anche gli anziani che vivono a casa e che hanno problemi a lavarsi dovrebbero avere vicino un familiare e lasciare la porta del bagno aperta. Qualora gli ausili fossero insufficienti per una gestione autonoma delle varie operazioni di igiene personale, è necessario l'aiuto diretto di un familiare o di una infermiera domiciliare; come alternativa, in alcune città, è possibile effettuare il bagno (ed altre operazioni: pedicure, taglio e riordino dei capelli...) presso centri diurni . È necessario sottolineare che il bagno è il luogo dove più facilmente si verificano cadute legate principalmente all'affollamento degli oggetti ed alla scarsità degli spazi di manovra. Al fine di ridurre sia le difficoltà di movimento sia il pericolo di incidenti è sempre consigliabile usare la doccia anziché la vasca. Possono essere utili uno sgabello con foro per lo scorrimento dell'acqua, un tappetino antisdrucciolo (sia nella tazza della doccia sia appena fuori). Facile da realizzare inoltre è un portasapone a rete dotato di una cordicella la cui estremità va fissata alla parete della doccia o della vasca; questo semplice strumento evita che il sapone possa cadere a terra e consente di insaponarsi con una sola mano. È opportuno che la parete della doccia o della vasca sia dotata di sbarre o maniglioni per permettere all'anziano di sedersi e rialzarsi facilmente. Per chi possiede una vasca è opportuno dotarsi di alcuni ausili. Il fondo della vasca deve essere ricoperto con un tappetino antisdrucciolo che per aderire in modo solido richiede che la superficie di appoggio sia prima inumidita. I tappeti da bagno tendono a logorarsi e devono pertanto essere cambiati ogni due anni circa. Sempre per l'uso della vasca sono disponibili degli sgabelli da appoggiare sul fondo per elevare il piano d'appoggio oppure tavole di legno o di plastica da appoggiare sui bordi. Quest'ultimo ausilio può essere particolarmente utile per le persone colpite da emiparesi; la persona si siede sull'asse volgendo gli arti sani verso la vasca, porta la gamba sana all'interno e quindi con il braccio integro solleva l'arto plegico e lo porta nella vasca. È necessario accertarsi periodicamente che assi e sgabelli non possano scivolare sui bordi o sul fondo. L'operazione del lavarsi può infine essere facilitata dall'uso di manici di diversa foggia, in rapporto alle varie limitazioni, muniti di facili impugnature ed all'altra estremità di spugne, che permettono di raggiungere varie sedi della superficie corporea; sono particolarmente utili per coloro che presentano compromissione della mobilità delle spalle. Tutti i bagni delle persone anziane dovrebbero essere dotati di sbarre (corrimano) per facilitare gli spostamenti soprattutto nella doccia, sopra la vasca e in prossimità del w.c.; in commercio esistono vari tipi di supporti in grado di soddisfare le varie disponibilità economiche. L'anziano inoltre presenta spesso difficoltà ad alzarsi dalle comuni tazze del water. È consigliabile munire il w.c. di un supporto che, appoggiato sul bordo eleva il piano di appoggio, facilitando il movimento di alzarsi in piedi. I SERVIZI PER LA GESTIONE DEL PAZIENTE DEMENTE La scarsa diffusione sul territorio nazionale di servizi assistenziali e sanitari territoriali addossa alla famiglia un ruolo spesso solitario nella gestione del paziente demente. L'unica alternativa alla famiglia è, nella grande maggioranza dei casi, la casa di riposo. In alcune città si stanno realizzando servizi diversificati rispetto all'ospedale ed alla casa di riposo che offrono ai familiari importanti punti di riferimento e sostegno per l' assistenza al malato. Questi servizi, che favoriscono la permanenza dell'anziano nel proprio ambiente di vita, sono costituiti dall'Assistenza domiciliare integrata, dall'ospedalizzazione al domicilio, e dai centri diurni. L'assistenza domiciliare integrata consiste in un complesso di prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative, socio-assistenziali, prestate al domicilio a soggetti non autosufficienti o parzialmente autosufficienti al fine di consentire la permanenza nel normale ambiente di vita e di ridurre il ricorso alle strutture residenziali. Le prestazioni fornite tramite l'assistenza domiciliare integrata sono sanitarie - di base e specialistiche-, infermieristiche, riabilitative, socio-assistenziali, aiuto domestico, igiene della