Depressione
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La depressione è una patologia dell'umore caratterizzata da un insieme di sintomi cognitivi,
comportamentali, somatici ed affettivi che, nel loro insieme, sono in grado di diminuire in maniera da lieve
a grave il tono dell'umore, compromettendo il "funzionamento" di una persona, nonché le sue abilità ad
adattarsi alla vita sociale[1]. La depressione non è quindi, come spesso ritenuto, un semplice
abbassamento dell'umore, ma un insieme di sintomi più o meno complessi che alterano anche in maniera
consistente il modo in cui una persona ragiona, pensa e raffigura se stessa, gli altri e il mondo esterno.
La depressione talvolta è associata ad ideazioni di tipo suicida o autolesionista, e quasi sempre si
accompagna a deficit dell'attenzione e della concentrazione, insonnia, disturbi alimentari, estrema ed
immotivata prostrazione fisica.
Indice
* 1 Classificazione
* 2 Epidemiologia
* 3 Eziologia
o 3.1 Fattori familiari e genetici
o 3.2 Fattori biologici
o 3.3 Fattori ambientali
o 3.4 Fattori psicologici
o 3.5 Parto
* 4 Diagnosi
* 5 Trattamenti
o 5.1 Trattamenti somatici
o 5.2 Altri trattamenti somatici
+ 5.2.1 Terapia elettroconvulsiva
o 5.3 Psicoterapia
o 5.4 Terapie nuove e sperimentali
* 6 Note
* 7 Bibliografia
* 8 Collegamenti esterni
Classificazione
La depressione fa parte dei disturbi dell'umore, insieme ad altre patologie come la mania e il disturbo
bipolare. Essa può assumere la forma di un singolo episodio transitorio (si parlerà quindi di episodio
depressivo) oppure di un vero e proprio disturbo (si parlerà quindi di disturbo depressivo). L'episodio o il
disturbo depressivo sono a loro volta caratterizzati da una maggiore o minore gravità. Quando i sintomi
sono tali da compromettere l'adattamento sociale si parlerà di disturbo depressivo maggiore, in modo da
distinguerlo da depressioni minori che non hanno gravi conseguenze e spesso sono normali reazioni ad
eventi luttuosi.
L'episodio depressivo maggiore è caratterizzato da sintomi che durano almeno due settimane causando
una compromissione significativa del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.[2] Fra i
principali sintomi si segnalano:
1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto o
come osservato da altri.
2. Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del
giorno, quasi ogni giorno (anedonia).
3. Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure
diminuzione o aumento dell'appetito quasi ogni giorno.
4. Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno.
5. Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno.
6. Affaticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno.
7. Sentimenti di autosvalutazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati di colpa quasi ogni
giorno.
8. Diminuzione della capacità di pensare o concentrarsi, o difficoltà a prendere decisioni, quasi ogni
giorno.
9. Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida senza elaborazione di piani specifici,
oppure un tentativo di suicidio o l'elaborazione di un piano specifico per commettere suicidio.
Per parlare di episodio depressivo maggiore è necessaria la presenza di almeno cinque dei sintomi sopra
elencati.
Nella maggior parte dei casi, però, la depressione si configura come disturbo depressivo maggiore, cioè
un decorso clinico caratterizzato da più episodi depressivi maggiori; nel 50-60% dei casi, infatti, un
episodio depressivo maggiore sarà seguito da un ulteriore episodio depressivo, portando quindi alla
formazione di un disturbo depressivo.[3]
Oltre alla depressione esistono altri disturbi dell'umore di tipo depressivo. Fra i principali:
* distimia (o disturbo distimico): presenza di umore cronicamente depresso, per un periodo di almeno
due anni. In questo caso i sintomi depressivi, nonostante la loro cronicità, sono meno gravi e non si
perviene mai a un episodio depressivo maggiore.[4]
* disturbo dell'adattamento con umore depresso: è conseguenza di uno o più fattori stressanti e si
manifesta in genere entro tre mesi dall'inizio dell'evento con grave disagio psicologico e compromissione
sociale. Solitamente eliminato il fattore di stress, tale depressione scompare entro 6 mesi. [5]
* depressione secondaria: depressione dovuta a malattie psichiatriche e non, o a farmaci. Spesso,
infatti, alcune malattie mostrano come primi sintomi variazioni del tono dell'umore, fra le quali: sclerosi
multipla, morbo di Parkinson, tumore cerebrale, morbo di Cushing, lupus eritematoso sistemico. [6]
* depressione reattiva: depressione dovuta ad un evento scatenante come un lutto, una separazione,
un fallimento, i cui sintomi, però, si dimostrano eccessivamente intensi e prolungati rispetto alla causa
scatenante. Al suo interno si possono collocare i disturbi dell'adattamento e le reazioni da lutto. [7]
* depressione mascherata: depressione che si manifesta principalmente con sintomi cognitivi,
somatici o comportamentali, a dispetto di quelli affettivi. In realtà vengono semplicemente amplificati
aspetti non affettivi della depressione. [8]
Infine, fra gli altri disturbi dell'umore che includono sintomi depressivi, si possono citare i disturbi bipolari,
cioè patologie dove vi è alternanza di episodi depressivi maggiori o minori con episodi maniacali o
ipomaniacali.
