JNC-VII e LG europee

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Ipertensione arteriosa: le nuove linee guida americane sono
differenti da quelle europee. Le nostre scelte.
A cura di Fausto Bodini, Renato Rossi, Mario Casarola.
Medicina Generale - Verona
In Maggio 2003 sono state pubblicate le nuove linee guida americane sull’ipertensione
arteriosa, cioè il Settimo Rapporto del Comitato Nazionale Congiunto sulla prevenzione, sulla
valutazione e sul trattamento dell’ipertensione arteriosa, conosciuto con la sigla JNC VII (1).
Il documento è disponibile on-line, in inglese, al seguente sito: htpp://www.nhlbi.nih.gov/
In Giugno 2003 sono state pubblicate le nuove linee guida europee (2).
Il documento è disponibile on-line, in inglese, al seguente sito:
htpp://eshonline.org/documents/2003_guidelines.pdf
Le linee guida americane: il JNC 7
Il VII Rapporto è stato pubblicato in una versione abbreviata, chiamata “JNC 7 Express”; quella
completa è attesa tra qualche mese.
La novità principale del JNC 7 è rappresentata da una nuova classificazione della pressione
arteriosa: i soggetti con pressione arteriosa sistolica (PAS) compresa tra 120-139 mm Hg o
con pressione arteriosa diastolica (PAD) compresa tra 80-89 mm Hg vengono inseriti nella
nuova categoria, denominata “pre-ipertensione”. Nel JNC 6, la pressione di questi pazienti era
definita “normale”. La “pressione normale” è ora identificata in una PAS<120 mm Hg e in una
PAD<80 mm Hg; nel rapporto precedente questi valori erano definiti “ottimali”. Il JNC 7 ha
abolito sia la categoria “ottimale” sia quella “normale-alta”.
Lo Stadio 1 mantiene la stessa definizione di PAS 140-159 o PAD 90-99 mm Hg; gli stadi 2 e 3
vengono unificati in uno solo, lo Stadio 2, con PAS>160 mm Hg o con PAD>100 mm Hg.
Principale problema emergente
I soggetti che in precedenza avevano una pressione normale e quindi da considerare “sani”,
almeno sotto questo profilo, si ritrovano ora etichettati con il termine di “pre-ipertesi”, il che
può far loro credere di essere ammalati e, quindi, con il rischio reale di creare una categoria,
anche questa nuova, di “sani ma preoccupati”.
Valori pressori da ottenere con la terapia
Rispetto al JNC 6, nel JNC 7 i valori pressori, da ottenere con la terapia, rimangono
immodificati: cioè <140/90 mm Hg per i pazienti con ipertensione non complicata in stadio 1 o
2 e <130/80 nei pazienti con comorbidità come il diabete mellito o la nefropatia cronica.
In tutti i pazienti sono raccomandate le usuali modificazioni dello stile di vita.
La scelta dei farmaci
La terapia farmacologica proposta è fortemente influenzata dai risultati dello studio ALLHAT e
da quelli di altri studi che, secondo i componenti del JNC, hanno dimostrato che i diuretici sono
“virtualmente insuperati” nella prevenzione delle complicanze cardio-vascolari dell’ipertensione
arteriosa.
Infatti, per l’ipertensione arteriosa non complicata in stadio 1 o 2, la raccomandazione è di
iniziare la terapia con un diuretico tiazidico, aggiungendo un secondo farmaco di una classe
differente, se il diuretico da solo non riesce a riportare la pressione ai valori stabiliti per il
singolo paziente. I betabloccanti sono considerati farmaci di seconda linea, non diversamente
del resto rispetto al precedente JNC 6.
Nel caso esistano condizioni morbose specifiche (compelling) il Rapporto consiglia alcuni
farmaci piuttosto che altri. Per esempio in presenza di cardiopatia ischemica si consigliano i
beta-bloccanti e ace-inibitori, in caso di diabete sono preferibili gli ace-inibitori , gli inibitori
dell’angiotensina II, i diuretici, i calcioantagonisti, i beta-bloccanti, e cos’ via. Come vedremo in
questo non differiscono sostanzialmente dalle linee guida europee.
Il nuovo rapporto sottolinea l’importanza del rapporto di fiducia tra medico e paziente, come
mezzo per migliorare la compliance e, in definitiva, per migliorare il controllo della pressione.
Le linee guida europee
L’obiettivo degli autori è stato di elaborare un documento specifico per la regione europea, con
carattere informativo e non normativo.
Le raccomandazioni europee conservano la classificazione precedente dell’ipertensione, con
l’annotazione che lo stesso valore pressorio può essere accettabile o non accettabile, a seconda
delle caratteristiche del paziente in cui si inserisce.