persona, somministrazione pasti, lavanderia, disbrigo commissioni, sostegno psicologico. Per accedere a questo servizio è necessario rivolgersi ai servizi socio-assistenziali di circoscrizione o di distretto. L'ospedalizzazione domiciliare consiste in un servizio, per ora attivato in via sperimentale in pochi centri urbani, al fine di trattenere a casa persone bisognose di ricovero o di rinviare precocemente a casa persone spedalizzate per un proseguimento di cure a domicilio, sotto la responsabilità assistenziale diretta del presidio ospedaliero, il quale opera tramite proprio personale o con la collaborazione del personale dei servizi territoriali. Sia l'assistenza domiciliare integrata che la ospedalizzazione domiciliare sono possibili solo quando esistono familiari o conviventi in grado di garantire un sostegno continuo all'anziano non autosufficiente. I centri diurni sono strutture di tipo aperto che forniscono prestazioni di assistenza e di sostegno alla famiglia. Il centro diurno offre varie prestazioni: servizio di ristorazione, ritrovo, segretariato sociale, di consulenza, attività ricreative e culturali, attività sanitarie prevalentemente di tipo riabilitativo. Nell'ambito dei servizi di centro diurno esistono fondamentalmente due tipologie: la prima, che prevede un'utenza di anziani autosufficienti, la seconda che, al contrario, prevede un'utenza di soggetti con vari gradi di disabilità. Questa seconda tipologia di Centro Diurno può svolgere un compito significativo nel supporto alle famiglie e ritardare le richieste di istituzionalizzazione definitiva del paziente. Le poche esperienze esistenti in Italia prevedono dei servizi di trasporto erogati dal comune, per trasferire il paziente dall'abitazione al centro diurno, dove questi trascorre alcune ore della giornata, abitualmente dalle 9 alle 16. Il personale di cui questi centri orientati all'assistenza di anziani con problemi di autosufficienza deve prevedere la presenza di personale ausiliario, infermieristico, riabilitativo e medico. Le case di riposo saranno nel prossimo futuro sempre più spesso chiamate ad assistere pazienti con decadimento cognitivo. Alcune case di riposo, nell'ottica di una diversificazione delle risposte, stanno creando unità specifiche rivolte a pazienti con disturbi comportamentali. Un altro servizio che alcune strutture offrono e che dovrebbe essere più diffuso consiste nei ricoveri temporanei di sollievo per i familiari, superando così la logica che vede nel ricovero in casa di riposo una scelta definitiva. Il panorama dei servizi rivolti al paziente affetto da demenza, negli ultimi anni, si sta gradualmente adeguando ai bisogni dei pazienti e dei familiari. Nel 1995 la Regione Lombardia ha approvato il Piano Alzheimer, nell'ambito del Progetto Obiettivo anziani. Il Piano Alzheimer consiste in una rete di servizi per offrire risposte adeguate ai bisogni del paziente demente nel corso delle varie fasi della malattia. I nodi principali del Piano sono costituiti da 9 centri per la diagnosi e da 60 unità all'interno delle Residenze Sanitarie Assistenziali (Case di Riposo) chiamate Nuclei Alzheimer. I nove centri regionali hanno, accanto al compito della diagnosi, anche quello della ricerca e della formazione degli operatori sanitari. I nuclei Alzheimer sono piccoli reparti dotati generalmente di 20 posti letto destinati ai pazienti con demenza in fase severa e con disturbi comportamentali rilevanti. Questa unità dispongono di maggior personale rispetto agli altri nuclei della RSA, specificamente preparato nella gestione dei disturbi comportamentali e nella gestione dei pazienti dementi in fase severa. L'introduzione di queste unità speciali ha consentito di ridurre il ricorso alla contenzione fisica e l'impiego di farmaci sedativi, migliorando nel contempo la qualità di vita dei degenti. L'esperienza positiva dei Nuclei Alzheimer della Regione Lombardia si sta estendendo anche ad altre regioni italiane. GLI INTERVENTI RIABILITATIVI Durante l'intero decorso della malattia, al fine di limitarne le conseguenze e di rallentarne l'evoluzione, è possibile ricorrere agli interventi riabilitativi. Gli interventi riabilitativi si definiscono come strategie finalizzate a ridurre l'impatto della malattia sul livello di autosufficienza; consistono in un il complesso di approcci alla persona ammalata che permettono di mantenere il più