La classificazione non si riduce semplicemente a queste poche categorie, in quanto esistono varie
sottocategorie per i tipi elencati, oppure depressioni tipiche di alcuni eventi particolari, come ad esempio
la depressione post-partum.
Epidemiologia
La depressione è la prima causa di disfunzionalità nei soggetti tra i 14 e i 44 anni di età, precedendo
patologie quali le malattie cardiovascolari e le neoplasie.[9] La depressione e la distimia sono
maggiormente presenti nelle donne in un rapporto di 2 a 1 rispetto agli uomini, ma solo dopo l'età
puberale.[10] Il tasso di prevalenza del disturbo depressivo maggiore in età prescolare è attorno allo
0,3%; valore che tende a salire con l'età, arrivando al 2-3% in età scolare e al 6-8% in età
adolescenziale.[10] Secondo il DSM IV la prevalenza del disturbo depressivo maggiore in età adulta è del
10-25% nelle donne e del 5-12% negli uomini, mentre quella del disturbo distimico è nel complesso del
6%. La probabilità di avere un episodio depressivo maggiore entro i 70 anni è del 27% negli uomini e del
45% nelle donne; cifre che dimostrano in modo chiaro l'ampia diffusione di questa patologia. Inoltre dal
1940, nei paesi industrializzati, tende costantemente ad aumentare la prevalenza di tale disturbo e ad
abbassarsi l'età media d'insorgenza.[10]
Molti studi dimostrano anche una sostanziale continuità della depressione lungo l'intero arco di vita; infatti
circa l'80% dei bambini con disturbo depressivo tende a presentare la stessa patologia anche in età
adulta,[11][12] oltre al fatto che un disturbo depressivo precoce possa rappresentare un fattore di rischio
per la comparsa di patologie come il disturbo bipolare o l'abuso di sostanze.
Eziologia
Le cause che portano alla depressione sono ancora oggi poco chiare. Inizialmente vi erano due correnti
opposte di pensiero, una che attribuiva maggiore importanza alle cause biologiche, l'altra a quelle
psicologiche. Oggi i dati disponibili suggeriscono che la depressione sia una combinazione di fattori
genetici, ambientali e psicologici. [13]
Fattori familiari e genetici [modifica]
Gli studi sui gemelli monozigoti e dizigoti e sui soggetti adottati hanno dimostrato una certa ereditabilità
dei disturbi depressivi, anche se in modo meno consistente rispetto al disturbo bipolare. [14] Il tasso di
ereditabilità per i sintomi depressivi si attesta attorno al 76%. [15] La depressione, quindi, come molte
altre malattie psichiatriche, non segue un modello di trasmissione diretta, bensì un modello dove sono
coinvolti più geni. [16] L'ereditarietà è comunque meno probabile per le forme di depressione lievi, mentre
sembra incidere più fortemente nelle depressioni ad esordio precoce: il 70% dei bambini depressi hanno,
infatti, almeno un genitore che presenta un disturbo dell'umore. [17][18] Questo dato può essere dovuto
in parte anche al fatto che un genitore depresso instaura una relazione non favorevole con il proprio figlio,
già geneticamente vulnerabile, che aumenta la probabilità, per il bambino, di sviluppare un disturbo
dell'umore. [16] L'influenza genetica nella depressione si evidenzia anche in altre ricerche: figli di genitori
biologici depressi, ma cresciuti in famiglie adottive dove non sono presenti genitori depressi, dimostrano
una probabilità 8 volte maggiore di sviluppare la depressione, rispetto a figli di genitori biologici non
depressi.