La tabella 1 riporta la definizione e la classificazione WHO/ISH dei valori pressori.
Categoria
Ottimale
Normale
Normale alta
Ipertensione
Grado 1 (lieve)
Grado 2 (moderata)
Grado 3 (grave)
Ipertensione sistolica isolata
Pressione sistolica (mm Hg)
< 120
120-129
130-139
Pressione diastolica (mmHg)
< 80
80-84
85-89
140-159
150-179
> 180
> 140
90-99
100-109
> 110
<90
Se o la PAS o la PAD di un paziente ricadono in due categorie differenti, vale quella superiore.
Il comitato europeo non è favorevole al termine “pre-ipertensione”
La novità: il prezzo del supplemento determinato dai valori pressori
La novità più importante è l’introduzione del concetto di rischio cardiovascolare globale,
analogamente a quanto già avviene nel campo delle iperdislipidemie.
Il comitato sottolinea che l’ipertensione è spesso accompagnata da altri fattori di rischio. La
valutazione del rischio cardiovascolare globale permette un inquadramento prognostico più
completo del paziente, rispetto ai soli valori pressori.
Valori pressori inadeguati conferiscono al paziente un “supplemento” di rischio, rispetto al suo
rischio “basale”.
Quando usare i farmaci e quali farmaci usare, dipende dal profilo di rischio cardiovascolare di
ogni singolo paziente.
Tabella 2 Supplemento di rischio associato ai diversi valori pressori.
Fattori di rischio Pressione arteriosa
associati e comorbidità
Normale
Nessun fattore di Rischio medio
rischio associato
(nessun
rischio
supplementare)
1-2
fattori
di Basso
rischio
rischio associati
supplementare
3 o più fattori di Moderato rischio
rischio associati, supplementare
danno d’organo,
diabete m.
Malattia cerebro- Alto
rischio
vascolare,
supplementare
cardiopatia,
nefropatia,
malattia vascolare
periferica,
retinopatia
avanzata
Normale
alta
Grado 1
Rischio medio
(nessun
rischio
supplementare)
Basso
rischio
supplementare
Alto
rischio
supplementare
Basso
rischio Moderato rischio Alto
rischio
supplementare
supplementare
supplementare
Moderato rischio
supplementare
Alto
rischio
supplementare
Grado 2
Grado 3
Moderato rischio Altissimo
rischio
supplementare
supplementare
Alto
rischio
supplementare
Altissimo
rischio Altissimo
rischio Altissimo
rischio Altissimo
rischio
supplementare
supplementare
supplementare
supplementare
Il calcolo del rischio cardiovascolare globale introduce un elemento di complessità, rispetto ai
numeri che si riferiscono ai soli valori pressori del paziente. La strategia del comitato europeo
mette in luce il fatto che non esiste un valore pressorio di taglio netto tra normotensione e
ipertensione. La soglia pressoria per iniziare il trattamento è flessibile, dipendendo dal rischio
cardiovascolare globale individuale. In realtà un approccio simile era già stato fatto dalla
British Hypertension Society nelle linee guida licenziate nel 1999 (8)
Per esempio, se la pressione di un paziente è di 135/85 e il suo profilo di rischio globale non è
alto, si può adottare una strategia di attesa e controllo, con consigli di modificazione dello stile
di vita. D’altra parte, se lo stesso paziente ha una pressione di 135/85 e ha un diabete mellito
o un pregresso infarto del miocardio, si dovrebbe ridurre la sua pressione a valori inferiori a
130/80.
In questa classificazione viene proposto di usare i termini “basso, intermedio, alto, altissimo” “
rischio supplementare”: in questo modo, si esprime meglio il concetto di un aumento del
rischio relativo, rispetto alla categoria “nessun rischio supplementare”. In altre parole tutti
siamo a rischio “basalmente” e una pressione aumentata aggiunge un rischio ulteriore a quello
proprio di ciascuno, legato ad esempio all’età, al sesso o al proprio patrimonio genetico.
In altri termini, i pazienti con pressione arteriosa normale o normale alta non possono essere
considerati a rischio zero, ma individui non soggetti a supplementi di rischio, correlati con
l’ipertensione.
I termini rischio supplementare “basso”, “moderato”, “alto” e “altissimo”, si correlano a valori
di rischio cardiovascolare assoluto a 10 anni, rispettivamente inferiore al 15%, dal 15 al 20%,
dal 21% al 30% e superiore al 30%, circa.