elevato livello di autonomia compatibile con una determinata condizione clinica. Le manifestazioni cliniche delle demenze che possono essere oggetto di specifici interventi riabilitativi sono molteplici e riguardano i deficit cognitivi (memoria, linguaggio), i deficit sensoriali (vista e udito), i sintomi depressivi, le alterazioni del ciclo sonno-veglia (insonnia), le turbe dell'alimentazione, i deficit motori e la disabilità nelle attività della vita quotidiana. Fra questi ambiti, tuttavia, solo i deficit cognitivi, in particolare la compromissione della memoria nella malattia di Alzheimer, hanno ricevuto una relativa maggior attenzione da parte dei ricercatori. L'obiettivo consiste non tanto nel ripristinare una funzione lesa, bensì nel rallentare la progressione dei deficit cognitivi e funzionali. Le principali strategie e metodiche impiegate nel paziente demente sono illustrate nelle tabelle 5 e 6. Tabella 5 STRATEGIE PER LA RIABILITAZIONE DELLA MEMORIA 1) Adattamento delle condizioni ambientali (vedi capitolo sull'ambiente) 2) Orientamento nella realtà 3) Ausili esterni 4) Ausili o strategie interne (mnemotecniche) 5) Stimolazione della memoria procedurale Tabella 6 PRINCIPALI METODICHE DI RIABILITAZIONE COGNITIVA Approccio "globale" Terapia di Orientamento alla Realtà (ROT) 3R Therapy (ROT, Riattivazione, Reminescenza) Terapia di Reminiscenza Terapia di Validazione Approccio selettivo alle funzioni mnesiche Stimolazione della memoria procedurale Mnemotecniche Metodo dei loci Associazione nome-faccia Pegwords (parole appiglio) La maggioranza degli studi concordano nell' affermare che la possibilità di ottenere risultati significativi nella riabilitazione del paziente affetto da Alzheimer è strettamente condizionata dalla stimolazione di funzioni che sono relativamente risparmiate, almeno nelle fasi iniziali ed intermedia della malattia. La ricerca, inoltre, suggerisce che sebbene la possibilità di ottenere dei miglioramenti delle performance mnesiche sia ridotta nella malattia di Alzheimer, essa non è completamente compromessa. Accanto agli interventi di "riattivazione globale", che conservano tuttora un ruolo terapeutico, è possibile adottare interventi più mirati alla conservazione delle prestazioni cognitive. La riabilitazione della memoria può comprendere stimoli verbali e non verbali e, in modo multisensoriale, stimoli inerenti la memoria visiva, uditiva, olfattiva, tattile e gustativa. I programmi di stimolazione cognitiva riguardano abitualmente la capacità di giudizio e di astrazione, il linguaggio, la pianificazione di programmi finalizzati a specifici obiettivi. Le tecniche riabilitative per le quali è stata dimostrata l'efficacia nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer sono la terapia di riorientamento nella realtà (ROT), le terapie basate sulla stimolazione della memoria automatica (procedurale) e l'impiego di ausili mnesici esterni. La ROT (Reality Orientation Therapy – terapia di orientamento alla realtà) si prefigge di riorientare il paziente confuso rispetto all'ambiente, al tempo ed alla propria storia personale. La ROT si è dimostrata efficace in pazienti affetti da compromissione cognitiva lieve nel rallentare l'evoluzione della malattia di Alzheimer; i limiti maggiori di questa tecnica consistono nella rapida caduta dell'efficacia al termine dell'intervento stesso e nella assenza di ricadute sul piano funzionale, ossia sul livello di autosufficienza. Esistono due principali modalità di ROT: formale e informale. La ROT informale prevede un processo di stimolazione continua che implica la partecipazione di operatori sanitari e familiari, i quali, durante i loro contatti col paziente, nel corso della giornata, forniscono ripetutamente informazioni al paziente. E' fondamentale che nel co0rso della giornata vengano ricordate al malato alcune informazioni importanti circa l'orientamento temporale e spaziale. Fin dal risveglio, da parte dei familiari, è utile comunicare al proprio caro informazioni apparentemente banali: il giorno, la stagione, il nome degli altri familiari. La continua ripetizione delle informazioni aiuta il malato a conservarle maggiormente nel tempo. Come intervento complementare alla ROT informale, è stato sviluppata una ROT formale che consiste in sedute giornaliere condotte con gruppi di 4-6 persone, omogenee per grado di deterioramento, durante le