Fattori biologici
Una delle prime indicazioni che la depressione avesse anche delle basi biologiche si ebbe negli anni
cinquanta. Durante quel periodo venne introdotto un farmaco, la reserpina, utilizzato per controllare la
pressione sanguigna, che però aveva ingenti effetti collaterali, tra cui l'insorgenza di una depressione nel
20% dei pazienti. [19] Tale farmaco diminuiva la quantità di due neurotrasmettitori appartenenti alla
famiglia delle monoammine: la serotonina e la noradrenalina. In seguito fu scoperto che un altro farmaco,
utilizzato per curare la tubercolosi (l'iproniazide), provocava un miglioramento dell'umore. Questo
farmaco, al contrario della reserpina, inibiva la monoaminossidasi, cioè quell'enzima che elimina la
noradrenalina e la serotonina, provocando cioè un aumento di tali neurotrasmettitori.[19] Era quindi
chiaro come la depressione, e l'umore in generale, fossero legati ai livelli dei neurotrasmettitori
monoaminici. Nacque così l'idea, definita ipotesi monoaminica dei disturbi dell'umore o ipotesi delle
ammine biogene, che la depressione fosse una conseguenza di uno squilibrio di alcuni neurotrasmettitori.
In realtà questa era una spiegazione troppo semplicistica e, infatti, non è possibile stabilire una relazione
diretta tra umore e uno specifico neurotrasmettitore. [20] Altri fattori neurobiologici rivestono un ruolo
fondamentale nell'eziologia dei disturbi dell'umore e di particolare importanza risulta essere l'asse
ipotalamo-ipofisi-surrene, cioè l'asse ormonale che mette in comunicazione le strutture limbiche,
l'ipotalamo, e l'ipofisi, con il surrene.[21] Questo asse regola la risposta a lungo termine allo stress,
inducendo il surrene al rilascio di ormoni glucocorticoidi, in particolare il cortisolo. Nei pazienti depressi si
è riscontrata una iperattività dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene e, di conseguenza, elevati dosi di cortisolo
nel sangue. Elevati livelli di cortisolo provocano effetti dannosi per tutto l'organismo, tra cui: insonnia,
diminuzione dell'appetito, diabete mellito, osteoporosi, diminuzione dell'interesse sessuale, aumento
dell'espressione comportamentale dell'ansia, immunosoppressione, danni a vasi cerebrali e cardiaci.
[22][21] La minor o maggior risposta allo stress da parte dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene sarebbe
dovuto a influenze genetiche ed ambientali. Secondo questa ipotesi, detta ipotesi della diatesi da stress, i
disturbi dell'umore sono perciò ereditari e i geni ci predispongono a questo tipo di malattia che viene
innescata, sui soggetti predisposti, da eccessive dosi di stress. [23]
I vari studi effettuati hanno confermato che eventi stressanti, soprattutto se prolungati, sono in grado di
ridurre il tasso di alcuni neurotrasmettitori come la serotonina e la noradrenalina e di iperattivare l'asse
ipotalamo-ipofisi-surrene con conseguente aumento del cortisolo nel sangue.[21]Questo però è evidente
soprattutto in soggetti adulti depressi, mentre nei bambini tale associazione non è confermata, visto che
nella popolazione di bambini depressi il livello di cortisolo nel sangue sembra essere nella norma. [24]
È quindi chiaro come la depressione sia una malattia complessa, dovuta a più cause e legata a una
complessa rete di sistemi neurali. Ad esempio ulteriori studi hanno evidenziato anche una
compromissione metabolica che include la corteccia paralimbica prefrontale orbitofrontale, il giro
cingolato anteriore e la corteccia temporale anteriore, i gangli della base, l'amigdala e il talamo. L'utilizzo
di tecniche di neuroimaging ha inoltre rivelato una riduzione della grandezza dei lobi frontali [25] e dei lobi
temporali. [26] Quindi non solo modificazioni dei sistemi neurochimici, ma anche di quelli neuroanatomici.