Per stratificare il rischio, sono stati considerati, oltre ai livelli pressori sistolici e diastolici, sia
il colesterolo totale (>250 mg/dL o 6,5mmol/L), sia l’LDL colesterolo (>155 mg/dL o 4,0
mmol/L), sia l’HDL colesterolo (< 40 mg/dl o 1,0 mmol/L negli uomini, < 48 mg/dL o 1,2
mmol/dL nelle donne), l’età (>55a. negli uomini, >65a. nelle donne), il fumo, la famigliarità
positiva di una malattia cardiovascolare prematura (<55 a. negli uomini, < 65 a. nelle donne).
E’ interessante notare l’introduzione dell’obesità addominale, definita come circonferenza
addominale > 102 cm negli uomini, > 88 cm nelle donne e un valore di proteina C reattiva > 1
mg/dL.
Inoltre, viene sottolineata l’importanza della ricerca del danno degli organi bersaglio, in
particolare dell’ipertrofia ventricolare sinistra (diagnosi sia elettrocardiografica che
ecocardiografica), degli ispessimenti o delle placche della parete arteriosa diagnosticati
ecocardiograficamente, degli aumenti anche modesti della creatininemia e della
microalbuminuria.
Obiettivi della terapia
L’avvio di una terapia farmacologica dovrebbe essere basato su:
1. livello del rischio cardiovascolare globale
2. livello dei valori pressori sistolici e diastolici
Si riporta come esempio un ipotetico paziente con pressione alta normale (PAS 130-139 mmHg
o PAD 85-89 mmHg. (in più misurazioni).
Nel singolo paziente il medico deve valutare, oltre alla pressione, la presenza di eventuali altri
fattori di rischio associati, segni di danno d’organo, diabete o altre condizioni cliniche. Si
consigliano al paziente, da subito, eventuali correzioni dello stile di vita, e la correzione degli
altri fattori di rischio e la terapia di altre eventuali malattie associate.
Si passa, poi, alla stratificazione del rischio cardiovascolare globale, come da tabella.
Se il rischio ricade nella categoria alto o altissimo si inizia un trattamento farmacologico.
Se è moderato, si controlla la pressione frequentemente.
Se il rischio è basso non c’è bisogno di alcun intervento farmacologico.
Per l’ipertensione di grado 1 e 2, la terapia è richiesta da subito se il rischio è alto o altissimo,
altrettanto si deve fare per l’ipertensione di grado 3. La pressione deve essere misurata più
volte nell’arco di pochi giorni.
Queste sono valutazioni sintetiche e, per forza di cose, riduttive. Si rimanda al documento
originale per una valutazione più completa.
Quali farmaci usare
Il comitato europeo sostiene, come in precedenza e a differenza degli americani, che i benefici
della terapia anti-ipertensiva dipendono dalla riduzione della pressione “per sé” . In maniera
semplificata, tutti gli anti-ipertensivi sono uguali. Vengono indicate cinque classi di farmaci, per
l’avvio e il mantenimento della terapia, e sono posti tutti sullo stesso piano: Diuretici,Betabloccanti, Calcio antagonisti diidropiridinici e non, ACE inibitori, Inibitori dell’angiotensina II
(sartani).
Per quanto riguarda la classe degli alfa-bloccanti (es. doxazosina), si riconosce che l’evidenza a
favore di questi farmaci è più limitata rispetto a quella degli altri farmaci citati. Gli alfabloccanti possono essere considerati un’opzione terapeutica, in particolare come farmaco di
associazione
Invece, ci sono evidenze per usare farmaci specifici in alcuni gruppi di pazienti, quindi, in
alcune condizioni cliniche si dovrebbero preferire alcune molecole rispetto ad altre , in questo
non differendo sostanzialmente da quanto suggerito dal JNC VII (Tabella 3)
Tabella 3. Farmaci da preferire in alcune condizioni cliniche
Farmaco
Diuretici tiazidici
(idroclorotiazide,
clortalidone,
associazione
idroclotiazide/amil
oride)
Diuretici dell’ansa
(furosemide)
Diuretici
antialdosteronici
Beta-bloccanti
Condizione clinica che ne fa preferire l’uso
Scompenso cardiaco congestizio, pazienti anziani, ipertensione sistolica isolata, ipertesi di origine
africana
Insufficienza renale, scompenso cardiaco congestizio
Scompenso cardiaco congestizio, post-infarto del miocardio
Angina pectoris, post-infarto del miocardio, scompenso cardiaco congestizio (up-titration),
gravidanza, tachiaritmie
Pazienti anziani, ipertensione sistolica isolata, angina pectoris, aterosclerosi carotidea, gravidanza
Calcio-antagonisti
diidropiridinici
Calcio-antagonisti Angina pectoris, aterosclerosi carotidea, tachicardia sopraventricolare
non diidropiridinici
(verapamil,
diltiazem)
ACE inibitori
Scompenso cardiaco, disfunzione ventricolare sinistra, post-infarto miocardico, nefropatia non
diabetica, nefropatia diabetica (diabete tipo I), proteinuria
Inibitori
Nefropatia diabetica (diabete tipo II), microalbumnuria diabetica, proteinuria, ipertrofia
dell’angiotensina
ventricolare sinistra (ECG ed ECO), tosse indotta da ACE inibitori
II (sartani)
Alfa-bloccanti
Ipertrofia prostatica benigna
Terapia di associazione
Per ottenere i valori pressori desiderati, spesso è necessario ricorrere all’associazione di due o
più farmaci. Il documento europeo riconosce e sottolinea questa necessità, suggerendo la
possibilità di iniziare la terapia, oltre che con un solo farmaco, anche con un’associazione di
farmaci a basso dosaggio.