quali un operatore impiega una metodologia di stimolazione standardizzata. Gli interventi finalizzati a migliorare la memoria procedurale (quella che presiede alle normali attività quotidiane; è una memoria di tipo automatico) si sono dimostrati utili nel migliorare i tempi di esecuzione di alcune attività della vita quotidiana e potrebbero avere favorevoli ripercussioni sulla qualità di vita del paziente e dei familiari. Anche l'impiego di ausili mnesici esterni (diari, segnaposto, suonerie) si è dimostrato efficace, nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer lieve, nel migliorare la memoria per fatti personali, per appuntamenti e nel favorire il livello di interazione sociale del paziente. Altre tecniche di intervento sono costituite dalla “Validation Therapy (terapia di validazione)”, e dalle terapie di reminiscenza e di rimotivazione. La Validation therapy si basa su un rapporto empatico con il paziente; la comunicazione con il paziente prevede che vengano accettati la realtà nella quale il paziente vive ed i suoi sentimenti anche se questi sono collocati lontano nel tempo. Si applica al paziente con decadimento moderato o severo le cui scarse risorse cognitive residue renderebbero vani i tentativi di riportare il paziente “qui ed ora”. Nell'ambito degli interventi psicoterapici uno spazio a se' occupa la terapia di Reminiscenza (rassegna di vita, rievocazione di momenti significativi) che si fonda sulla naturale tendenza da parte dell'anziano a rievocare il proprio passato; il ricordo e la nostalgia possono essere fonte di soddisfazione ed idealizzazione. L' obiettivo di questo approccio consiste nel favorire questo processo spontaneo e renderlo più consapevole e deliberato; nel paziente demente viene impiegata per il recupero di esperienze piacevoli della propria vita anche tramite l'ausilio di oggetti o fotografie. Un'altra tecnica riabilitativa e' la Rimotivazione il cui scopo consiste nella rivitalizzazione degli interessi per gli stimoli esterni, nello stimolare gli anziani a relazionarsi con gli altri ed a affrontare e discutere argomenti contingenti. I FARMACI Nella malattia di Alzheimer i farmaci si utilizzano con due scopi principali: cercare di curare i disturbi delle funzioni cognitive (qiali. ad esmepio, la memoria, il ragionamento, il linguaggio) oppure controllare le modificazioni del comportamento (in particolare l'agitazione e l'irritabilità, l'irrequietezza, l'aggressività, l'insonni, la depressione). In ogni caso si tratta di farmaci "sintomatici", che non sono, cioè, in grado di agire sul processo patologico che determina la malattia. In realtà, sono in corso varie ricerche per sviluppare farmaci che siano in grado almeno di bloccare la progressione della malattia e si spera che, nei prossimi anni, si potranno avere a disposizione sostanze nuove ed efficaci. Negli anni passati numerosi farmaci erano stati usati per curare la demenza, senza però una efficacia significativa. Da alcuni anni sono disponibili (dapprima negli USA ed ora anche in Italia) sostanze di una classe particolare, denominate "inibitori della acetilcolinesterasi". Si tratta di farmaci in grado di bloccare la degradazione di un neurotrasmettirore (l'acetilcolina) la cui carenza sembra essere particolarmente importante nel determinare i disturbi tipici della malattia di Alzheimer. Il primo tra questi farmaci è stata la tacrina (commercializzata a partire dal 1996 negli Stati Uniti ed in vari altri paesi, ma non in Italia). Purtroppo si trattava di un farmaco con numerosi effetti collaterali (soprattutto sul fegato) e quindi la sua utilitù è stata limitata. Successivamente sono state trovate altre sostanze con efficacia simile, ma con minori effetti collaterali e quindi più maneggevoli. Di questi farmaci ad oggi in Italia è disponibile solo il donepezil, anche se entro breve tempo saranno probabilmente registrati anche la rivastigmina e il metrifonato. Purtroppo questi farmaci hanno una efficacia clinicamente evidente solo nel 30-40% dei pazienti e solo nelle forme di demenza di gravità lieve-moderata. Nei pazienti che rispondono alla terapia si possono osservare dei miglioramenti temporanei ed un rallentamento nella evoluzione della demenza con un "risparmio" di circa 8-12 mesi sulla progressione naturale della malattia. Il loro uso non è comunque senza rischi e, pertanto, è necessario che un medico