Il fatto che la depressione influisca anche sulla struttura fisica del cervello, è da tenere in forte
considerazioni, poiché una grave depressione che non venga curata può provocare alterazioni fisiche
non reversibili all'encefalo.
Fattori ambientali
L'ereditarietà dei disturbi depressivi è un fattore molto importante a determinare l'insorgere della malattia.
Un ruolo chiave sembra svolto anche se non sempre come già accennato, dai fattori ambientali. Ricerche
hanno dimostrato che c'è interazione fra ambiente e fattori genetici, la depressione in età adulta è
strettamente correlata con esperienze di vita negative [21]:la malattia, infatti, si può innescare dopo
alcune fasi importanti della vita: un lutto, un licenziamento, un grande dispiacere ma anche un
abbandono della persona amata, perfino una grossa vincita; in generale qualsiasi cambiamento rilevante
può indurre la manifestazione del disturbo in soggetti predisposti alla malattia stessa. Si è notato, ad
esempio, che l'abuso e l'abbandono durante l'infanzia sono fattori di forte rischio per lo sviluppo dei
disturbi dell'umore, proprio perché il forte stress produce influenze non solo psicologiche, ma anche
fisiche e biologiche (in particolare sull'asse ipotalamo-ipofisi-surrene).[27]
Fattori psicologici
Come già detto, la depressione sembra correlata agli eventi di vita stressanti. In realtà, però, tale tipo di
correlazione non è molto elevata [28] Alcuni studi attuali di neuroscienze svolti con le tecniche di brain
imagining hanno evidenziato che ci sono ad es. dei neurotrasmettitori chiamati GABA che sono alla base
della depressione post-partum, ad esempio soggetti con il gene trasportatore della serotonina con
entrambe due copie corte dell'allele saranno maggiormente predisposti all'ansia e di fronte ad eventi
stressanti svilupperanno più facilmente depressione o tendenza al suicidio, rispetto alle persone che
posseggono invece due copie lunghe dell'allele. Fra questi fattori vi sono ad esempio la personalità, il
coping (cioè l'abilità di fronteggiare le situazioni stressanti) e il significato stesso che ognuno di noi dà agli
eventi stressanti. [29] Secondo questo modello, quindi, la depressione non sarebbe dovuta solo a cause
meramente psicologiche, ma anche favorita o inibita da fattori più strettamente neurobiologici. Questa,
inoltre, sarebbe un'altra spiegazione del perché alcune persone reagiscono con la depressione e altre no
agli stessi eventi stressanti.
Infine vi sono alcune correnti di pensiero che vedono la depressione strettamente collegata a fattori
interni di tipo psicologico. Si tratta, in particolare, di correnti psicoanalitiche, dove la causa della
depressione è solitamente da ricercarsi in fattori inconsci. Ad esempio, la depressione endogena è
spiegata, dal punto di vista psicodinamico di alcuni autori, come il risultato di una mancata elaborazione
di vissuti emotivi profondi, verosimilmente traumatici, depositatesi nell'inconscio a causa di processi
difensivi come ad esempio la rimozione; o anche, secondo altri, con la persistenza strutturata nel tempo
di un Super-io persecutorio.
Diagnosi
Il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, quarta edizione (DSM-IV), propone i seguenti
criteri per la diagnosi di depressione maggiore (unipolare):
1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto o
come osservato da altri.
2. Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del
giorno, quasi ogni giorno.
3. Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure
diminuzione o aumento dell'appetito quasi ogni giorno.
4. Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno.
5. Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno.
6. Affaticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno.
7. Sentimenti di autosvalutazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati, sensi di colpa, quasi
ogni giorno.
8. Diminuzione della capacità di concentrazione, attenzione e pensiero. Difficoltà nel prendere
decisioni o iniziative in ambito familiare e/o lavorativo.