Alcune associazioni di farmaci, di cui si ha dimostrazione di sicurezza ed efficacia, sono le
seguenti:
 diuretico e beta-bloccante
 diuretico e ACE-inibitore o sartano
 calcio-antagonista diidropiridinico e beta-bloccante
 calcio-antagonista e ACE inibitore o sartano
 calcio-antagonista e diuretico
 beta-bloccante e alfa-bloccante
Le nostre scelte commentate
L’Europa e l’America sembrano dividersi sulle modalità di classificazione e di trattamento
dell’ipertensione arteriosa. Lo fanno basandosi largamente sui risultati della stessa ricerca
biomedica. In particolare, gli esperti interpretano in maniera differente quello che dovrebbe
essere il dato più oggettivo e più affidabile: i risultati degli studi clinici controllati randomizzati.
Noi, come medici di medicina generale, dovremmo sentirci disorientati?
No, perché la differente interpretazione dei risultati dei trial clinici sta diventando un’evenienza
sempre più comune e perché cerchiamo di rispondere alla domanda se siano più appropriate,
nella nostra realtà, le linee guida americane o quelle europee, usando il concetto di
appropriatezza clinica, già descritto (10).
I nostri commenti dovrebbero servire per spiegare le nostre scelte e per innescare un dibattito
tra i medici di medicina generale ed, eventualmente, con i nostri specialisti di riferimento, per
arrivare a delle scelte condivise.
La posizione del Comitato di Redazione.
Condividiamo la posizione del comitato europeo che le linee guida devono essere dei consigli o
delle raccomandazioni e non lo standard di riferimento o la “legge”. Concordiamo che il termine
“pre-ipertensione” non entri nella pratica clinica. Tuttavia, i medici devono essere a conoscenza
del suo significato, per essere in grado di rispondere ad eventuali interrogativi posti dai
pazienti sull’argomento.
C’è un farmaco di prima scelta nella terapia anti-ipertensiva?
Sulla base dei dati più recenti della letteratura, aggiornati a giugno 2003, in particolare sulla
base dei dati della meta-analisi, presentata da MacMahon in giugno 2003 (7), che ha valutato
globalmente 162.365 pazienti reclutati in 29 trial, compresi i recenti studi ALLHAT (3) e
ANBP2(4), si può affermare che quattro classi di farmaci hanno dimostrato pari efficacia nel
ridurre la mortalità e la morbidità cardiovascolare.
Essi sono: diuretici, beta-bloccanti, ACE inibitori e calcio-antagonisti.
I calcio-antagonisti sono meno efficaci per la prevenzione dello scompenso cardiaco
congestizio, ma possono essere più efficaci per la prevenzione dell’ictus.
Anche i sartani si sono dimostrati efficaci nella riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori,
dello stroke e dello scompenso cardiaco; non c’è, invece, un effetto chiaro sulla riduzione della
malattia coronarica, non vengono riportati dati sulla mortalità totale.
Riconosciamo che i risultati della meta-analisi non sono ancora stati pubblicati su una rivista
peer-revewed: è possibile che la meta-analisi non sia perfetta. D’altra parte il trial o la metaanalisi perfetti non sono ancora stati disegnati né portati a termine.
Bisogna anche ricordare che in maggio è stata pubblicata una meta-analisi diversa (9), definita
network-metanalysis (42 trials per un totale di 192.478 pazienti) che arriva invece a
concludere che i diuretici tiazidici dovrebbero essere i farmaci di prima linea.
Non resta quindi che prendere atto di pareri divergenti anche tra i cultori della materia.
Al momento, ci sembra che questi dati siano quanto di meglio possa offrire la ricerca.