specialista segua il paziente durante il periodo della terapia. Un problema frequentemente presente è il trattamento di sintomi quali insonnia, agitazione, irritabilità, affaccendamento, ansia, depressione, psicosi. In questi casi, accanto alle misure di tipo ambientale, può essere necessario utilizzare farmaci per limitare questi sintomi che sono fortemente disturbanti per i familiari e pericolosi per il paziente stesso. Antidepressivi, ansiolitici, neurolettici, ipnoinducenti sono variamente impiegati con questo scopo. Va ricordato che l'uso di questi farmaci richiede una stretta osservazione da parte del medico perché sono frequenti gli effetti collaterali, soprattutto alle dosi più elevate e per i trattamenti più prolungati. E' perciò molto importante che i familiari mettano in atto tutte quelle strategie utili a ridurre la durata e le dosi di questi farmaci (si veda la tabella 7 per alcuni consigli pratici). Tabella 7 Strategie ambientali per ridurre i disturbi comportamentali nei soggetti dementi. Psicosi Ignorare le false accuse Correggere eventuali difetti sensoriali Mantenere una regolare attività fisica e programmi di socializzazione. Distrarre il paziente dall'idea dominante spostando la sua attenzione su altri oggetti, attività o luoghi. Mantenere l'ambiente stabile, posizionando gli oggetti in posti abituali Creare un ambiente tranquillo, rassicurante Confortare e riassicurare il paziente con il tono della voce e con il contatto fisico. Agitazione Evitare gli eventi che precipitano il comportamento Rimuovere gli stimoli precipitanti Distrarre il paziente Fornire supporti di tipo affettivo ed emotivo Creare un ambiente tranquillo, rassicurante Depressione Utilizzare rinforzi positivi per aumentare l'autostima Psicoterapia Evitare situazioni stressanti Assicurare un ambiente tranquillo Stimolare attività fisica, hobbies ed occupazioni Insonnia Assicurare un ambiente tranquillo Evitare i riposi diurni Stimolare attività fisica, hobbies ed occupazioni Evitare l'assunzione serale di composti stimolanti (caffè, the, tabacco) I PROBLEMI ETICI La diagnosi di malattia di Alzheimer (o di un'altra forma di demenza) si accompagna a numerosi e difficili problemi di tipo etico che coinvolgono il paziente, i familiari, il personale sanitario ed i ricercatori. Per molti dei problemi è difficile dare risposte definitive, perché fattori legati ai valori, alla cultura, alla religione possono influenzare le scelte degli individui. Il rispetto della libertà e dell'autonomia della persona, la condivisione ed il dialogo tra paziente, familiari e operatori dovrebbe sempre essere alla base di qualsiasi decisione. Un ruolo particolarmente delicato e importante è ricoperto dal medico di famiglia che rappresenta la figura professionale che meglio può aiutare il paziente ed i familiari ad assumere, insieme con gli specialisti coinvolti, le decisioni più opportune e più rispettose della personalità e delle attese dell'individuo. Alcuni problemi hanno anche risvolti di tipo legale, talora complessi, e potrebbero quindi richiedere anche la consulenza di un esperto in questa materia. Comunicazione della diagnosi La malattia di Alzheimer e le demenze in generale sono difficili da diagnosticare, soprattutto nelle fasi iniziali. Una diagnosi tipo dovrebbe essere formulata solo dopo una approfondita ed attenta valutazione da parte di medici esperti e solo quando si è raggiunta una probabilità diagnostica molto alta (talora la certezza non è possibile). Nei casi dubbi è più corretto formulare una diagnosi di attesa e rimandare ad una valutazione successiva la comunicazione definitiva. In questi casi l'atteggiamento più comune dei medici, che corrisponde al desiderio dei familiari, è quello di non comunicare la diagnosi al paziente. La scelta è motivata dalla preoccupazione di evitare una grave sofferenza al paziente, non sapendo quale reazione questi potrebbe avere. D'altra parte il rispetto per la libertà e l'autonomia dell'ammalato, soprattutto quando questo si trova nelle fasi iniziali, caratterizzate dal mantenimento della capacità di assumere decisioni –legali, economiche o morali- che verranno poi progressivamente ed invariabilmente perse, richiama i medici al dovere deontologico di non nascondere la verità al paziente. Sempre più frequentemente, pertanto, i medici cercano di convincere dapprima i familiari della opportunità di