9. Pensieri ricorrenti di morte o di intenzione e/o progettualità suicidaria.
Trattamenti somatici
I tre principali mediatori chimici coinvolti nella depressione e come essi interagiscono nella patogenesi
depressiva
La terapia d'elezione nei trattamenti somatici è a base di psicofarmaci, ma non è l'unica. Gli psicofarmaci
hanno il compito di normalizzare l'equilibrio alterato dei neurotrasmettitori.[29] Come detto, infatti, i
principali neurotrasmettitori implicati nella malattia depressiva sono stati identificati in serotonina,
noradrenalina e dopamina e, secondo i fautori della matrice biologica della malattia, sembra esservi una
corrispondenza accertata fra depressione e insufficiente disponibilità di uno o più di questi tre
neurotrasmettitori.
I farmaci per curare la depressione vengono detti antidepressivi e in generale si possono dividere in tre
grandi categorie:
* gli antidepressivi triciclici (ATC)
* gli antidepressivi inibitori delle monoaminossidasi (I-MAO)
* gli antidepressivi a struttura non triciclica o di seconda generazione
I primi ad essere usati, a partire dagli anni Cinquanta, sono stati gli antidepressivi triciclici, che hanno
mostrato chiaramente la loro efficacia.[29] Essi vanno ad influire sui livelli di serotonina e noradrenalina e
hanno un'attività anti-colinergica. [30] Questo tipo di antidepressivi hanno un'efficacia del 70% rispetto ad
un placebo. [31] Tuttavia questi antidepressivi hanno alcuni effetti collaterali non del tutto trascurabili
(legati soprattutto all'azione anticolinergica) fra i quali: tachicardia, aritmie, arresto cardiaco (per questo
sconsigliati a pazienti che soffrono di malattie cardiache) secchezza delle fauci, stipsi, ritenzione urinaria,
offuscamento della vista, talora ansia o confusione mentale, disturbi della memoria, astenia, alterazioni
ECG, e più raramente aumento di peso, alterazioni ematochimiche, ittero epato-cellulare o colostatico,
eiaculazione ritardata nell'uomo, reazioni cutanee. [32]
L'altra categoria di antidepressivi, i cosiddetti anti-MAO, agiscono come inibitori della monoaminossidasi
(da cui la sigla), enzima che metabolizza serotonina e catecolamine (adrenalina, noradrenalina e
dopamina). Gli IMAO comportano pertanto un aumento della concentrazione di questi neurotrasmettitori
nel sistema nervoso centrale. Non presentano un'efficacia maggiore o particolari “vantaggi” rispetto agli
antidepressivi triciclici, mentre hanno alcuni effetti collaterali maggiori rispetto ad essi. Fra gli effetti
collaterali si riscontra: eccitamento, insonnia, tremori, allucinazioni, ipotensione, sudorazione ridotta,
ritardo dell'eiaculazione, ritenzione urinaria, reazioni cutanee, aumento di peso.[33] In alcuni casi gravi gli
I-MAO possono causare crisi ipertensive con emorragia cerebrale anche fatale, preceduta da forti mal di
testa, vomito, dolore toracico.[33] Inoltre producono effetti tossici in interazione con sostanze contenti
elevate dosi di tiramina (formaggi, alcuni vini e birre, fegato, trippa, aringhe, fagioli, banane, fave, fichi)
[34][33]
Antidepressivi triciclici e I-MAO sono stati per decenni le uniche opzioni farmacologiche, mentre ora il loro
uso è diminuito soprattutto a causa della creazione di farmaci con minori effetti collaterali, i cosiddetti
antidepressivi di seconda generazione.
Gli antidepressivi di nuova generazione sono divisi in cinque gruppi:
* Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) che comprende Fluoxetina, Fluvoxamina,
Paroxetina, Sertralina, Citalopram ed Escitalopram.
* Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (NSRI o SNRI),
rappresentati principalmente dalla Venlafaxina e dalla Duloxetina.
* Antidepressivi serotoninergici specifici e noradrenergici (NaSSA), che hanno il loro capostipite nella
Mirtazapina.
* Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (NaRI) che hanno il loro capostipite nella
Reboxetina
* A marzo 2008 in Italia è stato ammesso in commercio il Bupropione antidepressivo che appartiene
al gruppo degli NDRI (inibitori della ricaptazione della noradrenalina e della dopamina).