In ossequio al principio generale, che non c’è motivo di scegliere una molecola meno
documentata rispetto ad una più documentata, si deve scegliere un farmaco od una
combinazione di farmaci per i quali esiste la più forte dimostrazione di efficacia e tollerabilità in
soggetti con caratteristiche cliniche simili a quelle del nostro paziente. Allora, sul piano
scientifico, quattro classi di farmaci hanno dimostrato pari dignità. Se l’importante è ridurre la
pressione arteriosa, più che la scelta del farmaco, il medico potrebbe legittimamente scegliere
a caso tra le varie classi di farmaci o seguendo qualsivoglia criterio personale.
Per ragioni di chiarezza, noi preferiamo attribuire l’appellativo di farmaco di prima scelta,
basandoci su criteri espliciti, che non sono, però, derivabili dai dati dei trial. Ne proponiamo un
paio: le preferenze del paziente e il costo del farmaco.
Allora, è appropriato quale farmaco di prima scelta nel paziente iperteso non complicato, uno
dei farmaci delle quattro classi già menzionate, che tenga conto delle preferenze del paziente e
del portafoglio pubblico (e che ovviamente non sia controindicato).
E questo può ben essere il diuretico, ma se, per ipotesi, il costo di un ACE inibitore fosse pari a
quello del diuretico, allora anche l’ACE inibitore sarebbe altrettanto appropriato. Invece, non
sarebbe appropriato prescrivere, ad esempio, un diuretico, se l’aumentata diuresi dovesse
infastidire il paziente nelle sue attività normali.
Gli alfa-bloccanti possono non essere indicati quali farmaci di primo impiego, perché
dispongono di dati meno forti sul piano clinico, rispetto agli altri. Solo lo studio ALLHAT ha
valutato gli effetti della doxazosina nella prevenzione cardiovascolare. Tuttavia questi farmaci
possono essere utili in associazione.
Va da sé che esistono condizioni cliniche, come quelle riportate in tabella 3, che favoriscono la
prescrizione di molecole specifiche.
Concordiamo con Frohlich (5) che:
a) si deve misurare la pressione arteriosa a tutti i pazienti.
b) se la pressione rimane elevata, nonostante le misure non farmacologiche, si deve iniziare
una terapia farmacologica in modo da ottenere dei valori pressori sistolici inferiori a 140
mm Hg e dei valori diastolici inferiori a 90 mm Hg nell’ipertensione non complicata e valori
< a 130/80 nell’ipertensione complicata o con comorbidità come il diabete mellito o la
nefropatia.
c) Non si devono accettare acriticamente le affermazioni delle industrie farmaceutiche, che,
legittimamente e comprensibilmente, sostengono la superiorità dei loro prodotti.
Concordiamo con Moser (6) che:
a) il trial perfetto non è ancora stato disegnato né è mai stato portato a termine: quindi ogni
trial può essere criticato, sotto molti punti di vista.
b) ad esempio, lo studio ALLHAT non è perfetto, ma ha dimostrato che deve essere messa la
sordina ad alcune delle critiche mosse contro l’uso dei diuretici. Queste riserve si erano
incentrate soprattutto sulle alterazioni metaboliche indotte dai diuretici, in modo particolare
sul fatto che possono indurre un diabete più frequentemente rispetto ad altri farmaci..
Tuttavia, questi farmaci si sono dimostrati sicuri ed efficaci in numerosi trial, non solo
nell’ALLHAT. C’è forse il timore che, se venissero usati più diuretici, ci sarebbe meno spazio
per le altre molecole? Sarebbe un punto di vista ristretto e meschino e certamente
nessuno ha un punto di vista ristretto e meschino.
c) Lo studio ALLHAT non ha detto che gli ACE-inibitori o i calcio-antagonisti non sono efficaci.
I risultati dell’ALLHAT non suggeriscono che questi farmaci non debbano essere usati o che
siano pericolosi.
Inoltre, bisogna tenere presente che la maggioranza dei paziente richiede una pluriterapia per
raggiungere la pressione ottimale.
“I risultati di numerosi studi clinici indicano che i diuretici sono farmaci efficaci e possono
essere usati nella gestione di molti pazienti ipertesi, sia come primo farmaco sia come farmaco
di associazione” (6). Questo rimane vero, nonostante i loro inestetismi metabolici. I diuretici
non sono figli di un dio minore. Ciò non toglie che altre classi di farmaci siano sicure ed
efficaci. Quello che i medici vogliono fare è di trattare efficacemente i propri pazienti ipertesi,
con la minore intrusione nella loro vita e con la minore intrusione nel portafoglio pubblico, nel
rispetto delle preferenze del paziente informato.
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