non tacere la verità. Comunicare una diagnosi di malattia di Alzheimer richiede però tempo e cautela, in modo da fornire il massimo supporto psicologico, rassicurando e sostenendo il paziente. Il coinvolgimento attivo dei familiari in questo momento particolarmente delicato è di grande importanza. Il modo in cui la comunicazione avviene è importante: il contenuto e le modalità dell'informazione devono essere commisurate alle effettive capacità di comprensione; va fatta una attenta valutazione della personalità dell'individuo per poter prevedere e controllare eventuali reazioni negative; un atteggiamento empatico e non privo di speranza verso il futuro è comunque indispensabile per assorbire le inevitabili reazioni emotive. Nella comunicazione vanno particolarmente messe in risalto le risorse comunque disponibili per le cure durante il decorso della malattia. Il rispetto delle scelte individuali La malattia di Alzheimer e le demenze sono condizioni progressive che determinano, con il tempo, l'incapacità dell'individuo di assumere decisioni in modo coerente e razionale. D'altra parte una diagnosi di malattia di Alzheimer non significa di per sé che la persona è immediatamente incapace di prendere decisioni e di fare scelte. La libertà di poter decidere degli aspetti della propria vita è uno degli elementi centrale che definisce la qualità di vita di ogni individuo e questo vale anche per una persona affetta da malattia di Alzheimer. Perciò le residue abilità di decisione del paziente andrebbero rispettate. Certamente, man mano che la malattia progredisce, le decisioni dovranno sempre più coinvolgere altre persone, familiari o sostituti legali. Nelle fasi iniziali il paziente può avere perso parte delle funzioni cognitive e non essere perciò in grado di gestire autonomamente alcuni aspetti della propria vita (ad esempio quelli economici o legali); nonostante ciò può possedere ancora una sufficiente capacità decisionale in alcuni campi (ad esempio, le decisioni terapeutiche o la partecipazione a sperimentazioni e ricerche). L'autonomia decisionale nel demente va considerata perciò un concetto dinamico e valutata nelle varie fasi della malattia ed in relazione al tipo di decisione da assumere. E' necessario ricordare che il demente utilizza varie strategie per comunicare la propria preferenza: talora è il comportamento, l'espressione facciale, la reazione emotiva che fanno capire quale è la decisione preferita. Per facilitare la persona è necessario ridurre il numero di opzioni, aiutando il processo di scelta e guidandolo passo passo. Il alcuni casi i desideri del paziente e quelli dei familiari differiscono, talora questi ultimi sono in disaccordo fra di loro; in questi casi è necessario che i professionisti (e fra questi particolarmente il medico di famiglia) cerchino, attraverso una serena ed approfondita discussione dei rischi e dei benefici per il paziente, di raggiungere una decisione condivisa. Quando questo non è possibile potrà essere necessario l'intervento di un terzo esterno, attraverso un processo di tutela. Tale percorso però può richiedere del tempo. La guida dell'automobile La possibilità o meno di guidare l'automobile è un aspetto che talora crea contrasti tra il paziente e i familiari. La guida di una automobile è un'attività complessa, che richiede reazioni rapide, capacità di giudizio, memoria delle regole, dei segnali, dei percorsi, adeguata prassia, buona vista ed udito. Una diagnosi di malattia di Alzheimer non significa automaticamente che l'individuo sia incapace di condurre un'automobile. Comunque la demenza, anche nelle fasi iniziali, determina una riduzione dell'attenzione, delle capacità di orientamento (soprattutto in luoghi poco noti), della capacità di giudizio (in particolare in situazioni complesse od inusuali) e difficoltà di tipo visuospaziale che rendono la guida pericolosa per il paziente e per le altre persone. Purtroppo non vi sono ad oggi test o prove che permettono di definire la capacità di un individuo di condurre in modo sicuro un automezzo; pertanto può essere un problema definire il momento in cui ad un paziente con malattia di Alzheimer deve essere proibita la guida. Inoltre, condurre l'automobile è per molti individui importante dal punto di vista psicologico e la proibizione può creare contrasti con i familiari e frustrazione nel paziente. Quando, sulla base dei