* Recentemente (febbraio 2009) la European Medicines Agency (EMEA) ha approvato la
commercializzazione nella UE di una molecola antidepressiva di nuova categoria che agisce come
agonista della Melatonina e disinibendo la trasmissione noradrenergica e dopaminergica: L'Agomelatina.
Questi antidepressivi sono più specifici e quindi i loro effetti collaterali sono leggermente ridotti, anche se
sovrapponibili a quelli degli antidepressivi triciclici e degli inibitori delle monoaminoassidi.
Le terapie con farmaci antidepressivi devono essere assunte per un tempo variabile dalle 2 alle 4-6
settimane prima di ottenere un effetto antidepressivo (latenza rispetto alla efficacia antidepressiva).
Secondo alcuni studi clinici questo tempo di latenza è più breve per gli antidepressivi nuovi. È
indispensabile che il paziente e i familiari siano al corrente di questo tempo di latenza, dato che
potrebbero essere indotti a sospendere le terapie ritenendole inefficaci.
Dal 2005 in paesi quali gli Stati Uniti o la Gran Bretagna, i rispettivi ministeri della salute hanno imposto ai
produttori di esporre in grande evidenza ("black box warning") il rischio di commettere suicidio, che in
alcuni soggetti predisposti (in particolare quelli più giovani) sembrerebbe aumentare, in particolare
durante le prime settimane della terapia; durante questa fase iniziale, viene quindi raccomandato ai
medici di seguire attentamente i pazienti.
L'unico prodotto naturale con dimostrate proprietà antidepressive è l'Iperico (noto anche come Erba di S.
Giovanni). In funzione antidepressiva vengono utilizzati con buoni risultati anche stabilizzanti dell'umore,
come i sali di Litio, agonisti della dopamina come il pramipexolo e altri farmaci non classificati come
antidepressivi
Altri trattamenti somatici
Esistono altri trattamenti somatici che possono essere utilizzati per curare la depressione, come la terapia
elettroconvulsiva, la fototerapia e la deprivazione da sonno. Si tratta di terapie molto discusse e
contestate, o comunque, ancora sperimentali e non provate scientificamente.
Terapia elettroconvulsiva [modifica]
Nei casi di farmacoresistenza o di impossibilità a somministrare antidepressivi di sorta, un modello di
trattamento discusso è rappresentato dalla terapia elettroconvulsiva (elettroshock). Secondo qualcuno è
efficace, nel caso delle forme più gravi del disturbo, ma non tiene affatto conto dei fattori secondari e
della soggettività del paziente di un trattamento così traumatico. Tuttavia l'elettroshock risulta ancora oggi
lo strumento terapeutico più efficace con oltre l'85% di successi terapeutici in termini di remissione. Il
problema dell'ECT risulta essere quello relativo alla non prevenzione delle ricadute, che dopo questo
genere di terapia sembrano essere frequenti. In più, occorre notare l'effetto iatrogeno dell'elettroshock:
danni a carico della memoria, talvolta irreversibili.
Psicoterapia
Esistono moltissimi tipi di interventi psicologici sulla depressione. Alcune delle psicoterapie possibili sono
ad esempio:
1. Terapia cognitiva
2. Terapia comportamentale
3. Terapia a orientamento psicoanalitico
4. Psicosintesi
5. Psicoterapia di sostegno
6. Terapia di gruppo
7. Terapia familiare
8. Comicoterapia
9. Training autogeno
Per molto tempo si è ritenuto che gli interventi psicologici sulla depressione avessero una scarsa o nulla
efficacia. Oggi, invece, è ampiamente dimostrato che esistono varie terapie efficaci nel contrastare la
depressione, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale. [35] Vari autori hanno dimostrato, anche
attraverso meta-analisi, che la terapia cognitivo-comportamentale risulta efficace sia nel ridurre i sintomi
depressivi, sia nel mantenere nel tempo i risultati. Il vero vantaggio della terapia
cognitivo-comportamentale, rispetto all'uso di psicofarmaci, sta soprattutto nella diminuzione delle
ricadute: gli psicofarmaci agiscono sui sintomi, ma da soli non sono in grado di modificare le cause che
innescano la depressione.[36] Per quanto riguarda l'uso combinato di psicofarmaci e psicoterapia, gli
studi sembrano dimostrare che non ci sia un aumento di efficacia.