dati clinici osservati dal medico o sulla base della storia (episodi osservati dai familiari di rallentamento nei riflessi, difficoltà nel riconoscimento dei segnali, nell'orientamento nel traffico o nel parcheggiare, guida senza rispetto delle regole), si ha il fondato sospetto che la guida possa essere pericolosa questa va senz'altro proibita. Nelle fasi molto iniziali il comportamento del paziente va attentamente monitorato, non lasciandolo guidare da solo ed evitando che utilizzi l'automobile per lunghi percorsi, nel traffico intenso o veloce, in tragitti a lui poco familiari. La decisione di proibire la guida va comunicata con pazienza dal medico, motivandola chiaramente, cercando di fornire dei compensi all'ammalato, soprattutto nei primi periodi (ad esempio, invitarlo a passeggiate o coinvolgerlo in attività piacevoli e distraenti). In molti casi il paziente si adatta e dimentica poi la guida dell'automobile. In altri casi sarà necessario ricorrere a stratagemmi, quali nascondere le chiavi, o non far trovare l'auto o modificarla in modo che non possa avviarsi. Talora è necessario procedere con gradualità, permettendo ogni tanto piccoli spostamenti con una persona accanto. Solo in casi estremi il medico sarà costretto a segnalare il paziente all'autorità perché al paziente venga ritirata la patente. I trattamenti nelle fasi terminali della vita Il dibattito etico intorno agli atteggiamenti da tenere nelle fasi terminali della demenza è molto acceso. L'atteggiamento prevalente è quello di privilegiare la qualità della vita del paziente, evitando semplicemente di prolungare l'esistenza a tutti i costi, mantenendo nei pazienti in fase avanzata solo le "cure palliative" ed evitando interventi "straordinari", anche se grande rispetto viene dato ai desideri manifestati dal paziente nelle fasi iniziali della malattia. Il problema è la definizione di ciò che è "straordinario" e di ciò che invece va considerato "ordinario" nell'assistenza ad un paziente demente in fase avanzata. Generalmente si considerano straordinari gli interventi sproporzionati rispetto al rapporto tra sofferenze (anche psicologiche) causate dalle terapie e risultati attesi, tra disagi provocati ed esigenze di autonomia e dignità nei momenti terminali, tra costi economici e risultati raggiunti. Sebbene in alcuni paesi stiano emergendo posizioni estreme, si ritiene che il sostegno alla nutrizione ed all'idratazione e la terapia delle complicanze (infezioni, scompenso cardiaco) vadano considerati come interventi “ordinari”. In alcuni paesi (tra gli altri Stati Uniti e Olanda) viene dato valore ai desideri espressi dalla persona in momenti precedenti rispetto a situazioni di necessità di cure intensive o alle scelte terapeutiche nelle fasi terminali di malattia (anche in forma scritta, i cosiddetti "living will" -testamenti di vita- o "advanced directives" -direttive anticipate). Anche la disponibilità per la sperimentazione e per la ricerca viene condizionata alla decisione espressa dal paziente quando questi è ancora competente. La procedura è ritenuta da alcuni come quella maggiormente rispettosa del principio della autodeterminazione dell'individuo. Da altri viene, invece, sottolineato come il "living will" nel caso della malattia di Alzheimer impedisca di fatto al soggetto di modificare la decisione una volta che la malattia ha superato le fasi iniziali; questo ridurrebbe in realtà lo spazio di libertà dell'individuo, rendendo impossibile assumere le decisioni nel momento in cui i trattamenti devono essere effettivamente somministrati. Un aspetto che può modificare il giudizio etico è l'oggetto della volontà che è destinata a divenire operativa in un momento successivo alla perdita della capacità di decidere. Qualora si riferisca alla rinuncia all'uso di mezzi straordinari o sproporzionati e all'accettazione di quelli ordinari e proporzionati, sembrerebbe che tale manifestazione della volontà debba essere accettata come opinione espressa liberamente dal paziente, anche se, almeno secondo l'attuale ordinamento legislativo del nostro paese, non può costituire un vincolo assoluto per il medico Le posizioni di un abbandono anche dei mezzi ordinari di terapia, quali il sostegno all'idratazione ed all'alimentazione, non hanno una base deontologica nè legale nel nostro Paese e sono lontane dalla sensibilità, dalla cultura e dalla esperienza quotidiana della maggior parte di chi opera con le persone affette da demenza. Ciò non toglie che intorno agli aspetti etici delle demenze vi sia un crescente bisogno di confronto serio ed aperto e di approfondita riflessione nella quale i problemi vengano affrontati anche in termini di valori. Alla base di ogni riflessione etica va posto il significato della persona umana, la sua intangibilità in quanto essere esistente, indipendentemente dalle condizioni di salute, e non solo un presunto rispetto della libertà del singolo, della "qualità" della vita, dietro la quale si nasconde in realtà la nostra difficoltà ad accettare la limitatezza della scienza, delle nostre capacità di intervento e la finitezza della natura umana. La ricerca nei pazienti dementi La necessità di approfondire le conoscenze sulla demenza e di sperimentare nuovi farmaci impone di condurre ricerche cliniche sui pazienti. La impossibilità di ottenere un valido consenso nelle fasi avanzate della malattia rende complessa la decisione circa la possibilità di svolgere sperimentazioni. In realtà, nella maggior parte dei casi, è possibile ottenere gli stessi risultati attraverso studi su pazienti in fase lieve o moderata della demenza, in grado, quindi, di fornire un consenso valido. Per quanto riguarda la sperimentazione farmacologica si pone il problema di continuare studi di nuove molecole confrontandole con il placebo (cioè molecole non attive). In realtà, la sempre maggiore disponibilità di farmaci con la specifica indicazione di cura della malattia di Alzheimer, sebbene di limitata utilità clinica, impone l'obbligo di considerare la liceità etica di privare della terapia quella proporzione di pazienti eventualmente trattati con il placebo. Questo elemento non ha ancora trovato una soluzione condivisa, anche se sembra profilarsi la necessità di sviluppare protocolli che prevedono il confronto con farmaci attivi già noti. GLI ASPETTI LEGALI La legislazione italiana per i pazienti che presentino, a causa di una malattia, una persistente difficoltà a svolgere i compiti e le funzioni della vita quotidiana, prevede la possibilità di ottenere benefici (assegno mensile, esenzione da ticket ecc). L'erogazione di questi è condizionata al riconoscimento dell'invalidità civile. La domanda di invalidità civile va presentata agli uffici della medicina di base oppure agli uffici invalidi civili della propria USL. La domanda va corredata da: -modulo di domanda in due copie -certificato di residenza -certificato di cittadinanza -certificato del medico di base che specifica la diagnosi ed il grado di disabilità Per espletare la domanda di invalidità ci si può rivolgere alle assistenti sociali comunali o di circoscrizione, oppure ai Patronati; la loro assistenza è gratuita. All'atto della visita presso l'apposita commissione nominata in ogni USL, è opportuno presentare una dettagliata documentazione sanitaria che attesti le condizioni di salute del malato. Qualora venga riconosciuta una invalidità permanente del 100%, può essere concessa, dietro richiesta, un'"indennità di accompagnamento" che consiste in un assegno mensile erogato al malato per le prestazioni sanitarie ed assistenziali di cui necessita. L'indennità di accompagnamento viene data alle persone che si trovano nella impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure a chi "non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un'assistenza continua". L'indennità di accompagnamento viene concessa indipendentemente dall'età e dal reddito e viene sospesa qualora il malato sia ricoverato in istituti con rette a carico di enti pubblici. In alcuni casi, al fine di tutelare gli interessi dell'ammalato, è necessario richiedere l'inabilitazione o l'interdizione. La domanda di interdizione o di inabilitazione deve essere presentata al giudice tutelare della Procura della Repubblica presso il Tribunale competente per territorio. La sentenza di interdizione determina la totale incapacità di agire e pone l'interdetto in stato di tutela. L'inabilitazione, anch'essa sancita con sentenza, determina l'incapacità di compiere gli atti eccedenti la semplice amministrazione rendendo necessaria, per tali atti, l'assistenza di un curatore. Possono essere dichiarati inabilitati coloro che si trovano in una condizione di abituale malattia di mente ma non così grave da richiedere il ricorso all'interdizione.